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Il rosso è il colore del Natale perché è in relazione con il rosso; per questo lo associamo a Babbo Natale, alle candele, ai regali, alle Stelle di Natale, all'agrifogilio.
Il rimando alla luce è interpretato anche da figure simboliche come Santa Lucia, una martire cristiana di Siracusa, uccisa nel 310; le furono strappati gli occhi, prima di essere bruciata sul rogo (se preso come un'allegoria, è immagine del fuoco solstiziale).
Il nome della santa è in affinità con la Dea romana Lucina, una versione di Giunone, protettrice degli occhi, portatrice di luce e patrona delle partorienti.
Come allegoria, santa Lucia rimanda a chi rinuncia "alla vista materiale" per averne una spirituale. La festa di santa Lucia è celebrata il 13 dicembre, che coincide con il solstizio invernale. Nei paesi scandinavi Santa Lucia è celebrata con elementi precristiani.
Una leggenda del Medioevo nordico racconta che durante una carestia giunse una misteriosa nave carica di cibo; al timone vi sarebbe stata una radiosa fanciulla bionda, vestita di bianco. Ancora oggi, all'alba del 13 dicembre le adolescenti svedesi vestono un abito bianco e una corona con sette candele bianche e così agghindate portano caffè e dolci al resto della famiglia.
Nelle processioni nordiche dedicate a santa Lucia la ragazza bionda vestita di bianco viene accompagnata da 12 ragazze biancovestite, con la testa cinta da coroncine di bosso e con la candela in mano.
Anche Lucia era associata ai regali: in Veneto e in Trentino la santa viene immaginata a cavallo di un asino, portando regali ai bambini buoni durante la notte. Ai bambini cattivi sarà consegnata una bacchetta con le spine. Per questa ragione la sera del 13 dicembre si lascia sul davanzale della finestra un piatto con crusca, destinata all'asino e una scarpa in cui verranno messi i regali. La scarpa (analoga alla calza della Befana) e risale a una leggenda del XIII secolo: per contrastare un'epidemia che portava cecità, i genitori di un paese organizzarono un pellegrinaggio a piedi nudi al santuario della santa: per convincere i bambini ad andare scalzi, i genitori dissero di lasciare le scarpe a casa perché al ritorno le avrebbero trovate ricolme di dolci. Per portare i regali ai bambini, nelle regioni dell'Europa centro-settentrionale: santa Lucia assume le sembianze di una capretta. Il simulacro di una capra di paglia è entrato nell'iconografia più diffusa.
Nota di Lunaria: altra figura legata all'inverno è Frau Holle, l'Antica Holda/Berchta, che "servì" da immaginario per la Befana
La capra era associata a diverse divinità femminili o a storie mitologiche; si pensi alla capra Amaltea o a Giunone\Iuno caprotina o a Dee indù come Meldi Maa:
La capra era associata anche a Thor e a Pan.
ALTRO APPROFONDIMENTO
tratto da
Lupo e capra nella festa dei Lupercalia
Una delle difficoltà che tuttora ostacolano la comprensione della festa romana dei Lupercalia, si riscontra già nei primi versi della nostra fonte più dettagliata, i "Fasti" di Ovidio, II 267-68
"Tertia post Idus nudos aurora Lupercos
aspicit, et Fauni sacra bicornis eunt"
"L'alba del 15 febbraio scorge i nudi Luperci e si svolgono le cerimonie di Fauno bicorne" celebrate da questi uomini nudi, che, nell'esecuzione del rito, prendono il loro nome sacrale dal lupo, mentre il dio da loro servito non è concepito come un lupo, bensì con le corna. Non vi può essere alcun dubbio che queste corna siano quelle di un caprone. Sacrificio di capra, pelle di capra, sangue di capra hanno nelle cerimonie di quel giorno una parte così caratteristica, che gli eruditi romani hanno voluto far derivare la parola Lupercali persino dal nome della capra "quasi luere per caprum".
Di tutte le etimologie proposte per la parola "lupercus" nei tempi antichi e moderni, linguisticamente non regge che quella da "lupus" in analogia con "novenca" da "novus". I Luperci quindi sarebbero lupi. è una definizione con cui si accorda anche la caratterizzazione data di loro da Cicerone "Pro Caelio" II,26: "Fera quaedam sodalitia et plane pastoricia atque agrestis germanorum Lupercorum, quorum coitio illa silvestris ante est instituta quam humanitas atque leges". "That the wolf was the animal of the fugitive, the exile and the outcast from human society has long been known.", così riassume l'ultimo studio fondamentale sulle etimologie possibili della parola le relative cognizioni degli studiosi dell'antichità, senza prendere in considerazione il passo di Cicerone. Ma S.J.G.Frazer, nel suo commento ai "Fasti" si è rivolto contro la semplice etimologia che conserva il significato della parola-base "lupus": "If the Luperci personated any animal, it was apparently not the wolf, but the goat, for they sacrificied goats, were clad in girdles of goatskin, wielded thongs of goatskin, and were popularly known by name (creppi) which seem to have signified "goats". How could they can be called "Wolves"?
Così egli ha trovato che la spiegazione linquisticamente insostenibile di A. Schwegler - "lupercus" come parola composta da "lupus" e "hircus", come "caprone-lupo" - fosse ancora più facilmente accettabile. Dichiarandosi in questo senso, egli si appoggiò su un'ipotesi completamente priva di documentazione, proposta da Mannhardt che aveva ammesso che l'uno dei collegi dei Luperci, quello dei Quinctiales, consistesse originariamente di "lupi", l'altro, quello dei Fabii, di "caproni" e ambedue uniti si chiamassero Luperci. Pura invenzione sorta dall'imbarazzo in cui ci mette il fatto paradossale che nel culto i Luperci ci appaiono come "lupi" e "caproni" nello stesso tempo, cioè - non nel loro nome, ma nella loro funzione in una cerimonia di purificazione e di fecondazione - come "caproni-lupi".
Non bisogna negare questo fenomeno apparentemente contradditorio della religione romana, non spiegabile nel senso e dagli effetti del fenomeno naturale "lupo". E la contraddittorietà non è granchè diminuita dal fatto che anche nel Dio Fauno stesso si è riusciti a dimostrare un originario "Dio-Lupo". è stato ritrovato l'originario significato del suo nome, "strangolatore, lupo" e con ciò ha ricevuto conferma il fatto che nella tradizione Fauno stesso portava il nome Lupercus. Originariamente dunque i Luperci come "lupi" servivano un Dio "Lupo", rappresentandolo cultualmente. L'analogia più stretta citata per questo caso è quella degli Hirpi Sorani, sacerdoti del Dio del monte Soratte.
Servio traduce il nome di questi sacerdoti - che certamente costituivano ugualmente una fera sodalitia - con la parola "lupo" e definisce il loro dio come il grande dio degli inferi: "Nam lupi Sabinorum lingua vocantur hirpi. Sorani vero a Dite, nam Ditis pater Soranus vocatur quasi lupi Ditis patris". A questo proposito si è potuto poi ricordare il dio degli inferi degli Etruschi, raffigurato con la testa di lupo e in pelle di lupo. Anzi, si potrebbe accennare anche a ulteriori connessioni che a questo "Dio lupo" conferiscono, nelle vicinanze di Roma e a Roma stessa, tratti del tutto caratteristici.
Egli viene invocato nell'Eneide di Virgilio XI 785 con le parole "Summe Deum, sancti custos Sonactis Apollo"
Il passaggio attraverso il fuoco, cui l'adoratore allude, è una cerimonia purificatrice nel senso delle parole di Ovidio (Fasti, IV 554): "Purget ut ignis"
Così il Dio-lupo del Soratte appariva dunque sotto un aspetto in cui Virgilio non fu il primo a riconoscere il Dio puro e purificatore, Apollo, che, proprio in questo suo carattere di annientatore di ogni cosa impura, aveva un particolare aspetto di lupo. Lo stesso dio oscuro si riconosce a Roma, in Veiovis, uno "Zeus Infero", uno Iuppiter giovane, che qui veniva raffigurato addirittura nel tipo dell'Apollo greco, con l'arco, ma anche con una capra. Faunus e Iuppiter avevano un santuario comune nell'Isola Tiberina e questo Iuppiter non era altro che, appunto, Veiovis cui certamente non a caso si è associato poi Asclepio, il figlio che già in Epidauro era venerato insieme con Apollo. E solo partendo dal fatto che in Veiovis i Romani stessi non riconoscevano soltanto un Apollo oscuro, bensì anche il Dio-Lupo, si comprenderà il senso di una singolare evoluzione nella storia dei Luperci.
Nell'anno 44 a.c si è costituito un terzo collegium di Luperci accanto a quello dei Quinctiales o Quintilii, e a quello dei Fabii (o Fabiani), il collegium dei Luperci Iulii, fondato in onore di Giulio Cesare; un'istituzione che non è sopravvissuta alla morte del dittatore. Essa però doveva avere un fondamento religioso, e questo non era che la particolare venerazione di Veiovis, da parte della gens Iulia, documentata da un'iscrizione dei Gentiles Iuliei, a Bovillae, dall'età repubblicana. Tale venerazione più tardi si esprimeva in stile greco nell'accentuato culto di Apollo da parte di Augusto, mentre in maniera antico-romana essa ha preso forma nella fondazione di una nuova "confraternita di lupi".
L'evocazione storica di un tale dio-lupo, quale divinità originaria dei Lupercali, non dissipa, come si è detto, le contraddizioni, nei riti delle festa che comprendono un sacrificio di capra e altre cose connesse. Se si volesse prescindere completamento dallo sfondo naturale, considerando il "Lupo" e i "lupi" semplicemente coe animali dell'anima e spiriti dei morti, ciò non risolverebbe il problema, in quanto in questo caso resterebbero sempre da domandarsi come mai questo spettrale lupo degli inferi rappresentato da uomini ha potuto alla fine assumere forme così differenti come quella di Apollo in Soranus e in Veiovis e quella di Pan in Faunus? Perciò noi non vogliamo, neanche in seguito, mettere in primo piano queste due figure greche, ma restiamo presso gli animali caratteristici del culto romano, cercando di risolvere il problema della loro simultanea presenza nello stesso rito festivo. Le nostre considerazioni hanno mostrato che in questa questione bisogna partire con metodo storico dal lupo. Un dio-lupo ci si è rivelato come storicamente afferrabile, e precisamente in connessione con riti più di purificazione che non di fecondità.
Nella sfera di un dio-lupo ci si attenderebbe un sacrificio di lupo.
Abbiamo notizie di sacrifici di lupo offerti ad Apollo in Argos. Ma, nell'indagine sui fatti religiosi in cui la figura di lupo di una divinità - per esempio di un divino capostipite - ha una sua parte, si è potuto conservare che questo animale selvaggio spesso veniva sostituito dal suo prossimo parente addomesticato: il cane.
In Grecia, l'animale sacro di Asclepio, figlio di Apollo, non è il lupo, bensì il cane. Nella feste dei Lupercalia non manca il sacrificio di cane. Plutarco che ne dà testimonianza, lo spiega ricordando la concezione greca dei sacrifici di cane come riti di purificazione.
Il carattere purificatorio delle cerimonie dei Lupercalia risalta da molte testimonianze esplicite. Il nome del mese, il cui centro è occupato da feste di Fauno - il 13 sacrificio a Fauno nell'isola Tiberina, il 15 i Lupercalia - "Februarius", si connette a "Februus", e a "Februum". "Februus" significa "Il purificatore", il Dispater, (come nella lingua dei Romani si può chiamare anche il Soranus) il Dio degli inferi sotto il suo aspetto di "purificatore"; il "Februum" è "ciò che purifica", lo strumento della purificazione. Nella festa dei Lupercalia a questo scopo servivano da fruste cinghie usate e fatte della pelle della capra sacrificata. I Luperci, correndo in giro nudi, cinti soltanto di un grembiule fatto della stessa pelle, picchiavano con quelle cinghie coloro che incontravano, purificandoli in questo modo. Questo loro atto si chiamava "Februare": un verbo che con "Februus" sta nei medesimi rapporti con il verbo greco dal significato di "purificare" sta con l'appellattivo di Apollo: Foibo [Nota di Lunaria: il termine dovrebbe essere "Foibos", tuttavia, visto che non so scrivere il greco, non assicuro la correttezza integrale del termine]
L'analogia più stretta che spiega completamente questo rito di purificazione è stata ritrovata da W.F.Otto. Si tratta di una storia miracolosa tramandataci tra gli scritti di Plutarco. Una fanciulla che, in modo caratteristico, portava il nome di Valeria Luperca, doveva esser sacrificata a Iuno in Falerii. Ma ecco che un'aquila fa cadere sull'altare un martello. Con il colpo di questo martello, Valeria Luperca guarisce gli ammalati di peste: vale a dire essa li purifica dalla peste. Il martello è è un attributo del dio degli inferi etruschi, Charun, ben noto da numerose raffigurazioni.
Nota di Lunaria: il martello è attributo anche di Sucellos
Il metodo della purificazione è quello stesso che, quale oracolo di Apollo, è diventato proverbiale: "ciò che ferisce anche guarirà". L'identità tra ciò che porta danno e ciò che guarisce non si riconosceva soltanto nella persona agente - una divinità o una persona umana - bensì si esprimeva anche per mezzo di un identico strumento. Così anche in quel mito che tratta del citato oracolo, secondo una versione la lancia di Achille guarisce la ferita di Telephos prodotto da essa stessa.
Strumenti ambivalenti come quella lancia sono anche il martello di Valeria Luperca e le cinghie dei Luperci.
L'ambivalenza è propria, in pari tempo, della divinità cui appartengono questi strumenti di purificazione. Ma la frusta di pelle di capra appartiene a un lupo divino, è usata da lupi umani e anche in questo dettaglio sottolinea il carattere problematico della festa dei Lupercalia.
Il quadro di insieme che noi desideriamo comprendere consiste in tutti quei dettagli che la tradizione ci riferisce e di cui qui abbiamo scelto solo quelli che mettono in evidenza una contraddizione nei riti dei Lupercalia. In questa sfera religiosa l'ambivalenza stessa non costituirebbe una contraddizione intollerabile, né sarebbe di per sé poco naturale. Poco naturale ci sembra soltanto che il culto della medesima divinità possa trovare la sua caratteristica forma d'espressione ora nella figura del lupo ora in quella della capra. Ora se noi continuiamo a fissare la nostra attenzione sull'elemento di natura, scorgeremo, nel quadro d'insieme, una differenza che distingue i Lupercalia dagli altri culti del Dio lupo e anzitutto da quel culto in cui questa divinità appare sotto le forme di Apollo Soranus, Dio degli inferi mortifero come la peste e purificatore come il fuoco. Nella leggenda cultuale del Soratte, trasmessaci da Servio, si tratta anche di una caverna di lupi, descritta come una specie di ingresso degli inferi: "Halitum ex se pestiferum emittentem" In questo testo si esprime l'impressione mortale dell'arido paesaggio roccioso in cui si trovava il luogo di culto del Soranus. L'alito pestifero va preso altrettanto poco alla lettera che il crepaccio e i vapori a Delfi.
La festa dei Lupercalia si svolgeva effettivamente presso una caverna di lupi, il Lupercal. Ma quale differenza nella natura dei due luoghi di culto: il paesaggio del Soratte e quell'angolo del Palatino! Si legga la ricca descrizione di questo in Dioniso d'Alicarnasso. Virgilio ha eternato la piacevole frescura del luogo con le parole "gelida sub rupe Luperca!"
Ancora nel tempo di Augusto le sorgenti vi zampillavano così abbondantemente che bisognava incanalare le loro acque in grosse costruzioni artistiche. L'albero sacro che originariamente apparteneva a questo luogo di culto era un fico.
è noto quanto strettamente siano connessi, grotta e albero alle origini di Roma (*). Sia ricordata qui soltanto una cosa puramente attinente alla natura, messa in rilievo nel commento del Frazer: l'appartenenza del fico a una particolare sfera meridionale delle piante coltivate. E merita attenzione anche la stretta connessione tra fico e capra nel linguaggio dell'agricoltura romana, in cui il fico maschile, il cosiddetto fico selvatico, si chiamava "caprificus", la fecondazione artificiale del fico femminile era detta caprificatio. Anche se non si può accettare senza critica tutte le conseguenze che il grande commentatore trae dalle sue analogie meridionali, tuttavia un'idea già di per sé abbastanza verosimile acquista così un particolare rilievo: l'idea cioè che anche la capra possa esser concepita nella festa dei Lupercalia come un caratteristico elemento meridionale.
Siamo partiti dalla figura del lupo, quale figura d'animale decisiva per le cerimonie dei Lupercalia. Sotto questo aspetto, tali cerimonie ci sono apparse come riti di purificazione, attinenti sia agli uomini che alle donne. Si son potute citare analogie abbastanza vicine dal territorio italico e meno vicine dalla sfera del culto di Apollo. In base a queste, sembra quasi che l'opinione secondo cui il colpo purificatore sarebbe toccato specialmente alle donne e le avrebbe rese feconde, fosse un'aggiunta piuttosto inorganica al contenuto religioso generale della festa. Contro quest'apparenza sta però il fatto che l'azione sacra, anche come rito di purificazione, era esplicitamente riferita alle donne: "Lupercalia, quo die mulieres februabantur a lupercis". è evidente che per questa ragione la festa è stata sostituita più tardi da una festa cristiana ugualmente attinente all'elemento femminile: la "Purificatio Mariae Virginis" del 2 febbraio.
La grande "Purificata" della festa dei Lupercalia era originariamente Iuno, la Dea che rappresentava la femminilità delle donne romane in generale.
Essa perciò porta anche il nome di Iuno Februata e ciò dimostra più di tutte le testimonianze esplicite, come è essenziale il riferimento della festa alle donne. La pelle di capra di cui si facevano le cinghie era considerata come "Amiculum Iunonis", elemento del suo costume che ornava anche la sua immagine cultuale a Lanuvio.
(*) Per approfondire il culto nelle grotte, vedi per esempio libri come questi:
p.s. Lupercalia è una delle band più di culto della scena Neo Folk "esoterica" italiana.
... ma scavando su Metal Archives, si risale anche ai Lupercalia che suonano un Gothic Melodic Black Metal
https://www.metal-archives.com/bands/Lupercalia/11813
e voi chi preferite tra i due? :D
APPROFONDIMENTO: LA CAPRA DEL BEZOAR (CAPRA HIRCUS)
La Capra del Bezoar (Capra hircus) appartiene a quel gruppo di stambecchi variabili nel loro aspetto da un capo all'altro del loro habitat, dalla Spagna al vicino Oriente. La Capra del Bezoar è più fine, più graziosa, più leggera dello Stambecco delle Alpi.
Pur avendo, nell'insieme, la forma di uno stambecco, è lunga al massimo un metro e mezzo ed è alta poco metro di un metro.
Le sue corna sono molto lunghe, sottili, ricurve a scimitarra come le sciabole arabe e ornate da un numero ridotto di anelli, il che le differenzia immediatamente dagli stambecchi di montagna europei che ne hanno molti di più.
Il mantello della Capra del Bezoar non è molto lungo; nella stagione invernale è di un bel colore rossastro, nella stagione estiva diventa grigio o addirittura giallastro. Su questi colori spiccano la barbetta piuttosto lunga ed una striscia che percorre il collo, il dorso e la coda, di colore nero. Le parti inferiori sono molto chiare.
Alcune Capre, come quelle che vivono nelle Sporadi del Nord e su Antimilos sono considerate come le discendenti delle capre domestiche ritornate allo stato selvaggio; quelle di Creta (Capra hircus cretensis) sembrano autentici animali selvaggi; rimangono sulle cime delle rocce più inaccessibili dei loro regni, il più lontano possibile dagli uomini, divisi in gruppi di maschi e in gruppi di femmine, con delle sentinelle per ogni gruppo.
La carne delle Capre del Bezoar come quella degli stambecchi è considerata una delle migliori e questo capre hanno certo contribuito, con altre capre selvagge del vicino Oriente, alla creazione delle razze domestiche di capre che conosciamo.
Tuttavia, la loro influenza sulla vegetazione è catastrofica perché salendo sugli alberi li uccidono rodendo le loro gemme.