"La Casa dalle Finestre che ridono" (titolo magnifico) è senza dubbio uno dei grandi capolavori del cinema di genere italiano. Quando uscì (1976) riscosse un successo inaspettato diventando a livello internazionale un cult movie, a metà tra il giallo e l'horror gotico (nel caso specifico, "gotico rurale").
Info e dettagli tecnici tratti da
"La Casa dalle Finestre che ridono" (titolo magnifico) è senza dubbio uno dei grandi capolavori del cinema di genere italiano. Quando uscì (1976) riscosse un successo inaspettato diventando a livello internazionale un cult movie, a metà tra il giallo e l'horror gotico (nel caso specifico, "gotico rurale").
La trama: Stefano, un giovane restauratore, giunge in un paese della Bassa Padana per procedere al restauro di un affresco raffigurante un San Sebastiano tra due figure ghignanti, dipinto dal pittole locale, Buono Legnani, su una parete della chiesa. Appena arrivato, sente che c'è qualcosa di strano. Legnani, morto suicida, era noto come "Il Pittore delle Agonie", per la sua mania di ritrarre la gente del posto in punto di morte e si diceva che con le depravate sorelle si dedicasse ad orge e macabri riti imparati in Brasile. Un amico di Stefano, che gli rivela di aver scoperto un segreto terribile, viene misteriosamente ucciso. Anche un certo Coppola, l'ubriacone del paese, viene ucciso dopo aver mostrato a Stefano una misteriosa casa "con le finestre che ridono", un casolare diroccato con enormi bocche rosse dipinte sulle finestre, dove Legnani seppelliva le vittime che le sorelle gli immolavano affinché lui le dipingesse. Alla fine nonostante l'omertà dell'intero paese, Stefano scoprirà la verità sulle sorelle del pittore.
L'orrore del film è un orrore metafisico, tanto più terrifico quanto sempre palpabile. Anche in questa visione dell'orrore Pupi Avati ritrova, trasfigurandolo, l'immaginario della propria terra e della propria infanzia.
"Io credo di aver dimostrato fino ad oggi, attraverso la mia filmografia, di aver tentato soprattutto di narrare la mia terra, la mia gente, attraverso dei contesti, dei generi, delle posizioni di macchina sempre diversi. Però il fondo rimane lo stesso." (Pupi Avati)
Il film di Avati, infatti, riesce a trapiantare perfettamente le paure più profonde in un contesto geografico tipicamente e intimamente italiano, smentendo clamorosamente quanti affermavano che la nostra terra non si presterebbe ad atmosfere horror. Anzi, Avati fa nascere il terrore proprio dal contrasto con le atmosfere grasse e solari della sua terra e gli orrori terribili e malsani che covano sotto di essa. E proprio per questo fa più paura. Il film (il cui titolo iniziale doveva essere "La luce del piano di sopra") nasce anche da un fatto vero che traumatizzò l'autore; racconta Pupi Avanti, in un'intervista radiofonica: "La Casa dalle Finestre che ridono" nasce da una storia, da una favola che ci veniva raccontata da ragazzini in campagna ed era una delle favole più orrorifiche, più spaventose, nel senso che attingeva al reale. I nostri nonni ci riferivano che negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, quindi nel 1918/1920, quando a Sasso Marconi, dove noi eravamo sfollati, si decisero finalmente a riassettare il vecchio cimitero, andarono a riesumare tutte le tombe e scoprirono che riaprendo la tomba di questo vecchio parroco le ossa anziché essere maschili erano femminili, quindi si trattava di una donna-parroco. Era sufficiente, detto con ricchezza di particolari naturalmente, nelle notti d'inverno attorno a un camino, questa storia di un prete donna ci terrorizzava al punto che le nostre notti, poi, quando eravamo costretti a salire in queste camere buie e fredde, si arricchivano di sogni e di paure inquietanti.
"La Casa dalle Finestre che ridono" è un horror solare, ma non per questo meno terrorizzante: le tranquille campagne della provincia emiliana non sono mai apparse così sinistre e paurose. Un altro aspetto inquietante della vicenda è l'omertà della gente del posto (lo si capisce pienamente nelle ultime scene) che sono troppo spaventati dalle nefandezze delle due sorelle per poter reagire.
Come si diceva, siamo di fronte a un cult assoluto. Amante di atmosfere bizzarre e surreali, il regista intesse con sorprende genialità creativa e gusto del pauroso una fiaba nerissima e spaventosa, tracciando al tempo stesso l'unica via realmente italiana al racconto gotico. Avanti, novello "Lovecraft padano", attinge al patrimonio di narrativa popolare che da sempre si tramanda nelle campagne italiane riuscendo nell'impresa di spaventare proprio come sapevano fare quelle fiabe cattive raccontate ai bambini davanti al camino. E proprio come quelle vecchie fole contadine, il film di Avati ha il dono di trasfigurare in maniera inquietante paesaggi, personaggi e situazione tipicamente italiani. La paura che il film trasmette è diabolicamente penetrante perché nasce dal non-detto, da immagini allusive, da frasi sussurrate e riferimenti a orrori talmente spaventosi che neppure si osa nominare (e in questo il riferimento a Lovecraft non è casuale)
Commento di Lunaria: "La Casa dalle Finestre che ridono" (uno dei titoli più affascinanti dell'intera storia del cinema) è uno dei miei film preferiti. Tanto per iniziare, c'è l'originalità delle scenografie (i paesaggi agresti e contadini), sfruttando un ambiente - la campagna italiana - che difficilmente si penserebbe adatta ad atmosfere horror; se poi pensiamo che la Romagna è una terra comunemente associata ad atmosfere festose e da "ballo liscio" (Casadei...), il fatto che Avati l'abbia immortalata in un contesto inquietante, dannatamente leggendario!, ha dell'incredibile. Il colpo di scena finale, poi, (che evito di riportare per non rovinare la sorpresa a nessuno) è deliziosamente anticlericale (anche se penso che lo stesso regista ne sia inconsapevole)... del resto cosa c'è di più fastidioso, ad occhi monoteisti, di una donna "sull'altare"?, ed è una trovata ben architettata e orchestrata. C'è da far notare, però, che in realtà il finale non è neanche marcato in modo netto: infatti, Stefano si salva o no? Non lo sappiamo, sentiamo solo le sirene delle auto della polizia, in sottofondo. E che dire dell'ultima, inquietante, immagine, quella mano (...di chi?) che si appoggia al tronco dell'albero?
Qui e lì c'è qualche concessione ad una vena comica (anche perché Avati aveva già girato e girerà ancora film umoristici), per esempio la scenetta della maestra "ninfomane" al ristorante del paese o le riprese della vecchia obesa che gusta il brodo, che effettivamente, forse, potranno far storcere il naso (anche se servivano probabilmente a dare un tocco di verismo alla comunità del paese), come anche c'è qualche "pausa morta" (le scene d'amore e i dialoghi tra Stefano e Francesca, con lei che si spoglia quasi al rallentatore e che hanno un ritmo un po' legnoso) ma in generale, i personaggi, anche con i loro difetti, sono ben delineati; peccato non aver inserito qualche scena in più in riferimento al pittore, che viene mostrato solo in pochi fotogrammi. Difficilmente si potranno dimenticare i passi salienti dell'opera: il cascinale diroccato con le bocche dipinte, la chiesetta immersa in quel cielo crepuscolare, la voce rantolante del pittore, le vocette gracchianti ed isteriche delle due sorelle (che ci ricordano quasi la strega di "Hansel e Grethel"), la scena dello "spogliarello" finale (da applausi i lampi sulfurei negli occhi dell'attore che interpreta il doppio ruolo "personaggio insospettabile/sorella del pittore"). Un grande film, tanto più di valore proprio perché realizzato "artigianalmente", senza grandi mezzi ed effetti speciali, seguendo proprio il "di necessità virtù" dei contadini. Peccato che poi Avati abbia abbandonato il genere horror (a parte Zeder, Le strelle nel fosso, L'arcano incantatore, Il nascondiglio), quando sarebbe stato interessante vederlo in azione con altri horror sempre ambientati nelle nostre campagne.
I fotogrammi più belli del film