"Lo schiavo" (racconto horror)

Racconto horror tratto da


Caleb Jones si era perso, con pochi litri di benzina nel serbatoio dell'auto, nella brughiera di Bodmin, una vasta distesa semideserta della Cornovaglia. Era ormai il crepuscolo e la sera calava come una nuvola leggera, tingendo di rosso il paesaggio brullo. Mezzo chilometro più avanti, si ergeva una grande casa: una struttura massiccia e squadrata, con balconi  e verande e finestre aggettanti. Le assi di legno che le rivestivano apparivano rosate sotto gli ultimi raggi del sole. La casa sembrava caduta dal cielo. Non possedeva né giardino, né cortile, e nemmeno era circondata da una staccionata. Tutt'intorno, c'era soltanto la brughiera spoglia. Caleb si fermò e spense il motore a un centinaio di metri dall'edificio. Stranamente, regnava un silenzio profondo. Non si sentivano richiami di uccelli, fruscii d'animali e nemmeno un soffio di vento. Accanto alla casa c'erano diversi alberi, ma nemmeno da lì proveniva il minimo rumore. Un ruscello giungeva fino al boschetto, lo attraversava e si allontanava nella brughiera. Caleb scrutò la casa, sperando che qualcosa gli dimostrasse che era abitata.
- è un po' lugubre- si disse piano, ma il suono della sua voce in quel silenzio di tomba aumentò il suo disagio. Seduto in auto, continuò ad osservare le mura percorse da ombre rossastre. La casa aveva decisamente un aspetto inquietante, con tutte le finestre buie. Sembrava deserta, eppure era in ottimo stato. Che venisse usata soltanto per la villeggiatura? Ma chi avrebbe scelto di trascorrere il proprio tempo libero in quella landa desolata?
Decise che l'unico modo per stabilire se ci fosse qualcuno era andare a bussare, così rimise in moto e si avvicinò all'edificio, poi scese dall'auto e salì i gradini della veranda. Le assi di legno sembravano flettersi sotto i suoi piedi, dandogli la sensazione di camminare su qualcosa di elastico.
- Strano- mormorò.  Anche stavolta, il suono della sua voce sembrò lacerare il silenzio. Bussò e aspettò che qualcuno rispondesse, ma non sentì niente; allora cercò di sbirciare attraverso una finestra, ma dentro era buio. Improvvisamente si sentì cogliere da una profonda sonnolenza. Era molto, molto stanco. La notte era calda e non c'era motivo per non dormire sotto la veranda. Nonostante fosse fatto di assi, il pavimento sembrava comodo. Si sdraiò senza nemmeno togliersi la giacca. Il legno sembrò adattarsi alla forma del suo corpo.
Si svegliò il mattino presto, col sorgere del sole. L'aria si era fatta pungente e umida. Si alzò e, provando ad aprire la porta, scoprì che non era chiusa a chiave. - C'è nessuno?- chiese a voce alta, rimanendo sulla soglia. Il silenzio della casa sembrò essere spezzato da una risposta appena sussurrata. Caleb si sentì imbarazzato. Come avrebbe spiegato la sua visita, a quell'ora mattutina?
- Eh? - ripetè - Scusate il disturbo. Mi sono...mi sono perso.-
Seguì una risposta appena accennata, quasi un invito ad accomodarsi. Caleb entrò. Il corridoio odorava di cera d'api e lucido per legno, ma era completamente spoglio. Nemmeno uno zerbino.
- Da che parte vado? - chiese, rendendosi conto di essere costretto a fare domande idiote. Di colpo, la porta gli si chiuse alle spalle con un suono sordo, facendolo sobbalzare. Ritrovandosi immerso nella penombra, si sentì cogliere dalla paura e tornò sui propri passi, ma quando fece per afferrare la maniglia della porta, non la trovò. Cercando di mantenere la calma, col cuore che gli batteva selvaggiamente, arretrò d'un passo e scrutò il battente. La maniglia non c'era. Che fosse caduta quando la porta si era rinchiusa?
- Ehi!- gridò con voce tremante - Dove siete?-
- Qui.-
- Qui... dove? -
- Qui.-
La voce sembrava provenire da una stanza che dava sul corridoio. Vi entrò e si guardò intorno stupito, nella luce grigiastra che filtrava dalle finestre sbarrate e prive di vetri: le pareti erano rivestite da eleganti pannelli di quercia, decorati da bassorilievi che riproducevano case, villini, chiese ed edifici d'ogni genere. Non c'era soffitto, ma soltanto una travatura sovrastata da un tetto di assi; e anche le travi presentavano rilievi riproducenti villaggi primitivi con capanne e luoghi di culto. Che fosse arte polinesiana? O indonesiana? Dalla finestra si vedeva la grigia distesa desolata della brughiera. Nella stanza non c'era nessuno. E non c'erano mobili. Nemmeno una tenda o un tappeto. Niente. Si girò per tornare in corridoio, quando la porta gli si chiuse violentemente in faccia.
- Ehi!- esclamò, colto da una nuova ondata di timore. -Che cos'è questa storia? ...Ehi!-
Nemmeno stavolta trovò la maniglia della porta, e allora la prese a calci, gridando indignato che qualcuno l'aprisse. Provò anche a infilare le unghie fra il battente e lo stipite, e notò che  il legno sembrava dilatarsi. La porta, però, era bloccata. In preda al panico, corse alla finestra. Le sbarre di legno sembravano molto robuste e Caleb cercò inutilmente di forzarne una: nemmeno prendendole a calci e pugni riuscì a smuoverle d'un millimetro. Fu allora che sentì di nuovo quella voce...una voce baritonale.
- Lascia stare la finestra-
- Co...cosa?- girdò, voltandosi, perchè adesso la voce era molto vicina. La stanza era sempre vuota. 
- Lascia stare la finestra.-
-Insomma!- ringhiò - Dove ti nascondi? Fammi uscire, razza di farabutto!-
- Infila la mano nel buco- disse la voce.
Si guardò intorno e vide un foro aperto in un nodo del legno che rivestiva una parete. Oltre l'apertura, grande quanto un pugno, si vedeva soltanto il buio. Che fosse un tranello? O forse nella nicchia c'era un'altra chiave? O una leva che apriva la porta? La situazione era troppo strana per ragionare lucidamente. Caleb inserì la mano nel foro. Niente. Ma, prima che potesse ritrarla, il nodo gli si strinse intorno al polso e lui si ritrovò ai ceppi, come accadeva ai malfattori nei tempi antichi. Cercò di liberarsi, ma riuscì soltanto a torcersi il polso.
- Fa male! -protestò.
- Allora non muoverti. Senti la parete che vibra? La senti? è la mia voce.-
- Canaglia! Mi lasci andare immediatamente...-
Il pavimento cominciò a tremare e le vibrazioni divennero sempre più forti, squassando Caleb, mentre un ronzio sempre più acuto e fastidioso gli trapanava le orecchie. Gli battevano i denti, aveva la sensazione che la testa fosse sul punto di scoppiargli, e il polso gli faceva un male cane.
- Basta!- gridò.
Qualche secondo dopo, tutto finì. 
- Adesso fa quello che ti dico-
- Sono impazzito- gemette Caleb. - Sono diventato un pazzo. Se questo è uno scherzo, dovrebbe vergognarsi. Mi sta facendo schizzare il cervello!-
Un sospiro profondo sembrò provenire da qualche grondaia della casa.
- Follia... Ecco la risposta umana a qualsiasi fenomeno in apparenza inspiegabile. Molto bene, considerati pazzo, se vuoi. A me poco importa, purchè resti qui.-
- Ma... chi è lei?-
Così Caleb seppe che era la casa stessa a parlargli. La voce gli spiegò che adesso era prigioniero e che lo sarebbe rimasto fino alla morte, perchè lei non poteva badare a se stessa.
- Ho bisogno di un'altra creatura, un uomo, che lavori per me. Ho bisogno che qualcuno mi spalmi di cera all'interno e all'esterno per proteggermi dalle intemperie. Qualcuno deve ripararmi e mantenermi in perfetto stato. Ho bisogno di te.-
 - Ma non posso!- protestò Caleb con voce  strozzata. - Non puoi tenermi prigioniero...Ma che faccio? Parlo con una casa. Questa è follia! Senta, non posso restare qui. Lei parla di schiavitù.Si rende conto? Non posso restare.-
- E invece resterai. Non hai scelta.-
Caleb cercò di calmarsi e riflettè. Col polso stretto in quella morsa, non poteva fare niente, ma per lavorare avrebbe dovuto essere libero. Gli bastava aspettare che il nodo si aprisse e, alla prima occasione, sarebbe fuggito.
- D'accordo. Accetto. Mi lasci la mano e mi mostri dove sono gli strumenti.-
Il nodo si allargò e Caleb ritrasse la mano e  si massaggiò il polso dolorante. Poi andò verso la porta, che si aprì. Quando fu in corridoio, il cuore prese a battergli all'impazzata. Giunto ai piedi del maestoso scalone ricurvo, si soffermò a riflettere.
- Posso prendere qualche attrezzo dall'auto?- chiese. Silenzio. Dopo qualche secondo, la porta d'ingresso si spalancò. Caleb scese i gradini e raggiunse l'auto. Dopo aver aperto la portiera, balzò al posto di guida e, annaspando nervosamente, cercò d'inserire la chiave. Dall'esterno gli giunsero una serie di cigolii minacciosi. Finalmente riuscì a mettere in moto e a partire, ma dando un'occhiata alla casa notò che un angolo della veranda si stava contorcendo. Di schianto, uno dei pali della veranda cedette con un rumore simile a una mitragliata e schizzò verso di lui come un giavellotto, schiantandosi nell'abitacolo. L'estremità scheggiata del palo si fermò a un centimetro dal petto di Caleb, a livello del cuore. Il giovane gridò terrorizzato, sapendo di aver sfiorato la morte. Sgusciò tremante fuori dall'abitacolo, graffiandosi il petto contro il palo, e si lasciò cadere a terra. L'auto era definitivamente fuori uso. Il motore distrutto. Colando, l'olio aveva formato una piccola pozzanghera e c'era un odore penetrante di benzina. Accasciato a terra, Caleb scoppiò in singhiozzi. Sapeva di non poter fuggire appiedato: la casa l'avrebbe ucciso dopo poche falcate. Se era in grado di lanciare pali come giavellotti, doveva essere capace di sparare raffiche di schegge, o di chiodi, che l'avrebbero abbattuto come una lepre in fuga. Guardò il cielo. Era un giorno cupo e nuvoloso, un giorno triste come la sua nuova, tragica condizione. Percepì con angoscia di non essere più un uomo libero. Era diventato lo schiavo di una casa.
- Innazitutto- disse la voce - dovrai riparare la veranda. C'è del legno stagionato nella baracca sul lato sud. Preparerai anche una scorta di legname per le necessità future. Il boschetto ceduo attiguo alla casa è la fonte del materiale. Taglia soltanto gli alberi maturi, e fallo con estrema cura. Non toccare gli alberi e gli arbusti da frutto, perchè avrai bisogno dei loro prodotti. -
- E se non lo facessi?-
- Moriresti.-

La casa non era del tutto soddisfatta dei lavori di Caleb, anche se questi, come falegname improvvisato non se la cavava male.
- Devi perfezionarti- gli diceva spesso.
Nei primi tempi il ragazzo lavorò controvoglia; ma poi, gradualmente, cominciò a compiacersi dei propri progressi. La casa era stata costruita con grande maestria. Anche le stanze del piano superiore erano rivestite di pannelli di quercia decorati negli angoli da volute di legno intarsiato. I rilievi riproducevano anche forme naturali, come foglie o fasci di spighe. Sebbene lo stile della maggior parte delle stanze fosse semplice e lineare, il legno esercitava su Caleb un fascino irresistibile e si sorprese sempre più spesso a carezzare la casa, sfiorando colonne, balaustre e pannelli intarsiati. Nessuna superficie era verniciata. Il legno veniva semplicemente spalmato di cera d'api. La casa si muoveva costantemente.Di solito vibrava in modo quasi impercettibile, ma talvolta scricchiolava e cigolava, oscillando come una placida balena, tanto che Caleb aveva l'impressione di trovarsi nel ventre d'una bestia enorme e non all'interno di un oggetto inanimato. Ogni tanto, la casa parlava. La sua voce profonda era originata dalle vibrazioni dei pannelli di legno, che erano le sue corde vocali. Ogni stanza era una bocca. Quattro delle otto camere da letto erano stipate di provviste per l'ospite umano, di certo accumulate dal costruttore di quel mostro pensante. C'erano cibi in scatola sufficienti a far sopravvivere un uomo parecchi anni. Parte del bosco era un frutteto con meli, peri e prugnoli, e c'erano anche arbusti di ribes e di lamponi. Un orticello, di cui doveva occuparsi Caleb, gli forniva patate, cavoli e altre verdure, mentre dal ruscello traeva l'acqua necessaria per sé e per l'orto. La casa, insomma, non lo lasciava morire di fame, ma nemmeno gli consentiva di mangiare troppo. L'edificio non dormiva mai e sorvegliava costantemente il prigioniero. In alcune stanze c'erano alcuni ripostigli. La porta di uno di questi, però, non  si apriva. Un giorno, incuriosito, Caleb cercò di forzarla e subito la casa gli chiese che cosa stesse cercando.
- Voglio semplicemente vedere che cosa c'è dentro- rispose Caleb.
- Perchè?-
- Perchè è l'unico ripostiglio chiuso, e io sono curioso.-
La porta si spalancò. Inorridito, Caleb arretrò d'un passo, portandosi una mano alla gola. Appeso a un piolo di legno c'era uno scheletro umano parzialmente coperto di brandelli di stoffa. Le orbite vuote del cadavere sembrarono guardare tetramente Caleb, che richiuse  la porta di scatto.
- Chi era? Dimmelo!- gridò inferocito.
La casa gli spiegò  che si trattava dell'ultimo schiavo che aveva avuto dopo che il suo costruttore se n'era andato: un escursionista che, attraversando la brughiera, era finito tra le sue grinfie.
- è morto troppo presto. Gli ho dato per tomba una delle mie nicchie.-
- Vorrai dire che lo hai fatto morire di fatica!-
- Troppo presto.-
- Troppo presto per cosa?-
La casa non rispose.
- è orribile!- gemette Caleb.
- è soltanto un cadavere. Nient'altro.-
Quel ripostiglio aveva svelato a Caleb la sorte che lo attendeva.
Il giorno successivo, mentre era nell'orto, a un certo punto, gettò a terra il rastrello e fece per correre via, ma cadde subito, inciampando in una lunga radice bianca che spuntò da terra e, strisciando sinuosa come un serpente, gli si avvinghiò a una caviglia. Con voce tonante, la casa gli ordinò di rientrare. Dopodichè lo tenne rinchiuso in una stanza per due giorni, senza cibo né acqua. L'edificio era un padrone severissimo che non perdonava la minima ribellione.
- Devi fare quello che ti dico- sentenziò, quando finalmente gli consentì di uscire. Una volta fuori dalla stanza, Caleb si diresse verso la dispensa e, strada facendo, vide spalancarsi la porta d'un ripostiglio vuoto.
- Perchè l'hai aperto?- chiese.
- Volevo farti vedere che cosa c'era dentro.-
- Non c'è niente.-
- Appunto. è la tua nicchia. è pronta per te, se morirai troppo presto.-
Il messaggio era sufficientemente chiaro.
Una sera, mentre riposava seduto sulla veranda, Caleb chiese alla casa come fossero le sue fondamenta e così seppe che l'edificio aveva radici proprio come un albero. Ed era stata una di quelle radici a catturarlo il giorno in cui aveva tentato di fuggire. Represse un brivido. La casa che lo teneva prigioniero era una specie di mostruosa gigantesca piovra, i cui grigi tentacoli affondavano nella terra. Gli alberi del boschetto sorgevano da quelle stesse radici. L'edificio, dunque, produceva le proprie parti, ma aveva bisogno d'un uomo che desse loro forma, le piallasse e levigasse con carta vetrata, e le incerasse una volta terminato il lavoro. Nessun ospite era gradito. Gli uccelli non si posavano sulle grondaie e non facevano il nido fra le tegole, né i topi si infilavano fra le pareti e i pannelli. Se una formica o uno scarafaggio osavano insinuarsi in una crepa, venivano immediatamente schiacciati. Nessun mobile doveva essere posato sui pavimenti lucidi. Caleb non poteva negarlo: anche lui traeva qualche vantaggio dalla situazione: non era mai stato così sano  e così in forma, e il continuo esercizio fisico gli faceva bene. Inoltre, non aveva legami con il mondo esterno. I suoi genitori erano morti in un incidente d'auto e la sua ragazza lo aveva lasciato. Nessuno sentiva la sua mancanza. Quand'era stato catturato, stava andando sulla costa della Cornovaglia per lavorare in un campeggio.
- Chi ti ha costruita?- domandò un giorno.
- Un'entità.-
- Come "un'entità"? Deve pur avere un nome!-
- No, non ce l'ha.-
- è un...un essere umano?-
-Quasi.-
Caleb rabbrividì. - Ma allora sei una specie di trappola? Sei stata costruita per catturare prede vive per questa... questa "entità"?-
La casa non rispose e Caleb non riuscì a sapere altro del suo proprietario...sempre che di proprietario si potesse parlare. Allora cambiò argomento. Sapendo che era inutile fare giri di parole nel tentativo di ingannare la casa per farle rivelare le sue debolezze, le poneva soltanto domande chiare ed esplicite; e, spesso, la casa dava risposte precise ed esaurienti.
- C'è qualcosa di cui hai paura? - le chiese.
- Del fuoco- rispose la casa senza esitare. -Temo il fuoco.-
Si trattava di un'informazione utile, ma purtroppo Caleb non aveva niente con cui appiccare un incendio.
- Sai che cosa mi viente in mente? La casa che trovarono Hansel e Gretel.- disse Caleb, e le raccontò la fiaba. La voce baritonale gli disse di aver apprezzato il racconto e gli chiese se conoscesse altre storie di case, così Caleb le raccontò altre fiabe per bambini, come quella dei tre porcellini. Le citò anche il buffo titolo di un racconto di Balzac: "La casa del gatto che gioca alla pelota". Quando ebbe esaurito le storie, gli venne in mente una cosa apparentemente banale, ma sulla quale non aveva mai riflettuto: erano tante le persone che vedevano la propria casa come un essere vivente e le riservavano attenzioni degne d'un figlio!...
- Mi piacciono le fiabe.- disse la casa, e da allora fu più indulgente col suo schiavo.
 Trascorsero due anni, nel corso dei quali Caleb lavorò duramente, aspettando sempre un'occasione per fuggire. Gli inverni furono rigidi, sebbene la casa, vibrando, riuscisse ad aumentare di poco la temperatura interna. Caleb sopravvisse, ma soffrì molto. E comunque, anche quando il tempo era clemente, conduceva una vita miserabile. Le sue uniche soddisfazioni erano il contatto col legno levigato e lucido e la vista di quell'architettura perfetta sulle cui superfici i nodi e le volute disegnavano correnti e mulinelli. Maestosi montanti simili ad alberi di vascelli e impotenti contrafforti ricurvi sostenevano i muri interni, in una struttura perfetta e armoniosa, progettata sicuramente da un abile architetto. Le porte, rifinite con cura, erano dotate di cardini di legno ben lubrificati. Anche le rustiche travi squadrate che sostenevano il tetto sprigionavano fascino. Ogni elemento contribuiva a rendere armonioso il tutto. Erano questi gli aspetti che Caleb apprezzava. Purtroppo, però, non era né padrone di casa, né ospite. Era uno schiavo. E doveva obbedire. Ma finalmente riuscì a elaborare un piano di fuga. Lavorando per mesi, riuscì a deviare il corso del ruscello che scorreva nel boschetto. Ogni volta che andava a raccogliere la frutta o a badare all'orto, gettava una pietra nell'acqua. A poco a poco, mentre l'acqua scorreva sempre più lontana dal boschetto, la casa cominciò a scivolare in una specie di torpore letargico: aveva bisogno di molta acqua per sopravvivere, e l'afflusso era sempre più scarso.
- Che cosa succede?- chiese un giorno - Avverto una strana spossatezza-
Caleb fu abbastanza intelligente da non mentire.
- Credo che le tue radici non riescano ad assorbire sufficiente acqua- rispose. -Ultimamente, nel bosco scorre soltanto un rivolo. Dev'essere  colpa del tempo.-
- Procuramene di più.-
- Non posso portarne, se non ce n'è. Devi cercare di assorbirne il più possibile quando piove.-
La casa si lamentò, ma quella notte piovve e, dal giorno successivo, l'argomento non fu più toccato. Un mese più tardi, però, ebbe inizio un lungo periodo di siccità. Un giorno, Caleb chiese alla casa: - Che ne dici se vado a vedere se qualcosa blocca il torrente, nella brughiera?-
La casa mormorò stancamente che era necessario fare qualcosa. Col batticuore, Caleb prese un badile e si allontanò nella brughiera, seguendo il letto prosciugato del torrente e allontanandosi a ogni passo dal suo aguzzino e dalle sue temibili radici. A un tratto, la casa gridò: - Fermati! Sei già abbastanza lontano!- Di scatto, Caleb gettò a terra il badile e cominciò a correre. Un attimo dopo, una grossa scheggia gli sfiorò sibilando un orecchio e si conficcò per terra.
- Torna indietro o ti uccido!- tuonò la casa.
Lavorando, Caleb era diventato forte e scattante, così adesso poteva correre veloce senza paura di perdere le forze. In condizioni normali, la casa lo avrebbe trafitto con le sue schegge, ma la mancanza d'acqua l'aveva stremata e la sua mira non era più perfetta. Altre schegge gli sibilarono intorno, andando a cadere nei cespugli d'erica, ma Caleb continuò a correre ignorando le minacce della casa. Quando fu certo d'essere in salvo, si fermò a riprendere fiato e si girò per agitare trionfalmente un pugno in direzione della casa. Quando fu certo d'essere in salvo, si fermò a riprendere fiato e si girò per agitare trionfalmente un pugno in direzione della casa.  - Ho vinto! Spero che tu ti secchi e ti sgretoli. Non mi rivedrai mai più!- gridò. Dopodiché proseguì finché trovò la strada che conduceva al paese più vicino.
Aveva deciso di non tornare mai più in quei paraggi, finché una sera, in un pub, raccontò ad alcuni compagni di bevuta la sua avventura e uno degli ascoltatori gli diede del bugiardo.
- E va bene- disse Caleb, un po' ubriaco. - Ho giurato che non ci sarei più tornato, ma se qualcuno mi accompagna, sono disposto ad andarci. Però bisognerà portare delle armi, perchè la casa cercherà di ucciderci.-
- Che tipo di armi?- ghignò ironico l'uomo che non gli aveva creduto.
- Benzina.- rispose Caleb, serio. - E fiammiferi.-
Così, insieme ad altri tre, raggiunse la brughiera di Bodmin, indicando la strada all'uomo che guidava  l'auto. Più si avvicinava alla meta, più si sentiva inquieto. L'effetto dell'alcol stava svanendo e le vecchie paure cominciavano a riaffiorare. La casa era molto potente, e forse nemmeno la minaccia del fuoco sarebbe bastata a tenerla sotto controllo. Nonostante ci fossero altre persone, Caleb non riusciva a stare tranquillo e cominciò a pensare con terrore a quello che la casa gli avrebbe fatto se fosse riuscita a riacciuffarlo. Non doveva permetterle di vendicarsi. Disse all'autista di fermarsi ad alcune centinaia di metri dall'edificio, che si stagliava nero contro il cielo notturno rischiarato dalla luna piena.
- Andate pure- disse. -Io resto qui.-
- Come? Hai paura?- lo schernì uno dei tre. - Sono soltanto assi di legno inchiodate.-
- Andate a dare un'occhiata.- insistè Caleb.
I tre scesero dall'auto e, fra risate e battute ironiche, raggiunsero la soglia. Caleb non spense il motore per essere pronto a battersela in caso di pericolo. Poco dopo, con suo grande stupore, i tre uscirono dalla casa ridendo e tornarono da lui.
- Nient'altro che una vecchia baracca disabitata.- disse uno. - E pensare che stavo per abboccare...-
- No, io no- disse quello che gli aveva dato del bugiardo. - Ho capito subito che ci prendeva in giro.-
Soltanto allora, sconcertato, Caleb scese dall'auto e si diresse lentamente verso la casa. Quando fu vicino alla costruzione, notò che appariva vuota e del tutto priva di...vita. Sembrava un guscio, una scoria fibrosa senza più linfa. Era secca e fragile, per niente elastica.
- è morta!- disse fra sé. - Per mancanza d'acqua, immagino.-
In quel momento, l'auto ripartì, lasciando dietro di sé la scia degli insulti gridati dai tre uomini.
- Carogne!- ringhiò Caleb fra i denti. Si voltò di nuovo verso la casa e la osservò attentamente. Avrebbe potuto fruttargli un sacco di soldi; non era la prima volta che ci pensava. Sapeva che non aveva un proprietario - un proprietario umano, almeno- e avrebbe potuto farla propria. Disporne come voleva. Adesso che era soltanto una costruzione di legno morto, priva dei suoi poteri, poteva essere venduta senza problemi. - Potrei ricavarne denaro sufficiente per vivere parecchi anni.- mormorò. Guardò la soglia attraverso la quale erano entrati e usciti i tre uomini. La porta era appesa a un solo cardine. Tutto l'edificio era piuttosto malandato. Prima di venderlo, avrebbe dovuto ripararlo. Salì lentamente i gradini: non erano più morbidi come un tappeto, ma rigidi e scricchiolanti. Erano di legno morto. Dopo aver controllato che la veranda non fosse marcita, si decise a entrare e si soffermò nel corridoio, ricordando la prima volta che era entrato. Il legno rosso luccicava sotto i fiochi raggi lunari che entravano dalla porta e dalle finestre sbarrate. Nella casa regnava un silenzio di tomba. Poi, improvvisamente, il silenzio fu spezzato da un cigolio debolissimo. Caleb sussultò, ma cercò di tranquillizzarsi pensando che tutte le case fanno rumore, anche quelle abbandonate. Anche quelle morte. Avanzò di qualche passo e si fermò sulla soglia d'una stanza. Attraverso la finestra, vide qualcosa brillare nella brughiera. Osservò attentamente il nastro argenteo scintillare sotto i raggi della luna e finalmente capì di che cosa si trattava. Era il torrente...il torrente! Qualcuno aveva ripulito dalle pietre il letto prosciugato e l'acqua era tornata a scorrere nel bosco. Ma allora, forse, la casa avrebbe potuto alimentarsi di nuovo... tornare in vita. Ma chi aveva rimosso la diga?
Caleb si voltò a guardare la strada sterrata oltre la soglia. L'istinto gli diceva di correre, di correre più svelto che poteva, di fuggire. VIA! VIA! VIA! In fondo al corridoio, una specie di fruscio si levò dal buio. Caleb soffocò un urlo. Avrebbe voluto scappare, ma aveva le gambe paralizzate.
- Sei tornato- disse una voce. Ma non la voce della casa. Non la voce baritonale dei pannelli che vibravano, ma un suono stridulo, inquietante. Caleb guardò meglio. C'era qualcosa, là in fondo. Aveva il colore di una radice. Era qualcosa di non molto alto, di non molto liscio...di non molto umano.
La voce si levò di nuovo, acuta e adirata. - Che cosa hai fatto alla mia casa?-
Caleb corse come il vento.   
                  

Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/11/le-case-maledette.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/gli-spiriti-delle-acque-racconto-horror.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/07/gli-specchi-incantati-racconto-teen.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/lhorror-non-ha-eta.html