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IL NEMETON
Per i Celti il bosco sacro era il Nemeton, termine che deriva dalla stessa radice di Nemus. Secondo i celtisti, "Nem-" indicherebbe il cielo "in senso religioso", e perciò sembrerebbe che il Nemeton sia stato "la proiezione ideale di una parte di cielo sulla terra, una specie di paradiso o meglio di frutteto meraviglioso", come se ne incontrano nelle leggende celtiche. Questa denominazione ha lasciato molteplici tracce nella toponomastica in Francia, Inghilterra e pure in Galizia, nella Polonia meridionale. Nota in tutto il mondo celtico, e anche presso i Greci e i Romani, la parola "Nemeton" ha pure oltrepassato la frontiera linguistica, dato che in antico sassone esiste la parola "Nimidas", che chiaramente mutuata dal celtico.
Il Nemeton era in primo luogo "uno spazio aperto e coperto d'erba in una foresta", quindi una radura, come "nemos-nemus". Questo Nemeton celtico l'abbiamo già incontrato con il "Drunemeton", il boschetto sacro di querce, luogo di riunione e di culto delle tribù celtogalate. Più in generale era "il tempio druidico in mezzo alle foreste appartato dal gruppo sociale del quale era tuttavia il complemento spirituale indispensabile".
Lì i sacerdoti iniziati celebravano le cerimonie necessarie per attirare sulla collettività nel suo complesso le benedizioni degli Dei dei quali erano gli interlocutori privilegiati e specializzati.
Lì, anche, in "foreste solitarie... i druidi insegnavano molte cose ai più nobili della nazione, di nascosto, per vent'anni". Questi studi, consistevano nell'imparare a memoria, dato che l'insegnamento era esclusivamente orale, un numero grandissimo di versi.
Cesare precisa però, e l'osservazione sembra verosimile, che se è vero che i druidi avevano molti discepoli, solo alcuni restavano con loro per vent'anni. Quei pochi erano quelli che si preparavano al sacerdozio.
Di uno di questi Nemeton galli, situato nei dintorni di Marsiglia, possediamo una descrizione impressionante, destinata a suscitare l'orrore, in modo da giustificare la sua distruzione ad opera di Cesare. Essa si trova nella "Farsaglia" di Lucano:
V'era un bosco sacro, inviolato da tempo immemorabile, che cingeva con un intrico di rami l'aria tenebrosa e gelide ombre profondamente remote dal sole. Non lo abitavano agresti Pan, né Silvani, signori dei boschi, o Ninfe, ma i riti degli Dei barbarici. Le are vi erano costruite in sinistri altari, e si soleva purificare tutti gli alberi con sangue umano. Se merita qualche fede l'antichità ammiratrice del divino, anche gli uccelli temevano di posarsi su quei rami e le belve di sdraiarsi in quei covi; neanche il vento e la folgore sprigionata dalle fosche nubi potevano abbattersi sulla selva, gli alberi erano percorsi da un brivido, senza che alcuna brezza investisse le fronde. Acqua abbondante cadeva da cupe fonti, e tetre statue di Dei si drizzavano scolpite senz'arte nei tronchi. La muffa stessa e il pallore dei tronchi imputriditi producevano sgomento; non si temono così gli Dei consacrati in figure tradizionali: tanto aggiunge al terrore il mistero degli Dei da temere. Già la fama riportava che spesso le profonde caverne muggivano per i sommovimenti della terra, e i tassi caduti tornavano nuovamente a elevarsi, le selve senza bruciare mandavano bagliori di incendi e avvinghiandosi ai tronchi draghi strisciavano all'intorno. Le genti non s'accostavano al luogo per celebrarvi il culto, ma lo lasciavano agli Dei. Quando Febo giunge a metà del corso e la fosca notte occupa il cielo, il sacerdote stesso teme di entrarvi e di imbattersi nel sovrano del bosco. Cesare ordina di radere al suolo questa foresta a colpi di scure intatta nelle guerre precedenti, si ergerva foltissima vicino alla fortificazione tra monti spogli.
Lucano narra che, ricevuto l'ordine di distruggere il bosco sacro, nessuno dei soldati osò sferrare il primo colpo contro quegli alberi temuti, "ma le forti mani tremarono". Quando Cesare vide che i suoi veterani più incalliti rimanevano come paralizzati afferrò un'ascia, la brandì e abbattè una quercia secolare la cui cima si perdeva tra le nuvole. Poi disse: "Ormai nessuno di voi esiti ad abbattere la selva; ritenete il sacrilegio compiuto da me" La truppa finalmente obbedì "non già rassicurata o bandito il timore ma soppesando la collera degli Dei e quella di Cesare". Forse alcuni di loro si ricordavano il terrore che aveva colpito le legioni quando erano penetrate nell'immensa Selva Ercinia. La storia romana riferiva i pericoli che avevano corso quando avevano tentato di violare quei tenebrosi rifugi, a cominciare dall'avventura leggendaria, narrata da Tito Livio, del console Postumio che, avendo fatto entrare il suo esercito in una foresta della Gallia cisalpina, probabilmente sacra, vide gli alberi piombare sui suoi soldati uccidendoli tutti.
Attraverso Tacito e Dione Cassio sappiamo dell'esistenza di boschi sacri nella Bretagna insulare; conosciamo in particolare quello consacrato a una Dea di nome Andrasta, cui nell'anno 61 della nostra era, Budicca (Budicea), regina degli Iceni (nelle attuali regioni del Norfolk e del Suffolk) chiese protezione prima di dar battaglia alle legioni nella pianura di Londra, offrendole in sacrificio donne romane. Tacito riferisce che un anno prima il console Svetonio Paolino aveva fatto distruggere nell'isola di Mona (Anglesey) i boschi "sacri ai loro riti superstiziosi e selvaggi, poiché essi consideravano precetto divino che i loro altari fumassero di sangue dei prigionieri e che si dovesse consultare gli Dei, servendosi di viscere umane."
Dagli storici e dai geografi greci e latini sappiamo che i boschi sacri erano gli unici santuari dei Britanni insulari e dei Germani. Tacito ricorda le prescrizioni osservate in quello del popolo sennone, cui abbiamo sopra accennato. "Vi è anche un altro modo di manifestare il culto reverente del bosco sacro: nessuno vi può entrare se non avvinto da lacci, dimostrando con la propria inferiorità il dominio del nume sopra di lui. Se, per caso, qualcuno cade, non gli è concesso di farsi aiutare a sollevarsi, né di mettersi in piedi da solo; deve rivoltarsi per terra."
Esistono ancora oggi dei boschi sacri e i divieti che vi vengono rispettati ci illuminano circa quelli che erano imposti in passato. Così è per esempio tra i Berberi, dei quali Jean Servier ha studiato le tradizioni sempre vive. I santuari "sono circondati da boschetti di ulivi, di querce Zen e di lentischio... contengono non solo il santuario, in cui si trova la tomba dell'antenato del gruppo, ma anche le tombe di tutti i morti di una stessa famiglia, i cui discendenti vivono non lontano da lì, sotto la protezione del bosco sacro".
In passato, anche i nostri cimiteri erano boschi sacri e questa consuetudine si è conservata a lungo in Bretagna.
Tra i Berberi "come nell'antica tradizione semitica, nella tradizione latina, nella tradizione greca, nelle tradizioni popolari dell'Iran attuale e nelle più antiche tradizioni asiatiche, i frutti che vi maturano non vengono raccolti, le carrube, le olive e le ghiande fanno morire chi se ne nutre, e se a volte hanno virtù terapeutiche sono fuor dal comune e non possono essere consumate se non in occasione di pellegrinaggi collettivi o individuali. La legna secca non può esser raccolta, il bestiame non può brucare le foglie tenere o l'erba delle radure. Il luogo è proibito nel suo complesso."
Per approfondimenti sul culto e simbolismo degli alberi, vedi questo libro fondamentale:
ALTRO APPROFONDIMENTO SUL NEMETON
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Il Nemeton era un luogo considerato sacro, perché ospitava una particolare forza e flusso di energia che veniva attivato mediante un rituale. Il centro del Nemeton poteva essere un masso, una stele (un cromlech, un menhir...) una sorgente ecc. ed era considerata una sorta di porta per l'ingresso del Divino.
Nota di Lunaria: Stonehenge fa capolino sull'artwork del cd-capolavoro dei The Sins of Thy Beloved "Lake of Sorrow" (1998)
Esattamente, siamo fissiste al periodo 1995-1999... e da lì non ci schiodiamo: se non c'è il tempo doom style e le growls vocals maschili non è Gothic Metal.
Alcuni Nemeton erano "femminili" altri "maschili" e altri ancora "neutri".
Con l'arrivo del cristianesimo i Nemeton vennero demonizzati e vennero dati alle fiamme (come successo per il Nemeton di querce degli Insubri) per ordine dei vari "cristiani di potere", come Carlo Magno, che minacciava di scomunica e pena di morte (decapitazione o rogo) chiunque osasse pregare in quei luoghi.
Questi massi, cromlech, stele ecc, vennero distrutti o spesso riutilizzati come materiale edilizio per costruire "chiese e santuari" che sorgevano PROPRIO SUI LUOGHI PAGANI DISSACRATI DAI CRISTIANI!
I cristiani che si dissociarono dal vandalismo e dall'iconoclastia, purtroppo, furono pochi ed inascoltati: s. Colombano o l'abate Bretone ebbero a dire "perché distruggere queste pietre del sapere ed uccidere i loro sacerdoti quando tutte le scienze e le arti del passato sono incise su di esse?"
LITOLATRIA: ROCCE CON ORME DI PIEDI E COPPELLE
Quando Brenno, con la sua milizia di soldati galli, devastò, saccheggiandolo, il santuario di Delfi, trovò ridicolo che gli Dei Greci fossero raffigurati in forma antropomorfa.
Per i primi Celti era assurdo pensare di poter confinare una divinità in un aspetto umano, visto che erano pura energia che poteva assumere infinite forme. Le statue di divinità celtiche furono scolpite dopo la colonizzazione romana e anche per i Leponzi, gli Ambroni e gli Insubri, era assurdo confinare Dio in un tempio. La loro fede era basata sullo spazio, sull'aria, sul Sole.
I luoghi sacri, per questi popoli, non potevano che essere all'aria aperta: i boschi sacri, detti "Nemeton", cerchi di pietra (Cromlech), allineamenti di stele, pozzi e sorgenti sacre, massi erratici con incise figure stilizzate di esseri umani e animali e coppelle (figure rotonde e cavità che forse rappresentano la costellazione). Probabilmente le offerte consistevano in vino, birra, miele.
I massi "a forma di scivolo" erano utilizzati per i riti di fecondità che consistevano nel farsi scivolare o strofinarsi contro la roccia (mantenuti anche in epoca cristiana, come dimostrava Mircea Eliade nel suo "Trattato di Storia delle Religioni", parlando di Litolatria). Questi "massi a scivolo" erano posti nei pressi di fiumi o sorgenti.
In Italia possiamo citare il "Sasun" di Laveno Mombello e il monte Zuoli, dove si praticarono forme di litolatria; all'Alpe Curzelli vi è una roccia decorata con incisioni raffiguranti genitali maschili e femminili.
Le grotte erano altri luoghi sacri, ritenuti, in genere, la dimora di spiriti o entità del bosco o addirittura la porta di accesso agli inferi.
L'Antro dei Morti, a Ponte Nativo, Cunardo
La Grotta Sacra di Ello, Oggiono
Il Buco della Volpe sul monte Picuzz (Sangiano)
"La Bogia" in Valganna
I massi qualche volta venivano decorati con orme di piedi (oltre che in Francia, Germania e Polonia, se ne trovano in Valtellina, a Soglio, nel bosco di pini detto Bosco delle Bugne, che reca incise ben 14 orme e coppelle, sul monte Clivio, presso Dumenza, a Orto sopra Cremenaga; a Sesto Calende venne ritrovata una lastra con impronte utilizzata come copertura per una tomba; la pietra francese di Lans le Villards ha ben 60 impronte di piedi!) Anche alle falde del Motto di Cranna, a Vignone, vi era un luogo sacro, con pietre incise con coppelle.
Probabilmente questi massi erano in correlazione con il culto a divinità del Sole; in India sopravvive ancora il rito del Phrabat: si fanno offerte di fiori a sculture che recano incise impronte di piedi, nei luoghi dove si crede che una divinità del pantheon indù sia scesa sulla terra.
SACERDOTESSE CELTICHE approfondimento tratto da
Abbiamo già detto che Santa Brigida custodiva a Kildare il fuoco sacro assieme a 19 monache. Poiché questa santa irlandese viene a collocarsi al posto della Dea pagana Brigite (venerata il 1° Febbraio, a Imbolc), è lecito arrischiare la congettura che le Sacerdotesse del suo santuario abbiano recitato la parte delle vestali romane. Tacito negli "Annales", riferendosi al tentativo di Svetonio Paolino di conquistare l'isola di Mona, narra che sulla spiaggia v'era una schiera di guerrieri e di druidi che gridavano orribili imprecazioni mentre levavano le mani al cielo; dalla narrazione risulta pur tuttavia che anche le donne partecipavano a cerimonie magiche di scongiuro. Strabone ci narra di una piccola isola sulla foce della Loira abitata da donne sannite, seguaci di Dioniso che veneravano con cerimonie iniziatiche e riti sacri. A nessun uomo era permesso soffermarsi su quest'isola e le donne si recavano sulla terra ferma dove avevano rapporti con gli uomini (Nota di Lunaria: l'autrice fantasy Marion Zimmer Bradley parla di frequente nel ciclo di Avalon di comunità di sole donne che incontravano sporadicamente gli uomini; https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/il-ciclo-arturiano-9-le-querce-di.html è lecito pensare che dietro il celebre mito delle Amazzoni ci sia stato un fondo di verità; forse sono esistite realmente comunità di sole donne). Si pensa che le donne sannite praticassero uno strano sacrificio: ogni anno avrebbero smontato il tetto del loro tempio e l'avrebbero rimontato nello stesso giorno; il lavoro si sarebbe dovuto concludere prima del calar del sole. Se una donna aveva la disgrazia di lasciar cadere a terra il proprio carico, veniva fatta a brandelli e il suo corpo era portato in giro al grido di "euoi". Succedeva pure che una donna destinata ad essere sacrificata fosse spinta dalle altre. Plutarco narra che alla festa degli Agrioni, un sacerdote di Dioniso armato di spada uccideva tutte quelle che raggiungeva. Ad ogni modo, il rito di ricostruire il tempio e sacrificare una persona (e il significato era "eliminare ciò che è vecchio sostituendolo con qualcosa di nuovo") era diffuso anche in altre civiltà: la demolizione del tetto significava il rinnovamento dell'intera costruzione templare. Davanti al territorio degli Osismii, sulla costa occidentale della Bretagna, v'è l'isola di Sena, oggi Sein. Pomponio Mela narra che custodi di questo santuario erano nove vergini che avevano fatto voto di verginità perpetua. Con il loro canto erano in grado di sconvolgere tumultuosamente il mare; potevano trasformarsi in animali; erano capaci di sanare e di predire il futuro. Vale la pena ricordare la famosa leggenda riportata nel "Vita Merlinii", opera di Geoffrey di Monmouth: ad Avalon abitavano nove sorelle, delle quali Morgan era la più bella. Qui fu portato Artù dopo la morte. Nelle triadi, Morgan è identificata con l'appellativo di Modron, "Matrona": l'isola di Sena sarebbe stata considerata "magica", forse un'isola dei morti, e ciò chiarirebbe l'idea secondo la quale queste nove Sacerdotesse potessero predire il futuro e guarire. Ancora in epoca imperiale non è raro sentir parlare di Profetesse galliche. Lo stesso imperatore Aureliano le avrebbe interrogate.
Su Stonehenge, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/05/stonehenge.html
Sulla Litolatria vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/05/la-kaaba-la-pietra-nera-e-la-litolatria.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/i-menhir-e-i-dolmen-di-arzachena.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/campo-rotondo-e-la-litolatria.html https://intervistemetal.blogspot.com/2021/04/i-labirinti-le-mappe-astronomiche-e-le.html
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