Non ci speravo più, e invece, dallo scaffale della biblioteca ecco fare capolino...
Per cui, pronti, partenza, via! Andiamo alla scoperta anche della Georgia. Sull'Armenia avevo già fatto uscire degli schemini molto succinti, che dovrò andare a re-impaginare bene con le notizie che prenderò da questo libro (+ un sito inglese che ho deciso di tradurre). Sull'Azerbaigian invece non ne sapevo proprio nulla!
Ok, non sono riuscita a trovare molto, ma quel poco ce lo facciamo bastare!
Più in generale, sotto riporterò anche un approfondimento sul Caucaso.
FESTE PAGANE DEL RACCOLTO E CULTO DI UNA DIVINITà DEL VINO?
Nelle campagne in Georgia si celebrano feste che uniscono la devozione cristiana alle radici pagane: Kvirikoba si svolge il 28 luglio: benedizioni, rintocchi di campane, sacrifici animali e una gara di lancio dei massi sono seguiti da canti e libagioni. (Nota di Lunaria: il riferimento ai sassi secondo me rientra nella litolatria, ovvero la venerazione che si portava ai sassi, ed è tipica di molti contesti pagani)
Anche la celebrazione di Mariamoba del 28 agosto ("assunzione di maria") ha elementi pagani: i fedeli accendono candele, poi organizzano pic nic; nelle chiese vengono sacrificate delle pecore e la carne viene poi consumata durante un pasto collettivo. Il periodo più importante per la raccolta dell'uva e della vendemmia è organizzato a Kakheti (20 settembre-20 ottobre): vengono organizzati pranzi collettivi, musica, festeggiamenti. Simili feste per il raccolto vengono festeggiate anche in Armenia. Il vino è protagonista assoluto anche a Tbilisoba, il più grande evento di Tbilisi
LE ORIGINI DI TBILISI:
I primi insediamenti nella zona di Tbilisi risalgono al IV sec. a.c ma ai Georgiani piace di più la leggenda secondo la quale la città sarebbe stata fondata nel V secolo dal re Vakhtang Gorgasali di Kartli: durante la caccia, avrebbe visto un cervo ferito cadere in una sorgente sulfurea ed uscirne indenne; il nome "Tbilisi" significa "caldo" ed è un riferimento alle sorgenti termali georgiane. I Georgiani si considerano Kartvelebi e chiamano la Georgia "Saqartvelo", "La terra dei Kartvelebi" e fanno risalire le proprie origini a Kartlos, un pronipote di Noè. In epoca classica la Georgia era formata da piccoli regni, e i più importanti erano la Colchide (sede di colonie greche) e Kartli (Iveria\Iberia).
La conversione cristiana della Georgia (l'antica Iveria) va attribuita ad una "santa Nino" nel IV secolo. Non è chiaro se fosse una donna di origine romana o se fosse proveniente dalla Cappadocia, in Turchia. Crebbe a Gerusalemme e a 14 anni vide "la madonna" che le annunciò che avrebbe convertito gli iveriani al cristianesimo. Giunta in Georgia nel 320, tramite miracoli, si guadagnò la stima dei georgiani; con le sue preghiere, santa Nino riuscì a guarire la regina Nana da una grave malattia e anche il re Mirian dopo aver riacquistato la vista, si convertì al cristianesimo. Nel 327 il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Iveria, diventando, dopo l'Armenia, il secondo Stato a diventare cristiano.
La croce di foglie di vite (*) e che poi Nino intrecciò con i suoi capelli è ancora esposta nella cattedrale di Sioni.
I siti pre-cristiani, comunque, sono ben testimoniati a Armaztsikhe-Bagineti, sulla riva del fiume Mtkvari: ci sono resti di bagni, di un tempio e di una cantina per i vini (**). Reperti archeologici hanno dimostrato che i processi di vinificazione risalivano a ben 7000 anni fa!
è importante ricordare re Davit Aghmashenebeli che sconfisse i turchi selgiuchidi, riconquistando Tbilisi; fu questo re a trasformare la Georgia in una potenza caucasica. Fu la regina Tamar (1184-1213) poi ad estendere la supremazia georgiana sui vicini Azerbaigian e Armenia, sulla Turchia e Russia meridionale. Questa regina è ancora molto amata e citata dai georgiani.
(*) come abbiamo visto, i georgiani sono completamente fissati con l'uva! Per me questa "croce di foglie di vite" è la dimostrazione che i cristiani hanno scopiazzato un qualche culto del vino e della vite, quando sono andati lì a cristianizzare!
(**) Anche gli antichi Macedoni erano fissati col vino. Riporto qui quanto scrissi sulla Macedonia.
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/macedonia-lavacro-delle-ossa.html
"Le tradizioni popolari da una parte condividono usi e costumi del folklore slavo, dall'altra si sono arricchiti di elementi derivati dall'islam: da ricordare la "doppia sepoltura", che comportava il lavacro delle ossa del morto col vino e quindi una nuova tumulazione" (Nota di Lunaria: usanza davvero stravagante... forse avevano una sorta di "culto del vino o di Dio del vino" e davano al vino un significato di eternità o resurrezione... altrimenti, perché associarlo ai morti?)
LETTERATURA GEORGIANA
Anche se il georgiano è una lingua poco nota al di fuori dei confini nazionali, la Georgia ha un corpus letterario molto esteso. Il poeta più celebre è Shota Rustaveli (1172-1216), membro della corte della regina Tamar, che scrisse "L'uomo dalla pelle di leopardo", un poema cavalleresco ancora molto amato dai georgiani, ma che venne tradotta in inglese solo nel 1912. Nikoloz Baratashvili (1817-1845) fu il nome più noto del Romanticismo georgiano. Insieme a Ilia Chavchavadze e Akaki Tsereteli il movimento di Tergdaleulebi auspicò a riforme nel campo dell'istruzione e della politica, seguendo gli influssi di idee liberali russe. Altri celebri autori sono Alexander Kazbegi e Vazha Pshavela. è importante citare anche il movimento del "Corno Azzurro", formato da alcuni poeti: Titsian Tabidze (fucilato durante le purghe staliniane), Paolo Iashvili e Galaktion Tabidze. Citiamo anche i romanzieri Mikheil Javakhishvili (giustiziato dal regime sovietico) e Konstantin Gamsakhurdia.
Il paesaggio georgiano, comunque, è citato anche da autori russi, soprattutto da Lermontov, nel capolavoro "Il Demone" (uno dei miei libri preferiti)
Ne riporto qualche verso, da leggersi, ovviamente, con sottofondo di Black Countess
https://www.youtube.com/watch?v=VGtrqJP0ZO8
che sono russi, come il mio adorato Lermontov! *.*
(sentite come suona fantastico il russo abbinato al Sympho Black!)
I
Il proscritto dal cielo, il triste Demone
volava sulla terra dei peccati,
ed i ricordi dei felici giorni
si affollavan nella sua memoria:
dei giorni in cui nelle celesti plaghe
Egli luceva puro cherubino
e la cometa fuggiva a Lui
un amico saluto rivolgeva,
e amabilmente Gli parlava. Allora
attraversando le eterne nebbie,
avido di conoscenza, seguiva
le nomadi carovane di stelle
nelle plaghe del cielo immense sparse;
quando credeva ed amava: felice
primogenito di tutto il creato!
Non conosceva il dubbio e non il male,
né minacciava la sua mente lunga
di sterili tempi serie dolente...
E molte, e molte altre cose, e di tutto,
di ricordar la forza non aveva.
II
Respinto da remoti tempi, errava
senza asilo nel deserto del mondo:
e i secoli inseguivano i secoli
come un minuto dietro l'altro in una
successione monotona e annoiante;
Signore di una terra miserabile
senza piacere seminava il male.
In nessun luogo trovava la sua arte
una qualche resistenza, e per questo
anche il male Gli diventò noioso.
III
Sulle vette del Caucaso volava
l'esule dal Paradiso: c'era sotto
di Lui il Kazbek, la faccia d'un diamante,
che risplendeva con le eterne nevi,
e nereggiando nel profondo, quasi
una crepa dimora della serpe,
la sinuosa valle del Darjal:
e il Terek, saltando come leonessa,
la villosa criniera sulla schiena,
ruggiva: belve montane e uccelli
girando nell'altitudine azzurra
sentivano la voce delle sue acque;
e le nubi dorate, di lontano,
dalle terre del sud lo accompagnavano
verso le plaghe del settentrione;
e le montagne in fitta folla, colme
di misterioso sonno su di lui
chinavano la testa, inseguendo
le baluginanti onde.
Sulle rocce le torri dei castelli
minacciose tra le nubi guatavano
di sentinella alle porte del Caucaso,
come maestosi giganti guardiani!
Selvaggio e meraviglioso era intorno
tutto il mondo di Dio, ma lo spirito
orgoglioso, con sguardo di disprezzo
considerava il creato di Dio,
del suo Signore, e sulla sua alta fronte
non si rifletteva pensiero alcuno.
IV
E dinanzi a lui le bellezze vive
fiorirono d'un altro quadro: della
Georgia meravigliosa le valli
come tappeti dipinti si aprivano;
lussureggiante, felice paese!
I pioppi come colonne, i ruscelli
che sonanti scorrevano sul fondo
di pietre variopinte ed i cespugli
dove cantan gli usignoli alle belle
che non rispondono alla dolce voce
del loro amore, e dove la sua ombra
sparge dolce il platano fronzuto,
dove le grotte sono avvolte d'edera
intricata, rifugio nell'ardente
calura del giorno al timido cervo;
vita, splendore, e mormorio di foglie,
lingua di cento voci risonanti
e di mille alberi e piante il respiro!
Del meriggio il caldo voluttuoso,
le notti umide sempre di rugiada
profumata e le stelle luminose
come lo sguardo di una bella donna,
di una giovane georgiana!...
Ma nient'altro che una fredda invidia
suscitava la splendida natura
nello sterile cuore del proscritto,
non nuovi sentimenti, o forze nuove.
E tutto quello che egli vedeva,
lo disprezzava, oppur lo odiava.
V
Un'alta casa, dal largo cortile
s'era costruito il vecchio Gudàl...
era costata lacrime e fatiche
agli obbedienti schiavi, in tempi antichi.
Fin dal mattino, sul pendio dei monti
si posano le ombre delle sue mura.
Nella roccia son scavati i gradini,
essi dalla torre angolare
portando al fiume: a volte vi si vede,
di un bianco velo ricoperta,
la giovane principessa Tamara
che va ad attinger acqua al fiume Aragva. (*)
(*) è un fiume georgiano
VI
Da sempre silenziosa sulla valle
cupa la casa guardava dalla rocca:
ma grande festa si celebrava oggi:
risuona la zurnà (*) e scorrono i vini:
fidanzava Gudàl la propria figlia
e alla festa invitò tutti i parenti.
Sul tetto, ricoperto di tappeti,
tra le amiche siede la ragazza.
Fra giochi e canti esse si divertono.
Dalla lontana catena di montagne
si nasconde del sole il semicerchio.
Cantano, e battono le mani in ritmo,
e la giovane fidanzata prende
il suo tamburo.
Ed eccola: con una mano gira
il tamburello sopra la sua testa,
e più lieve di un uccello ora vola,
ora si ferma e guarda ed il suo sguardo
ecco che umido scintilla,
dietro le belle, invidiose ciglia;
ora gioca col nero sopracciglio,
ora d'un tratto si china lievemente,
e scivola sul tappeto, e vola
e danza, con quel suo divino piede,
ed eccola che ora ci sorride
colma di gioia infantile, e il raggio
della luna che lieve gioca a volte
nell'oscillante umidità dell'ombra
non può paragonarsi a quel sorriso
vivo come la gioventù e la vita.
(*) strumento musicale simile al corno
VII
Giuro per la stella di mezzanotte,
per il raggio del tramonto e dell'alba,
Il Signore della Persia dorata
e nessun altro re terrestre mai
potè baciare occhi così belli;
la zampillante fontana dell'harem
nel caldo tempo dell'estate mai
potè con le sue rugiadose perle
bagnare una figura così bella!
Né la mano terrestre di nessuno
nel carezzare quell'amata fronte
ancora scompigliò le belle chiome;
Da quando al mondo han tolto il paradiso
una bellezza così bella mai,
lo giuro, sotto il sole era fiorita.
VIII
E per l'ultima volta ella danzava.
Ahimè, al mattino l'attendeva, lei,
l'erede di Gudàl, inquieta figlia
di libertà, il destino triste d'una
schiava: un'altra, ancor straniera patria,
e straniera, una famiglia.
Del tutto sconosciuta, ignota gente.
Per questo spesso un segreto dubbio
le oscurava il luminoso volto,
eppure sempre le sue movenze erano
così armoniose e ricche di espressione,
così colme di dolce semplicità,
che se il Demone volando in quel tempo
avesse a lei rivolto il suo sguardo
gli angeli fratelli ricordando
girando il volto avrebbe sospirato.
IX
E il Demone la vide: per un attimo
di colpo un'emozione inspiegabile
sentì dentro la sua anima.
E ricolmò una beata armonia
il deserto del suo muto cuore
e di nuovo provò la santità
della bellezza, del bene e dell'amore!
A lungo contemplò il dolce quadro,
e i sogni della felicità antica.
Come stella che nasce da una stella,
fluirono davanti al suo ricordo.
Ed Egli si sentì come inchiodato
da una forza invisibile ed ignota,
ed una nuova tristezza egli conobbe,
un sentimento in lui parlò con lingua
a lui ben nota un tempo e molto cara.
Di rinascenza era questo un segno?
Parole perfide di seduzione
nella sua mente non potè trovare...
Dimenticar non concedeva Dio:
e Lui stesso l'oblio non voleva!
X
Tormentando il suo valente destriero
alla festa di nozze, verso il tramonto
correva l'impaziente fidanzato.
Felicemente raggiunse le verdi
rive della luminosa Aragva.
Sotto il greve fardello dei regali
appena appena rimanendo dietro
lo seguiva la fila dei cammelli
che lenti vanno nella lunga strada,
facendo risuonare i campanelli,
ed è lui, il Signore di Sinodal,
che guida quella ricca carovana.
Bello nella sua elegante cintura,
risplende al sole l'ornamento della
sua bella sciabola e del pugnale.
Sulla schiena il fucile arabescato.
E gioca il vento con le ampie maniche
del suo mantello tutto decorato
con le dorate insegne e coi galloni.
Ricamata con sete colorate
è la sua sella, con nappe è la briglia;
il suo cavallo, schiumeggiante, ardito,
ha un prezioso mantello: sembra d'oro.
Veloce pupillo del Karabach
drizza gli orecchi, e pieno di paura
sbuffa e guarda dallo scosceso ciglio
la rapida onda che schiumeggia in basso.
Pericoloso e stretto è il cammino:
sulla sinistra stan le rocce ripide,
e sulla destra in basso il ribelle fiume.
è già tardi. Sull'innevata cima
si spegne il cielo, s'è alzata la nebbia...
la carovana accellera il suo passo.
XI
Ed ecco sulla strada una cappella...
Qui da remoti tempi dorme in Dio
non so qual principe, or fatto santo,
che una mano di vendetta uccise.
Da allora, vada a battaglia o festa,
il passeggero, dovunque si affretti,
sempre col cuore una preghiera assorta
egli pronuncia presso la cappella;
e proteggeva la sincera prece
dall'improvviso pugnale musulmano.
Ma disprezzò l'ardito fidanzato
quel costume dei suoi antenati.
Con un perfido sogno lo turbava
l'astuto Demone del male.
Nella sua fantasia, nella notte
la bocca di Tamara Egli baciava,
ed ecco apparvero in due davanti,
s'udì uno sparo: ma che accade dunque?
Alzatosi sulle staffe sonanti
il coraggioso principe non parla,
si spinge sulla fronte la papacha,
stringe in mano il suo fucile turco.
Un colpo di staffile, e come un'aquila
si slancia: ma esplode un altro colpo!
Un selvaggio grido ed un lamento sordo
echeggiano nella profonda valle.
E non per molto proseguì la lotta:
i codardi gruzini (*) son fuggiti!
(*) I Georgiani
IL VELLO D'ORO
è celebre la vicenda di Giasone che partì per la Colchide, verso il Mar Nero, alla ricerca del vello d'oro. Questo regno, la Colchide, esisteva davvero, comprendeva i territori della Georgia occidentale. Il vello d'oro trae origine dall'usanza georgiana di cercare l'oro nei fiumi stendendo delle pelli di pecora, dove si depositavano le pepite d'oro.
LA RELIGIONE ANIMISTA DEI TUSHETI
Il Tusheti (nella Georgia del nord-oriente) è una regione montuosa e in questa zona sono rimaste tracce dell'antica religione animista dei Tusheti: templi di pietra detti khatedi, ornati con corna di capre o pecore sacrificate [usanza simile la facevano anche gli afghani pre-islamici, nota di Lunaria], il cui accesso è vietato alle donne. Le torri difensive dei villaggi tusheti sono detti koshkebi.
(Nota di Lunaria: purtroppo non ci dice niente di più, la guida! Peccato!)
SITUAZIONE POLITICA
No vabbè, mo' non mi metto a scrivere un papiro su tutte le guerre successe nel Caucaso... sintetizzo dicendo che:
1) In Georgia è abbastanza grave il conflitto, di matrice separatista, con l'Ossezia del Sud (e la Russia, che si è impelagata in tale questione... non le bastasse la questione cecena, eh! https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/cecenia-informazioni-utili-sul-regime.html)
2) In Georgia c'è anche una questione problematica relativa all'Abkhazia, altra regione separatista.
3) Armenia e Azerbaigian si sono combattute a causa del Nagorno-Karabakh, regione azera a maggioranza armena.
4) C'è anche attrito tra Turchia e Armenia a causa del Karabakh e sul fatto che la Turchia nega il genocidio armeno; la Turchia ovviamente è alleata con l'Azerbaigian.
La Turchia, nei suoi aspetti più positivi ed edificanti l'abbiamo vista qui:
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/turchia-origini-topkapi-musica-e-poesia.html
e scusatemi tanto se io ad Erdogan (https://www.peridirittiumani.com/2016/11/23/turchia-erdogan-marchiato-di-crimini-contro-lumanita/) preferisco i Pagan
e comunque Erdogan può andare avanti a censurare e proibire quanto vuole, sta di fatto che io continuerò imperterrita a linkare ovunque Pagan e Satanized!
5) Vabbè, l'Azerbaigian è islamico, quindi avete già capito che la "libertà d'espressione", su certe cose, non sempre è garantita :P Così come permane il divieto, per le donne, di partecipare a "sale del tè" che sono epicentro della vita sociale maschile. Anche nella cristiana Georgia una donna che non voglia sposarsi è vista come "fallita" o "strana" e la convivenza senza matrimonio è un concetto ancora sconosciuto.
6) Infine, tenete presente che Georgia, Azerbaigian ed Armenia per secoli sono state invase e poco più che pedine per gli interessi macedoni, greci, romani, persiani, bizantini, arabi, mongoli, ottomani, russi. Vennero disintegrati in più e più regni, principati, emirati, khanati e satrapie.
MONTAGNE DEL CAUCASO & CULTO DEL FUOCO?
Il fatto che specialmente in Caucaso meridionale ci siano monti, valli, altopiani, gole e boschi e che in posti di sì superba bellezza i cristianelli abbiano edificato i loro monasteri&chiesucole, mi porta a domandarmi se per caso nei luoghi dove attualmente potete ammirare "i siti sacri cristiani" non ci fossero, in origine, dei templi pagani. Soprattutto in Armenia, credo che il celebre monte Aragats fosse consacrato ad una qualche divinità del cielo; in Georgia un monte-vulcano spento troneggia a Kazbegi: i Georgiani pensano che Prometeo sia stato proprio incatenato su questo monte, sulla vetta del Kazbek, esattamente come l'Amirani georgiano, che aveva osato sfidare l'onnipotenza di Dio. La dimora di Amirani si trovava nella grotta di Betlemi. Esistevano alcuni tabù e divieti in merito alla caccia sulla montagna e all'ascensione sulla sua vetta; difatti, i primi a salire su quella vetta, nel 1868, furono degli inglesi. Tra gli oggetti conservati nella grotta di Amirani, a parte la paccottiglia pseudo-cristiana tipo "la mangiatoia di cristo" o "la tenda di abramo" c'era una sorta di culla d'oro dondolata da due colombe che avrebbe reso cieco chiunque l'avesse vista. A chi conosce un po' di simbolismo e paganesimo, cose tipo "divieti di caccia", "terrore dei monti", "colombe", fanno suonare i campanellini, ma vabbè, non posso fare ulteriori ipotesi, non disponendo di più notizie sul paganesimo georgiano. In Georgia è anche celebre un masso, il Kuakantsalia, ubicato nella foresta della gola di Intsra; questo grande masso dondola, ma non cade neppure se lo si prende a spallate. Inoltre, in Azerbaigian esistono dei veri e propri "vulcani di fango" ovvero dei fenomeni di combustione dei fiumi e delle montagne che paiono "infuocate", il che mi lascerebbe ipotizzare ci fosse un vero e proprio Culto del Fuoco (vedi anche la pratica, che è rimasta, del saltare al di sopra del falò). Nel pantheon indù, oltre al dio vedico del fuoco Agni, è presente anche Jwaala Devi, una Dea personificazione del geyser.
Jwala Ji è una Dea indù. Altri suoi nomi sono Jawala Ji, Jwala Devi e Jwalamukhi Ji. La manifestazione fisica di Jwala Ji è sempre un insieme di fiamme eterne, e il termine Jwala significa "fiamma" in sanscrito. è la personificazione del geyser, cioè il fenomeno dei getti d'acqua calda e vapore.
Il culto del fuoco era attestato anche in Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan; avevo già trattato questo argomento: (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/02/uzbekistan-tagikistan-e-turkmenistan.html)
"Il Tagikistan ha una serie di siti archeologici; quello più interessante è quello di Sarazm, considerata una delle città più antiche dell'Asia centrale, che risale a 5500 anni fa.
Tra i reperti, ci sono un tempio dedicato al fuoco e la tomba risalente al IV secolo a.c. di una donna facoltosa, i cui braccialetti di lapislazzuli e conchiglie sono conservati al museo di Dushanbe.
(Nota di Lunaria: potrebbe trattarsi di una sacerdotessa addetta al culto del fuoco? sull'esempio delle vestali?)
Un altro sito, dal nome strano, è Ajina Teppe, che significa "Collina delle Streghe", risalente al VII-VIII secolo, e dove è stato ritrovata la più grande statua di buddha in Asia centrale."
"[Turkmenistan] Gonur Depe è una delle più antiche civiltà dedite al culto del fuoco, contemporanea alle culture della Battriana in Afghanistan. I primi insediamenti in questa zona comparvero nel 7000 a.c e sembra che la città sia stata abbandonata nell'Età del Bronzo. Sembra che Gonur sia all'origine anche della nascita dello Zoroastrismo, fondata da Zoroastro. Nei siti adiacenti sono stati ritrovati quattro templi del fuoco e alcune testimonianze di una droga ottenuta da piante di papavero, canapa ed efedrina, una droga chiamata "haoma", probabilmente il celebre soma, utilizzato anche dai magi che furono criticati da Zoroastro. Per quanto siano islamici, in realtà l'islam praticato dai Turkmeni è stato sincretizzato con le antiche credenze animiste: le moschee e i mausolei sono decorati con motivi animisti come serpenti e corna di ariete."
Certo, Georgia e Tagikistan\Turkmenistan non sono proprio confinanti,
però non dimentichiamoci che erano tutte zone di transito delle carovane per i commerci ed erano crocevia euro-asiatici (quindi subivano anche influenze cinesi, indù e persiane). Secondo me "il saltare sopra i falò" ancora presenti in certe zone
- lo fanno anche in Ucraina (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/ucraina-usanze-pagane-e-tanto-tanto.html) e in Kurdistan (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/kurdistan-storia-poesia-persecuzioni.html) - si ricollega al Culto del Fuoco e più in generale, ad influssi persiani. Tra l'altro queste somiglianze ci sono anche guardando l'abbigliamento femminile tradizionale (sono tutti abbastanza simili, gli abiti georgiani, turkmeni, armeni e tagiki):
"Che gli Ucraini, similmente agli slavi, siano ancora intrisi di usanze pagane lo dimostra la festa di Ivana Kupala, una festa pagana per la celebrazione "di mezza estate". La festa fu bandita più volte, prima dai cosacchi, poi dai comunisti, ma la gente la festeggia da sempre. Kupala era la Dea dell'amore e della fertilità (secondo alcune fonti, sarebbe un dio maschile) e i giovani sceglievano il proprio sposo\a proprio durante la festa in suo onore. Ancora oggi gli ucraini accendono fuochi e ragazze vestite di bianco con una coroncina di fiori danzano e ballano intorno ad un palo. Finito il ballo, le ragazze lanciano le coroncine, simbolo di verginità, nel fiume o nell'acqua: se vanno a fondo significa che saranno sfortunate in amore. Quando vengono accesi i falò, le coppie, tenendosi per mano, saltano oltre i fuochi, per verificare se il loro amore è autentico: se le mani restano unite, l'amore durerà per tutta la vita. Nell'antichità, i ragazzi andavano nei boschi in cerca di una felce magica. Ovviamente il cristianesimo ha clonato la festa piazzandoci dentro "l'anniversario della nascita di giovanni battista".
"L'equinozio di Primavera in Turchia coincide con il Nowruz, il capodanno curdo, chiamato anche Nawroz, Norouz, Nauroz. è una giornata da passare all'aria aperta, danzando e cantando.
Le persone tengono un uovo in mano: ciascuno lo deve rompere sbattendolo contro quello altrui, come augurio di amicizia, di serenità familiare e di pace. La festa di Nowruz è stata riconosciuta dall'Unesco "Patrimonio Culturale dell'Umanità", e rievoca gli ancestrali significati persiani di celebrazione della nuova vita, della Luce che sconfigge l'Oscurità: durante la celebrazione, si accendono piccoli falò e la gente ci salta sopra, per simboleggiare la vittoria sulle Tenebre;
le ceneri vengono poi sparse per terra, in un matrimonio tra fuoco e terra; in alcune località il capodanno curdo si festeggia nei giorni precedenti o successivi al 21 marzo, a seconda delle diverse consuetudini e calendari. Questa ricorrenza si festeggia anche in altre nazioni del Medio Oriente e dell'Asia Centrale."
Nota di Lunaria: ho trovato anche una foto relativa ad una combattente curda, che accende un fuoco su una vetta:
La mia ipotesi è che anticamente, forse, i Curdi praticassero un culto del fuoco, accendendo falò anche per propiziare la sorte, magari per ottenere un esito vittorioso in battaglia.
Comunque, è interessante far notare che anche nell'Induismo si accendono dei fuochi:
Paesaggio della Georgia:
Abiti tipici della Georgia:
Scena Metal della Georgia
Ok, non c'è moltissimo: ad oggi (2019) Metal Archives menziona 27 band, ma dobbiamo anche dire che Georgia e zone circostanti sono piuttosto periferiche rispetto all'Europa Centrale. Io comunque ho sentito i ყორღანი, autori di un Black piuttosto lento e gelido con qualche spunto "epicheggiante" nell'intento (niente di particolare o innovativo, sia chiaro, è derivativo da quanto fatto qui da noi, però non è indecente e disastrato)
Notevole che in copertina ci piazzino un paesaggio montano, che confermerebbe la mia teoria sui monti georgiani...
Non sono sicura che "ყორღანი" voglia dire "Kurgan" (non è chiaro se sia il nome della band o del cd... :P, abbiate pazienza, so sillabare l'ebraico ma il georgiano ancora no!) comunque li trovate caricati qui https://shaitanakbar.bandcamp.com/album/kurgan-caucasian
e distribuiti dalla Shaitan Akbar
etichetta che, con questo nome e logo, ci mette subito di buon umore.
Già che ci sono vi segnalo anche Aasfresser
che non c'entra un piffero con la Georgia, dal momento che proviene dalla Germania, ma visto che era lì sponsorizzato dalla Shaitan Akbar gli ho dato comunque un ascolto; suona Black Metal tradizionale e nostalgico (dai, ci siamo capiti, quel tipo di Black primi '90s gelido e monocorde).
Non mi è chiaro però perché il Nostro sia fissato con gli Sciti e venga promosso da un'etichetta specializzata "in cose caucasiche"... sia mai che lui sia di origine caucasica, e magari vive in Germania?
Sempre parlando di Black Metal dalla Georgia abbiamo anche i Diabolus Sanctus
che ci allietano con questo cd, con un caprone che pugnala gesù cristolo capovolto all'ingiù
https://www.youtube.com/watch?v=sIbgRjTH4KE
è un Black di matrice svedese, alla Marduk, suonato bene (come solitamente è tipico di tutti quelli che suonano Black di scuola svedese) con le solite sfuriate infernali belle veloci e pestato per bene, ma niente di epocale o originale.
Tuttavia apprezziamo, perché la Georgia è cristiana, e vedere gente che bestemmia e dissacra vostrosignoregesùcristonazareno mi mette sempre di buon umore.
Mi sarebbe piaciuto sentire anche di più, ma purtroppo la connessione con la chiavetta 3 è tiranna e avevo anche da andare a reperire le band armene e azerbaigiane, oltre che cercare su google images qualche immagine sull'Obeah giamaicano :P, che tratterò prossimamente, per cui a malincuore mi sono dovuta fermare solo a ყორღანი e Diabolus Sanctus. Niente per cui stravedere, però in entrambi i casi, Black Metal decente e ben suonato, insomma, band che il loro compitino lo assolvono abbastanza bene, anche se in maniera piuttosto derivativa di quanto, da noi, andava di moda nel 1999-2000. Vedremo, se mai riuscirò a beccarli tramite mail per farmi una chiacchierata con loro, cercherò di chiedere direttamente a loro se possono approfondirci le "ancient pagan roots of Georgia" xD
APPROFONDIMENTO tratto da
La maggioranza delle divinità i cui nomi si sono conservati nelle credenze dei popoli del Caucaso sono legate direttamente o indirettamente vuoi con l'agricoltura, vuoi con l'allevamento del bestiame. Esistono anche divinità protettrici dell'attività venatoria.
Gli Osseti adoravano soprattutto i seguenti Dei (nelle cui figure sono confluiti caratteri e nomi cristiani): Uatsilla, cioè "sant'elia", protettore della coltivazione e dell'allevamento, colui che manda la pioggia e la tempesta; Falvar, protettore delle pecore; Turyr, pastore dei lupi, che consente loro di sgozzare le pecore; Avsati, divinità degli animali selvativi, protettore dei cacciatori.
Per i Circassi, le divinità principali erano Scible, Dio del fulmine (la morte per fulmine era considerata onorevole: non si consentiva di piangere la morte di una persona uccisa dal fulmine, e la sua tomba era considerata sacra) [*] Sozeres, protettore dell'agricoltura, Dio della fertilità; Iemis, protettore delle pecore; Akhin, protettore del bestiamo cornuto; Meriem, protettrice dell'apicoltura (nome chiaramente derivato da quello cristiano della vergine maria) [**], Mezitkh, divinità silvestre, protettore dei cacciatori; Tleps, protettore dei fabbri, Tkhaskhuo, Dio supremo del cielo, figura piuttosto scialba, il cui culto era pressoché inesistente.
Per quanto riguarda gli Abkhasi, i posti più importanti erano occupati nella religione della Dea Dagia, protettrice dell'agricoltura; da Aitar, creatore degli animali domestici, Dio della riproduzione; da Airg e Azvejpsaa, divinità della caccia, protettori dei boschi e della selvaggina [***], da Afy, Dio del fulmine, analogo allo Scible dei Circassi.
Naturalmente le figure di queste divinità erano di solito complesse, e non di rado venivano attribuite loro funzioni diverse e differenziate in maniera molto imprecisa.
Queste divinità erano comuni a tutto il popolo, anche se la loro venerazione assumeva spesso la forma dello stesso culto comunitario. Accanto a queste divinità comuni a tutto il popolo esistevano però divinità protettrici prettamente locali, proprie di ciascuna comunità, che talvolta è difficile distinguere dai patroni gentilizi, poiché in alcuni popoli del Caucaso la stessa comunità di villaggio non si era ancora liberata completamente dalla sua veste gentilizia.
Il culto dei protettori locali, comunitari, era di solito legato a santuari locali, nell'ambito dei quali si svolgevano le cerimonie.
Nel caso degli Osseti questi santuari si chiamavano dzuar. Lo dzuar è generalmente una vecchia costruzione, talvolta un'ex chiesa cristiana, ma può anche essere un semplice gruppo di alberi sacri. Ogni santuario era presieduto da un sacerdote comunitario elettivo o ereditario, o dzuarlag, che dirigeva lo svolgimento dei riti. Gli Ingusci avevano santuari comunitari o el'ghyts, che di solito utilizzavano apposite costruzioni; ma esistevano anche boschetti sacri. Se analoghe strutture per il culto esistessero anche fra i Circassi e gli Abkhasi è completamente ignoto, ma ogni comunità aveva in passato il proprio boschetto sacro, di cui verso l'inizio del XX secolo rimanevano soltanto singoli alberi sacri. I luoghi sacri godevano di particolare venerazione fra i Khevsuri: si tratta dei cosiddetti "khati", santuari costruiti in mezzo a enormi alberi secolari (che era proibito tagliare). Ogni khati aveva un proprio apprezzamento di terreno, un proprio patrimonio, il proprio bestiame. Tutte le rendite del terreno e del bestiame erano destinate alle necessità del culto, all'organizzazione delle cerimonie e delle feste. Amministravano il patrimonio e dirigevano i riti sacerdoti elettivi detti khutsi o dasturi o dekanozi, che godevano di enorme influenza; venivano ascoltati anche nelle questioni estranee alla religione.
[*] La stessa cosa la troviamo nel contesto greco:
I culti agrari e naturalistici greci conservano sopravvivenze del fondo preellenico. Questo tipo di culti erano fondamentali perché il destino di una società dipendeva dalla prosperità della loro agricoltura.
Zeus era il signore del tempo. La folgore, suo attributo, era il simbolo sacro per eccellenza.
Quando il fulmine cadeva al suolo, il punto di contatto sul terreno restava "carico" di influsso divino, per gli antichi: diventava un "Abaton", un luogo al quale era proibito l'accesso; chiunque varcava quella soglia rischiava la vita. Se un fulmine colpiva una persona, se la persona sopravviveva diventava un eletto; se moriva doveva essere sepolto sul posto e venerato come un eroe (1). Il termine "Enelysia", che indicava i luoghi colpiti dai fulmini, era affine al termine dei Campi Elisi.
Il culto del fulmine era precedente a quello di Zeus. Lo stesso termine "enelysia" è preellenico.
L'Arcadia venerava i Lampi, i Temporali, i Tuoni come tali (2)
Mantinea conosceva uno Zeus-Folgore, eredità di un dio-folgore, simboleggiato da una pietra grezza, probabilmente un meteorite (3)
Per il contadino greco, Zeus abitava la cima dei monti piuttosto che non il cielo, agli inizi: il monte Liceo, l'Oros, l'Ida. Di lassù, Zeus presiedeva a tutti i fenomeni atmosferici (vento, pioggia, neve) che condizionavano la vita dei campi.
Gli abitanti dell'isola di Ceo facevano sacrifici in onore di Zeus Ikmaios ("l'Umido") nel periodo della canicola, secondo un'abitudine che la leggenda fa risalire ad Aristeo, un vecchio dio della vegetazione; il rito serviva a suscitare i venti "etesii" che portavano frescura e umidità.
Lo stesso rito era dedicato a Zeus Akraios, Dio delle vette, per provocare l'arrivo della brezza, portando pelli fresche di pecore alla terza tosatura: i fiocchi di lana dovevano magicamente formare le nuvole in cielo.
Lo Zeus omerico riveste l'egida: questa cappa in pelle di capra aveva il potere di scatenare le tempeste (4), le aighides; il sacerdote di Zeus era un suscitatore di pioggia: nei periodi di siccità faceva scorrere un ramoscello di quercia sulla superficie di una fonte e dei vapori originavano le nuvole.
(1) Pratica presente anche nel contesto del Caucaso.
(2) Idea scopiazzata anche dagli ebrei per riferirsi a jahvè. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/wodan-odino-thor-tre-dei-moooooolto.html
(3) I meteoriti, cioè le "pietre nere" venivano spesso associate alla Dea (Cibele, Allat); la famosa "pietra nera" islamica che venerano i musulmani, quasi sicuramente è una vestigia del culto della Dea Allat, poi "trasferita" al culto di allah. Anche l'Artemide di Efeso aveva la sua pietra. https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/lartemide-di-efeso-e-la-palma.html
(4) Anche Thor si accompagnava alle capre.
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/wodan-odino-thor-tre-dei-moooooolto.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/il-caprone-1-i-veri-significati.html
[**] Probabilmente perché il nome originario della Dea andò perduto; comunque, l'ape è spesso stata associata alle Dee, vedi Demetra, Melissa, Bhramari.
[***] Purtroppo non è chiaro se Azvejpsaa sia una Dea o un Dio... se fosse una Dea, mi pare evidente la sua somiglianza con Artemide\Diana cacciatrice.
Culti agrari comunitari
Straordinariamente caratteristico è il complesso di credenze e di cerimonie religiose dei popoli del Caucaso connesso con l'agricoltura e l'allevamento del bestiame e nella maggioranza dei casi basato sull'organizzazione comunitaria. La comunità agricola di villaggio si è conservata molto stabilmente nella maggior parte dei popoli caucasici. Nelle sue funzioni rientravano, oltre alla regolamentazione dello sfruttamento del suolo e alla decisione sulle questioni comunitarie di villaggio, anche le preoccupazioni per il raccolto, il benessere del bestiame e così via: a questi fini si utilizzavano le preghiere religiose e i riti magici. Le loro forme erano diverse presso i vari popoli e non di rado complicate da apporti cristiani o musulmani, ma nella sostanza erano simili, in quanto sempre connesse, dello sfruttamento del suolo e alle decisione sulle questioni della comunità. Per assicurare un buon raccolto, allontanare la siccità, interrompere o prevenire le malattie del bestiame, si organizzavano riti magici oppure preghiere alle divinità protettrici. Tutti i popoli del Caucaso avevano concezioni relative a particolari divinità protettrici del raccolto di questo o quel tipo di bestiame, e così via. Le figure di queste divinità risentivano in alcuni casi di forti influenze cristiane o musulmane, fino a fondersi con quelle di qualche santo, mentre in altri conservavano aspetto più originale.
Ecco ad esempio la descrizione di un culto comunitario dell'agricoltura praticato dagli Abkhasi.
"Gli abitanti del borgo (atsuta) organizzavano ogni primavera, in maggio o all'inizio di giugno, di domenica, una particolare preghiera agricola chiamata "preghiera dell'Atsu" (atsyu-nykbea). Gli abitanti si quotavano per l'acquisto di montoni o vacche e vino (fra l'altro nessun pastore si rifiutava di dare in caso di necessità un montone o un caprone castrato per la preghiera comunitaria, benché i montoni venissero utilizzati di rado come vittime dei sacrifici) Inoltre ogni dym, cioè azienda, era tenuta a portare con sé del miglio bollito (gomi) nel luogo indicato, che era considerato sacro per tradizione; là sgozzavano il bestiame e cuocevano la carne. Quindi sceglievano un vecchio rispettato nel villaggio, al quale davano una bacchetta su cui erano infilzati il fegato e il cuore, nonché un bicchiere di vino. Prese in mano queste cose, il vecchio si metteva alla guida degli oranti e, rivolto a oriente, pronunciava questa preghiera: "Dio delle forze celesti, abbi pietà di noi e mandaci la tua grazia: dacci terre fertili, affinché insieme con le nostre mogli e i nostri figli non conosciamo né fame, né freddo né sventura..." A questo punto il vecchio tagliava via dei pezzetti di fegato e di cuore, li aspergeva di vino e li gettava da una parte; dopodichè tutti si sedevano in cerchio, si auguravano l'un l'altro buona fortuna e cominciavano a mangiare e a bere. La pelle dell'animale spettava a chi aveva recitato la preghiera, mentre le corna venivano appese a un albero sacro. Alle donne non era consentito non solo di toccare questo cibo, ma nemmeno di essere presenti al pasto...
Nel caso dei circassi-sapsughi sono state descritte cerimonie prettamente magiche di lotta contro la siccità. Uno dei mezzi per far cadere la pioggia in caso di siccità richiedeva che tutti i maschi del villaggio si recassero alla tomba di una persona uccisa dal fulmine ("tomba di pietra", considerata santuario della comunità così come gli alberi circostanti). Fra i partecipanti del rito doveva necessariamente essere presente un membro della famiglia gentilizia a cui aveva appartenuto il defunto. Arrivati sul posti tutti si prendevano per mano e danzavano attorno alla tomba al suono di canti cerimoniali, a piedi nudi e senza berretto. Quindi, alzando in alto un pezzo di pane, il parente del defunto si rivolgeva a quest'ultimo a nome di tutta la comunità, pregandolo di mandare la pioggia. Terminata la sua preghiera, egli prendeva dalla tomba una pietra e tutti i partecipanti al rito si dirigevano verso il fiume. La pietra, legata a un albero per mezzo di una corda, veniva affondata nell'acqua, e tutti i presenti, vestiti com'erano, si tuffavano nel fiume. Gli sapsughi erano convinti che questo rito facesse immancabilmente cadere la pioggia. Nel giro di tre giorni era necessario ritirare la pietra dall'acqua e riportarla al suo posto; secondo la credenza, in caso contrario la pioggia sarebbe caduta senza interruzione, allagando tutta la terra.
Nota di Lunaria: mi pare che in questo rito tipico dei circassi-sapsughi siano condensati il culto degli antenati e la litolatria; è curioso questo loro riferimento al fulmine (cioè all'antenato ucciso dal fulmine); forse conferivano al fulmine (come alla pietra) una valenza di fertilità e prosperità (i fulmini sono quasi sempre associati a potenti Dei maschili) Può anche essere che adorassero gli alberi (gli alberi intorno alla tomba erano considerati parte del santuario)
Fra gli altri procedimenti magici destinati a far cadere la pioggia era particolarmente caratteristica la processione con una bambola, fatta con una pala di legno rivestita di abiti femminili; questa bambola chiamata "khatse-guase" (pala-principessa) veniva trasportata dalle ragazze attraverso il villaggio (aul); accanto a ogni abitazione la aspergevano d'acqua e alla fine la buttavano nel fiume. La carimonia veniva eseguita unicamente dalle donne; se per caso incontravano un uomo durante il rito, lo acchiappavano e buttavano nel fiume anche lui. Dopo tre giorni toglievano la bambola dall'acqua, la spogliavano e la rompevano.
Analoghe cerimonie con bambole erano diffuse anche fra i georgiani. Questi conoscevano anche il rituale magico dell'"aratura della pioggia": le ragazze trascinavano un aratro avanti e indietro sul fondo del fiume. Per far cessare una pioggia troppo prolungata aravano nello stesso modo una fascia di terreno attorno al villaggio.
Nota di Lunaria: e anche qui, molto interessante; non so altro, ma probabilmente il paganesimo caucasico\georgiano prevedeva una rigida separazione dei sessi in ambito sacrale: certi riti solo per i maschi, altri riti solo per le femmine; sembra però di capire che non ci fossero "sacerdoti" o "sacerdotesse" che guidassero le pratiche, ma che fossero eseguite da tutti i membri della comunità.
Va', già che ci sono mettiamo anche i popoli del Volga xD
Nota di Lunaria: alcuni termini non sono scritti correttamente, questo perché non ho la "s", la "z" e la "c" slava sulla tastiera
LO SCIAMANESIMO PRESSO ITELMENI, CIUKCI, EVENKI, BURIATI
I popoli dell'Asia settentrionale erano situati a diversi livelli di sviluppo storico; le cerimonie e le credenze sciamaniche di alcuni di essi erano piuttosto primitive e arcaiche, mentre quelle di altri erano piuttosto complesse.
La forma di sciamanesimo più primitiva è stata osservata nel XVIII secolo fra gli Itelmeni della Camciatca, che allora conservavano ancora un ordinamento sociale molto arcaico, con caratteristiche del clan matriarcale. Secondo le testimonianze di S.P. Kraseninnikov e G.W. Steller, gli Itelmeni non avevano veri e propri sciamani di professione: l'attività sciamanica era svolta di solito dalle donne, soprattutto anziane. Questo stadio iniziale dello sciamanesimo è stato definito da V.G Bogoraz sciamanesimo "generale". Aspetti di questo stadio iniziale sono stati individuati anche fra i Ciukci. Gli sciamani di professione, che in questo caso esistevano, si distinguevano ben difficilmente dalla gente semplice; gli sciamani Ciukci non avevano particolari indumenti e il loro tamburello non era specificamente sciamanico: si trattava di quello che si può trovare in qualsiasi famiglia ciukcia (sul quale, in occasione delle cerimonie familiari, battono a turno tutti i membri della famiglia)
La fase o varietà successiva dello sciamanesimo è quella dello sciamanesimo gentilizio. In questo caso lo sciamano non è ancora un professionista ma un addetto al culto gentilizio; ogni famiglia gentilizia ha il suo. Un tale sciamanesimo gentilizio era diffuso in passato fra gli Iucaghiri, che conoscevano d'altra parte anche un culto evoluto degli sciamani morti, considerati protettori della famiglia gentilizia. Tracce di sciamanesimo gentilizio sono sopravvissute anche tra gli Evenki, i Buriati e altri popoli.
Uno studio più elevato di sviluppo è rappresentato da una varietà di sciamanesimo largamente diffusa, lo sciamanesimo professionale, in cui lo sciamano è un particolare specialista che vive grazie ai proventi della propria professione. Questa era la forma predominante nella maggiro parte dei popoli della Siberia.
Fra questi stessi popoli evoluti della Siberia si potevano osservare anche forme di sciamanesimo modificate o decadenti. Così fra i buriati lo sciamano si è trasformato piuttosto in sacerdote dei culti gentilizio e tribale. Di solito gli sciamani non evocavano più gli spiriti, ma si limitavano a recitare preghiere e offrire sacrifici.
Buriati, Iacuti, Altaici distinguevano uno sciamanesimo nero e uno bianco: il primo era simile al consueto culto sciamanico, mentre il secondo consisteva nel culto di particolari divinità benigne.
Il concetto stesso di divinità buone, ben disposte, distinte dagli spiriti maligni nasce relativamente tardi, come conseguenza di condizioni più complesse della vita sociale. Queste condizioni, e in particolare, l'incipiente differenziazione sociale, trovano espressione nel fatto che dalla legione degli spiriti cominciano a separarsi divinità superiori e nel mondo degli spiriti si instaura una complessa gerarchia.
Nell'esaminare le fasi dell'evoluzione dello sciamanesimo è indispensabile soffermarsi sul destino molto caratteristico dello sciamanesimo femminile. C'è motivo di ritenere che esso abbia svolto ua funzione predominante nella fase iniziale, durante il periodo della dominazione gentilizia matriarcale (almeno tra i popoli della Siberia) e che successivamente la sua importanza sia diminuita. Si è accennato all'esistenza nel recente passato di uno sciamanesimo "universale" puramente femminile tra gli Itelmeni. Fra i Ciukci erano considerati particolarmente potenti gli sciamani "travestiti", uomini vestiti da donne e viceversa. Invece tra i popoli più sviluppati, dove predominavano i rapporti gentilizio-patriarcali o feudo-patriarcali, alle sciamane si attribuiva di solito meno potenza che agli sciamani. Questa non era però una regola generale: fra gli Iacuti settentrionali le sciamane erano considerate più potenti degli sciamani. Nella medesima regione si incontravano anche altre sopravvivenze dell'antico predominio dello sciamanesimo femminile: nel circondario di Kolyma lo sciamano poteva evocare gli spiriti non indossando il suo costume professionale, ma abiti femminili. L'origine più antica dello sciamanesimo femminile è confermata anche dal fatto che per le popolazioni Iacute, Buriate e Altaico-Saiane i nomi dello sciamano sono diversi (oyuun, bö, kam) mentre per tutti e tre i gruppi la denominazione della sciamana è identica: udagan.
Quest'ultima è, evidentemente, parola più antica.
I Ciuvasci consideravano protettore familiare lo Jirikh (Jerekh) che era di solito una bambola raffigurante un essere femminile. Gli Jerekh erano fabbricati dalle donne, dalle ragazze che li custodivano in un canestro di corteccia di tiglio appeso in un angolo della dispensa o altrove. I Mari chiamavano "Kudovadys" il tutore della famiglia, rappresentato da un fascio di ramoscelli e conservato in una struttura rituale detta Kudo. A questi protettori ogni famiglia offriva preghiere e presentava sacrifici.
Esistevano anche preghiere gentilizie, affidate alle direzione di sacerdoti elettivi (vösjas') che erano di solito i più anziani della famiglia gentilizia.
PANTHEON DI DEI E SPIRITI
Le concezioni dei popoli del Volga in fatto di spiriti e divinità sono abbastanza nebulose, perché alle antiche credenze originarie si mescolarono quelle importate dall'islam e dal cristianesimo, e oggi è difficile distinguere l'origine delle singole figure.
Le concezioni animistiche mantennero il loro aspetto più arcaico, strano a dirsi, proprio fra i Mordvini, sebbene questi, più degli altri popoli del Volga, siano stati sottoposti a lungo all'influenza russa. Sono particolarmente significative le loro personificazioni femminili di vari elementi e forze della natura e in generale lo straordinario predominio delle figure femminili fra gli spiriti.
Per quanto riguarda i Mordvini-erza, queste erano: Ved'-ava (madre dell'acqua), Vir'ava (madre del bosco), Varma-ava (madre del vento), Norov-ava (madre della fertilità, Dea del raccolto), Jurt-ava (madre della casa, Dea del focolare). Questi personaggi si erano formati evidentemente durante il periodo gentilizio matriarcale.
Esistevano però al loro fianco anche personificazioni maschili, a quanto pare di origine più tarda: Mastyr-paz (dio della terra), Purghine-paz (dio del tuono). Probabilmente sotto l'influenza del cristianesimo si era sviluppata tra i Mordvini anche la concezione del dio celeste supremo che veniva indicato semplicemente con il nome comune di Paz (dagli Erza) o Skaj (dai Moksa).
I Mari avevano conservato anche la concezione di un gran numero di spiriti e divinità, alcuni dei quali erano considerati benigni e altri maligni. Fra quelli buoni figuravano le personificazioni di elementi e oggetti della cultura, in parte femminili (madre dell'acqua, madre del fuoco, madre del sole) in parte maschili (signore dell'acqua, signore dell'isbà ecc.) Nel numero di quelli maligni figuravano gli Dei terribili che venivano ammansiti per mezzo di sacrifici in occasione del Sjurem. Nella legione degli Dei del pantheon dei Mari si potevano comunque distinguere i quattro principali: Kugo-Jumo (il grande dio supremo), Kugo-Bjurse (creatore della vita), Socen-ava (Dea della fertilità), Ikse-Vjurse (creatore dei figli). A ciascuna di queste quattro divinità principali tutti i Mari, secondo le antiche usanze, dovevano offrire un sacrificio una volta in tutta la vita; questi sacrifici (di solito vacche o cavalli) erano eccezionalmente gravosi per le aziende povere, e non di rado i Mari poveri morivano senza aver pagato il proprio debito agli Dei. Il debito passava allora al figlio del morto, che doveva prima estinguere il debito paterno, e soltanto in seguito poteva offrire il sacrificio in nome proprio.
Per gli Udmurti la suprema divinità si chiamava Kylcin-Inmar e, come le altre divinità buone, abitava in cielo; le divinità cattive abitavano sulla terra. In questa concezione si riconosce un influenza cristiana.
è verosimile che l'adorazione dei Keremet' sia pervenuta ai popoli del Volga insieme con l'islam. Keremet' è una parola di origine araba che nelle credenze dei popoli del Volga ha assunto significati diversi: si tratta di spiriti di vario genere, prevalentemente maligni, che esigono sacrifici cruenti. Keremet è però anche il nome del luogo in cui questi sacrifici vengono offerti, di solito un boschetto sacro.
Questi Keremet, boschetti, talvolta circondati da una siepe o da uno steccato, in cui era severamente proibito abbattere gli alberi, sorgevano vicino ai villaggi Ciuvasci, Mari e Udmurti. Dagli Udmurti questi boschetti erano chiamati anche "Lud".
Accanto ai culti comunitari agricoli e gentilizi-familiari, i popoli del Volga avevano conservato anche tracce, sia pur debolissime, di un più antico culto sciamanico. I Mari oltre ai sacerdoti comunitari elettivi (Karty) avevano anche i "Muzany", indovini ai quali si attribuivano proprietà soprannaturali. Si sosteneva che i Muzany comunicassero con gli spiriti maligni e fossero in grado di mandare le malattie oppure di curarle. Erano molto temuti. La medesima funzione era svolta fra gli Udmurti dai Tunò, indovini-interpreti dei sogni ai quali ci si rivolgeva per consigli, tra l'altro anche in occasione dell'elezione dei sacerdoti o vösjas'. Il Tunò era in relazione con le divinità e gli spiriti tramite i quali poteva conoscere il futuro, cosa che egli faceva cadendo in estasi, vale a dire secondo un procedimento prettamente sciamanico. I medici-stregoni dei Ciuvasci si chiamavano Jomzja: anch'essi davano consigli, indicavano quando e come fosse necessario offrire sacrifici. Gli Jomzja si dedicavano all'inganno e all'estorsione; non erano ben visti, ma temuti. Dopo la morte di uno Jomzja la sua anima poteva, secondo la credenza popolare, trasformarsi in uno Keremet.
Come nel caso dei popoli del Caucaso, le credenze dei popoli del Volga si raggruppavano attorno a due cardini principali: il culto agrario legato all'organizzazione comunitaria di villaggio e il culto gentilizio familiare degli antenati. Rispetto a queste, le altre forme di credenze religiose locali erano relegate in secondo piano.
IL CULTO AGRARIO
Il ciclo agrario dei riti magico-religiosi coincideva come per gli altri popoli con i momenti più importanti dell'annata agraria. Durante l'inverno, quando il sole cominciava ad avvicinarsi all'equinozio, ci si dedicava alla divinazione, soprattutto all'andamento del futuro raccolto; a ciò erano legati anche diversi divertimenti e giochi dei giovani. Per i Mari e i Ciuvasci si trattava della festa chiamata "Zampe delle pecore" (dal metodo di divinazione basato sul colore della lana di una pecora acchiappata a caso, durante la notte, nell'ovile)
Particolarmente vistose erano le feste primaverili connesse con la prima aratura e con la seminagione: la festa dell'aratro di legno (a chiodo), dei Mari (aga-pajram), la preghiera del vomere (keret' azks, saban-azks) dei Mordvini, la festa dell'aratro a chiodo (akatuj) dei Ciuvasci, la festa del vomere (sabantuj) dei Tartari e dei Bashkiri. Questa festa veniva celebrata dai Ciuvasci dopo la semina e dagli altri popoli prima di essa. Per questa festa si preparavano di solito particolari alimenti rituali (torte, frittelle, uova sode...) si preparava la birra e si indossavano abiti puliti. La festa si svolgeva o nel boschetto sacro (ogni comunità ne aveva uno) o nei campi. Una piccola parte di cibi preparati veniva offerta in sacrificio vuoi alla Madre Terra (gli Udmurti mettevano un po' di uova in un solco), vuoi a un Dio o ad una Dea (i Mari gettavano bocconi di cibo in un falò, i Mordvini appendevano un paniere di cibo a un albero alto). Salta agli occhi, in questi riti, il ricorso alla magia imitativa: ad esempio le uova, come simbolo della fertilità che doveva essere trasmessa alla terra. Il rito veniva talvolta interpretato mitologicamente, per esempio tra i Ciuvasci, come matrimonio segreto della terra con il vomere.
Anche le feste estive coincidenti con la fine dei lavori della semina, avevano orientamento magico. Fra gli stessi Ciuvasci le preghiere chiamate uj ciük (sacrificio campestre) e sumar ciük (preghiera per la pioggia) avevano lo scopo di far cadere la pioggia: in occasione dello uj ciük si offrivano in sacrificio animali, birra, pane rituale, mentre per il sumar ciük si organizzava un bagno rituale o un'aspersione con acqua. In caso di siccità, fra i Mari tutti i membri della comunità andavano al fiume e una delle donne, in costume rituale, schizzava acqua sui partecipanti al rito con una scopa, rivolgendo contemporaneamente agli Dei una preghiera per ottenere la pioggia. Nelle regioni settentrionali della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma dei Mari offrivano in sacrificio alla Madre dell'Acqua un toro o un montone nero. I Mordvini avevano la festa estiva chiamata Baban' Kasa, i cui protagonisti principali erano le donne, che pregavano e offrivano un sacrificio alla Madre dell'Acqua.
Durante il periodo di fioritura delle graminacee la popolazione rispettava taluni divieti: non si poteva zappare la terra, costruire alcunché, spaccare legna e così via, per non disturbare la terra, che in quest'epoca è considerata incinta. I Ciuvasci facevano coincidere con questo periodo la principale festa estiva o "Sinse" detta anche talvolta "Festa della Terra" ("Ser prasnike"). La consuetudine della Sinse consisteva in primo luogo nel rispetto di un rigoroso tabù nei confronti di una serie di azioni per tutta la durata della fioritura della segale (da una a tre settimane) e in secondo luogo nell'offerta di preghiere e sacrifici al termine di questo periodo. Il tabù veniva imposto in nome di tutta la comunità ed era proclamato in maniera solenne: "Che da domani sia Sinse, lo proclamiamo. è proibito battere, strappare, falciare l'erba, seccare il grano, seminare, cavare pietre, macinare il grano nel mulino, indossare camicie di tessuto misto e colorato, cucire abiti degli stessi materiali, tutti dovranno indossare soltanto vestiti bianchi per la durata di dieci giorni."
Il divieto era vincolante per tutti i membri della comunità, sotto pena di punizioni per i trasgressori. Il senso di questi divieti e sacrifici era quello di proteggere il raccolto dalla grandine, dalla tempesta e altre calamità naturali.
In caso di siccità e di periodo di completa perdita del raccolto, gli stessi Ciuvasci praticavano il rito curioso e puramente magico del "furto della terra" ("Ser varlani"), organizzato da tutta la comunità e prendeva forma di una specie di cerimonia nuziale: un "fidanzato" scelto dalla comunità si poneva a capo di un corteo matrimoniale che si dirigeva a bordo di carri verso qualche località fertile; lì prendevano da un campo, in sette punti diversi, della terra che veniva considerata "promessa sposa" e la trasportavano insieme con la "dote" (la fertilità) nei campi del proprio villaggio; qui la terra rubata veniva distribuita nei vari apprezzamenti. Tutto il rito era accompagnato da scongiuri e invocazioni rivolte alla "promessa sposa" che veniva esortata ad amare "il fidanzato" e a portargli la sua ricchezza. Si tratta di una magia agraria del tipo imitativo-di contatto.
La più importante festa agricola estiva dei Mari era il Sjurem, a cui partecipavano insieme gli abitanti di alcuni villaggi, riuniti in particolari unioni permanenti di comunità chiamate Teve. Si trattava di originali raggruppamenti cultuali di comunità, forse residuo delle antiche federazioni gentilizie; di un teve potevano far parte fino ad una ventina di comunità di villaggio. In occasione del Sjurem gli abitanti dei villaggi riuniti in un teve si quotavano per procurarsi il bestiame (qualche decina di capi) destinato al sacrificio. Le preghiere venivano recitate in un boschetto sacro appartenente a tutto il teve. Alle preghiere e all'offerta dei sacrifici sovrintendevano sacerdoti elettivi (Karty); le preghiere venivano rivolte a particolare divinità del Sjurem, in cui onore il bestiame veniva poi sgozzato; la carne sacrificata veniva poi cotta e mangiata. La festa si concludeva con divertimenti generali e giochi.
Dopo la raccolta delle messi venivano organizzati riti con l'offerta di sacrifici di ringraziamento agli Dei; prima della loro conclusione non era lecito consumare pane fatto con il nuovo raccolto. Si tratta di una specie di "sacrificio delle primizie" vale a dire di una eliminazione rituale del tabù.