La Morte in Croce nel pensiero di sant'Anselmo

Info tratte da

Il modello della soddisfazione sostitutiva: siamo stati salvati grazie alle Sue sofferenze

Nell'orizzonte di una visione giuridica ci si è valsi di uno strumento tratto da diritto romano - satisfactio - per esprimere l'azione redentrice di Cristo. Introdotto da Tertulliano e approfondito da sant'Agostino, questo modello di soddisfazione sostitutiva ha trovato in sant'Anselmo la sua formulazione classica nel libro "Cur Deus homo?" ["Perché Dio si fece uomo?]. La preoccupazione di sant'Anselmo, nella quale si può notare una forte tendenza al razionalismo, latente in tutta la Scolastica, risiede nel trovare una ragione necessaria per l'incarnazione di Dio e che fosse soddisfacente anche per un non credente. E così argomenta il teologo Anselmo: a causa del peccato l'uomo ha violato il retto ordine della creazione. Con ciò ha offeso Dio, autore di questo ordine universale. 

La giustizia divina esige che l'ordine sia sanato e riparato, richiede necessariamente una degna soddisfazione. L'offesa è infinita perché ha toccato Dio che è infinito e la soddisfazione deve essere ugualmente infinita. Come potrebbe, l'uomo, finito, costituire una riparazione infinita? La sua situazione è senza speranza. Anselmo vede una via di uscita assolutamente razionale: l'uomo deve a Dio una soddisfazione infinita e solo Dio può dar luogo ad una soddisfazione. Quindi, è necessario che Dio si faccia uomo per poter riparare in maniera infinita. L'uomo-Dio realizza ciò che l'umanità doveva realizzare: la riparazione (Nota di Lunaria: il problema di fondo resta che Dio si è incarnato unicamente in un maschio, quando l'umanità è formata da maschi e femmine...)

Il Dio-Uomo concretizza ciò che emana alla riparazione umana: il suo carattere infinito. Nell'uomo-Dio, di conseguenza, si dà la riparazione (uomo) adeguatamente infinita (Dio). L'incarnazione è necessaria in base ad una logica inconfutabile.

Tuttavia, ciò che veramente ripara l'offesa non è l'incarnazione e la vita di Cristo. Queste sono appena premesse che rendono possibile la vera riparazione adeguata: la morte cruenta in croce. Essa rende possibile l'espiazione, rimuove l'offesa e ristabilisce il retto ordine dell'universo. Dio, afferma Anselmo, trova bella la morte in croce perché la sua giustizia è placata.

Limiti di questa rappresentazione

Questa maniera di rappresentare la liberazione di Cristo è una di quelle che riflettono il substrato sociologico di una determinata epoca. L'immagine di sant'Anselmo ha molto pooco a che vedere con il Dio Padre di Cristo. Al contrario, incarna la figura di un signore feudale assoluto, padrone della vita e della morte dei suoi vassalli. Dio assume i tratti di un giudice crudele e sanguinario, pronto a richiedere fino all'ultimo centesimo i debiti che si riferiscono alla giustizia. Al tempo di sant'Anselmo vigeva, in questo campo, una crudeltà feroce. Questo contesto sociologico si è specchato nel testo teologico di sant'Anselmo e ha determinato, purtroppo, l'elaborazione di una immagine di un Dio crudele, sanguinario e vendicativo, presente ancora oggi in molte mentalità, pie ma torturate e schiavizzate. [Nota di Lunaria: mentalità da evangelici ed altri cristiani, specialmente quelli in fissa con la predestinazione; inoltre, nell'antico testamento Dio ha valenze sadiche e assassine: basti citare l'assassinio contro il figlioletto appena nato di Davide, ucciso da Dio per punire il padre..., senza contare che Dio stesso a Numeri permette l'uccisione di donne già maritate e bambini nonché il rapimento e lo stupro delle vergini]

Un meccanismo atroce di violazione/riparazione si impone perfino a Dio, prescrivendogli ciò che deve fare necessariamente. Ma è questo il Dio che abbiamo imparato ad amare e a cui ricorrere, sulla base dell'esperienza di cristo? è ancora il Dio del figliol prodigo, che sa perdonare? Il Dio della pecorella smarrita, che lascia le 99 nell'ovile e va a cercare sui prati l'unica smarrita? Se Dio pensa che la morte sia tanto bella, perché ha proibito di uccidere? come può il Dio che ha persino proibito di arrabbiarsi (Mt. 5,21) irarsi egli stesso?

Il valore permanente di tale rappresentazione

Sant'Anselmo ha tematizzato una linea concettuale di soddisfazione dal punto di vista giuridico, all'interno delle possibilità permesse nel suo contesto feudale. Ma ha lasciato inesplorata la dimensione ontologica che, sviluppata, si rivela adeguata a tradurre la salvezza raggiunta da Cristo. Questo taglio ontologico si mostra quando ci chiediamo in cosa consiste la salvezza umana. Più brevemente: nell'essere l'uomo ogni volta un po' più se stesso. Se riuscirà a far questo, sarà totalmente realizzato e salvo.  Qui comincia il dramma dell'esistenza, l'uomo si sente incapace di una piena identificazione, si sente perduto, deve sempre qualcosa a se stesso, non soddisfa le sue esigenze, si sente non soddisfatto (non-fatto a sufficienza) e la sua posizione non è soddisfacente. Come deve essere l'uomo per essere totalmente se stesso, e in conseguenza di questo, come può essere salvo e redento? Deve poter attualizzare l'inesauribile apertura che egli stesso rappresenta. 

 Il suo dramma storico consiste nell'essere chiuso in se stesso: di conseguenza egli vive una condizione umana carente, definita peccato. La sete dell'infinito non si è aperta all'infinito.  Cristo è stato colui che ha ricevuto da Dio il dono di aprirsi in tal modo all'infinito di identificarsi con lui. Era aperto a tutti e a tutto. Non aveva peccato, e quindi non si chiudeva in se stesso. 

Soltanto egli può soddisfare infinitamente le esigenze di apertura ontologica dell'uomo. Per questo Dio può anche essere completamente avvertibile in lui, poiché è la stessa immagine di Dio invisibile in forma corporale (esclusivamente maschile; la femmina non è stata divinizzata. Nota di Lunaria)

Dio non si è incarnato in Gesù di Nazareth solo per divinizzare l'uomo (e solo il maschio, ovviamente. Nessuna femmina. Nota di Lunaria) ma anche per ominizzarlo e umanizzarlo, liberandolo dal carico di inumanità che è portato dal suo passato storico. In Cristo è emerso l'uomo infine salvo e redento. Egli soltanto può, grazie allo Spirito, ricomporre l'odio della natura umana. Per questo è stato assunto come nostro Salvatore, nella misura in cui siamo partecipi di lui e realizziamo l'apertura totale che egli ha reso possibile, nella speranza, in tutti. Ci ha mostrato che questa non è utopia antropologica, ma evento storico di grazia. Assumendo la preoccupazione di sant'Anselmo sul carattere di necessità posseduta dall'incarnazione di Dio, possiamo affermare che, affinché l'uomo potesse essere veramente uomo, Dio doveva incarnarsi, cioè doveva penetrare in maniera tanto intima l'apertura infinita dell'uomo da portarlo alla pienezza. 

E l'uomo dovrebbe a tal punto dimensionarsi con l'infinito da potersi realizzare là dove può effettivamente sentirsi realizzato: in Dio. Quando questo accade allora diventa evento l'incarnazione di Dio e la divinizzazione dell'uomo. L'uomo è salvo. Ha soddisfatto la chiamata più profonda del suo essere per la quale trova senso la sua esistenza: essere-in-comunione con Dio. Cristo Salvatore ci chiama per realizzare ciò che egli ha realizzato. Siamo redenti e soddisfatti solo nella misura in cui ci impegniamo nella soddisfazione della nostra vocazione umana fondamentale. Egli ci ha mostrato che la ricerca insaziabile della nostra ultima identità (che implica Dio) non è un controsenso (mito di Sisifo e Prometeo); ha uno sfogo e l'uomo ha la possibilità di essere ciò che deve essere.

Compresa in questa dimensione ontologica, ci sembra che l'idea di soddisfazione può essere considerata uno strumento ricchissimo per rappresentare la liberazione di Gesù Cristo. Indubbiamente, è a causa di questo tesoro latente che essa è diventata una delle immagini più popolari. Ci sentiamo solidali nel dolore e nella ricerca con Cristo, che in nome di tutti ha soddisfatto la vocazione ad una completa unione immediata con Dio. Ma non solo: anche nell'ansia dell'incontro e nella certezza dell'arrivo.

Tutte le immagini sono immagini attraverso le quali tentiamo di captare la ricchezza salvifica che sempre trascende le immagini; non possiamo assumere come definitiva nessuna di queste. Dobbiamo superarle, demolirle, abbandonarle, riassumerle purificate, elaborarne di nuove e inquadrarle nell'orizzonte di una esperienza di fede incarnata in una situazione concreta. 

Ci manca, nel frattempo, l'approccio a un problema spinoso ma importante: come comprendere il carattere universale della liberazione di Cristo, in che misura egli è solidale con noi e la sua realtà salvifica tocca la nostra realtà salvandola e liberandola?  

APPROFONDIMENTO, info tratte da

Un Dio-Amore: ma perché tanto male?

Come continuare a confidare in un Dio che  (...) sarebbe l'Amore stesso, di fronte alla sofferenza, all'ingiustizia, alla malattia, alla morte che sembrano dominare la grande storia del mondo e la piccola, quotidiana storia di ciascuno di noi? (...) Come ha potuto Dio permettere tante guerre, i campi di concentramento, l'olocausto?

Il Dio che permette tutto questo è ancora davvero Amore (...) è giusto nei riguardi della Sua creazione? (...) La storia della salvezza è anche la storia dell'incessante giudizio dell'uomo su Dio. (...) In parte il Libro di Giobbe è il paradigma di questo giudizio.

Poteva Dio giustificarsi davanti alla storia dell'uomo, così carica di sofferenza, diversamente che ponendo al centro di tale storia proprio la Croce di Cristo? (...) Era necessario per la salvezza dell'uomo che Dio desse suo Figlio alla morte di croce? (...) Dio oltre che a essere Onnipotente è Sapienza e Amore, desidera giustificarsi davanti alla storia dell'uomo. Non è l'Assoluto che sta al di fuori del mondo, indifferente alla sofferenza umana.

è l'Emmanuele, il Dio-con-Noi, un Dio che condivide la sorte dell'uomo e partecipa al suo destino. (...) La sapienza e onnipotenza di Dio si pongono, per libera scelta, al servizio della creatura.

Se nella storia umana è presente la sofferenza, si capisce perché la Sua onnipotenza si è manifestata con l'onnipotenza dell'umiliazione mediante la Croce. (...) Cristo crocifisso è una prova della solidarietà di Dio con l'uomo sofferente.

Dio si mette dalla parte dell'uomo. Lo fa in modo radicale: "Assumendo la condizione di servo... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,7-8)

Tutto è contenuto in questo, tutte le sofferenze individuali e le sofferenze collettive.

Il cristianesimo è una religione di salvezza, cioè soteriologica. 

Per sperare di essere salvato da Dio, l'uomo deve fermarsi sotto la Croce di Cristo. 

Poi, la domenica dopo il Sabato Santo, deve trovarsi davanti al sepolcro vuoto e udire, come le donne di Gerusalemme:  "Non è qui. è risorto" (Mt 28,6)

Se la fede afferma che Dio è onnipotente, perché non ha eliminato e continua a non eliminare la sofferenza da un mondo che egli stesso ha creato? Non ci troveremmo di fronte ad una sorta di impotenza divina? Di fronte alla libertà umana Dio ha voluto rendersi impotente.  Dio sta pagando per il dono che ha concesso agli esseri umani: rimane coerente di fronte ad un simile dono, di fronte all'essere creato a sua immagine e somiglianza (Genesi 1,26)

Dio è sempre dalla parte dei sofferenti. La sua onnipotenza si manifesta proprio nel fatto che ha accettato liberamente la sofferenza.  Avrebbe potuto non farlo. (1) Avrebbe potuto dimostrare la propria Onnipotenza al momento della Crocifissione: gli veniva proposto "Scendi dalla croce e ti crederemo" (Mc 15,32)

Ma non ha raccolto quella sfida. Il fatto che sia restato sulla croce fino alla fine, dicendo come tutti i sofferenti, "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34) questo fatto è rimasto come l'argomento più forte.

Dio è amore perché Cristo è colui che amò sino alla fine (Gv 13,1)

Fino all'ultimo respiro, accettando tutte le conseguenze del peccato dell'uomo, assumendolo su di sé: "Si è caricato delle nostre sofferenze... Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Isaia, 53,4 e 6)

Uomo, tu che giudichi Dio, che gli ordini di giustificarsi davanti al tuo tribunale, pensa a te stesso, se non sia tu il responsabile della morte di questo Condannato, (2) se il giudizio su Dio non sia in realtà giudizio su te stesso.

Note di Lunaria:

(1) Lo scandalo di fondo non è che Dio abbia accettato fino alla fine la sofferenza; questo lo hanno fatto anche molti esseri umani nella Storia, trucidati nelle dittature o che si sono sacrificati per gli altri; lo scandalo resta il perché Dio abbia scelto un unico sesso per manifestarsi e non sia nato ANCHE femmina.

(2) Dalla Lettera agli Ebrei 9, 11-15 "[...] Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?"

Approfondimento, tratto da

Pagina 210-211-212-213

"Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!", poi disse al discepolo "Ecco la tua madre!" E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa"

Maria era piena di Spirito Santo che l'aveva guidata ad accorrere là dove si sarebbe consumato il sacrificio del Figlio.

L'anima sua viene trapassata da quella spada che aveva profetizzato il vecchio Simeone: avrà seguito Giovanni, avrà sentito l'urlo della folla: "Crocifiggilo!"

L'avrà visto flagellato.

Forse Giovanni l'avrà stretta a sé per evitare che sentisse le urla strazianti.

Maria è lì, ai piedi della croce, attimo per attimo, a vedere gli spasimi del Figlio.

Il dolore di Gesù sta schiacciando il capo del serpente e, con quel dolore, vi è quello di Maria, consapevole del mistero di salvezza che si celebra su quella croce.

Gli occhi di Giovanni e Maria sono fissi sul volto rigato di sangue di Gesù, che trova la forza di dire "Donna, ecco il tuo figlio!"

Gesù dice queste parole dalla croce perché siano intese come un testamento: in quel figlio, Maria doveva vedere tutta l'umanità e veniva consacrata come Madre di tutta l'umanità.

Del resto, per la società del tempo, nessuno avrebbe accolto la madre di un maledetto: "Maledetto chi pende dal legno" (Gal 3,13 - Dt 21,23)

E un'altra Maria, Maria di Magdala, vedeva morire colui che era per lei l'unica speranza, sostegno spirituale, il suo salvatore, colui che l'aveva ristabilita nella sua dignità.



Per approfondimenti vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2022/02/la-sofferenza-nel-pensiero-cristiano-di.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/08/la-croce-e-la-speranza-con-sottofondo.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/thomas-merton.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/il-cristianesimo-approvato-da-lunaria.html https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/un-cristiano-approvato-da-lunaria.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/sergio-quinzio-un-cristiano-very.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/introduzione-alla-teologia-della-morte.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/04/cristianesimo-e-lotta-di-classe.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/il-male-la-morte-e-la-redenzione.html

Nessun commento:

Posta un commento