Tutto iniziò quando George scomparve su un'isola dell'arcipelago delle Shetland. Tutti pensarono che fosse annegato, perché lassù il mare è turbolento e insidioso ed è facile rimanere isolati a causa della marea. Poi, un giorno su una spiaggia venne ritrovata una bottiglia di whisky con dentro uno strano messaggio, e la calligrafia era senza dubbio quella di George. Il messaggio diceva soltanto: "è iniziato. Iddio mi aiuti. So..."
Poi la scrittura si mutava in scarabocchi incomprensibili. Nessun altro indizio.
George girava documentari per la televisione ed era il migliore amico del mio papà. Noi abbiamo una fattoria nel Devon, e d'estate George veniva sempre in vacanza da noi con sua figlia Becky. George e la moglie si erano lasciati anni prima, e lui si occupava di Becky da solo. Padre e figlia erano molti legati e, quando George scomparve, Becky venne a vivere da noi: era distrutta dal dolore e per quanto tentassimo di distrarla, non riusciva a ritrovare la serenità.
La mamma e io eravamo molto preoccupati anche per papà: lui e George si conoscevano fin da bambini ed erano sempre stati molto affiatati. Un paio di settimane dopo la scomparsa di George, quando fu trovata la bottiglia, papà cominciò a comportarsi in modo strano. Oltre a essere triste per la scomparsa dell'amico, sembrava irrequieto e nervoso: faceva lunghe passeggiate solitarie, era diventato taciturno e spesso rimaneva assorto nei propri pensieri, come interrogandosi su un mistero.
Una sera di settembre, durante la cena, annunciò: "Vado alle Shetland"
"Perché?", gli chiese mamma, preoccupata.
"C'è qualcosa che non mi convince, nella morte di George."
"Che cosa?" intervenne Becky, più speranzosa che spaventata, come se ogni nuova informazione sul padre potesse tenerne vivo il ricordo.
"è solo una sensazione" rispose papà, evasivo.
A volte mio padre fa così: è molto legato alla terra... una di quelle persone alle quali i campi, gli alberi e il vento trasmettono conoscenze misteriose. Non ha mai fatto altro che badare alla fattoria, e mio nonno lo ha fatto prima di lui, e il mio bisnonno prima di mio nonno e così via, da centinaia di anni.
"Verrò con te", affermò Becky, decisa. Aveva lo stesso carattere di suo padre, quando si metteva in testa di fare qualcosa niente poteva farle cambiare idea.
"Allora vengo anch'io", dissi.
"Ma salterete la scuola", protestò papà.
"Fantastico", esclamai.
"Credo che dobbiate andare tutti", disse mamma lentamente.
Forse sentiva che il viaggio avrebbe fatto bene a Becky, che l'avrebbe aiutata ad accettare la morte del padre, e in ogni caso, quando papà aveva una delle sue sensazioni, era consigliabile dargli retta. Una volta aveva avuto il presentimento che la marea avrebbe superato l'argine del porto di Breakmouth: aveva insistito perché fosse rafforzato, e stava ancora litigando con le autorità che non volevano dargli retta, quando le onde lo abbatterono. Ovviamente, le autorità ci fecero una figuraccia.
Un'altra volta aveva avuto una premonizione a proposito di una vecchia cava dove andavano a giocare i bambini, e infatti ci fu un crollo e i bambini si salvarono soltanto per un caso fortunato. Da allora, tutti noi prendiamo sempre sul serio le sensazioni di papà.
Così quel giorno mamma disse: "Andate tutti e tre, baderò io alla fattoria."
Papà le rivolse un sorriso riconoscente.
"Staremo via soltanto qualche giorno. Non mi ci vorrà molto" e si interruppe: aveva la fastidiosa abitudine di tenere per sé le sue teorie.
George era andato nelle Shetland per preparare uno dei suoi documentari, che erano sempre eccezionali. In genere parlavano di animali che vivono in luoghi lontani, esotici ed inquietanti. Aveva ripreso gli squali del Pacifico, gli elefanti africani, i dingo dell'Australia e certi minuscoli bizzarri colibrì del Paraguay.
Ma nessuno, nemmeno Becky, sapeva perché fosse andato nelle Shetland.
"C'entravano le foche", mi aveva detto Becky, "però, contrariamente al solito, mi era parso molto misterioso. Comunque, secondo me, è ancora lì. Lo sento."
Mi chiesi se anche Becky avesse premonizioni come mio padre. Provavo sentimenti contrastanti riguardo al viaggio nelle Shetland, un arcipelago al largo della Scozia, costituito da un'isola principale circondata da numerosi isolotti, ma in fondo ero contento di andarci, sia perché pensavo che il viaggio avrebbe aiutato Becky, sia perché ero stato molto affezionato a George.
Raggiungemmo la Scozia in aereo, atterrando ad Aberdeen, poi andammo a Lerwick in elicottero. L'isola principale delle Shetland è spopolata e selvaggia: una vasta distesa brulla ricca soltanto di laghi, rovine misteriose e alti dirupi scoscesi a picco su un mare sferzante.
Dall'isola principale prendemmo il traghetto per Sula, un isolotto deserto dove viveva soltanto Macleish, una specie di eremita che abitava in una baracca da lui stesso costruita sulla spiaggia di una piccola baia.
Macleish aveva permesso a George di piantare la tenda sull'erba ghiacciata poco distante dalla sua baracca.
Nessuno conosceva il suo nome proprio e, a quanto ci disse il proprietario di una locanda dell'isola principale che lo aveva contattato per noi, viveva laggiù da anni, sempre solo.
"è un vecchio bizzarro", ci avvertì l'albergatore.
"Di solito ignora i pochi turisti e vaga per Sula giorno e notte. Possiede qualche pecora, pesca e coltiva patate. è del tutto autosufficiente. Non ha ancora detto una parola a proposito della scomparsa di George."
Quando sbarcammo sull'isola e il traghetto di allontanò, ci sentimmo un po' smarriti: avevamo la sensazione di non essere i benvenuti. Come mio padre, ero abituato ai rumori della campagna, ma lì i suoni erano molto diversi. Il sospiro delle onde che si frangevano sugli scogli, le strida dei gabbiani, il ruggito del mare, il gemito del vento... tutto mi dava l'impressione che fossimo intrusi molto sgraditi.
Papà andò a bussare alla malconcia porta di legno della baracca, mentre Becky e io ci chiedevamo preoccupati quale accoglienza ci avrebbe riservato l'eremita.
Sentimmo sferragliare un numero stupefacente di chiavistelli e poi, finalmente, sulla soglia comparve un vecchietto fragile, con occhi cisposi e lunghi capelli bianchi come la neve.
"Sembra un vecchio gabbiano spennacchiato", pensai rabbrividendo.
Aveva il volto e le mani lucidi, come di febbre, e benché facesse freddo, la sua fronte era imperlata di sudore.
"Che volete?", ci chiese scandendo le parole lentamente, come rivolgendosi a tre stranieri.
"Lei ha detto... l'albergatore ha detto...", iniziò papà, incespicando nervosamente nelle parole.
Io ero così teso che mi sarei messo a urlare, e anche Becky era irrequieta.
"Il gestore dell'albergo, il signor Ferguson, ha detto che non le sarebbe dispiaciuto se ci fossimo accampati sull'isola", riprese papà.
"Eh?"
"Vorremmo accamparci qui. Piantare una tenda."
"Oh. Va bene. Potete metterla dietro la casa, dove l'aveva piantata il signor Patrick, povero diavolo."
"è mio padre. Che gli è successo?", chiese Becky con voce tremante.
"Se l'è preso il mare."
"Tutto qui?", domandò papà.
"Come sarebbe?", replicò Macleish con aria interrogativa.
"Ne sa qualcosa di più?", tradusse Becky.
Macleish le sorrise gentilmente. Sembrava a proprio agio soltanto con lei.
"Questa è una brutta costa", si limitò a dire.
"Ha visto qualcosa?", insistette la mia amica.
C'era ancora un tremolio nella sua voce, ma il vecchio non parve farci caso.
"Che dovrei aver visto?"
"Qualcosa di strano."
"Ci sono molte cose strane, soprattutto su Sula", fu l'evasiva risposta.
"Che tipo di cose strane?", Becky non voleva arrendersi.
"Leggende. Miti... Da qui sono passati i normanni portando con sé i loro misteri, ma esistono magie più antiche."
Si rivolgeva soltanto a Becky, ignorando completamente sia papà che me, come se nemmeno esistessimo.
"Quali antiche magie?"
"La magia dei Kelpie, gli spiriti delle acque... il popolo delle foche. Loro vivono in questo posto. Per questo tuo padre era venuto qui. Ed è stato uno sbaglio."
"Perché?" Becky non cedeva.
"Non devi guardare. Se lo fai..."
"Guardare che cosa?"
"I Kelpie." Il vecchio si schiarì la gola mentre il vento si faceva più sferzante.
"Su, andate a piantare la vostra tenda", ci congedò. "Mettetevi a riparo. Questo vento non mi piace."
"Non le piace?", chiesi, aprendo bocca per la prima volta.
"è il vento dei Kelpie", rispose Macleish, e ci chiuse la porta in faccia.
A causa del vento gelido non ci fu facile puntare la tenda, ma finalmente ci mettemmo al riparo e tentammo di scaldarci. Oltre al sibilo del vento, sentimmo un nuovo rumore, una specie di rombo cupo.
"è il mare che si riversa in una caverna qua sotto" ci spiegò mio padre; uscendo fuori dalla tenda per mettere sul fornello a gas l'acqua per il tè.
Rabbrividii al pensiero delle tonnellate di acqua spumeggiante che tuonava sotto di noi. Mi immaginai chiuso in una caverna, intrappolato dalla marea, a pochi attimi dalla morte. E se a George fosse successo qualcosa di simile?
Nell'ombra della tenda guardai Becky, chiedendomi se pensasse alla stessa cosa, ma lei era seduta con le ginocchia tirate contro il petto e la testa china, così non riuscii a scorgerne l'espressione. Improvvisamente, la vidi irrigidirsi e alzare lo sguardo.
"Cos'è stato?"
Cercai di capire a chi si riferisse, ma non riuscii a sentire altro che il rombo dell'acqua.
"Ascolta", insistette Becky, "Stanno chiamando".
"Chi sta chiamando?"
Per un attimo pensai che si fosse addormentata e avesse sognato, ma i suoi occhi spalancati e atterriti mi dissero che non era così.
"Che succede?"
Papà infilò la testa nella tenda e ci versò il thè, porgendoci alcuni panini dall'aspetto poco invitante.
"Becky ha sentito qualcosa."
"Il mare", borbottò papà.
"No, era qualcos'altro", dissi guardando Becky preoccupato.
Vidi brillare nei suoi occhi una misteriosa luce disumana che mi spinse ad alzarmi in piedi di scatto, battendo la testa contro una traversa della tenda.
Becky mi guardò e sorrise.
"Ora lo senti anche tu, Derek."
La sua voce era quasi irriconoscibile: un rantolo profondo, animalesco.
Atterrito, stavo per chiamare papò, quando sentii un grido levarsi sotto di noi... Era un grido terribile, parte umano e parte animale. Guardai di nuovo Becky e fui scosso da un bribido di terrore: accucciata, lo sguardo stralunato, la mia amica lanciò un grido di risposta ancora più disperato e spaventoso di quello che avevo appena sentito.
"Che diavolo fate?", chiese papà, rientrando a precipizio nella tenda e inciampando negli zaini.
"è Becky. Sta male."
"Becky..." Ma Becky aveva alzato le mani davanti a sé e i suoi denti scintillavano nel buio.
"Kall Kallandis", farfugliò con voce dura, roca, inumana. Quindi urlò. "Kall Kallandis... Kallandis Raman."
Mentre papà e io la fissavamo sconvolti, una mano scostò il lembo dell'ingresso della tenda, e gli occhi allucinati di Mackleish e la sua faccia livida comparvero nella luce della luna.
"Chi ha lanciato il richiamo?", gridò.
Papà si volse verso di lui.
"Non capisco di che stia parlando. Becky sta male... Non è più lei."
"Ha lanciato il richiamo."
"Quale richiamo?", gridò papà.
"Quello dei kelpie. Il richiamo dei kelpie."
"Stupidaggini!"
Quando tornai a voltarmi verso Becky, sobbalzai di paura: la mia amica fissava Macleish con un misto di soggezione e meraviglia, e i suoi occhi brillavano di gioia.
"Raman", gridò, "Mia guida".
Macleish sorrise e ritrasse la testa, riaccostando il lembo della tenda.
"Aspetti!", gridò papà. "Macleish..."
"Becky", sussurrai. "Stai bene?"
Aveva in parte riacquistato il suo aspetto normale e quel terribile luccichio era scomparso dai suoi occhi, ma adesso mi aveva assalito una paura d'altro genere.
"Papà", balbettai.
"Quel vecchio pazzo...", borbottò lui, abbracciando Becky. "è matto. è pericoloso stargli vicino. Dice tante di quelle..."
"Papà!"
"Sì?"
"Hai visto la sua mano?"
"Perché?"
"Era pelosa", sussurrai.
"Che cosa?"
"La sua mano... il dorso della sua mano era coperto di pelliccia."
In qualche modo riuscimmo a mandare giù i panini e ci infilammo nei sacchi a pelo.
Becky si era ripresa ed era del tutto inconsapevole di quello che aveva fatto e detto, oltre che della comparsa di Mackeish. Papà, dal canto suo, non aveva trovato affatto interessante la mia osservazione sulle mani dell'eremita.
"Adesso si dorme", disse e un'occhiata alla sua faccia tesa mi tolse ogni voglia di protestare: papà è una di quelle persone abituate a dare ordini e ad aspettarsi che vengano eseguiti senza discussioni.
Comunque, ero ancora convinto che il mattino seguente, alla luce del sole, avremmo trovato la logica spiegazione di quei fatti misteriosi.
Il mattino, però, era ancora lontano. Sdraiato, sotto la tenda, mi coprii la testa col sacco a pelo per sfuggire al rombo del mare sotto di noi. Il vento ululava e gemeva ma, grazie all'abilità con cui papà aveva sistemato i pioli, la tenda resisteva alla sua rabbia.
Il chiarore della luna piena filtrava attraverso il nostro riparo rivelando le sagome dei sacchi a pelo e degli zaini. Non faceva troppo freddo, però mi sentivo stringere da una morsa gelida. Per un bizzarro fenomeno, il chiaro di luna parve diventare sempre più vivido, facendomi sentire molto a disagio.
Ero nel dormiveglia quando mi svegliai di colpo, sussultando, con la sensazione che stesse succedendo qualcosa di strano. Mi guardai intorno. Era tutto a posto: non mancava niente e nessuno. Poi il mio sguardo cadde su Becky, che dormiva con le mani incrociate sul sacco a pelo, e le vidi coperte di una morbida pelliccia bruna.
"Becky", sussurrai.
Non rispose.
"Becky", ripetei.
E in quell'istante lei si alzò e mi sferrò un pugno che mi fece cadere all'indietro, mandandomi a sprofondare in un tunnel buio.
Non so quanto tempo fosse trascorso prima che rinvenissi. Mi faceva male la testa e passò qualche secondo prima che riuscissi a ricordare che cos'era successo. Sconvolto, mi guardai intorno a giudicare dal ritmo regolare e profondo del suo respiro, papà dormiva pacificamente.
Becky, però, era scomparsa.
"Becky!"
Papà si svegliò.
"Che c'è?"
"Becky è uscita."
"Sarà andata a fare pipì", bofonchiò lui.
"Ma prima di uscire mi ha dato un pugno."
"Come?"
"Sì mi ha dato un pugno e mi ha letteralmente steso", confermai indignato.
"Non dire sciocchezze."
"Mi fa ancora male. Puoi controllare da te."
Papà mi puntò in faccia la torcia elettrica e fischiò.
"Accidenti! Ti ha fatto un occhio nero."
"Grazie."
"Perché avete litigato?", mi chiese bruscamente.
"Non abbiamo affatto litigato. Mi ha dato un pugno e basta."
"Ma perché?"
"Aveva le mani pelose."
Papà non replicò e non riuscii a capire se mi credeva oppure no.
"Sarà meglio che andiamo a vedere dov'è finita", disse dopo un po'.
"Vieni?"
"Ci puoi scommettere."
Sgusciai fuori dal sacco a pelo e uscii insieme a lui.
Era quasi l'alba e un chiarore diffuso rischiarava il paesaggio. Di Becky, però, non c'era traccia. Il rombo cupo proveniente dalla grotta sotterranea sembrava più forte.
"Dove può essersi cacciata?", mormorò papà preoccupato.
"Che cos'è, quello?", chiesi io con voce strozzata, indicando una protuberanza scura sull'erba.
"Una pecora."
"è troppo lunga. Si sta... si sta contorcendo", dissi, incapace di descrivere meglio quello che stavamo guardando. Era una sagoma brunastra... cilindrica, ma non esattamente...
Mi sfuggì un urlo: non era esattamente cilindrica semplicemente perché aveva una testa umana.
Anche mio padre dovette accorgersene nello stesso istante, perché improvvisamente mi si piazzò davanti proteggendomi col suo corpo.
"Dai, papà. Andiamo a dare un'occhiata."
"Non sappiamo che cos'è", disse esitante.
"E non lo sapremo mai, se non andiamo a controllare", sbottai.
Né io né lui avevamo il coraggio di dire che cosa ci sembrava di aver visto.
"D'accordo, però resta dietro di me."
"Va bene."
Pur essendo terrorizzato, ero troppo curioso per scappare, e comunque il fatto che papà fosse con me mi tranquillizzava.
"Allora?", chiesi quando si fermò.
"Aspetta."
"Papà"
"Non muoverti!"
"Che cos'è?"
"Non è possibile", mormorò, stringendomi a sé per impedirmi di guardare.
"Ma che cos'è?"
Incapace di resistere alla curiosità, mi divincolai dalla sua stretta. Quello che vidi mi lasciò senza fiato per il raccapriccio: là sull'erba c'era una foca scura e bagnata, e la sua testa era quella di Macleish.
La testa si voltò lentamente verso di noi e parlò con voce gutturale.
"è venuto da me. Troppo presto."
"Che cosa?", domandai con un filo di voce.
"Il vento dei kelpie."
"è diventato una foca..." dissi, chiedendomi se sognavo o se ero impazzito.
Anche papà era sbalordito.
"Ho cercato di correre alla spiaggia, ma era troppo tardi."
"Vuol dire che si è trasformato."
Era incredibile.
"Aiutatemi", gorgogliò, mentre la spaventosa mutazione seguiva il suo corso: pochi secondi dopo, una foca vera e propria mi fissava con occhi tristi. Dalla gola della creatura uscì strozzata una voce umana: "Portatemi sulla spiaggia o morirò."
Poi la voce si trasformò in un gemito rauco che mi fece gelare il sangue nelle vene.
Finalmente, papà parlò.
"E Becky? Dov'è Becky?"
Ripensai alla pelliccia sulle sue mani.
"Si sta trasformando anche lei, papà", dissi in tono inespressivo, troppo sconvolto per provare una qualsiasi emozione.
"Che cosa?"
"Sarà andata a cercare George. Vorrà riunirsi al padre."
All'improvviso, istintivamente, capii che cos'era successo.
"George è... un kelpie. Come lei. Come Macleish... come chiunque sbarchi su quest'isola nel momento sbagliato.
Guarda laggiù. Guarda."
L'alba traeva luccichii dalle onde spumose. E là due foche, una grande e una piccola, guizzavano appaiate.
George e Becky.
"Chiunque sbarchi su quest'isola nel momento sbagliato...", ripetè papà meccanicamente.
"Che aveva detto Macleish a proposito del vento? E se la trasformazione colpisse chiunque rimanga sull'isola per un certo periodo, anche solo una notte, quando soffia il vento dei kelpie?"
Rimasi impietrito.
"Come sarebbe?"
"Guardati le mani"
Impossibile. Non ne avevo il coraggio.
"Guardati le mani", insistette papà.
Obbedii col cuore in gola.
"Tutto a posto", gridai.
"Scappiamo", gli occhi di papà lasciavano trapelare il terrore e di colpo mi sentii vecchio... vecchio abbastanza da fargli da padre.
La foca che era stata Macleish gemette, facendoci sobbalzare.
"Non possiamo lasciarlo qui! Morirà di sicuro!" esclamai.
"Va bene, portiamolo in spiaggia. Poi cercheremo la sua barca e ce ne andremo. Dobbiamo allontanarci alla svelta."
"E Becky?"
"Ormai se n'è andata. Si è trasformata. Dai!", scattò impaziente. "Non c'è tempo da perdere."
Con uno sforzo enorme, afferrammo la foca e la trasportammo fino alla spiaggia, a tratti sollevandola e a tratti trascinandola. E per tutto il tempo, ero sicuro che mi stesse spuntando la pelliccia sulle mani. Temevo che ormai fosse troppo tardi per salvarci.
Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/a-luce-spenta-incipit.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/lo-schiavo-di-garry-kilworth.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/07/gli-specchi-incantati-racconto-teen.html