KURDISTAN: BREVE STORIA
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"In un remoto angolo del decadente e arretrato Impero turco, c'è un posticino che, grazie al governo di una donna kurda, si è trasformato da villaggio a città, e la sua collina, un tempo spoglia, ora splende di giardini; e queste sono innovazioni rispetto alle condizioni precedenti di quei luoghi"
Così scriveva, nei primi del secolo XX, E.B. Soane, un agente britannico che visse per qualche tempo alla corte dei principi di Halabja travestito da mercante persiano. La donna è Adela Khanum (Khanum o Khan è un attributo che si aggiunge al nome femminile, sia per semplice rispetto, sia perché compete a chi è di nobile origine ed equivale a "dama" e all'inglese Lady), Adela apparteneva alla dinastia dei principi di Ardalan ed era andata sposa al regnante del piccolo stato dell'Hawraman annidato tra i monti Zagros, al confine tra l'attuale Iraq e Iran. Aveva governato prima per delega del marito e poi in quanto sua vedova. Lady Adela, che indossa ricchissime vesti di seta e una profusione di ornamenti di grande valore (Soane conta, alle sue mani, 17 anelli) accoglie l'ospite "persiano" seduta su un materasso di seta, fumando una sigaretta; vicino a lei una cameriera agita un ventaglio, un'altra tiene pronte le sigarette, una terza attende di versare sorbetto e acque di rose. "Quando entrai, lady Adela mi sorrise e mi fece cenno di sedere vicino a lei sul materasso, e mi salutò con il saluto kurdo vecchio stile."
La dama dunque riceve l'ospite straniero di sesso maschile di propria iniziativa, con regale dignità e benevolenza. Nulla di strano, se non fossimo nel mondo islamico del primo '900. In quegli anni, le donne erano escluse da ogni relazione sociale e indossavano il velo.
Lady Adela non soltanto, secondo l'usanza kurda, non è velata, ma ha anche il volto accuratamente truccato, come voleva la moda occidentale negli anni '20; il viaggiatore britannico preferirebbe un maquillage più sfumato.
"Al primo sguardo si notava che era di pura origine kurda", continua Soane, "lo si capiva dallo stretto viso ovale, con la bocca piuttosto larga, occhi neri scintillanti, naso sottile leggermente aquilino; e dalla sua snellezza, in perfetta armonia con la classica struttura kurda, che non è mai grossa. Sfortunatamente, ella ha l'abitudine di incipriarsi e dipingersi, così che gli orli dipinti di nero delle palpebre spiccano in un contrasto innaturale con la fronte bianca di cipria e con le guance rese rosse dal trucco. Questa imperfezione tuttavia non celava la precisione dei suoi lineamenti..."
Un altro ritratto di Adela è disegnato da Vladimir Minorsky [...] anche lui ricorda che Adela aveva acquistato grande prestigio per l'equilibrio e la saggezza che dimostrava nell'amministrare la giustizia. I racconti di Minorsky e di Soane contengono tre elementi che caratterizzano la vita del Kurdistan ancora durante i primi vent'anni del secolo XX: la prosperità dei principati kurdi, spesso oasi di buon governo nell'ambito del corrotto, decadente Impero Ottomano; l'importanza del ruolo della donna nella società kurda; la tradizionale differenza di comportamento e di abbigliamento tra le donne kurde e quelle degli altri paesi islamici e delle armene cristiane.
Per vedere le Donne in Kurdistan
http://kurdistanwomen.blogspot.it/2008_04_01_archive.html
ALTRO APPROFONDIMENTO tratto da
Qualunque discorso sul Kurdistan non può trascurare la premessa che non si tratta di uno stato nazionale, regolato da leggi e usi comuni a tutta la popolazione. La regione del Kurdistan è infatti divisa tra diverse nazioni - Iran, Iraq, Siria, Turchia e parte dell'ex Unione Sovietica - all'interno delle quali i Curdi raramente vedono tutelati i loro diritti e devono lottare per conservare una propria identità nazionale (Nota di Lunaria: come vedremo nel discorso della poesia, a questo popolo è stato persino vietato di parlare e scrivere nella loro lingua madre!)
Nell'organizzazione sociale curda la famiglia è considerata un'unità inscindibile, all'interno della quale vengono prese tutte le decisioni più importanti e si svolgono le fasi fondamentali della vita dell'individuo. Data la difficoltà che, soprattutto in alcune zone, i Curdi incontrano per mandare a scuola i propri figli, il ruolo educativo svolto dalla famiglia si rivela essenziale, anche se spesso non sufficiente per contribuire ad abbassare il tasso di analfabetismo nel Kurdistan. I rapporti famigliari sono strutturati secondo una rigida gerarchia. Il padre è colui che riveste la massima autorità e si occupa del mantenimento della famiglia, mentre alla madre è riservato il compito di organizzare la vita all'interno della casa e di educare i figli. Tradizionalmente il maschio primogenito acquista con l'età una certa autorità nei confronti dei fratelli e delle sorelle e, pur non avendo il diritto di imporre agli altri il proprio volere, ottiene da tutti il massimo rispetto.
Nota di Lunaria: qui è evidente l'influenza islamica. Vediamo ora gli elementi che "stonano" con l'islam e che si sono mantenuti.
La società curda ha per secoli affidato alle donne un ruolo pubblico e una libertà ben maggiori di quelli tipici della società islamica, come notò tre secoli fa il viaggiatore italiano Pietro della Valle e come ha ricordato Joyce Lussu (*)
Nella religione zoroastriana e nella società curda pre-islamica infatti le donne ricoprivano un ruolo paritario rispetto all'uomo: potevano essere a capo di un clan e addirittura regnare su un vasto impero: sul trono sasanide, ad esempio, si erano avvicendate diverse regine.
Nota di Lunaria: considerata la disinformazione che si fa sul "Medio Oriente", meglio mettere una prova che "non sono i miei deliri"... :P
E infatti, tra i tanti motivi che hanno portato al genocidio dei Curdi per mano turca e irachena, ci sono anche quelli legati ai vestiti e alla musica! Infatti i Curdi suonano, ballano e cantano e questo è malvisto dalla morale islamica!
Sono state molte le donne curde che nel corso dei secoli si sono distinte per il loro coraggio. Nel XVII visse la principessa Khanzad Soran, che per anni si oppose alla supremazia dell'Impero Ottomano: fu medico e si impegnò a diffondere tra le donne del popolo i sistemi della medicina tradizionale, le cui origini risalivano all'epoca dei Medi.
In tempi più recenti, nel 1923, Kadem Kher sacrificò la propria vita alla causa curda, nella rivolta da lei guidata contro lo shah di Persia. All'inizio degli anni '60 nella guerriglia che oppose i Curdi guidati da Barzani all'esercito iracheno, Marguerite Georges divenne comandante di un'unità militare ed eroina dei Peshmerga. In Turchia Leyla Zana ha lottato per l'affermazione dei diritti culturali dei Curdi: eletta al Parlamento osò pronunciare in assemblea una frase nella propria lingua. Candidata al premio Nobel per la pace, nel 1994 fu condannata dal governo turco a scontare 11 anni di carcere.
(*) Il primo dizionario di lingua Curda è stato opera di un italiano! Nel 1787 Maurizio Garzoni realizza la "Grammatica della lingua Kurda".
Pietro della Valle invece fu uno dei primi viaggiatori. Nel XVII secolo, precisamente nel 1617, descrisse con meraviglia la condizione delle donne curde che vide "andare incontro ai viaggiatori liberamente, parlare con gli uomini, siano del paese o siano uomini stranieri".
Joyce Lussu, che contribuì a far conoscere anche in Occidente la poesia curda, ci ha lasciato la più recente testimonianza sulle donne del Kurdistan. Nel suo libro "Portrait", uscito nel 1988, la scrittrice descrive le sue esperienze nei villaggi curdi: "Le donne curde mi parvero tutte belle, coi capelli al vento e i volti abbronzati e sorridenti, libere nei loro abiti chiari e fioriti, con le loro tuniche dalle grandi rose rosse sui pantaloni sbuffanti stretti alle caviglia da un tintinnante cerchietto di anellini e dischetti d'argento... Andai a Damasco a trovare Hero, la moglie di Jalal Talabani (il leader dell'Unione Patriottica del Kurdistan)... mi aveva presentato sua nonna, una vecchia alta e bella, coperta anche lei di rose e di campanelli. << Mio padre >>, mi spiegò la vecchia, << mi diceva fin da quando ero piccola: vestiti sempre di fiori e colori, fino all'ultimo giorno della tua vita: lascia il nero alle tristi schiave musulmane. >>
Il "Lamento di Khajeh" (secolo XIX) è uno dei più celebri poemi popolari della Letteratura Kurda.
Siyaband, bandito gentiluomo, dopo molte avventure rapisce la bellissima Khajeh, figlia del principe, che altrimenti non potrebbe sposare. I due giovani vivono felicemi per tre giorni sul monte Sipan, finchè Siyaband, andando a caccia, viene spinto da un cervo giù da un precipizio. Non teme la morte, ma piange la sorte della giovane sposa. E Khajeh si getta nel baratro, per morire abbracciata a Siyaband. è una delle leggende più popolari del folklore Kurdo.
"Lamento di Khajeh"
Siyaband, Siyaband! Non parlare.
Chi avrebbe predetto una fine così triste?
E non dovrei piangere, non dovrei versare lacrime
calde, di sangue?
Dormi, amor mio, dormi.
I tuoi lamenti tristi e profondi
sono lamenti di morte.
Come resistere, come non piangere
se i tuoi sospiri per me
arrivano dritti al mio cuore?
Cadono lacrime sul mio dolore.
Dormi, amor mio, dormi.
Perchè piangi, Siyaband, perchè piangi ancora?
Mi hai lasciato, sei corso lungo l'abisso.
Sapevi che senza di te non ho protezione, sostegno.
Come potrebbe la mia ferita guarire?
Dormi, amor mio, dormi.
Oh Sipan, oh rocce di Sipan! Non fermatemi!
Apritemi la via, portatemi da Siyaband!
Oh Sipan, apri un sentiero, un passaggio,
fa' che io passi, che vada
sarò di Siyaband la tomba, non solo la sposa!
***
Una poesia dolcemente erotica:
"Sono la rosa selvatica"
(secolo XIX; qualche verso)
Sono la rosa selvatica non ancora dischiusa
coperta di rugiada, tutta rorida.
Se tu non mi tocchi
io non fiorirò
se tu non mi tocchi
non esalerò il mio profumo.
Sono la rosa selvatica, la rosa di montagna
lontana da te...
L'amore sboccia con le carezze
tu, con amore, rendi morbida la terra intorno a me!
***
Una straziante ballata d'amore, su una donna crudele e il suo innamorato disposto al sacrificio:
"Rose di sangue" (secolo XIX)
"Guarda, c'è festa e si danza laggiù,
ascolta il dahol, il flauto e lo zorna; (*)
abiti variopinti, brusio di parole
non manca che il frusciar della tua seta.
Dammi la mano, ti prego, affrettiamoci!
Corriamo alla danza, lieti del nostro amore."
"Senza rose nei capelli, una rossa, una dorata
alla festa non vengo, non vengo a danzare."
"Per la tua bellezza, per la tua bellezza,
per gli sguardi furtivi vicino alla sorgente:
l'autunno ha già spogliato alberi e giardini.
Dove trovo le rose? Ormai han le labbra chiuse."
"Senza rose nei capelli, una rossa, una dorata
alla festa non vengo, non vengo a danzare.
Se il tuo amore fosse vero, se mi avessi dato il cuore,
coglieresti le rose nel giardino del pascià."
"Il giardino del pascià è di là del fiume,
tutto circondato da sgherri assassini.
Se ci vado corro mille e mille rischi,
se non vado la mia diletta si offenderà."
"Senza sosta ho cercato nel giardino del pascià,
ecco le rose gialle che ho colto per te;
di rose rosse, ahimè, non ne ho trovate.
Verrai ora alla festa, a danzare con me?"
"Mai, se non ho rose rosse per ornarmi le chiome!"
"Non vuoi questa ferita, rossa come le rose?"
"Le armi del nemico, ahimè, ti hanno insanguinato!
Vieni, appoggia il tuo capo qui sul mio seno,
lascia ch'io pianga il tuo cuore amato, perso per una rosa!"
(*) Il Dahol è una specie di tamburo, lo Zorna una sorta di clarinetto.
***
"La canna e il vento" di Sherko Bekas (qualche verso)
"Da quel giorno
le ferite degli amanti
parlano con le dita del vento
e cantano,
ovunque nel mondo,
da quel giorno."
Sherko Bekas fu colpito da un mandato di cattura per la sua attività poetica, si unisce ai partigiani combattenti Pesh Merga e diventa la voce della resistenza Kurda, alternando poesia e lotta armata. Nel 1987 si rifugia in Svezia, pubblicando poesie, romanzi, opere teatrali e ricevendo il premio del Pen Club svedese. Tornato nel Kurdistan liberato, diventa ministro per la Cultura della Regione autonoma del Kurdistan iracheno dalla sua fondazione (1992)
***
"La nostra poesia è scritta con le lacrime" di Mehmet Emin Bozarslan (qualche verso)
La fantasia tesse nuovi racconti,
ricama con fili di lacrime,
con colori di sangue,
del sangue dei ragazzi e delle ragazze
che scorre eroico sui nostri monti,
su queste montagne kurde.
***
"Sirio" di Goran, poeta nato nel 1904 e morto, dopo persecuzioni e carcere, nel 1981. Nelle sue poesie utilizzò le forme antiche della metrica Kurda, rifiutando la metrica della poesia medio-orientale.
Il tramonto! E la memoria disperde
il respiro del vento
invita la mia anima scura e greve
a una cerimonia di dolore.
Il mondo pacificato dal silenzio
è un oceano senza confini
in esso il mio pianto
si alza come calda melodia.
L'oscurità ha chiuso il sipario
ha velato il volto della terra
immagini di desiderio indistinguibili
attraverso lacrime brucianti.
Il mio cuore è spinto nel vuoto oscuro della disperazione
oh se tu mi salvassi, stella - splendente Sirio!
Sirio che sorridi con le labbra rosse della prima luce
tu puoi arrestare la malinconia che scorre dal mio cuore
Un tuo fluido sguardo tocca il mio spirito oscuro
fa che la notte che viene splenda di pietà sulla mia testa china.
Ascolta Stella dei Re; ascolta, bianca splendente Sirio!
Sorgi, asciuga con i tuoi capelli le lacrime degli occhi della notte!
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Ora qualche notizia storica-letteraria. Info tratte da
"La poesia (...) è diventata un'arma molto efficace e forte nella lotta dei popoli per la libertà, l'autodeterminazione, la democrazia, la pace. Alcuni poeti hanno combattuto sul campo di battaglia e hanno dato la vita, come martiri. L'oppressione, la tirannia degli occupanti del Kurdistan, torturatori dei Kurdi, hanno dunque provocato una rivoluzione anche nella poesia."
"Per la sua posizione strategica e per le sue risorse (...) il Kurdistan è stato sottoposto a diverse dominazioni. Ma, se nelle città e presso le corti principesche i letterati - molti, non tutti - adottarono per le loro opere, nei secoli scorsi, l'arabo, il persiano, il turco, nei villaggi si sono tramandate una lingua e una poesia multiforme (...) la lingua Kurda è la lingua dell'Avesta. Alcune parole Kurde di oggi sono le stesse usate da Zardasht (Zarathustra) nelle Ghata, gli inni sacri scritti di cui rimangono pochi frammenti."
"La poesia popolare Kurda si canta, e anche le liriche contemporanee vengono dette con voce, cadenze e tono che sono musicali (...) Il divieto islamico di far musica al di fuori del contesto religioso non ebbe alcun ascolto da parte Kurda. Fanno parte del folklore poemi epici, cavallereschi, d'amore in molte versioni, che cantano i bardi: fiabe, leggende, racconti, ballate e canti dedicati ai villaggi, alle stagioni, alla natura, all'amore."
"Originariamente, una delle forme di poesia popolare tra le più note, il Laùk, tipico di molte aree del Kurdistan settentrionale, era composto e cantato esclusivamente dalle donne, ma non perché fossero musiciste di mestiere. Le donne, soprattutto in occasione di fatti d'arme, cantavano le gesta del marito, del figlio, del fratello o ne celebravano il ricordo di fronte alla famiglia, al villaggio, all'assemblea della tribù. In alcuni aspetti della cultura e della lingua Kurda affiorano tracce di matriarcato, resti di una civiltà remota eppure tenace, tanto da aver resistito all'offensiva antifemminile del Corano: la donna Kurda ha mantenuto un ruolo importante, anche a capo di clan e principati in pace e in guerra, nei movimenti indipendentisti e nella resistenza. In Kurdistan, viaggiatori ed etnologi dei secoli scorsi notavano innanzitutto che le donne anzichè nascondersi sotto il velo informe in uso negli altri paesi islamici, indossavano abiti dai colori splendenti che mettono in risalto la femminilità, e che le danze popolari di donne e uomini insieme, parte integrante della vita sociale, erano motivo di scandalo per i popoli vicini."
Il poeta più importante della Letteratura Kurda è Ahmadi Khani (1651-1707), il "Dante Kurdo", autore del poema epico "Mam e Zin".
In epoca moderna i Kurdi sono stati massacrati:
"Fino a due anni fa in Turchia era vietato l'uso della lingua Kurda anche in privato. I familiari dei Kurdi, incarcerati e torturati anche se bambini o bambine con accuse di "separatismo", dovevano limitarsi a guardare in silenzio, piangendo, i loro parenti nelle ore di visita, non conoscendo altra lingua che il Kurdo per comunicare con loro."
Così Hejar ha espresso in versi la disperazione del suo popolo nella sua poesia "Il nostro destino":
"Ai nostri oppressori, tutta la ricchezza del petrolio.
A noi, neppure quel poco che serve
per alimentare la lampada nelle nostre notti oscure.
Gli stranieri del nostro paese
si sono ingozzati, saziati del nostro patire.
E noi, poveri, infelici, miserabili
trasciniamo brevi esistenze di terrore.
Vietata a noi la lingua materna.
Vietato a noi respirare.
Massacrati i nostri giovani, a migliaia e migliaia.
Desiderare la libertà, chiedere la libertà
è diventato un crimine per noi,
i Kurdi."
Il poeta Khabat, parlando dei bombardamenti iracheni con armi chimiche nel 1988 sulla città Kurda di Halabja, poi distrutta con la dinamite:
"Era pomeriggio.
Nubi grevi di morte
scendono sulla città
18 minuti
terremoto
paura, silenzio.
Corpi rossi di sangue
ritagliano aiuole di fiori."
(da "La canzone della città uccisa")
"L'Est" è l'espressione usata in Turchia per indicare il Kurdistan, parola che fino a due anni fa era vietato pronunciare.
Il poeta Cahit Külebi così ricorda, nei suoi versi:
"Nero sangue inonda le notti
trascina morte, trascina disperazione.
[...] Un sorso di agonia dalla mano di chi amate
è tutto quello che aveste da bere, e che berrete.
Questo è l'Est. Negli occhi,
sguardo di agnelli al macello."
e il poeta Latif :
"Il cibo diventa sangue nel corpo"
e Ferhad Shakely :
"Lentamente vagano le ore
nel buio di strade, vicoli, mercati
trascinando dolore, tristezza
ore impiccate
agli alberi e ai muri
gente trafitta
dalle lance della sventura.
Il tempo, qui,
è una macchina
e la manovra la polizia."
("Kamishli", città del Kurdistan, in Siria)
"A sera, quando la luce
lascia le fradice tristi finestre della tua stanza
ti siedi, specchiandoti nel vetro scuro, annebbiato
contando una a una le gocce di pioggia
che battono sulle fradice tristi finestre della tua stanza.
Guardi lontano.
Il cielo è come un manto scuro indistinto;
su di esso, neppure un fiore
(...) Acuisci lo sguardo e ti accorgi
che la terra si è fatta velo rosso sangue.
(...) Tu sai che in questa notte
tutti i tuoi sogni saranno impiccati
alle forche di questa città.
(...) Scorgo un barlume di luce
e lo chiamo Kurdistan.
O Kurdistan!
Culla di lacrime, di gloria e d'amore!
Terra sanguinante di sangue,
suolo ferito dalle ferite.
Paese addolorato dal dolore.
Siedo alla finestra della notte
e osservo gli infiniti percorsi dell'oscurità.
(...) Il mio cuore vorrebbe
come una nuvola gonfia
sciogliersi in pioggia sulle vette rosate
confondendosi nel crepuscolo."
("Kurdistan, la terra sanguinante")
Chi volesse sentire una band Metal Kurda: Ferec "Helikopter"
Mi commuove profondamente questa canzone.
VITTIMA DEI BOMBARDAMENTI CHIMICI CONTRO I CURDI: LA STORIA DI JOANNA
Trama:
Il sogno di Joanna al-Askari, nata a Baghdad da padre iracheno e madre curda, è abbandonare la capitale e trasferirsi presso la nonna materna, tra le valli della regione del Kurdistan dove ogni estate trascorre le vacanze e il suo cuore viene conquistato dai racconti sui coraggiosi peshmerga, i combattenti curdi per la libertà. All'età di 15 anni conosce Sarbast, militante del PUK, e si unisce a lui nella lotta per i diritti del popolo curdo. Sulle montagne del nord, i due intraprendono un viaggio disperato verso la libertà. Sopravvissuta ai bombardamenti chimici e alla terribile polizia segreta, la sua vita regala al mondo una preziosa testimonianza di coraggio e impegno per la pace e la libertà.
Scrive l'Autrice: "Durante il mio peregrinare ho viaggiato in vari luoghi, sparsi per il mondo, e ho avuto il privilegio di incontrare molte donne affascinanti, alcune delle quali sono diventate le protagoniste di vicende che ho voluto condividere con i miei lettori.
Joanna al-Askari crebbe a Baghdad, ma il suo cuore apparteneva al Kurdistan. Si lasciò inondare dalla magia e dal fascino di quella terra fin da piccola, assorbendo dalla madre una devozione profonda verso le tradizioni curde. Mentre giocava con le amiche, Joanna non aveva idea del terribile destino che attendeva lei e molti altri curdi. La brutalità che gonfiava sempre più il cuore di Saddam Hussein, ancora non si era manifestata. Nessuno si stupì del fatto che Joanna si innamorasse di un bel combattente per la libertà. Quando l'uomo che amava lasciò la città per vivere sulle montagne del Kurdistan, Joanna lo raggiunse. Sopravvisse per miracolo agli attacchi chimici ordinati da Saddam contro i curdi. Costretta a fuggire e a cercare la salvezza nel vicino Iran, Joanna riuscì a generare una nuova vita, proprio mentre le speranze di libertà dei curdi si rinnovavano con l'uscita di scena di Saddam Hussein."
Due pagine toccanti:
Sobbalzai al ruggito improvviso e inaspettato dei motori. Anche se eravamo costantemente sotto attacco, quel giorno c'era qualcosa di strano: i nostri nemici non avevano rispettato il solito orario. Generalmente potevamo regolare gli orologi in base ai bombardamenti pomeridiani e serali.
(...) Proprio allora notai qualcosa di strano. Queste bombe erano decisamente diverse; scendevano silenziosamente, emettendo nuvolette di un bianco grigiastro. L'angoscia mi serrò la bocca mentre, continuando a guardare quello strano spettacolo, cercavo di impedire alla mia immaginazione di dipingere lo scenario peggiore. Forse quegli ordigni silenziosi erano innocui?
Poi avvenne un'altra cosa insolita: cominciarono a cadere uccelli dal cielo! Istintivamente urlai: "piovono uccelli!"
Ero sbalordita. Mi continuavo a guardare attorno. L'orizzonte del cielo pomeridiano era punteggiato di bagliori, macchioline dai colori sgargianti che precipitavano al suolo. Questi puntini variopinti erano altri uccelli. I poveretti battevano le ali disperatamente e cadevano pesanti come sassi, giù, giù, giù, fino a toccare terra.
Sussultai, sentendo terribili tonfi tutto intorno a me.
Avevo sempre amato gli uccelli. Non riuscivo a sopportare di assistere a un tale pietoso scempio. Se gli uccelli cadevano dal cielo, significava che dovevo muovermi, e in fretta, per correre velocemente al rifugio. Ma ero bloccata, come se fossi di ghiaccio.
(...) un uccello mi cadde davanti ai piedi, e il colpo sordo mi tolse il respiro. La povera creatura stava soffrendo in modo atroce. Il suo minuscolo becco nero sforbiciò con forza, poi con più lentezza, cercando invano di far entrare più aria possibile.
Questo, allora, era il bombardamento con i gas velenosi promesso da Ali al-Majid?
Spaventata dimenticai ogni prudenza, balzai in piedi e mi misi a correre lungo il sentiero verso casa, temendo di morire.
(...) Sentivo che stavo per esplodere, e fui costretta a inspirare quei fetidi gas. Anche i miei occhi cominciavano ad accusare il loro effetto. Era come se fossero in fiamme. Il dolore era così intenso che mi sembrava di avere degli aghi roventi ficcati nei miei bulbi oculari. Non riuscivo più a sopportarlo. Iniziai a strofinarmi gli occhi con le mani, senza preoccuparmi del fatto che ci era stato raccomandato di non toccare mai quella parte così delicata durante un attacco chimico.
"Ho il gas negli occhi", strillai, cominciando a soffocare per l'aria avvelenata che si era ormai introdotta nel rifugio.
Ali Hassan al-Majid, collaboratore di Saddam Hussein, ha ucciso 5 mila curdi bombardandoli con i gas mortali |
Riporto anche l'agghiacciante vicenda della "Collina dei Martiri"
"Come tutti i curdi, avevo sentito la storia di quei poveri martiri. La collina era diventata un santuario, un luogo dove molti si recavano in visita e dove i parenti dei morti andavano ogni venerdì per piangere e pregare per i propri giovani che erano stati ammazzati lassù. I curdi erano stati bersaglio di così tanti massacri perpetrati dai potenti di Baghdad che era praticamente impossibile tenerne il conto; tuttavia, la carneficina della collina dei martiri, passata alla storia, era quella che tormentava maggiormente i ricordi recenti. Un giorno, l'esercito di Baghdad aveva fatto retate fra gli studenti e i giovani dai 14 ai 25 anni. I militari avevano obbligato i giovani curdi a marciare attraverso le strade della città e li avevano convogliati nel punto più alto, una collina visibile da molti abitanti di Sulaimaniya. Lì avevano dato ai prigionieri delle pale e li avevano obbligati a scavare. Il terrore si era impossessato degli spettatori così come dei ragazzi portati lassù, perché avevano immaginato che i soldati li stessero obbligando a scavarsi le tombe, dove li avrebbero gettati dopo averli fucilati. Una volta che le fosse erano state pronte, i soldati avevano ordinato alla maggior parte dei giovani di entrarci e agli altri di gettare la terra sui loro compagni e parenti fino a lasciarne fuori solo la testa. Poi avevano costretto i ragazzi rimasti a discendere nelle altre fosse e avevano fatto lo stesso con loro. L'immagine che ne era risultata era a dir poco inquietante: null'altro era visibile sul terreno se non file e file di teste umane che si contorcevano. (...) Poi, un carro armato era stato portato fin sulla collina. Dinanzi a una quantità di persone inorridite era stato ordinato al comandante del tank di passare sulle teste dei giovani e di polverizzarle. E così era accaduto. (...) Le autorità irachene non avevano nemmeno provato a nascondere questa carneficina, dichiarandosene addirittura orgogliose e avevano invitato i famigliari delle vittime a riflettere su quello che accadeva a chi persisteva nel combattere contro il governo centrale. Dopo la strage sulla collina dei martiri, i peshmerga erano usciti dai loro nascondigli e avevano compiuto numerosi, audaci, tentativi, tutti falliti, di assassinare l'uomo che aveva ordinato la morte dei giovani: Abdul Salam Arif, presidente dell'Iraq."
In seguito, l'esercito iracheno aveva massacrato i civili curdi, abbattendo anche il bestiame, avvelenando i pozzi e dando fuoco alle case.
"Quando si trattava di curdi, la politica del governo arabo iracheno era sempre stata coerente: tutti i curdi sono un pericolo, ma un curdo con una penna in mano lo è ancora di più"
APPROFONDIMENTO SUL CAPODANNO CURDO:
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L'equinozio di Primavera in Turchia coincide con il Nowruz, il capodanno curdo, chiamato anche Nawroz, Norouz, Nauroz.
è una giornata da passare all'aria aperta, danzando e cantando.
è una giornata da passare all'aria aperta, danzando e cantando.
Le persone tengono un uovo in mano: ciascuno lo deve rompere sbattendolo contro quello altrui, come augurio di amicizia, di serenità familiare e di pace. (*)
La festa di Nowruz è stata riconosciuta dall'Unesco "Patrimonio Culturale dell'Umanità", e rievoca gli ancestrali significati persiani di celebrazione della nuova vita, della Luce che sconfigge l'Oscurità: durante la celebrazione, si accendono piccoli falò e la gente ci salta sopra, per simboleggiare la vittoria sulle Tenebre; le ceneri vengono poi sparse per terra, in un matrimonio tra fuoco e terra; in alcune località il capodanno curdo si festeggia nei giorni precedenti o successivi al 21 marzo, a seconda delle diverse consuetudini e calendari. Questa ricorrenza si festeggia anche in altre nazioni del Medio Oriente e dell'Asia Centrale.
La festa di Nowruz è stata riconosciuta dall'Unesco "Patrimonio Culturale dell'Umanità", e rievoca gli ancestrali significati persiani di celebrazione della nuova vita, della Luce che sconfigge l'Oscurità: durante la celebrazione, si accendono piccoli falò e la gente ci salta sopra, per simboleggiare la vittoria sulle Tenebre; le ceneri vengono poi sparse per terra, in un matrimonio tra fuoco e terra; in alcune località il capodanno curdo si festeggia nei giorni precedenti o successivi al 21 marzo, a seconda delle diverse consuetudini e calendari. Questa ricorrenza si festeggia anche in altre nazioni del Medio Oriente e dell'Asia Centrale.
Nota di Lunaria: ho trovato anche una foto relativa ad una combattente curda, che accende un fuoco su una vetta:
Comunque, è interessante far notare che anche nell'Induismo si accendono dei fuochi:
Del resto, parlando di Armenia, Georgia, Turkmenistan, Tagikistan, avevo già parlato del Culto del Fuoco. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/02/uzbekistan-tagikistan-e-turkmenistan.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/georgia-origini-pagane-letteratura.html
Una delle loro Dee più antiche era proprio connessa ai fuochi e ai geyser:
(*) L'Uovo ha un significato universale, dal punto di vista simbolico, ed è spesso associato alle Dee. Per esempio, Ilmatar, la Dea finlandese dell'aria, associata anche alle acque. Essendo una Dea "delle origini" è associata a due elementi che da sempre vengono ritenuti all'origine della Creazione: il vento\aria e le acque primordiali.
Nel mito, Ilmatar "nasce da sola", autogeneratasi nell'aria; è per questo motivo che è considerata "Dea vergine": non è stata "plasmata" da un Dio e non è la "moglie" di nessun Dio maschile. è quindi totalmente autonoma e indipendente. Ricordiamo che ai primordi dell'Umanità, la Dea non veniva "accoppiata" ad un Dio maschile; le statuette di divinità maschili e di "Dee spose di un Dio" sono successive.
In seguito, la Dea discende verso il basso, lasciandosi galleggiare nelle acque e nella spuma marina; il vento e il mare la fecondano e Ilmatar concepisce un figlio, dopo settecento anni di gravidanza.
Come molte altre Dee, anche Ilmatar è associata all'uccello: la folaga, che fa il suo nido e depone sei uova d'oro e di ferro sul ginocchio della Dea adagiata sulle acque. La Dea, scuotendo il ginocchio, fa cadere le uova nell'acqua, rompendole: i frammenti dei gusci rotti si trasformano in Terra, Cielo, Sole e Luna; è così che nacque l'universo, secondo la mitologica finlandese.
Anche Ishtar e Eostre erano collegate alle uova, e anche al coniglio:
Galleria di immagini sugli splendidi paesaggi del Kurdistan: