Culto dell'Acqua
è la caratteristica dell'acqua zampillante e vividamente ribollente, ora allietante, ora distruggitrice che assai presto induce a venerare in casa forme personali e divine. Il mormorio della fonte sembrava un bisbiglio misterioso che risuona dal profondo della terra. Una voce: ammonitrice o annunciatrice? Innanzitutto si è fatta strada l'esperienza che, senza l'acqua, non è possibile alcuna vita umana. L'uomo può stabilirsi soltanto là dove la fonte o il ruscello gli dà acqua abbondante e inesauribile. Perché non avrebbe dovuto venerare amorosamente questo elemento? I Celti venerarono le sorgenti in forma particolare, specie se erano ritenute curative. Perciò troviamo, prevalentemente nella vicinanza di tali sorgenti d'acqua minerale, i monumenti religiosi e le sculture rupestri. Siccome la sorgente veniva considerata come qualcosa di sacro, altrettanto si faceva con il ruscello od il fiume che ne scaturivano. Perciò numerosi fiumi portano dei nomi come Diva, Deva, Devona. Nella Gallia belgica troviamo nomi quali Deve, Devere, Deinze/Devonisa, Diest/Divusate, Dieppe/Div-is-apa. Anche in Spagna c'è un Deba; il nome di fiume Dee è largamente diffuso nel Galles, nella Scozia e in Irlanda. Sappiamo già dagli scrittori classici che questo culto dei fiumi era antico. Aristotele infatti racconta che era usanza presso i Galli portare al Reno i propri figli appena nati affinché venissero purificati al loro ingresso nella vita. Il re degli insubri, nell'Italia settentrionale, Viridomaro, che visse nel III secolo, deve aver persino affermato di provenire dal Dio Reno. Qualcosa di analogo possiamo accertare la sacralità della Boyne che si estendeva anche nella sua sorgente, che si chiamava sid Nechtain. In questo termine si cela il teonimo Nettuno assunto dai Romani. (stralcio tratto da Jean de Vries)
Per approfondimenti, vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/il-culto-dei-fiumi.html
Culto degli Alberi
Significativa è la venerazione degli alberi. Quando in autunno perdono le foglie e poi, in primavera, nuovamente se ne ricoprono, forniscono la prova dell'indistruttibile energia vitale della natura. E più sorprendenti ancora sono certamente quegli alberi che, come il tasso, restano verdi, sia in estate che in inverno; anche nella stagione invernale forniscono la prova dell'invincibile crescita della natura. Ciò ingenerò in innumerevoli popoli l'immagine che l'esistenza del mondo dipendesse soprattutto da un potente albero cosmico.
Presso i Celti abbondano gli esempi del culto agli alberi. Alcuni nomi di tribù depongono a favore di un tale culto: gli Eburones e gli Eburovices conservano nel nome il termine corrispondente a tasso, ibor, mentre i Lemovices hanno derivato il loro nome dal nome dell'albero lem, olmo. Anche i nomi personali sono in grado di indicare un qualche stretto rapporto con l'albero, per esempio, in Irlanda, nomi quali Mac Dara, "Figlio della quercia", Mc Cairthin, "Figlio del sorbo selvatico", Mac Jboir, "Figlio del tasso". Il nome femminile Derdraigin significa probabilmente "Figlia del susino di macchia". Il faggio fu venerato nei Pirenei certo per i suoi frutti indispensabili all'allevamento dei maiali. Anche il tasso godette di un culto e precisamente quale albero sempreverde i suoi frutti velenosi erano molto usati come farmaco contro certe malattie. Nella religiosità popolare, sia scozzese sia irlandese, è sommamente venerata la sorba, certamente a motivo dei frutti rossi che, durante l'inverno, costituiscono un nutrimento aggiuntivo. La quercia sta tuttora in primo piano. Quest'albero imponente, i cui frutti rappresentano il normale mangime dei maiali, ha stimolato fortemente, a quanto pare, la fantasia. In molti luoghi del mondo celtico compaiono indizi del culto della quercia. Massimo Tirio, nel secondo secolo dell'era cristiana, ci dice francamente "I Celti venerano Zeus e un'alta quercia è il simbolo celtico di questo Dio" (Jean de Vries)
Nota di Lunaria: anche gli Africani veneravano gli alberi; vedi questo approfondimento
Anche qualsiasi luogo può in linea di massima racchiudere una forza [...] gli abitanti della regione boscosa del Camerun considerano magica, forse perché sprovvista di semi, una pianta a bulbo chiamata djanga. Il Balanza, per i Bambara, è un antenato trasformatosi in albero. Quando gli antenati scelgono quale loro dimora un certo albero, esso acquista un particolare significato come nei centri residenziali dei Sotho, l'arbusto di Thitikwane. Anche il fatto che talora, prima di abbattere un determinato albero, si chieda ad esso comprensione e perdono, dimostra che vi si immaginano forze temibili. Diffusa è l'idea che le streghe tengano le loro riunioni notturne su un albero, per esempio un grande Kapok dalla chioma lussureggiante
(Nota di Lunaria: vedi il confronto con il Noce di Benevento)
Non è raro che alcuni luoghi (estensioni di foresta o desertici) siano evitati, talvolta esiste persino un tabù che proibisce di mettere piede in questo o quel sito oppure nell'attraversare un corso d'acqua si ricorre a mezzi magici difensivi. Sono tutti concetti che sottointendono la presenza di forze personificate o non personificate, comunque sovrannaturali.
Arti Divinatorie
Presso i Celti predire il futuro era un rituale ricorrente. I metodi erano svariati e certamente assai singolari. Gli scrittori romani accennano talvolta al grande significato che i segni e la divinazione avevano presso i Celti. Secondo Giustino, storico romano del II secolo, i Celti si sarebbero distinti in quest'arte più degli altri popoli. Un mezzo assai diffuso nel quale si riponeva la massima fiducia erano i sogni e le visioni. Dopo che il re gallico Catumandus vide in sogno una donna che si fece riconoscere come la Dea Atena, concluse la pace con Marsiglia. Com'era prevedibile, simili sogni venivano provocati ricorrendo a particolari accorgimenti. In Irlanda, per precipitare in seguito in uno stato di semicoscienza, si sovraccaricava lo stomaco con cibi difficilmente digeribili. Un metodo assai noto consisteva nel sedersi su una pelle di animale. Keating, a proposito dei druidi irlandesi, racconta come essi avessero preparato un intreccio di rami di sorbo selvatico sul quale stesero una pelle di bue con la parte sanguinolenta rivolta verso l'esterno. I buoi erano stati, precedentemente, sacrificati. In questo modo si costringevano i "demoni" a comparire per ottenere rivelazioni sul futuro. Dovremo anche supporre che il druido si sdraiasse sulla pelle e forse se l'avvolgesse intorno al corpo; ciò facendo egli si identificava con l'animale ed entrava in un più stretto rapporto con gli Dei ai quali l'animale era stato offerto in sacrificio. Un singolare metodo di conoscere il futuro è la masticazione del pollice. Nella narrazione "Imtheacht an Dà Nònthar" leggiamo che Finn si schiacciò il pollice in una fessura della porta; se lo mise subito in bocca e ne conseguì conoscenze prodigiose. Il "Macgnìmartha Find" dà un'altra versione della storiella: Finn, nel cucinare un salmone, si brucia il pollice e se lo mette in bocca per lenire il dolore. Acquista conoscenze soprannaturali. Spesso è stata rilevata l'analogia con la storia di Sigurd; l'eroe si brucia un dito mentre manipola il cuore del drago che doveva arrostire per Regin; se lo mette pure lui in bocca e così apprende il linguaggio per gli uccelli. Diodoro Siculo ci tramanda come nella Gallia si usasse trafiggere con un pugnale il corpo di un uomo un po' sopra il diaframma; dopo che era stramazzato al suolo, dal modo di cadere e dalle convulsioni delle membra e dal fluire del sangue si stabiliva quale avrebbe potuto essere l'esito futuro di un'importante impresa. Strabone racconta la stessa cosa: alla vittima viene conficcato un pugnale nella schiena e dalle convulsioni si traggono gli auspici per il futuro.
Su Lugh vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/08/il-culto-lugh.html