"La Casa sull'Abisso" di William Hodgson

Si tratta di un romanzo di orrore metafisico, dove la cantina della casa che si protende sull'Abisso porta in un'altra dimensione, in un altro tempo, in un altro spazio. Ci troviamo in un non-luogo dove tutto è già avvenuto, e dove, ovviamente, sono presenti dei mostri i quali, provenendo dall'interno della casa che costituiva il baluardo contro il pericolo, indicano invece che una salvezza - peraltro assai improbabile - è altrove, al di fuori. 

Chissà che quella Casa sull'Abisso non sia poi il nostro mondo?

Vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2023/10/william-hodgson.html


Gli stralci più belli


Apri la porta,

e ascolta!

Solo il rombo ovattato del vento,

e il luccichio

di lacrime intorno alla luna.

E, nell'immaginazione, le orme 

di passi che si allontanano...

Fuori, nella notte, con i Morti.


Affrettati! E ascolta

il doloroso pianto

del vento nell'oscurità.

Affrettati e ascolta, senza protestare e senza guardare,

le orme che calpestano i perduti eoni:

i suoni che ti impongono di morire.

Affrettati e ascolta!

Le orme dei morti

(...)

Il vasto trono della notte

diviene una stupenda cattedrale

con le stelle che rintoccano come campane verso di me.

Che nell'infinito spazio sono l'essere più solo!

(...)

Per ciò che un tempo era, ed ora è fuggito

nel vuoto dove viene precipitata la vita

dove ogni cosa non è più, né mai sarà.


All'estremo limite dell'Irlanda occidentale c'è un piccolo villaggio, chiamato Kraighten. Sorge isolato, ai piedi di una bassa collina. Intorno, si stende per miglia e miglia un paesaggio squallido e inospitale; qua e là si incontrano casupole in rovina, molto distanti l'una dall'altra, abbandonate da chissà quanto tempo, nude e senza tetto. La terra, brulla e deserta, ricopre appena la roccia sottostante, che abbonda in questa regione e affiora, a tratti, in creste ondulate.

Benché la località fosse così desolata, il mio amico Tonnison e io avevamo deciso di trascorrervi le vacanze. (...) In breve, con l'aiuto del conducente, alzammo la tenda in una piccola radura fuori del villaggio, vicino al fiume. (...) "Guarda!", disse dopo un poco. "Non vedi una specie di nebbia laggiù a destra, in direzione di quella grande roccia?" (...) Attraversammo una macchia d'arbusti dalla quale sbucammo su un'altura disseminata di massi, dominante un folto intrico d'alberi e cespugli. (...) "Dev'esserci una cascata, o qualcosa del genere, lassù"

(...) Scendemmo il declivio e ci addentrammo tra gli alberi e gli sterpi. La vegetazione intricata si chiudeva sopra di noi, creando una penombra cupa e sgradevole; non così fitta, però, da impedirmi si notare che molti alberi erano da frutto e che qua e là c'erano vaghe tracce di coltura abbandonate da tempo. Ciò mi fece pensare che ci trovassimo in un vasto, antico giardino in rovina. (...) Com'era tetro e selvaggio, il luogo! Mentre procedevamo, il senso d'abbandono e di silenziosa solitudine dell'antico giardino mi penetrò nelle ossa, facendomi rabbrividere. Immaginavo misteriose presenze, in agguato nel groviglio degli sterpi; nell'aria stessa c'era qualcosa di pauroso. (...) Improvvisamente eravamo in una vasta radura nella quale, a pochi passi da noi, si apriva un baratro enorme, dalle cui profondità pareva venire il rombo, insieme al getto continuo di spumeggiante vapore che avevamo visto nell'altura lontana.

Stupefatti, osservammo a lungo, in silenzio, lo spettacolo; poi il mio amico si avvicinò cautamente all'orlo dell'abisso. Lo seguii, e attraverso il ribollire del vampore scorgemmo un'enorme cascata d'acqua spumeggiante che sgorgava impetuosa dalla parete del baratro, cento piedi più sotto.

(...) Dopo un poco, levai gli occhi al lato opposto del baratro e vidi qualcosa ergersi in mezzo al getto di spuma: pareva il frammento di un enorme rudere. (...) Non sorgeva, come avevo creduto, sul ciglio del baratro, ma all'estremità di un enorme sperone di roccia che usciva a sbalzo sull'abisso per una cinquantina di metri. In effetti, il rudere era praticamente sospeso nel vuoto.

Ci avventurammo su quello sperone di roccia, e confesso che guardando da quella posizione vertiginosa le ignote profondità spalancate sotto di noi, l'abisso da cui si alzava l'incessante rombo della cascata, e la nuvola di vapore, provai un senso di indicibile terrore.

Raggiunto il rudere, ai piedi del quale c'era un considerevole ammasso di pietre e di altri detriti, constatammo che doveva trattarsi di un frammento del muro esterno di una grossa costruzione. Ma come si trovasse in quella posizione, veramente non riuscivo a capirlo. Dov'era il resto della casa, o castello che fosse?

(...) Dall'altra parte vidi Tonnison chino in una specie di cunicolo tra le macerie. Stava ripulendo dalla terra qualcosa: un libro, spiegazzato e malconcio.

(...) Poi facemmo tutto il giro dell'enorme abisso, constatando che aveva la forma di un circolo quasi perfetto, la cui simmetria era rotta unicamente dallo sperone di roccia sul quale sorgeva il rudere. L'abisso, come osservò Tonnison, aveva tutta l'aria di un gigantesco pozzo o voragine che scendesse diritto nelle viscere della terra.

(...) Qui, a qualche centinaio di metri dall'apertura dell'immensa voragine, si apriva un lago silenzioso e immobile, fuorché in un punto, dove l'acqua ribolliva e gorgogliava incessantemente. (...) Udii giungere, dal folto alla nostra sinistra, uno strano suono lamentoso... parve fluttuare tra gli alberi, e si udì un fruscio di foglie smosse; poi, silenzio.

(...) "Senti", mi disse in tono deciso, "Non sarei disposto a trascorrere la notte laggiù per tutto l'oro del mondo. Laggiù c'è qualcosa d'impuro... di diabolico. è un'impressione che ho provato all'improvviso, quanto tu hai parlato. Mi è parso che il giardino fosse pieno di presenze abbiette... mi capisci?"



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