Il caprone (2) i veri significati

Per la prima parte dello scritto: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/il-caprone-1-i-veri-significati.html

Info tratte da


è verosimile porre in relazione con il fuoco la profusione di rosso che colora le celebrazioni di Natale. Il rosso è un colore imperante, a Natale. Si pensi alle vesti di Babbo Natale, candeline, regali, agrifoglio, stelle di Natale. (*)



In questo periodo il rimando più forte alla simbolica della luce viene interpretato da alcune figure simboliche, come S. Lucia. Lucia è una martire cristiana di Siracusa; la leggenda vuole che sia morta nel 310, uccisa dalle persecuzioni. Secondo la credenza, le furono strappati gli occhi prima di essere bruciata sul rogo (se preso come un'allegoria, è immagine del fuoco solstiziale).
Il nome della santa (Nota di Lunaria: che probabilmente non è neanche mai esistita o se una giovane fanciulla è stata uccisa, non è neanche detto che le abbiano strappato gli occhi e poi bruciata) tradisce un'affinità con la Dea Romana Lucina.




Juno Lucina era una versione della Dea Giunone, portatrice della luce, protettrice della vista e patrona delle partorienti che danno alla luce i figli. A lei si consacravano anche le sopracciglia. A somiglianza di Juno Lucina, l'iconografia ritrae santa Lucia con un piatto su cui giacciono i due occhi.


Nella figura di santa Lucia si ripropone anche il mitologema di chi rinuncia alla vista degli occhi per acquisire una visione spirituale delle cose.
La festa di santa Lucia è celebrata il 13 dicembre, che ovviamente coincide con il solstizio invernale.


Nei paesi scandinavi la figura di santa Lucia si sovrappone a figure precristiane celebrate nel periodo solstiziale.
Una leggenda del Medioevo nordico racconta che durante una carestia giunse una misteriosa nave carica di cibo; al timone vi sarebbe stata una radiosa fanciulla bionda, vestita di bianco (**). Ancora oggi, all'alba del 13 dicembre le adolescenti svedesi vestono un abito bianco e una corona con sette candele bianche e così agghindate portano caffè e dolci al resto della famiglia (***) 



In giornata poi si celebrano le processioni di santa Lucia, nel corso dei quali una ragazza bionda, sempre vestita di bianco, viene accompagnata da 12 ragazze biancovestite, con la testa cinta da coroncine di bosso e con la candela in mano.





Lucia appartiene alla folta schiera di figure leggendarie e generose che nel periodo di Natale portano regali. Anche in Veneto e in Trentino viene celebrata la festa di santa Lucia, dove la santa viene immaginata a cavallo di un asino, portando regali ai bambini buoni durante la notte. Ai bambini cattivi sarà consegnata una bacchetta con le spine. Per questa ragione la sera del 13 dicembre si lascia sul davanzale della finestra un piatto con crusca, destinata all'asino e una scarpa in cui verranno messi i regali. La scarpa (analoga alla calza della Befana) e risale a una leggenda del XIII secolo: per contrastare un'epidemia che portava cecità, i genitori di un paese organizzarono un pelleggrinaggio a piedi nudi al santuario della santa: per convincere i bambini ad andare scalzi, i genitori dissero di lasciare le scarpe a casa perché al ritorno le avrebbero trovate ricolme di dolci. Per portare i regali ai bambini, nelle regioni dell'Europa centro-settentrionale: santa Lucia assume le sembianze di una capretta. Il simulacro di una capra di paglia è entrato nell'iconografia più diffusa.


Nota di Lunaria: ovviamente qui lo scopiazzamento è ai danni di Frau Holle, L'Antica Holda/Berchta, una Dea germanica che poi "sarà usata" per l'iconografia della Befana. 


Holda è rimasta nel folklore germanico e persino nelle fiabe; era una Dea ambivalente, ritenuta sia benefica sia maligna. Berchta, anche chiamata Perchta, agli inizi probabilmente era una Dea differente, distinta da Holda, più "selvaggia" e legata alle selve.
Sarebbe lunga da riportare tutto lo studio, qui mi limito a dire che la Befana è ricalcata su queste Dee: Erodiade, Strenia, Holle, Holda, Berchta/Perchta, Abundia, Diana, tutte Dee legate ai cambi stagionali, ai falò, alla luce e ai voli notturni.
Poi, l'asino era comunque associato alle Dee: Shitala, Palden Lhamo, Kalaratri, Lamashtu.



L'asino ha un complesso simbolismo, analizzato anche da Bachofen. è un animale iperboreo e spesso ctonio.


Inoltre (anche se non posso dire molto, non avendola mai letta sui libri) anche Giunone dovrebbe essere associata agli asini:


e, anche se non sono riuscita a identificarla, anche nell'Induismo è stata adorata una Dea con la testa d'asino



Anche la capra era associata alle Dee:
 

In primis, a Giunone:

 
Inoltre, c'è anche Meldi Maa:




Anche in Afghanistan, prima dell'islam, si adoravano delle Dee associate alle capre e che cavalcano animali con le corna oppure Dee con le corna:


La capra era associata anche a Thor.


(*) Nota di Lunaria: OVVIAMENTE, il "natale" è COPIATO DA RITI PAGANI. Meglio ripetere per la miliardesima volta che sono solo i cattolici idolatri a stare appresso alla loro paccottiglia scopiazzata da cose pagane e non i cristiani non cattolici, che giustamente denunciano questa idolatria kitch. Infatti:













(**) Dee Immacolate erano Anahita, Kwan Yin, Bride. Il cattolicesimo ovviamente scopiazza.
 

(***) Altra usanza pagana, portare i dolci. Vedi  il culto a Strenia. Per ulteriori approfondimenti, vedi



Essendo le calende di gennaio uno dei Dies Fasti, cioè uno di quei giorni "il cui Sacro interviene per valorizzare l'azione dell'uomo e dargli la sua piena fiducia" [...] ci si scambiava anche visite, durante le quali si facevano e ricevevano auguri e "Strenae" come rami di alloro (con i quali si ornavano anche gli stipiti delle porte delle case), datteri, fichi secchi, miele (1), noci rivestite di uno strato di zafferano oppure dorate o argentate.

A Giano si offriva in quel giorno una focaccia di frumento e sale, chiamato "Ianual".
Nel Basso Impero, "si offrivano al posto dei datteri e delle noci, dei "Popana", focacce al miele ricoperte di foglie dorate". Tutti doni dolci, che intendevano quindi augurare e promuovere la prosperità e auspicavano la "dolcezza" dell'anno nuovo. Il dono reciproco di monete manifestava chiaramente "L'intenzione magica di determinare, l'anno avvenire, la ricchezza materiale".

Più tardiva è l'usanza di offrire oggetti, ad esempio lucerne di terracotta, che portavano incisi simboli o frasi augurali.

I Compitalia, festa dei Compita, cioè dei crocicchi, erano una festa mobile, ma che doveva essere celebrata prima del quarto di Luna di gennaio.
In quel giorno, i contadini e gli schiavi delle proprietà rurali si riunivano nel Compitum, modesto santuario eretto nel crocicchio sacro; vi portavano dei gioghi rotti, dei vomeri di aratro, simbolo della chiusura dei lavori agricoli e dei doni che offrivano ai Lari, dei dolci, delle ghirlande di fiori e sospendevano davanti all'altare dei gomitoli e delle bambole di lana in numero uguale a quello degli schiavi della tenuta e dei membri della famiglia. Poi, a nome del suo padrone, il villicus offriva un sacrificio.

(1) Il miele è citato anche nella Bibbia e proibito come offerta a javè, proprio perché era offerto alle Dee.  I Gitani, in passato, spesso lo offrivano alle Ourmes, le Dee del Destino. Il miele e l'ape sono collegati alla Dea: Melissa-Bisu Mate... L'ebraismo infatti NON offriva miele a javè. Il miele era offerto agli Dei e alle Dee dei popoli politeisti anche se nella bibbia si parla di "terra dove scorrono latte e miele"; e del resto, tale cosa, è ripresa anche dall'Aquinate, con abbondanza di particolari e l'avevamo vista parlando di Slavi. http://intervistemetal.blogspot.it/2018/03/gli-slavi-1-introduzione.html


Altro approfondimento:
 

tratto da



Nota Bene: prima di vedere Strenia, è meglio ribadire che l'idea di una "Vergine che partorisce un bambino a Natale" è SCOPIAZZATO DAI CULTI PAGANI DI ELIOLATRIA, CIOè DI ADORAZIONE DEL SOLE.
Si pensava che il 25 dicembre il Sole ritornasse perché lo si scorgeva un poco più alto sull'orizzonte, rispetto al 21. Il 25 dicembre venne quindi ritenuto il giorno di nascita del Sole e l'imperatore Aureliano ne aveva introdotto la celebrazione ufficiale con i riti del Dies Natalis Solis Invicti, il giorno natale del Sole Invitto, considerato manifestazione visibile del Sole Divino.

MEGLIO METTERE UNA PROVA, PRIMA CHE QUALCHE IGNORANTE STARNAZZI COSE DEL TIPO "NON è VERO NIENTE! è UNA COSA CHE TI INVENTI TU! NON HAI MAI LETTO UN LIBRO!!!"




Le feste di inizio anno erano celebrate in onore di Giano e della Dea Strenia. Giano, divinità solare latina che veniva rappresentata bifronte, era il Dio che presiedeva alle porte, alle vie della terra e del cielo, all'agricoltura. (Nota di Lunaria: anche alla Divinazione perché un volto vedeva il passato, l'altro il futuro). L'anno cominciava da lui e il primo mese, Januarius, portava il suo nome. Strenia, invece, era la personificazione della salute pubblica ed era Divinità che i Romani avevano ereditato dai Sabini: in Roma le era stato eretto e dedicato un tempio presso il Colosseo e i Romani attribuivano a Lei la facoltà di presiedere ai doni di Capodanno. Strenia fu per gli adulti e per i bambini dell'antica Roma quello che poi la Befana rappresentò per i bambini e adulti nell'età moderna.

Nota di Lunaria: e infatti, neppure il Capodanno "è cristiano"




Le Sigillaria, le Feste dei Doni, che avevano inizio il primo giorno di gennaio, seguivano i Saturnali e il Natale del Sole. Pare che fossero state istituite da Tazio, re dei Sabini e "collega" di Romolo, il primo re di Roma. Si chiamavano così per la consuetudine di scambiarsi in occasione di queste feste dei doni augurali e di offrire agli Dei Lari piccole statuette per lo più di argilla, ma anche di bronzo e più tardi perfino d'argento e di oro, che avevano funzione espiatoria e intendevano, almeno in origine, sostituire i sacrifici umani, specialmente di fanciulli, offerti dai primi Latini a Saturno. Queste statuette erano dette Sigilla, dal latino "Sigillum", diminutivo di "Signum", statua. Nei tempi più lontani i doni che ci si scambiava in tale occasione (e che dal nome della Dea si chiamavano "strenae", strenne) consistevano in povere e simboliche cose. Si fa risalire a Tazio l'uso di offrire per il nuovo anno i rami sacri tagliati dal bosco e dedicati alla Dea Strenia, il Lucus Streniae, che si trovava al principio della Via Sacra, sul Velia.

Fotografiamo, prima che qualche cristianucolo metta in dubbio e sostenga che non è vero niente, che sono i cristiani cattolici che hanno inventato l'usanza di scambiarsi i regali...




Guarda un po'! L'elemento arboreo di ramoscelli intrecciati è presente anche nel culto cattolico!

Questi primi doni consistevano in ramoscelli sacri di alloro o di olivo, fichi e miele (poiché il nuovo anno potesse essere sempre dolce) e a volte anche di datteri. Più tardi a queste semplici offerte si sostituirono ricchi donativi e nacque l'uso di offrire all'imperatore ricche strenne. [...] Le Sigillaria si inauguravano con un sacrificio a Giano, nel primo giorno di gennaio, consistente nell'offerta di una focaccia chiamata "Janual", che veniva preparata in differenti forme, con farina di frumento, anice, miele. (1) [...] Le Sigillaria erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i loro Sigilla (di solito di pasta dolce) in forma di bamboline e animaletti. Molti genitori acquistavano i Sigilla per i loro figlioletti nella Via Sigillaria e in due mercati appositi, l'uno nel Campo Marzio e l'altro sull'Esquilino; insieme ai Sigilla, là si trovavano anche altri oggetti che potevano essere occasione di strenne. La tradizione degli auguri, delle strenne e dei doni ai bambini si radicò così profondamente nella gente, che persino la chiesa, dopo aver cercato invano di cancellarla dai costumi dei primi cristiani, poiché uso di origine pagana, dovette arrendersi e tollerarla.
 



Cosa simboleggiava il carbone, donato ai bambini cattivi?
Probabilmente, era l'immagine del peccato che anneriva l'anima. Dalla quantità di carbone nella calza, il bambino poteva stimare il metro del suo comportamento.

(1) Offrire le focacce era presente anche nel politeismo semita. Lo sappiamo (anzi, lo sa chi legge la bibbia, non è il caso dei cattolici, quindi...) leggendo Geremia, e la sua invettiva contro la Regina dei Cieli, ovvero Astarte/Ishtar (no, cari cattolici, non si intendeva la vostra madonna con il titolo "Regina dei Cieli"... Lo abbiamo visto qui  http://intervistemetal.blogspot.it/2018/04/siria-2-litolatria-atargatis-astarte.html )



Regina dei Cieli: Titolo di una Divinità adorata da israeliti apostati all’epoca di Geremia. — Ger 44:17-19. Anche se riguardava principalmente le donne, tutta la famiglia partecipava in qualche modo all’adorazione della “regina dei cieli”. Le donne cuocevano al forno focacce sacrificali, i figli raccoglievano la legna per il fuoco e i padri lo accendevano. (Ger 7:18)


L’adorazione di questa Dea ebbe forte presa sugli ebrei, come risulta dal fatto che coloro che erano fuggiti in Egitto dopo l’assassinio del governatore Ghedalia attribuirono la loro calamità all’aver trascurato di offrire fumo sacrificale e libagioni alla “regina dei cieli”. Il profeta Geremia dimostrò vigorosamente l’erroneità della loro idea. — Ger 44:15-30.

Le Scritture non specificano l’identità della “regina dei cieli”. È stata avanzata l’ipotesi che si trattasse della Dea sumera della fertilità, Inanna, l’Ishtar babilonese. Il nome Inanna significa letteralmente “regina del cielo”. Alla corrispondente divinità babilonese, Ishtar, i testi accadici attribuiscono i titoli di “regina dei cieli” e “regina dei cieli e delle stelle”.

Sembra che l’adorazione di Ishtar fosse diffusa anche in altri paesi. Scrivendo ad Amenofi III, in una delle tavolette di Tell el-Amarna, Tushratta menziona “Ishtar, padrona del cielo”. Sempre in Egitto, un’iscrizione di Horemheb, che si pensa abbia regnato nel XIV secolo a.E.V., menziona “Astarte [Ishtar] signora del cielo”. Un frammento di stele rinvenuto a Menfi e risalente al regno di Merneptah, sovrano egiziano il cui regno è datato al XIII secolo a.E.V., raffigura Astarte con l’iscrizione: “Astarte, signora del cielo”. Nel periodo persiano, a Siene (l’attuale Assuan), Astarte era soprannominata “la regina dei cieli”.

L’adorazione della “regina dei cieli” era ancora praticata nel IV secolo E.V. Verso il 375 E.V., nel suo trattato Panarion (79, 1, 7),

Epifanio scrisse: “Certe donne addobbano una specie di carro o di portantina e, dopo avervi steso sopra un telo di lino, in un certo giorno festivo dell’anno vi pongono dinanzi per alcuni giorni una pagnotta che offrono nel nome di Maria. Poi tutte le donne mangiano di quel pane”. Epifanio (79, 8, 1, 2) collega queste usanze con l’adorazione della “regina dei cieli” menzionata in Geremia e cita Geremia 7:18 e 44:25. — Epiphanius, a cura di Karl Holl, Lipsia, 1933, vol. 3, pp. 476, 482, 483.

Stralcio tratto da





O, per chi fosse schizzinoso e non volesse il commento geovista alla cosa, Lunaria ha anche il commento tratto da





Visto? Offrire focacce e miele non solo era pratica pagana greco-romana ma persino semita. E se poi vogliamo essere precisine, anche gli Slavi pre-cristiani erano grandi amanti del miele. Ne ricavavano una sorta di idromele. Lo abbiamo visto qui: http://intervistemetal.blogspot.it/2018/03/gli-slavi-1-introduzione.html

Eh, con i cristiani è così. Devi fotografare ogni singola virgola dei libri che leggi, sennò i signorini insinuano che tu sei una deficiente ignorante sulla loro "bella religione"... e che quindi non puoi parlare né commentare....


ALTRO APPROFONDIMENTO 

tratto da



Lupo e capra nella festa dei Lupercalia
 

Una delle difficoltà che tuttora ostacolano la comprensione della festa romana dei Lupercalia, si riscontra già nei primi versi della nostra fonte più dettagliata, i "Fasti" di Ovidio, II 267-68

"Tertia post Idus nudos aurora Lupercos
aspicit, et Fauni sacra bicornis eunt"

"L'alba del 15 febbraio scorge i nudi Luperci e si svolgono le cerimonie di Fauno bicorne" celebrate da questi uomini nudi, che, nell'esecuzione del rito, prendono il loro nome sacrale dal lupo, mentre il dio da loro servito non è concepito come un lupo, bensì con le corna. Non vi può essere alcun dubbio che queste corna siano quelle di un caprone. Sacrificio di capra, pelle di capra, sangue di capra hanno nelle cerimonie di quel giorno una parte così caratteristica, che gli eruditi romani hanno voluto far derivare la parola Lupercali persino dal nome della capra "quasi luere per caprum".
Di tutte le etimologie proposte per la parola "lupercus" nei tempi antichi e moderni, linguisticamente non regge che quella da "lupus" in analogia con "novenca" da "novus". I Luperci quindi sarebbero lupi. è una definizione con cui si accorda anche la caratterizzazione data di loro da Cicerone "Pro Caelio" II,26: "Fera quaedam sodalitia et plane pastoricia atque agrestis germanorum Lupercorum, quorum coitio illa silvestris ante est instituta quam humanitas atque leges". "That the wolf was the animal of the fugitive, the exile and the outcast from human society has long been known.", così riassume l'ultimo studio fondamentale sulle etimologie possibili della parola le relative cognizioni degli studiosi dell'antichità, senza prendere in considerazione il passo di Cicerone. Ma S.J.G.Frazer, nel suo commento ai "Fasti" si è rivolto contro la semplice etimologia che conserva il significato della parola-base "lupus": "If the Luperci personated any animal, it was apparently not the wolf, but the goat, for they sacrificied goats, were clad in girdles of goatskin, wielded thongs of goatskin, and were popularly known by name (creppi) which seem to have signified "goats". How could they can be called "Wolves"?
Così egli ha trovato che la spiegazione linquisticamente insostenibile di A. Schwegler - "lupercus" come parola composta da "lupus" e "hircus", come "caprone-lupo" - fosse ancora più facilmente accettabile. Dichiarandosi in questo senso, egli si appoggiò su un'ipotesi completamente priva di documentazione, proposta da Mannhardt che aveva ammesso che l'uno dei collegi dei Luperci, quello dei Quinctiales, consistesse originariamente di "lupi", l'altro, quello dei Fabii, di "caproni" e ambedue uniti si chiamassero Luperci. Pura invenzione sorta dall'imbarazzo in cui ci mette il fatto paradossale che nel culto i Luperci ci appaiono come "lupi" e "caproni" nello stesso tempo, cioè - non nel loro nome, ma nella loro funzione in una cerimonia di purificazione e di fecondazione - come "caproni-lupi".
Non bisogna negare questo fenomeno apparentemente contradditorio della religione romana, non spiegabile nel senso e dagli effetti del fenomeno naturale "lupo". E la contraddittorietà non è granchè diminuita dal fatto che anche nel Dio Fauno stesso si è riusciti a dimostrare un originario "Dio-Lupo". è stato ritrovato l'originario significato del suo nome, "strangolatore, lupo" e con ciò ha ricevuto conferma il fatto che nella tradizione Fauno stesso portava il nome Lupercus. Originariamente dunque i Luperci come "lupi" servivano un Dio "Lupo", rappresentandolo cultualmente. L'analogia più stretta citata per questo caso è quella degli Hirpi Sorani, sacerdoti del Dio del monte Soratte.

Servio traduce il nome di questi sacerdoti - che certamente costituivano ugualmente una fera sodalitia - con la parola "lupo" e definisce il loro dio come il grande dio degli inferi: "Nam lupi Sabinorum lingua vocantur hirpi. Sorani vero a Dite, nam Ditis pater Soranus vocatur quasi lupi Ditis patris". A questo proposito si è potuto poi ricordare il dio degli inferi degli Etruschi, raffigurato con la testa di lupo e in pelle di lupo. Anzi, si potrebbe accennare anche a ulteriori connessioni che a questo "Dio lupo" conferiscono, nelle vicinanze di Roma e a Roma stessa, tratti del tutto caratteristici.
Egli viene invocato nell'Eneide di Virgilio XI 785 con le parole "Summe Deum, sancti custos Sonactis Apollo"

Il passaggio attraverso il fuoco, cui l'adoratore allude, è una cerimonia purificatrice nel senso delle parole di Ovidio (Fasti, IV 554): "Purget ut ignis" 
Così il Dio-lupo del Soratte appariva dunque sotto un aspetto in cui Virgilio non fu il primo a riconoscere il Dio puro e purificatore, Apollo, che, proprio in questo suo carattere di annientatore di ogni cosa impura, aveva un particolare aspetto di lupo. Lo stesso dio oscuro si riconosce a Roma, in Veiovis, uno "Zeus Infero", uno Iuppiter giovane, che qui veniva raffigurato addirittura nel tipo dell'Apollo greco, con l'arco, ma anche con una capra. Faunus e Iuppiter avevano un santuario comune nell'Isola Tiberina e questo Iuppiter non era altro che, appunto, Veiovis cui certamente non a caso si è associato poi Asclepio, il figlio che già in Epidauro era venerato insieme con Apollo. E solo partendo dal fatto che in Veiovis i Romani stessi non riconoscevano soltanto un Apollo oscuro, bensì anche il Dio-Lupo, si comprenderà il senso di una singolare evoluzione nella storia dei Luperci. 
Nell'anno 44 a.c si è costituito un terzo collegium di Luperci accanto a quello dei Quinctiales o Quintilii, e a quello dei Fabii (o Fabiani), il collegium dei Luperci Iulii, fondato in onore di Giulio Cesare; un'istituzione che non è sopravvissuta alla morte del dittatore. Essa però doveva avere un fondamento religioso, e questo non era che la particolare venerazione di Veiovis, da parte della gens Iulia, documentata da un'iscrizione dei Gentiles Iuliei, a Bovillae, dall'età repubblicana. Tale venerazione più tardi si esprimeva in stile greco nell'accentuato culto di Apollo da parte di Augusto, mentre in maniera antico-romana essa ha preso forma nella fondazione di una nuova "confraternita di lupi".
L'evocazione storica di un tale dio-lupo, quale divinità originaria dei Lupercali, non dissipa, come si è detto, le contraddizioni, nei riti delle festa che comprendono un sacrificio di capra e altre cose connesse. Se si volesse prescindere completamento dallo sfondo naturale, considerando il "Lupo" e i "lupi" semplicemente coe animali dell'anima e spiriti dei morti, ciò non risolverebbe il problema, in quanto in questo caso resterebbero sempre da domandarsi come mai questo spettrale lupo degli inferi rappresentato da uomini ha potuto alla fine assumere forme così differenti come quella di Apollo in Soranus e in Veiovis e quella di Pan in Faunus? Perciò noi non vogliamo, neanche in seguito, mettere in primo piano queste due figure greche, ma restiamo presso gli animali caratteristici del culto romano, cercando di risolvere il problema della loro simultanea presenza nello stesso rito festivo. Le nostre considerazioni hanno mostrato che in questa questione bisogna partire con metodo storico dal lupo. Un dio-lupo ci si è rivelato come storicamente afferrabile, e precisamente in connessione con riti più di purificazione che non di fecondità.
Nella sfera di un dio-lupo ci si attenderebbe un sacrificio di lupo.
Abbiamo notizie di sacrifici di lupo offerti ad Apollo in Argos. Ma, nell'indagine sui fatti religiosi in cui la figura di lupo di una divinità - per esempio di un divino capostipite - ha una sua parte, si è potuto conservare che questo animale selvaggio spesso veniva sostituito dal suo prossimo parente addomesticato: il cane.
In Grecia, l'animale sacro di Asclepio, figlio di Apollo, non è il lupo, bensì il cane. Nella feste dei Lupercalia non manca il sacrificio di cane. Plutarco che ne dà testimonianza, lo spiega ricordando la concezione greca dei sacrifici di cane come riti di purificazione.

Il carattere purificatorio delle cerimonie dei Lupercalia risalta da molte testimonianze esplicite. Il nome del mese, il cui centro è occupato da feste di Fauno - il 13 sacrificio a Fauno nell'isola Tiberina, il 15 i Lupercalia - "Februarius", si connette a "Februus", e a "Februum". "Februus" significa "Il purificatore", il Dispater, (come nella lingua dei Romani si può chiamare anche il Soranus) il Dio degli inferi sotto il suo aspetto di "purificatore"; il "Februum" è "ciò che purifica", lo strumento della purificazione. Nella festa dei Lupercalia a questo scopo servivano da fruste cinghie usate e fatte della pelle della capra sacrificata. I Luperci, correndo in giro nudi, cinti soltanto di un grembiule fatto della stessa pelle, picchiavano con quelle cinghie coloro che incontravano, purificandoli in questo modo. Questo loro atto si chiamava "Februare": un verbo che con "Februus" sta nei medesimi rapporti con il verbo greco dal significato di "purificare" sta con l'appellattivo di Apollo: Foibo [Nota di Lunaria: il termine dovrebbe essere "Foibos", tuttavia, visto che non so scrivere il greco, non assicuro la correttezza integrale del termine]

L'analogia più stretta che spiega completamente questo rito di purificazione è stata ritrovata da W.F.Otto. Si tratta di una storia miracolosa tramandataci tra gli scritti di Plutarco. Una fanciulla che, in modo caratteristico, portava il nome di Valeria Luperca, doveva esser sacrificata a Iuno in Falerii. Ma ecco che un'aquila fa cadere sull'altare un martello. Con il colpo di questo martello, Valeria Luperca guarisce gli ammalati di peste: vale a dire essa li purifica dalla peste. Il martello è è un attributo del dio degli inferi etruschi, Charun, ben noto da numerose raffigurazioni. 



Nota di Lunaria: il martello è attributo anche di Sucellos



Il metodo della purificazione è quello stesso che, quale oracolo di Apollo, è diventato proverbiale: "ciò che ferisce anche guarirà". L'identità tra ciò che porta danno e ciò che guarisce non si riconosceva soltanto nella persona agente - una divinità o una persona umana - bensì si esprimeva anche per mezzo di un identico strumento. Così anche in quel mito che tratta del citato oracolo, secondo una versione la lancia di Achille guarisce la ferita di Telephos prodotto da essa stessa.
Strumenti ambivalenti come quella lancia sono anche il martello di Valeria Luperca e le cinghie dei Luperci.



L'ambivalenza è propria, in pari tempo, della divinità cui appartengono questi strumenti di purificazione. Ma la frusta di pelle di capra appartiene a un lupo divino, è usata da lupi umani e anche in questo dettaglio sottolinea il carattere problematico della festa dei Lupercalia.
Il quadro di insieme che noi desideriamo comprendere consiste in tutti quei dettagli che la tradizione ci riferisce e di cui qui abbiamo scelto solo quelli che mettono in evidenza una contraddizione nei riti dei Lupercalia. In questa sfera religiosa l'ambivalenza stessa non costituirebbe una contraddizione intollerabile, né sarebbe di per sé poco naturale. Poco naturale ci sembra soltanto che il culto della medesima divinità possa trovare la sua caratteristica forma d'espressione ora nella figura del lupo ora in quella della capra. Ora se noi continuiamo a fissare la nostra attenzione sull'elemento di natura, scorgeremo, nel quadro d'insieme, una differenza che distingue i Lupercalia dagli altri culti del Dio lupo e anzitutto da quel culto in cui questa divinità appare sotto le forme di Apollo Soranus, Dio degli inferi mortifero come la peste e purificatore come il fuoco. Nella leggenda cultuale del Soratte, trasmessaci da Servio, si tratta anche di una caverna di lupi, descritta come una specie di ingresso degli inferi: "Halitum ex se pestiferum emittentem" In questo testo si esprime l'impressione mortale dell'arido paesaggio roccioso in cui si trovava il luogo di culto del Soranus. L'alito pestifero va preso altrettanto poco alla lettera che il crepaccio e i vapori a Delfi.

La festa dei Lupercalia si svolgeva effettivamente presso una caverna di lupi, il Lupercal. Ma quale differenza nella natura dei due luoghi di culto: il paesaggio del Soratte e quell'angolo del Palatino! Si legga la ricca descrizione di questo in Dioniso d'Alicarnasso. Virgilio ha eternato la piacevole frescura del luogo con le parole "gelida sub rupe Luperca!"
Ancora nel tempo di Augusto le sorgenti vi zampillavano così abbondantemente che bisognava incanalare le loro acque in grosse costruzioni artistiche. L'albero sacro che originariamente apparteneva a questo luogo di culto era un fico.
è noto quanto strettamente siano connessi, grotta e albero alle origini di Roma (*). Sia ricordata qui soltanto una cosa puramente attinente alla natura, messa in rilievo nel commento del Frazer: l'appartenenza del fico a una particolare sfera meridionale delle piante coltivate. E merita attenzione anche la stretta connessione tra fico e capra nel linguaggio dell'agricoltura romana, in cui il fico maschile, il cosiddetto fico selvatico, si chiamava "caprificus", la fecondazione artificiale del fico femminile era detta caprificatio. Anche se non si può accettare senza critica tutte le conseguenze che il grande commentatore trae dalle sue analogie meridionali, tuttavia un'idea già di per sé abbastanza verosimile acquista così un particolare rilievo: l'idea cioè che anche la capra possa esser concepita nella festa dei Lupercalia come un caratteristico elemento meridionale.

Siamo partiti dalla figura del lupo, quale figura d'animale decisiva per le cerimonie dei Lupercalia. Sotto questo aspetto, tali cerimonie ci sono apparse come riti di purificazione, attinenti sia agli uomini che alle donne. Si son potute citare analogie abbastanza vicine dal territorio italico e meno vicine dalla sfera del culto di Apollo. In base a queste, sembra quasi che l'opinione secondo cui il colpo purificatore sarebbe toccato specialmente alle donne e le avrebbe rese feconde, fosse un'aggiunta piuttosto inorganica al contenuto religioso generale della festa. Contro quest'apparenza sta però il fatto che l'azione sacra, anche come rito di purificazione, era esplicitamente riferita alle donne: "Lupercalia, quo die mulieres februabantur a lupercis". è evidente che per questa ragione la festa è stata sostituita più tardi da una festa cristiana ugualmente attinente all'elemento femminile: la "Purificatio Mariae Virginis" del 2 febbraio.

La grande "Purificata" della festa dei Lupercalia era originariamente Iuno, la Dea che rappresentava la femminilità delle donne romane in generale. 



 Essa perciò porta anche il nome di Iuno Februata e ciò dimostra più di tutte le testimonianze esplicite, come è essenziale il riferimento della festa alle donne. La pelle di capra di cui si facevano le cinghie era considerata come "Amiculum Iunonis", elemento del suo costume che ornava anche la sua immagine cultuale a Lanuvio. 



(*) 
Per approfondire il culto nelle grotte, vedi per esempio libri come questi:



p.s. Lupercalia è una delle band più di culto della scena Neo Folk "esoterica" italiana.



... ma scavando su Metal Archives, si risale anche ai Lupercalia che suonano un Gothic Melodic Black Metal
https://www.metal-archives.com/bands/Lupercalia/11813





e voi chi preferite tra i due? :D

APPROFONDIMENTO: LA CAPRA DEL BEZOAR (CAPRA HIRCUS)


La Capra del Bezoar (Capra hircus) appartiene a quel gruppo di stambecchi variabili nel loro aspetto da un capo all'altro del loro habitat, dalla Spagna al vicino Oriente. La Capra del Bezoar è più fine, più graziosa, più leggera dello Stambecco delle Alpi. 
Pur avendo, nell'insieme, la forma di uno stambecco, è lunga al massimo un metro e mezzo ed è alta poco metro di un metro.
Le sue corna sono molto lunghe, sottili, ricurve a scimitarra come le sciabole arabe e ornate da un numero ridotto di anelli, il che le differenzia immediatamente dagli stambecchi di montagna europei che ne hanno molti di più.
Il mantello della Capra del Bezoar non è molto lungo; nella stagione invernale è di un bel colore rossastro, nella stagione estiva diventa grigio o addirittura giallastro. Su questi colori spiccano la barbetta piuttosto lunga ed una striscia che percorre il collo, il dorso e la coda, di colore nero. Le parti inferiori sono molto chiare.
Alcune Capre, come quelle che vivono nelle Sporadi del Nord e su Antimilos sono considerate come le discendenti delle capre domestiche ritornate allo stato selvaggio; quelle di Creta (Capra hircus cretensis) sembrano autentici animali selvaggi; rimangono sulle cime delle rocce più inaccessibili dei loro regni, il più lontano possibile dagli uomini, divisi in gruppi di maschi e in gruppi di femmine, con delle sentinelle per ogni gruppo.
La carne delle Capre del Bezoar come quella degli stambecchi è considerata una delle migliori e questo capre hanno certo contribuito, con altre capre selvagge del vicino Oriente, alla creazione delle razze domestiche di capre che conosciamo.
Tuttavia, la loro influenza sulla vegetazione è catastrofica perché salendo sugli alberi li uccidono rodendo le loro gemme.