Recensione a "Le strelle nel fosso"

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Commento finale e integrazioni a cura di Lunaria



Trama: XIX secolo. Una notte, un'acchiappatopi, racconta a una bambina, davanti al fuoco, la storia di un padre e di quattro fratelli che vivevano completamente soli in un casolare sul Delta del Po. Il vecchio era solito compensare la solitudine in cui la famigliola viveva narrando ai suoi figli fiabe spaventose di fantasmi e misteriose apparizioni. Soprattutto, amava parlare del Santo Bartolomeo, un vecchio cieco che attraversava la campagna di notte, appoggiato a un bastone, recando con sé la morte. Un giorno la solitudine viene interrotta dall'arrivo di una giovane pianista, Olimpia, rimasta bloccata per un incidente alla carrozza, proprio nei pressi del casolare. Dopo un'iniziale riluttanza, la ragazza viene ospitata in casa, e magicamente, a poco a poco, prima i quattro figli, che non avevano mai conosciuto donne, poi il padre, finiscono per innamorarsi di lei. La giovane, stranamente, accetta di sposarli tutti nel corso di un bizzarro matrimonio; durante la notte, Olimpia bacia ciascuno di loro, e se ne va via. Ma poco prima della fine scopriamo la vera identità della ragazza: è il Santo Bartolomeo, o meglio, la Morte, e padre e figli non si svegliano più. Anche l'acchiappafantasmi che sta raccontando la fiaba si accorge che la bambina che gli sta accanto è Olimpia.

Ancora legato a quell'idea di Fantastico puro che due anni prima gli aveva ispirato "La Casa dalle Fineste che Ridono" http://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/recensione-la-casa-dalle-finestre-che.html

Pupi Avati realizza "Le strelle nel fosso" (1978), interpretato da Carlo delle Piane, Gianni Cavina e Lino Capolicchio.
Partendo da un breve soggetto di poche pagine, Avati realizzò il film in maniera che ha dello straordinario: improvvisando giorno per giorno e scrivendone praticamente la sceneggiatura a mano a mano che le riprese procedevano. Ma proprio questa genesi finì, in qualche modo, per accrescere a dismisura tutta la magia dell'idea originale, conferendo all'opera in fieri un fascino incredibile, difficile da esprimere a parole.
La pellicola, il cui titolo in dialetto emiliano significa "Le stelle nel fosso", è infatti un vero e proprio compendio di tutte le leggende e favole pauose che si raccontavano un tempo nelle campagne e che da sempre hanno alimentato il cinema di Avati. In questo caso non si limitano a servire da semplice e lontana fonte di ispirazione, ma costituiscono esse stesse il tessuto connettivo dell'opera, il che rende il film emblematico di tutta la poetica del regista, quello in cui la sua ispirazione artistica ha modo di sbizzarirsi e liberarsi maggiormente. L'estrema libertà di improvvisazione che il regista si era concesso e che lo portarono, in seguito, a definire "Le stelle nel fosso" il suo film più "jazzistico", non gli valsero né il consenso dei critici né la comprensione dei distribuitori.
"Le strelle nel fosso" riesce magicamente a incantare, spaventare e divertire. è in qualche modo l'apice della poetica del regista emiliano, la sintesi più efficace della sua anima d'autore.
Non ci sono veri e propri elementi horror, piuttosto l'inquietudine - nota di Lunaria: che io definirei buzzatiana, in riferimento a racconti come questi, anche se Avati, a differenza di Buzzati, predilige solo le atmosfere bucoliche e non urbane -




è data dal particolari: l'apparizione del fantasma del chierico morto che emerge dalle acque stagnanti, la favola della madre morta che torna di notte per riavere dalle figlie "la gamba d'oro" (*), le apparizioni del Santo Bartolomeo nel vapore notturno, la ripresa del casolare diroccato, che non può che riportare in mente "La Casa dalle Finestre che ridono", o la scena del padre e del figlio che battono sul muro, a notte fonda, per entrare in contatto con le streghe. Certo, chi si aspetta un horror puro resterà deluso: il film risulta piuttosto sussurrato e a tratti quasi comico (scene non sempre riuscite, a dir la verità, come il travestimento femminile di uno dei fratelli o la scena dove uno di loro imita una gallina), ma resta un tassello da visionare, per inquadrare lo stile di Avati. Da notare come Avati concluderà la sua trilogia del "gotico rurale" con il bellissimo "L'Arcano Incantatore".

(*) Nota di Lunaria: curiosamente, e solo nella zona della Lombardia tra Milano e Varese, si raccontava di una leggenda, narrata dai genitori per spaventare i bimbi e farli star buoni. Mia madre me la raccontò da piccola, e a lei stessa era stata raccontata da sua madre, mia nonna. In pratica, i bambini maleducati e disobbedienti avrebbero visto, e mi pare di ricordare, sul soffitto, all'angolo del muro, una gamba rossa che sarebbe apparsa per spaventarli, di notte.

Per approfondire:
http://www.persinsala.it/web/approfondimento/le-strelle-nel-fosso-529.html
http://www.lecodelpo.info/le-strelle-nel-fosso-pupi-avati-1978-quando-tra-la-ragazza-la-palude-ce-confine/


Fotogrammi più belli: