Trama: nell'ampia fascia costiera formata dal delta del Gange, in quella regione di isole e paludi, si elevano fitte foreste impenetrabili. Gli acquitrini delle Sunderbunds, le misteriose palude tropicali della foce del fiume sacro agli indù, costituiscono la jungla nera in cui si annidano esseri pericolosi e mortiferi: tigri assassine, serpenti velenosi, micidiali pitoni, piante carnivore, e soprattutto i Thugs, i fanatici strangolatori che uccidono per onorare la Dea Kalì. Ad essi si oppone Tremal-Naik, il cacciatore di tigri e di serpenti, che cerca di salvare la bella Ada al triste destino sacrificale di sacerdotessa di Kali.
Nota di Lunaria: ho letto "I Misteri della Jungla Nera" dopo aver letto la saga del "Corsaro Nero" https://intervistemetal.blogspot.com/2021/01/il-corsaro-nero.html
e devo dire che mi è piaciuto di più rispetto al "Corsaro Nero" (che comunque, qui e lì, aveva qualche elemento "junglesco-esotico" che poi Salgari svilupperà meglio in "I Misteri..."). Tutta la prima parte dei "Misteri..." è eccezionale, per i paesaggi esotici bellissimi e oscuri, tratteggiati con bravura; la seconda parte mi ha coinvolto di meno, prolissa e con troppi dialoghi, anche ridondanti, che azzoppano il ritmo; il romanzo riprende mordente poco prima del finale. Nel complesso, un bel romanzo d'avventura con elementi tipici dello stile di Salgari, peccato per la seconda parte, troppo sottotono rispetto a tutta la prima parte, decisamente emozionante, con un'atmosfera torrida ed esotica che a volte sfocia quasi nel romanzo gotico di fine Settecento, per le atmosfere di mistero e di pericolo incombente.
Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2022/07/le-tigri-di-mompracem-di-salgari.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/06/libri-esoticiche-sarebbero-piaciuti.html https://intervistemetal.blogspot.com/2022/04/salgari-la-rosa-del-dong-giang.html https://intervistemetal.blogspot.com/2022/05/salgari-le-splendide-copertine.html
Gli stralci più belli:
"Da quindici giorni io ti osservo e vedo sulla tua fronte delle profonde rughe, e sei malinconico, taciturno. Una volta tu non eri così triste." "È vero, Kammamuri." "Qual dolore può affliggere il mio padrone? Saresti forse stanco di vivere nella jungla?" "Non dirlo, Kammamuri. È qui, fra questi deserti di spine, fra queste paludi, sulla terra delle tigri e dei serpenti, che io son nato e cresciuto e qui, nella mia cara jungla, morirò." "Allora?" "È una donna, una visione, un fantasma!" "Una donna!", esclamò Kammamuri sorpreso. "Una donna hai detto?" Tremal-Naik crollò il capo in senso affermativo e si strinse fortemente la fronte fra le mani, come se volesse soffocare qualche tetro pensiero. Per parecchi minuti fra loro due regnò un funebre silenzio, appena rotto dal gorgoglio della fiumana che rompevasi contro le rive e dai gemiti del vento che accarezzava l'immensa jungla. "Ma dove hai veduto questa donna?", chiese alfine Kammamuri. "Dove mai, ché la jungla non ha che delle tigri per abitanti?" "L'ho veduta nella jungla, Kammamuri", disse Tremal-Naik con voce cupa. "Era una sera, oh non la scorderò mai, quella sera, Kammamuri! Io cercavo i serpenti, sulle rive d'un ruscello, laggiù, proprio nel più folto dei bambù, quando a venti passi da me, in mezzo ad una macchia di mussenda dalle foglie sanguigne, apparve una visione, una donna, bella, raggiante, superba. Non ho mai creduto, Kammamuri, che esistesse sulla terra una creatura così bella, né che gli dèi del cielo fossero capaci di crearla. Aveva neri e vivi gli occhi, candidi i denti, bruna la pelle e dai suoi capelli d'un castano cupo, ondeggianti sulle spalle, ne veniva un dolce profumo che inebriava i sensi. Ella mi guardò, emise un gemito lungo, straziante, poi scomparve al mio sguardo. Mi sentii incapace di muovermi e rimasi là, colle braccia tese innanzi, trasognato. Quando tornai in me e mi misi a cercarla, la notte era scesa sulla jungla, e non vidi né udii più nulla." "Chi era quella apparizione? Una donna o uno spirito celeste? Ancora lo ignoro." Tremal-Naik si tacque. Kammamuri notò che egli tremava sì forte da temere che avesse la febbre. "Quella visione mi fu fatale", ripigliò TremalNaik, con rabbia. "Da quella sera si operò in me uno strano cangiamento; mi parve di essere diventato un altro uomo; e che qui, nel cuore, si sviluppasse una terribile fiamma!"
"In lontananza si udivano le urla dei terribili abitanti del banian. "Vendetta! Vendetta!", gridavano. Tre note acute, le note del ramsinga, echeggiarono nella jungla e sottoterra s'udì il cupo rimbombo di poco prima. I due cacciatori si aggomitolarono, facendosi più piccini e trattenendo persino il respiro. Sapevano che se venivano scoperti, sarebbero stati irremissibilmente strangolati dai lacci di seta di quei mostruosi individui, che avevano di già sacrificate tante vittime. Non erano ancora trascorsi tre minuti che s'udirono i bambù aprirsi violentemente e fra le tenebre fu scorto uno di quegli uomini, col laccio nella destra ed il pugnale nella sinistra, passare come una freccia dinanzi alla macchia e scomparire nel folto della jungla."
"Un pensiero terribile gli attraversò il cervello. Si gettò prontamente da un lato sguainando il coltello e guardò in aria. Nulla vide o almeno nulla gli parve di vedere. Eppure era sicuro di aver urtato contro qualche cosa, che non doveva essere una foglia di bambù Stette alcuni minuti immobile come una statua. "Un pitone!", esclamò ad un tratto, senza però sgomentarsi. Un fruscio repentino erasi udito in mezzo ai bambù, poi un corpo oscuro, lungo, flessuoso, discese ondeggiando per una di quelle piante. Era un mostruoso serpente pitone, lungo più di venticinque piedi, il quale allungavasi verso il Cacciatore di Serpenti sperando di allacciarlo fra le sue viscose spire e stritolarlo con una di quelle terribili strette alle quali nulla resiste. Aveva la bocca aperta colla mascella inferiore divisa in due branche come i ferri d'una tenaglia, la forcuta lingua tesa e gli occhi accesi, che brillavano sinistramente fra la profonda oscurità. Tremal-Naik s'era lasciato cadere per terra per non venire afferrato dal mostruoso rettile e ridotto in un ammasso d'ossa infrante e di carni sanguinolenti. "Se mi muovo sono perduto", mormorò egli con straordinario sangue freddo. "Se l'indiano che mi precede non s'accorge di nulla, sono salvo." Il rettile era disceso tanto che colla testa toccava la terra. Egli si allungò verso il Cacciatore di Serpenti che conservava la rigidezza d'un cadavere, ondeggiò per qualche tratto su di lui lambendolo colla fredda lingua, poi cercò di farglisi sotto per avvolgerlo. Tre volte tornò alla carica sibilando di rabbia e tre volte si ritirò contorcendosi in mille guise, salendo e ridiscendendo il bambù attorno al quale erasi avvinghiato. Tremal-Naik fremente, inorridito, continuava a rimanere immobile facendo sforzi sovrumani per padroneggiarsi, ma appena vide il rettile alzarsi arrotolandosi in parte su se stesso, affrettossi a strisciare cinque o sei metri lontano."
"S'arrestò e portò ambo le mani al cuore che batteva con veemenza straordinaria. Egli provava allora un'emozione analoga a quella che sentiva in quelle sere che trovavasi dinanzi alla strana visione. Fu un lampo. S'aggrappò a quella corda e si mise a scendere nelle tenebre, quantunque ignorasse ancora dove andasse a finire e ciò che lo attendeva laggiù. Pochi minuti dopo i suoi piedi battevano su di un oggetto arrotondato, il quale mandò un suono metallico che gli echi del tempio ripeterono più volte. Stava per curvarsi per vedere cos'era, quando un cigolio simile a quello di una porta che gira sui cardini, giunse ai suoi orecchi. Guardò sotto di sé e gli parve di scorgere, fra le tenebre, un'ombra che muovevasi, ma senza produrre rumore di sorta. "Chi può esser mai?", si chiese egli, rabbrividendo. Con una mano estrasse una pistola e l'impugnò deciso di vendere caramente la vita, se veniva scoperto, e attese coll'immobilità d'una statua di granito. Un sospiro profondo salì fino a lui; quel sospiro lo impressionò in un modo nuovo, misterioso. Gli sembrò che gli avessero vibrato una pugnalata in cuore. "Sono pazzo o stregato", mormorò egli. L'ombra si era fermata dinanzi ad una massa nera, enorme che trovavasi proprio al di sotto della fune. "Eccomi, orribile divinità!", esclamò una voce di donna che scosse Tremal-Naik fino al fondo dell'anima. Tremal-Naik al colmo della sorpresa udì una materia liquida precipitare sul suolo e sentì spandersi per l'aria un profumo soave. "Mostruosa gente", pensò egli. "Eppure quell'ombra ha una voce dolce come le note del sanguy..."
"È strana! tremo come se avessi la febbre. "Perché?..." "Ti odio!", esclamò la medesima voce, con profonda amarezza. "Ti odio, spaventevole divinità, che mi condannasti ad eterno martirio dopo d'avermi distrutto tutto ciò che avevo di più caro sulla terra. Assassini, possiate essere maledetti in questa e nell'altra vita!" Uno scoppio di pianto seguì la maledizione che quell'essere misterioso aveva scagliato su quegli uomini che aveva chiamato assassini."
"Nel mezzo della pagoda si elevava una grande statua di bronzo, rappresentante una donna con quattro braccia, di cui una brandiva una lunga daga e un'altra una testa. Una grande collana di teschi le scendeva fino al collo dei piedi ed una cintura di mani e di braccia mozzate le stringeva i fianchi. La faccia di quell'orribile donna era tatuata, le sue orecchie erano adorne di anelli; la lingua dipinta di rosso cupo, del color del sangue, le usciva d'un buon palmo dalle labbra atteggiate ad un feroce sorriso; i polsi erano stretti da larghi braccialetti ed i piedi posavano su di un gigante coperto di ferite. Quella divinità, lo si capiva a prima vista, trasportata dall'ebbrezza del sangue, danzava sul corpo della vittima. Un altro oggetto strano, era una vaschetta di marmo bianco, incastonata nelle lucenti pietre del pavimento. Era colma di limpidissima acqua e dentro vedevasi nuotare un pesce di un bel giallo d'oro, piccolo e che somigliava assai ad un mango del Gange. Tremal-Naik non aveva mai visto nulla di simile. Egli si era fermato dinanzi alla mostruosa divinità e la contemplava con un misto di stupore e di paura. Chi era mai quella sinistra figura contornata di crani ed ornata di mani e braccia mozze? Cosa significava quel pesciolino dorato nuotante in quella bianca vaschetta? Quale relazione avevano quei due strani simboli, coi feroci uomini che inseguivano e strangolavano i loro simili? "Che io sogni?", mormorò Tremal-Naik, stropicciandosi più volte le palpebre. "Io non comprendo nulla." Non aveva ancor finito, che un leggero cigolio giungeva ai suoi orecchi. Si volse colla carabina in mano, quasi subito indietreggiò fino alla mostruosa divinità, rattenendo a gran pena un grido di stupore e di gioia. Dinanzi a lui, sul limitare di una porta dorata, stavasene ritta una fanciulla di meravigliosa bellezza, col più angoscioso terrore dipinto sul volto."
"Vergine della Pagoda, tu corri un gran pericolo", ripeté l'indiano con voce ancor più cupa. "Io ho scoperto tutto!" Ada aveva fatto un balzo indietro, gettando un urlo d'orrore. "Sì", proseguì l'indiano con rabbia concentrata, "ho scoperto tutto! Il tuo cuore, condannato a non battere mai su questa terra, ha palpitato d'amore per un uomo che tu vedesti nella Jungla Nera. Quest'uomo è sbarcato la notte scorsa sui nostri dominii e dopo d'aver alzato la mano su di noi, d'aver commesso un orrendo delitto, scomparve, ma io lo ritrovai. Quest'uomo è entrato nella pagoda." "Tu menti! tu menti!", esclamò la sventurata giovanetta. "Vergine della Pagoda, amando quell'uomo hai mancato ai tuoi doveri. Buon per te che quell'uomo non ardì alzare le sue mani su di te." "Tu menti! tu menti!", ripeté la giovanetta, smarrita. "Ma quell'uomo non uscirà vivo di qui", ripigliò l'indiano con gioia feroce. "Folle, egli voleva sfidare noi potenti, noi che facciamo tremare l'Inghilterra. Il serpente entrò nella tana del leone e il leone lo sbranerà." "Non farlo!" L'indiano si mise a sogghignare."
"Infatti era un indiano, quello stesso che per lanciarsi contro Tremal-Naik era caduto fra le spire del pitone. Il povero diavolo non era più riconoscibile, dopo la terribile stretta del rettile. Era una massa di carne contorta, stritolata ed inondata di sangue. Aveva la bocca smisuratamente aperta e lorda d'una spuma sanguinosa, gli occhi fuori delle orbite, punte di ossa infrante che gli uscivano dal petto orrendamente sfondato e le membra spezzate in dieci diversi luoghi. Kammamuri si curvò su di lui per udire se respirava ancora, ma quelle carni erano già fredde. "Il pover uomo non ha potuto resistere alla potente stretta", disse. "Tanto peggio per lui: quest'indiano non può essere che uno di quelli che ci davano la caccia, poiché vedo sul suo petto il misterioso tatuaggio. Orsù, qui non c'è nulla da faree corro il pericolo di venire scoperto." Un leggiero strofinio di bambù scossi, lo inchiodò al suolo. Si piegò prontamente e si distese in mezzo alle erbe, rimanendo immobile come il cadavere che aveva vicino."
"Un fischio tagliò l'aria e il poveretto, stretto alla gola dal laccio, la cui palla di piombo lo percosse fortemente alla nuca, stramazzò a terra. "Assassino!...", urlò egli con voce strozzata. "Aghur!", disse lo strangolatore con accento funebre. "Saluta un'ultima volta il sole che ti accarezza, respira un'ultima volta quest'aria che corre sulle Sunderbunds, invia l'estremo saluto ai tuoi compagni e scendi nella tomba." "Kammamuri!... Padrone!...", balbettò Aghur, dibattendosi. Il fanatico afferrò solidamente il laccio e soffocò la voce della vittima con una violenta strappata, poi gli si gettò sopra e col pugnale lo trafisse. "Muori, ché la dea lo vuole!", gli gridò un'ultima volta Manciadi. Aghur, col volto cinereo, gli occhi schizzanti dalle orbite cacciò fuori un rauco gemito e cercò di risollevarsi, ma ricadde. "E uno", disse il fanatico, lanciando uno sguardo feroce sull'assassinato. "Ora, pensiamo all'altro." E s'allontanò a rapidi passi, mentre uno stormo di marabù calava sul cadavere ancor caldo dell'infelice Aghur."
"Tremal-Naik ammutolì soffocando un gemito e si slanciò risolutamente innanzi, brancolando come un ubriaco, cercando colle mani le pareti. Man mano che procedeva sentivasi preso da uno strano stordimento. Sentivasi il sangue sibilare agli orecchi, il cuore battere ognor più precipitosamente ed ardere. Vi erano dei momenti in cui gli sembrava di udire in lontananza delle voci, delle grida strazianti come di persone torturate, e gli pareva di scorgere dei lumicini, delle fiammelle e persino delle ombre muoversi d'intorno e volteggiar fra le tenebre. Aveva abbandonato ogni prudenza e camminava rapidamente, a balzelloni, coi pugni chiusi, gli occhi sbarrati, in preda a una specie di delirio. Non udiva nemmeno la voce di Kammamuri, che lo supplicava di frenare la sua esaltazione. Per fortuna lo scrosciare delle folgori si ripercuoteva sempre sotto le cupe arcate, soffocando il rumore dei passi. D'improvviso il Cacciatore di Serpenti urtò contro un oggetto acuminato che gli traforò la veste toccandogli le carni. S'arrestò di botto indietreggiando. "Chi è là?", chiese egli con voce stridula, impugnando il coltellaccio e alzandolo. "Che cos'hai trovato?", domandò il maharatto, che si preparava ad avventare innanzi Darma. "Qualcuno sta presso di noi, Kammamuri. Sta' in guardia." "Hai visto qualche ombra?" "No, ma fui urtato da una lancia. La punta mi toccò il petto e per poco non mi ferì." "Eppure Darma non dà segni d'inquietudine." "Che mi sia ingannato? Non è possibile." "Ritorniamo?" "Giammai. Mezzanotte forse sta per scoccare. Avanti, Kammamuri."
"I sotterranei di Rajmangal, abitati dai settari di Kalì, erano vasti quanto mai, forse assai più dei famosi sotterranei di Mavalipuran e di Ellora. Infinite gallerie solcavano il sottosuolo in mille direzioni, alcune tanto basse da non tenervisi in piedi un uomo, altre altissime e vaste, alcune diritte, altre tortuose che salivano sino a toccare la superficie pantanosa dell'isola o che scendevano nelle viscere della terra. Qua antri orribili, umidi, freddi, oscurissimi, da secoli e secoli disabitati; colà caverne, spelonche, pagode adorne di mostruose e bizzarre figure della mitologia indiana e ingombre di colonnati, e più oltre pozzi che mettevano in sotterranei ancor più tenebrosi e forse ancora ignorati dagli strangolatori. Tremal-Naik, fatto il colpo, s'era slanciato sotto le nere volte della prima galleria trovatasi a lui dinanzi, seguito da Kammamuri e dalla tigre. Non sapeva dove andava a terminare, ma non se ne curava più che tanto. Non ci vedeva, ma non si dava, almeno pel momento, pensiero alcuno. A lui bastava fuggire, a lui bastava frapporre fra sé e gli strangolatori il maggiore spazio possibile, prima che si riavessero dalla sorpresa e dal terrore cagionato dall'improvvisa comparsa della tigre e che organizzassero la caccia all'uomo. Aveva gettato una parte delle sue munizioni per essere più leggiero e correva colla massima velocità, senza deviare. Fra le braccia stringeva sempre la giovanetta svenuta e, ponendo ogni cura a salvaguardarla da qualsiasi urto, ripeteva di quando in quando: "Salva!... Salva!... Io divento pazzo!..." E nel suo eccitamento ritrovava sempre maggiori forze; quel fardello gli sembrava più leggiero e precipitava la rapidissima corsa, pauroso di venire raggiunto dai suoi feroci nemici."
"Era una magnifica notte d'agosto, una vera notte tropicale. L'aria era tiepida, dolce, elastica, imbalsamata dal soave profumo dei gelsomini, degli sciambaga, dei mussenda e dei nagatampo. Lassù, in un cielo purissimo, d'un azzurro d'indaco, punteggiato da miriadi di scintillanti stelle, l'astro delle notti serene seguiva il suo corso, illuminando fantasticamente la corrente dell'Hugly, la quale svolgevasi come un immenso nastro d'argento, fra le interminabili pianure del delta gangetico. Schiere di marabù volteggiavano sopra la corrente, posandosi sull'una o sull'altra riva, ai piedi dei cocchi, degli artocarpi, dei banani e dei tamarindi, che curvavansi graziosamente sulle onde. Un silenzio funebre, misterioso, regnava ovunque, rotto di quando in quando da una folata d'aria che faceva stormire le fronde degli alberi, dall'urlo acutissimo, malinconico dello sciacallo, che vagava sulle rive del fiume, e dal gracidare dei corvi e dei marabù. Quantunque l'ora fosse assai inoltrata, e quantunque mille pericoli s'aggirassero fra le ombre della notte, un uomo stava sdraiato ai piedi di un grande tamarindo. Poteva avere trentacinque o quaranta anni e portava la divisa di capitano dei sipai, ricca d'ornamenti d'oro e d'argento. Era di statura alta, di complessione robusta, di carnagione bronzina, ma assai meno carica di quella degl'indiani. Si indovinava l'europeo, da lunghi anni esposto ai calori del sole tropicale. Il suo volto era fiero, ornato d'una lunga barba nera, ma la sua fronte era solcata da precoci rughe. Gli occhi erano grandi, melanconici, ma che talvolta scintillavano d'ardire."
"La baleniera, una bella e solida imbarcazione, costruita appositamente per la corsa, non tardò a filare con notevole velocità, sfiorando appena l'acqua, la cui corrente minacciava di arrestarsi pel prossimo arrivo della marea, la quale sale con tanta furia da causare, non di rado, a Calcutta, un accrescimento di livello superiore ai cinque piedi. La notte era limpidissima, illuminata da una luna superba e l'aria dolce, rinfrescata di quando in quando da una brezzolina, che scendeva dall'alto corso della fiumana. Le rive, visibili come in pieno giorno, presentavano di quando in quando delle belle vedute, affatto speciali ai fiumi indiani. Ora erano boschi magnifici di palmizi, di cocchi dall'aspetto maestoso, colle lunghe foglie disposte a cupola, e di manghi, stretti in mille diverse guise da quegli strani arrampicanti chiamati calami che raggiungono di frequente la lunghezza di centocinquanta metri. Ora erano campi sterminati di senapa, i cui fiori gialli spiccavano chiaramente sotto gli argentei raggi dell'astro notturno; oppure piantagioni di indaco, di zafferano, di sesamo, di scialappa o immense distese di bambù smisurati, in mezzo alle quali andavano e venivano bande di bufali selvaggi, animali veramente formidabili, più temuti delle tigri e che non esitano ad assalire anche un reggimento di gente armata. Talvolta apparivano miseri villaggi, soffocati sotto una densa vegetazione, oppure cinti da risaie, chiusi tra arginetti alti parecchi piedi, destinati a trattenere le acque, e più spesso rizzati sull'orlo di putridi stagni sopra i quali ondeggiava una nebbia pestilenziale, carica di febbre e di cholera. Non mancavano però gli eleganti bungalow sui cui tetti piramidali sonnecchiavano bande di cicogne nere, di ibis brune e di mangiatori di ossa, uccelli giganteschi, avidissimi e molto rispettati dagli indiani, i quali, secondo la loro strana dottrina delle trasmissioni, credono che nei loro corpi si trovino le anime dei sacerdoti di Brahma."
"Continuando la corsa giunsero poco dopo in una terza e più ampia caverna, la quale riceveva un po' di luce da una stretta apertura che si scorgeva sull'altissima volta. La loro comparsa in quell'ultimo antro, fu salutata da uno stridio assordante che veniva dall'alto. Tremal-Naik ed il thug, non sapendo da che cosa provenisse, s'erano arrestati girando all'intorno degli sguardi inquieti. Solo allora si accorsero che le pareti e la volta erano tappezzate da grandi macchie nerastre che si agitavano mandando dei sommessi chiacchierii come di persone che bisbigliassero fra di loro. Erano migliaia e migliaia di badul, specie di schifosi pipistrelli, lunghi più d'un piede e colle ali ampie assai, misurando sovente più d'un metro e colla testa e col corpo coperti d'un pelame bruno oscuro, attraversato da una striscia giallognola. Vedendo quei tre uomini, quegli abitanti delle tenebre cominciavano ad agitarsi ed a protestare contro quella violazione di domicilio. Dapprima si riunirono stringendosi gli uni addosso agli altri, formando un gran coltrone vivente e bisbigliante, poi cominciarono a volare per la caverna fuggendo in tutte le direzioni, all'impazzata, urtando contro i tre uomini e sbattendo contro i loro volti le loro fredde e gigantesche ali"
1968 |
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