Stralci tratti da questo romanzo di Liala (mi mancano 100 pagine per finirlo, viaggia sulle 400 pagine come la maggior parte dei romanzi di Liala) che, in queste pagine che ho selezionato, ha tocchi quasi alla d'Annunzio\Manzoni... Similmente a "Bisbigli nel piccolo mondo" (che mi era veramente piaciuto tanto https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2021/06/bisbigli-nel-piccolo-mondo-di-liala.html), è la storia di due sorelle, Cipriana e Ubalda, che vivono in questa villa antica sul lago, con una nonna molto rigida e austera, e dei flirt, capricci, turbamenti, aspirazioni al cambiamento delle due ragazze. Di per sé la storia può sembrare banale, ma non è tanto nella trama e nell'intreccio\districarsi della vicenda di per sé che Liala dava il meglio, quanto nelle descrizioni dei paesaggi e dei personaggi, tratteggiati con grande maestria psicologica e un certo lirismo, anche in dettagli che possono sembrare secondari ma ad una riflessione più attenta rimandano a metafore, allegorie, simbolismi che arricchiscono il macrocosmo letterario di Liala. Non ho tutti i romanzi di Liala (anche se si trovano facilmente ai mercatini dell'usato) perché non potrei mai tenermi tutta la sua sterminata produzione letteraria; curiosamente li ho trovati quasi tutti gratis perché li hanno messi lì al parco. Peraltro in questi mesi di logoramento continuo, quando dico "Non so se riuscirò a finire di leggere Liala" sta a significare "non so se domani potrò ancora essere ancora qui a leggerla"
"La costruzione, d'un elegante barocco sobrio e puro, sorgeva in quel punto del lago di Como che sarebbe meglio definire, per consuetudine, lago di Lecco, e sorgeva dove il lago soleva diventare più cupo per il verde cupo dei monti che chiudono le sponde in una incastonatura decisa, selvaggia, apparentemente priva di dolcezze, ma colma, per l'occhio del poeta, di dolci bellezze imprevedute e incomparabili. (...) Lontana dall'abitato, in quella zona dove le ville erano pochissime e assai distanti l'una dall'altra, dove il lago non era mai color del zaffiro, ma sempre d'un azzurro cupo che mutava solo per diventar color del berillo, la bella costruzione venne a poco a poco dimenticata. Gli alberi del gran parco diventarono altissimi e s'addossarono gli uni agli altri: i viali scomparvero sotto le erbe tenaci, le aiuole non diedero più fiori, ma divennero piccoli boschi d'erbacce selvatiche, l'edera s'abbarbicò ai tronchi, ai muri, alle statue: la vitalba coprì la facciata, la scuderia raggiunse la balaustrata delimitante il giardino, traboccò, scese fino a lambire l'acqua del lago."
"In quel punto, il lago giaceva metà al sole metà all'ombra: e dove i raggi del sole si frangevano, per la vivida rifrazione, sprizzavano scintillii abbaglianti così che pareva un riverbero di brillanti, di cristalli e di specchi, quella luce che veniva dall'acqua. Dove c'era l'ombra, l'acqua era quasi nera e, mirandola, l'occhio riposava ma ne riceveva una sensazione di freddo, di ostile, di pauroso. Dai monti poco ricchi di verzure, veniva odore di resina, dalle rive deserte giungeva a tratti il placido "don don" delle campanelle d'un gregge invisibile. (...) La barca costeggiò, assecondò la punta formata dalla sporgenza sulla quale c'era un ciuffo di pini italici vigilati da un cipresso."
"La notte era tutta d'argento e tutta quella luce uniforme rischiarava il lago, così che si potevano vedere a gran distanza le poche case, le rocce aspre dei monti, i ciuffi di pini e tutta la costa che si adagiava nell'acqua per una successione, or rude or morbida, di piccole baie falcate e di punti protesi. In quella pace e in quella luce, la bellezza di Ubalda s'era accesa come una face. Il suo lungo corpo dalle forme salde aveva fremiti involuti; i suoi grandi occhi avevano scintilli di zaffiro."
"Ella aveva rivolto a lui il bel viso bianco dai tratti puri. Gli occhi immensi, vividi di luce lunare, parevano in quella luce più scuri. (...) La luna, compiuto il suo arco nel cielo, s'era posta sulla vetta del monte e già una sponda era immersa nell'ombra. (...) La luna era scomparsa: nel cielo sereno, c'era il presagio dell'alba, e una stella brillava, sola, nel firmamento. Era la stella più piccola, più fulgida, più palpitante: ma era anche la più lontana."
"I pensieri ripresero a turbinare nella sua mente; un freddo, che le fece nuovamente battere i denti, si impadronì di lei, la costrinse a rannicchiarsi nella poltrona. Poi le trecce le pesarono enormemente sul capo: le sciolse, si ammantò nei capelli neri, setosi, morbidi. S'avviluppò in quel suo vivo manto, si sentì quasi protetta, quasi confortata. E Lucio Arena, entrando trafelato, la trovò così, con gli occhi sbarrati fissi sulla porta, con quel manto nero sulle spalle, con quel viso pallido d'amore e di paura, proteso alla ricerca di sollievo e baci. Fuori, l'alba dolce e malinconica d'un mattino d'estate toglieva a poco a poco, dalla città, l'ombre gravi della notte."
"La luna, preceduta da un gran chiarore, cominciava a spuntare dietro la vetta del monte. Tutte le cose terrene s'andavano illuminando; nel chiaro splendore ogni cosa prendeva un aspetto irreale e tuttavia nitido e preciso. I grandi alberi che lassù, alla vetta, facevano pompa delle loro ampie e ricche fronde, nel liquido chiarore diventavano fantastici e teatrali, perdendo la consistenza di cosa, prendendo l'aspetto d'ombra. Cipriana, immobile contro il gran vaso fiorito, guardava la luna salire per l'arco del cielo: i suoi grandi occhi azzurri erano fissi al bell'astro d'argento e, certo, la sua mente vagava nel paese dei sogni, perché un dolcissimo sorriso le fioriva sulla bocca."
"Immobile nella poltrona, chiusa nella nicchia d'oro dei suoi freschi capelli, Cipriana pensava. Ed i pensieri dovevano essere tanto gravi, perché la sua fronte bianca era solcata da una dritta e profonda ruga. Nel cielo senza stelle e senza luna s'andavano accavallando nubi nere, che verso Lecco s'ammassavano compatte e minacciose, annuncio di tempesta. Nella notte, con furia paurosa, cominciò a piovere e le raffiche di pioggia sferzarono, spinte dal vento, ogni cosa terrena. Poi cominciò a cadere la grandine e Cipriana l'udì picchiettare con ira contro le persiane chiuse, dalle quali filtrava, a tratti, il bagliore dei lampi. Un fulmine cadde nell'acqua; un altro, certo, andò a morire tra gli alberi prossimi, ché gli abitanti del villino ne udirono lo schianto come se fosse nella casa stessa. (...) La tempesta continuò per alcun tempo, con forza terribile. Poi, a poco a poco, scemò di violenza; quello che era stato urlo lamentoso diventò pianto sommesso, poi singhiozzo breve, poi mormorò dolcissimo. E quando Cipriana riaprì gli occhi, tutto taceva. Si levò la fanciulla, andò alla finestra, cautamente scostò le persiane: c'erano ancora tante stelle, ma già pallide e prossime a spegnere la loro luce all'apparire dell'aurora."
"Volse la schiena: udì qualche cosa d'indefinito, di impreciso, di delizioso, come se nell'aria palpitassero tante ali di farfalle bianche, come se nell'aria vi fosse il fruscio di tanti petali in volo. Si sentì tutta inondata di una commozione nuova, fatta di ricordi lontani e di nostalgie recenti. Rapido, nella sua mente, passò il ricordo del suo grande amore; rapido il cuore disse: Anima!"
"La fresca brezza della notte fugò istantaneamente i pensieri folli che si accavallavano nel suo cervello stanco. Un'euforia lieve lieve ebbe il sopravvento sulle tristezze nere e, dalla nuova sensazione, un pensiero pacato e sereno nacque (...) Le stelle, che la sera innanzi s'erano accese a una a una, impallidivano tutte insieme e l'aria, repentinamente, s'era raffreddata. Non c'era più brezza lieve e dolce: c'era quasi freddo e pareva che quel freddo piovesse dal cielo dove il gran manto di stelle si mutava, a grado a grado, in una coltre livida qua e là ancora trapunta d'oro pallido."
"Era l'ora in cui sul campo scendeva la luce ultima del giorno: quella che precede il crepuscolo e che non è ancor luce del tramonto."
"Autunno era giunto, ormai, ma colmo di dolcezze e di languori, così che non autunno pareva, ma una estate sul morire, che indugiasse tra erbe e fronde, per donare a tutte le cose terrene ancora un poco di gioia. Tuttavia, nell'aria, c'era già odore di terra molle, di foglie morte, di fiori sfatti e il cielo non pareva più un velo trapunto di stelle ma un pesante manto di velluto rabescato d'oro. C'era una luce vivissima, sulla terra, e una vasta rosa di candore plenilunare illuminava il campo e, al di là del campo, gli alberi e le case."
"E se ne andò. Un baluginare breve, nel quale ella fu per un istante in luce viva; poi, tutto sulla strada fu buio e silenzio."
"Vedendo quel giardino colmo d'ogni bel fiore, vivido di tutti i colori più belli, aveva pensato a quella dama bianca che moriva e che non sarebbe più andata tra le sue preziose piante in fiore."
"Nel giardino, c'erano ampie chiazze di salvie scarlatte; sull'acque chete, rosei vapori autunnali. E la vitalba moriva, fiammeggiando, ancora saldamente abbarbicata ai pilastri, ai muraglioni, alle balaustrate. Moriva ardendo: così come muore, con il morire della vita, un grande, sincero, devoto amore."
P.s ecco come Liala col suo tocco delicato e aggraziato, descriveva una farfalla:
"Vagò, l'animaletto fatto di leggerezza e di cipria, sulle teste levate a mirarla; poi, attratto forse dal profumo di fiori campestri che veniva dal capannone, decisamente entrò, s'avvicinò all'altare, andò a posarsi su una margherita. Di là si staccò; trovò una rosellina selvatica e vi si posò, battendo, felice, le ali."
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