Il Male, La Morte e la Redenzione

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Il Male poi è presente nel mondo, è lo stesso mondo creato prima che ci fosse il peccato. Questo è possibile solo perché esiste il Male e l'imperfezione; un essere assolutamente perfetto mai erra. Il Male consiste nell'essere separato da Dio, nell'essere una creatura e quindi vivere in assenza di Dio.

Questa concezione che non ha nulla di nuovo, poiché la troviamo già elaborata da S. Agostino e S. Tommaso d'Aquino, comporta come conseguenza il fatto che ogni manifestazione di Dio nel mondo è per forza di cose limitata e assume un carattere decadendo quando la compariamo con l'essenza stessa di Dio. Ogni rivelazione è anche una rivelazione; ogni presenza di Dio nel mondo comporta ugualmente un'assenza. Questo perché la presenza per quanto piena sia, sempre si realizza nei limiti del mondo e di conseguenza mai raggiunge la pienezza del Dio presente. Dio è anche assente dal mondo: il divino sorge sempre nel mondo e contro il mondo.

Non ci dobbiamo meravigliare per il fatto che esista il Male nel mondo. Ci dobbiamo meravigliare per il fatto che esista il mondo. è errato attribuire a Dio le deficienze di esso: esse sono innanzitutto la manifestazione dell'assenza di Dio (della separazione) più che della sua presenza attiva. 

Ciò che confonde è il fatto che Dio permetta o faccia in modo che le persone si separino da lui per rifugiarsi in un mondo dove egli è assente 

Vivere il male, i limiti, la dipendenza significa vivere la sofferenza, il dolore, l'insoddisfazione umana. L'uomo è sofferenza e il mondo è dolore. Egli percepisce che in fondo alla felicità v'è lo sconforto, perché la felicità non riesce a nascondere la sua fugacità e allontanare la minaccia di rottura e morte. 

Ogni sofferenza umana assapora l'amarezza del suo limite: in fondo si aspira ad una felicità senza questa amarezza, si cerca una felicità che il mondo non può dare. La sofferenza è la maniera in cui l'uomo percepisce la fugacità del mondo, delle persone, dell'amore e si apre verso l'assoluto. 

La sofferenza possiede, partendo da questa concezione, una pregnanza umana straordinaria. Essa obbliga l'uomo a rendersi conto della caducità di questo mondo con i suoi progetti di felicità e lo costringe ad aprirsi verso una dimensione che trascende totalmente la creazione nell'attesa del suo vero significato e porre in esso la sua profonda speranza. La sofferenza anticipa la morte. 

Con la morte non abbandoniamo solamente questo mondo, ma noi stessi e la nostra corporalità; la morte costituisce un esodo definitivo della vita umana terrestre; ci svuotiamo completamente per poterci abbandonare a colui che tutto può empire.

Se vivessimo in eterno saremmo sempre separati da Dio, lontano da lui nella creazione, vicino a lui tramite il nostro amore, ma mai in lui. La morte ci dà la possibilità di essere totalmente in Dio e poter realizzare ciò che san Paolo diceva: "Dio sarà tutto in tutti" (1 Cor. 15,28)

In questa prospettiva la morte è un bene: essa fa parte della vita umana e rappresenta la possibilità di maggior umanizzazione dell'uomo in Dio. In modo simile accade con la sofferenza: essa non anticipa l'azione distruttrice della morte, intensifica la liberazione di noi tutti e della nostra libertà per la Libertà che è Dio. Ogni sofferenza può possedere questa modalità, anche quella anonima, senza eroismi, silenziosa e banale della nostra limitata esistenza.

Il Male e la sofferenza rappresentano pertanto la maniera per essere sempre in Dio e di ricordarlo quando stiamo lontani nell'esilio della creazione. La sofferenza e il Male costituiscono la semente della speranza, liberano l'immaginazione e fanno fare sogni di liberazione, di felicità [...] 

Cos'è propriamente redentrice in Cristo: l'incarnazione (inizio) o la croce (fine)?

Nella tradizione teologica e nei testi liturgici ancora in vigore si nota una determinazione precisa del modo in cui viene concepita concretamente la redenzione. Questa è riferita a due momenti precisi: all'inizio della vita di Cristo, al momento dell'incarnazione, o alla fine, alla passione e morte in croce. Lo stesso Credo ha assunto questa formula astratta di collocazione: dall'incarnazione passa subito alla morte e alla risurrezione. Pone tra parentesi la vita terrena di Cristo e il valore salvifico dei suoi atteggiamenti, delle sue parole, azioni e re-azioni.

La teologia influenzata dalla mentalità greca, vede nell'incarnazione il punto decisivo della redenzione. Coerentemente con la metafisica greca, Dio è sinonimo di vita, perfezione e immortalità. 

La creazione essendo qualcosa di diverso da Dio, è per forza di cose caduca, imperfetta e mortale. Questo è inerente alla stessa struttura ontologica dell'essere creato; è quindi una fatalità e non un peccato. La redenzione è quindi assunzione del mondo alla sfera del divino. Di conseguenza, l'uomo è divinizzato assieme all'Universo e viene quindi liberato dal peso della sua stessa limitazione interna. "Dio si è fatto uomo perché l'uomo si facesse Dio", dirà lapidariamente sant'Atanasio ("De incarnatione Verbi"). [Appunto. E la donna dove sta? Dov'è che è "divinizzata e fatta Dea"? Nota di Lunaria]

Attraverso l'Incarnazione si manifesta nel mondo la redenzione perché in Cristo Dio immortale e infinito si trova con la creatura mortale e finita. è sufficiente la costituzione di questo avvenimento dell'Incarnazione perché tutta la creazione sia coinvolta e redenta [da parte e per parte maschile senz'altro. Peccato che i sessi sono due... Nota di Lunaria]. 

Non ci interessa tanto l'uomo concreto Gesù di Nazareth, la sua storia personale, il conflitto che ha determinato con la situazione religiosa e politica del suo tempo, ma ci interessa invece l'umanità universale che egli rappresenta 

[un egli-lui-maschio che rappresenta anche le donne?! e in base a cosa?! Il maschio non ha in comune niente con la femmina, dal punto di vista fisico. Nota di Lunaria]

Dio è l'agente della redenzione. è egli che si autocomunica alla creazione, elevandola e divinizzandola. 

In Gesù di Nazareth c'è un'astrazione dal fattore storico. L'Incarnazione è intesa staticamente, come il primo momento della concezione virginale di Gesù, Dio-Uomo. Tutto si riassume in questo punto 

[sì, infatti. Che la femmina è rimasta esclusa dall'essere divinizzata. Nota di Lunaria]

Non si articola l'aspetto dinamico e storico della crescita, del linguaggio, delle varie fasi della vita di Cristo, delle sue decisioni e tentazioni, dei suoi incontri, che, nella misura in cui si verificano, erano assunti da Dio come punto di inizio della sua azione salvifica.

La Redenzione al giorno d'oggi, secondo questa concezione, si verifica nell'astrazione dalle condizioni storiche concrete dell'uomo. Non si tratta di tradurre la Redenzione in un mutamento di prassi umana più fraterna, giusta e ugualitaria, ma nella partecipazione soggettiva all'avvenimento oggettivamente già accaduto nel passato e reso attuale dalla Chiesa, prolungamento della incarnazione del Verbo, attraverso l'azione dei sacramenti e del culto, che dal canto loro rendono effettiva la divinizzazione dell'uomo.

Invece, un tipo di teologia, segnato dalla mentalità romana etico giuridica pone nella passione e nella morte di Cristo il punto culminante per la Redenzione. Secondo la mentalità, romana, il mondo è imperfetto non tanto per l'essenza ontologica della creazione, ma a causa del peccato e della libertà abusata dall'uomo. Questa ha offeso Dio e il retto ordine naturale. Deve riparare il Male causato e quindi è necessario il merito, il sacrificio, la conversione e la riconciliazione. Solo in questo modo l'ordine antico può venire ricomposto nella sua tranquillità. 

Dio aiuta l'uomo: manda il suo stesso Figlio perché, in forma sostitutiva, sani con la sua morte l'offesa infinita perpetrata dall'uomo. Cristo è venuto per morire e riparare. L'Incarnazione e la vita di Cristo possiedono valore in quanto preparano e anticipano la morte. Il protagonista quindi non è tanto Dio, quanto l'uomo Gesù, che con la sua azione ripara il Male prodotto. Non si tratta di introdurre qualcosa di nuovo, come la divinizzazione, ma di restaurare il primitivo ordine, giusto e santo. 

La Redenzione si incarna anche in un nuovo tipo di solidarietà tra gli uomini. Il mondo al tempo di Gesù era fortemente strutturato: c'erano discriminazioni tra impuri e puri, tra giudei e pagani, tra uomini e donne, tra popolo e dottori della legge; questi ultimi si distanziavano orgogliosamente dai deboli, dai malati, dagli emarginati, accusati di essere dei peccatori.

Cristo si fa solidale con questi oppressi. Assume sempre la difesa dei deboli e di quelli che erano ai margini: prostitute, eretici samaritani, i disabili e i malati (paralitici, lebbrosi, non vedenti...); l'atteggiamento di Gesù è quello di colui che accoglie tutti e fa loro sperimentare l'amore di Dio (che ama anche gli ingrati e i cattivi, Luca 6,35) perché "non sono i sani ma i malati che hanno bisogno del medico" (Marco 2,17)

Il compito di Gesù consiste nel cercare ciò che è perduto e di salvarlo. A motivo di questo comportamento, Gesù viene diffamato, considerato amico dei peccatori, accusato di essere pazzo, sovversivo o indemoniato. 

è proprio attraverso questo amore che si intende il significato del Regno di Dio e la liberazione dagli schemi opprimenti che discriminano gli uomini. Il nostro prossimo non è chi è simile a noi, del nostro popolo, della nostra famiglia: è ogni uomo.

Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/la-morte-in-croce-nel-pensiero-di.html

Nota di Lunaria: visto che il problema di fondo resta il Dio che si è manifestato unicamente sotto forma maschile, e viene adorato in quanto Dio e maschio, meglio riportare qualche commento critico preso da  Mary Daly, "Al di là di Dio Padre": 

"Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile."

"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."

"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina." 

"Io ritengo che un altro ribaltamento sia l'idea dell'incarnazione redentrice unica nella forma di un salvatore maschio perché questo è precisamente impossibile. Una divinità patriarcale, o suo figlio, non è in grado di salvarci dagli orrori di un mondo patriarcale."

Mi pare significativo concludere con questo commento:

"è ovvio che tutte queste ideologie hanno non solo la funzione di conciliare le donne con il loro ruolo subordinato sostenendo che è inalterabile, ma anche di far credere che esso rappresenti l'appagamento dei loro desideri, o un ideale che è lodevole cercare di raggiungere" (Horney)

Per approfondire la questione femminile nel cristianesimo, vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/i-capolavori-di-mary-daly.html https://intervistemetal.blogspot.com/2022/02/la-sofferenza-nel-pensiero-cristiano-di.html


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