Jean Ray "La Giostra" (racconto horror)


Anni fa a Londra, in Bethnal Green, tra Shoreditch Station e Bricklane, c'era una squallida piazza che portava il nome di Altwater Square, nome che conservò fino al giorno in cui crollò il muro sul quale era scritto. Più avanti si stabilì in quell'area un parco di divertimenti che gli abitanti del quartiere chiamavano French Fair immaginando, e non del tutto a torto che le fiere di Francia gli somigliassero in tutto e per tutto. Durante i mesi d'inverno le tende e le baracche restavano chiuse: le prime ben legate e riparate dai copertoni, le altre inchiodate come casse. Nelle roulottes parcheggiate in disparte la popolazione della French Fair trascorreva la cattiva stagione in una specie di letargo, vivendo del proprio grasso come gli orsi per ridestarsi persone e cose, soltanto a primavera. All'inizio la French Fair contava un circo equestre, un serraglio, parecchie giostre - le cosidette merry-go-round - la vasta tenda di un illusionista e un numero imprecisato di lotterie, friggitorie e antri di cartomanti. Ma, dopo un lungo periodo di relativa floridezza, essa conobbe il declino; il numero dei "mestieri", per usare il gergo dell'ambiente, andò diminuendo; inoltre il quartiere diventava sempre più povero.

Il circo equestre divenne ambulante e non ritornò più in Bedhal Green. I leoni e le tigri morirono di vecchiaia e di tisi; gli orsi furono acquistati dallo Zoo di Londr; il pitone gigante fuggì e andò a morire nella fogna dove si era rifugiato; le scimmie entrarono al servizio di alcuni suonatori di organetti italiani. Un'ordinanza imprevista proibì alle indovine e ai veggenti di continuare a esercitare la loro attività; e i superstiti vissero alla giornata, sotto il segno della decrepitezza.
Al Blass era nato nella French Fair al tempo in cui suo padre, Silas Blass faceva quattrini con la sua giostra. All'epoca in cui ha inizio questa storia l'ultimo merry-go-round apparteneva ad Alerton Blass.
Silas era un furbacchione che asseriva di essere amico del progresso e che, grazie a una trovata, era riuscito a battere tutti i suoi concorrenti. Egli aveva sostituito buona parte dei suoi cavalli di legno con leoni e maiali; e, parrebbe impossibile, la clientela preferiva montare un leone o un porco invece di un comune cavallo.

Al crebbe in questo ambiente chiassoso ma bonario. Menando frustate che facevano molto rumore e poco male egli incitava la vecchia giumenta che azionava la giostra; ridava il colore agli animali di legno sbiaditi e ne fabbricò anche un paio di nuovi perchè era abile di mano.
Aveva 25 anni quando il vecchio Silas morì lasciandogli un affare che non andava troppo male. Si parlava di un suo matrimonio con Betty, una ragazza che gestiva una lotteria a ruota. Ma poco tempo prima delle nozze la bella vendette la sua azienda e partì con un capitano in aspettativa. Alerton se ne consolò soltanto quando seppe che Betty la rossa non era che una volgare prostituta che i marinai in libera uscita nella Commercial Road potevano offrirsi a turno per qualche bicchiere di gin o una manciata di sigarette. Tuttavia gli rimase una certa diffidenza verso il  sesso gentile e non volle prender moglie. Assunse al suo servizio un vecchio, taciturno  e cupo, Gil Barker, un ex clown che ebbe l'incarico di incassare i quattrini, di allontanare chi non pagava e di girare la manovella dell'asse rotatorio. Un mattino la vecchia cavalla fu trovata morta nella sua stalla di tela e lo squartatore se la portò via. Al acquistò un vecchio cavallo da corsa che acconsentì a nitrire e a saltare ma non a fare la parte del derviscio che gira su se stesso; e dovette rivenderlo, perdendoci, a un ambulante che faceva i mercati e possedeva un carrozzino. Fu allora che gli venne la famosa idea di modernizzare la  sua giostra. La polizia fluviale aveva scartato alcuni motori a gasolio che non servivano più alle sue vedette. Al ne acquistò uno quasi a prezzo da ferrovecchio. L'illusionista che aveva qualche cognizione di meccanica gli insegnò a far girare contemporaneamente, con l'ausilio di una cinghia e di una puleggia, il perno e la piattaforma e  tutto andò secondo i suoi disegni. La giostra girava assai più rapidamente di prima, l'organo meccanico faceva più rumore di una banda e i clienti erano soddisfatti. Disgraziatamente i tempi diventavano sempre più duri e svaghi diversi e più lontani attiravano i giovani del quartiere. Ma Al era un uomo che si accontentava di poco e seppe tenersi a galla senza eccessive preoccupazioni. Fino al giorno in cui Uragano si ruppe le reni e le zampe.
Uragano era un bel cavallo marrone, con sella di feltro e briglie dorate e tempestate di pietre false. Faceva colpo, e quando la giostra si metteva in moto restava di rado senza cavagliere. Quel giorno era stato scelto da un omaccione zavorrato di birra e di brandy in soprappiù dei suoi cento chili abbondanti; ma costui era appena montato in sella che già crollava sulla piattaforma tra i frammenti e le schegge di quello che era stato Uragano.

Al riuscì a stento ad ottenere dal gigantesco cavaliere alcuni scellini a titolo di risarcimento e si recò da un fabbricante di attrezzi da fiera per acquistare un sostituto del povero Uragano. Ma le tariffe erano cambiate e il costruttore domandò un prezzo così esorbitante che Alerton ritornò a casa a mani vuote.

L'assenza del cavallo marrone non impediva alla giostra di girare, ma il vuoto che esso aveva lasciato nelle fila degli animali pungeva il cuore di Al Blass che finì col trovarne insopportabile la vista. Ora, Gil Barker era forse un vecchio brontolone, e scimunito per di più, ma capiva il dolore del padrone; e una sera rientrò curvo sotto un pesante fardello.

- Questo servirà a costruire un nuovo Uragano- borbottò. E Al vide che il fardello era un grosso pezzo di legno.
- Dove lo hai preso, Gil?- domandò.
Il vecchio scrollò le spalle, fece un segno in direzione dei moli e disse con voce sorda:  -Bè, laggiù -.
Poi riempì la pipa e si mise a fumare in silenzio.
- Non ho mai visto un legno simile- mormorò Al.
-Non è duro ma pesa come il piombo. E che strano odore!- Infatti il legno mandava un fetore nauseabondo di marcio e il suo colore verdastro non aveva nulla di attraente. Ma un proverbio del Midlands, forse noto anche altrove, dice che a caval donato non si guarda in bocca; e Al prese la mazzuola e lo scalpello e si mise all'opera immediatamente. Il legno si prestava bene a quello che egli voleva farne, e a poco a poco il nuovo corsiero prese forma. Era un bel lavoro. Il corpo, soprattutto, di linee snelle e robuste era ben riuscito; solo la testa non rispondeva ai desideri di Al, sebbene egli avesse cercato più volte di modificarne la forma. Era, tuttavia la testa di un cavallo; ma con un'espressione di ferocia diabolica che faceva paura a guardarla e che, al suo confronto, faceva apparire innocue capocce di pecore le teste dei leoni. Un ultimo tentativo di correggerla si concluse con un disastro. Causa un falso movimento lo scalpello incise le labbra della bestia cosicché le sue fauci si spalancarono quasi per una terribile minaccia. Allora, per evitare di far peggio, lo scultore ripose i suoi strumenti. Ma il peggio fu fatto quando Barker ci mise nuovamente le mani. Il vecchio aveva voluto rendersi utile e, sacrificando una parte del suo riposo notturno, aveva dipinto il nuovo ospite. Aveva scelto un atroce colore scarlatto e uno smalto di un bianco brillante per adornare la bocca spalancata di una possente rastrelliera di denti. Un rimasuglio di vermiglio e di smalto servì a dipingere un paio d'occhi enormi, inverosimili, sporgenti come quelli di un granchio mostruoso. Al rabbrividì quando vide il capolavoro, ma non avrebbe voluto per tutto l'oro del mondo arrecare un dispiacere al vecchio servitore criticando o disapprovando la sua opera. Così il nuovo corsiero prese il posto dell'altro. Non ebbe, però, lo stesso nome, perchè Gil dichiarò dando un'amichevole manata al mostro: -Sue... se lo chiamassimo Sue?-
- Perchè?-
- Quand'ero domatore di belve...- incominciò Gil Barker...

In effetti, prima di mettersi, ormai vecchio, a  divertire il pubblico con farse pietose e goffe capriole egli aveva presentato nel circo un numero di bestie feroci.
- ... Lavoravo con una tigre, un vero mostro. Aveva fatto fuori quattro domatori, ma a me non fece mai del male. Si chiamava Sue.-
- Vada per Sue, allora - rispose Al ridendo. -Ci figureremo che sia una giumenta. -
Sue entrò nella giostra, seguì la ronda dietro il leone Rabo e piacque molto ai giovani cavalieri, orgogliosi di poter cavalcare una bestia dall'aspetto così feroce senza correre il rischio d'essere fatti a pezzi o di mordere la polvere.

Alerton Bass era un uomo solitario, i cui pensieri giravano in un cerchio chiuso come i suoi animali di legno. Talvolta cercava di scambiare qualche parola con Gil Barker, ma questi rispondeva con un mugolio oppure faceva il sordo, come Cob Cow della favola che sente soltanto quando gli fa comodo. Un mattino tuttavia, Gil uscì dal suo mutismo per gridare rabbiosamente: - Vorrei proprio sapere che è il figlio di cane che ha conciato Ravo in questa maniera! -. Rabo il leone aveva perduto la coda e aveva i fianchi profondamente scorticati. Il vecchio mugugnò e finì col dire che avrebbe stretto le viti a Sue perchè si chinava troppo in avanti. Mentre era intento a questo lavoro, Al lo udì mormorare: -Brutto demonio, hai allungato il collo, eh?- E pochi minuti dopo lo udì soggiungere: - Bisogna star buoni, bellezza...non si può mordere le altre bestie...Non si può. -

Era appena scoppiata una tempesta che doveva durare tre giorni interi. Londra era scomparsa in una nuvola d'acqua e di fumo; le raffiche di vento schiantarono gli alberi dei parchi e mandarono qualche tetto a fare un volo. La French Fair dovette chiudere le tende e la sua gente si ritirò nelle roulottes o andò ad affogare le sue pene nelle osterie dei dintorni. Ma, a parte qualche bancarella rovesciata, la fiera non ebbe troppo a soffrire per il cattivo tempo e la vita normale riprese il suo corso. Prima di rimettere in moto la giostra, Gil fece un giro d'ispezione per vedere se ogni cosa era in ordine.
- Maledizione!- gridò a un tratto. -Sono tre giorni che non giriamo e le viti di questa dannata bestia non tengono più.- Si guardò intorno, ma non scorse Alerton che si era nascosto poco lontano presentendo che qualcosa di insolito stesse per accadere. Il vecchio diede un calcio a Sue borbottando: - Canaglia, come se non lo sapessi che sei stata tu, nessun altro che tu, a fare a pezzi Rabo.-

Faceva buio perchè i teloni non erano ancora stati tolti e Al poteva distinguere soltanto le forme fantomatiche degli animali di legno e quella gesticolante del suo domestico.
-Ah! Baldracca...carogna-
- Cosa succede?- domandò Al uscendo dal suo nascondiglio.
- Niente di grave. Un chiodo della gola di Sue che mi ha graffiato.-
Per tutta settimana Gil Barker portò la mano fasciata. Durante la notte Al lo udiva spesso lamentarsi e bestemmiare sottovoce.

In un pomeriggio tetro e di pubblico scarso il motore della giostra si arrestò. La piattaforma fece ancora mezzo giro e stava per fermarsi quando, repentinamente, riprese il movimento in maniera disordinata. Al non poteva credere ai propri occhi: il merry-go-round girava sempre più in fretta e i pochi ragazzi che cavalcavano gli animali urlavano di terrore. Il movimento si accellerava fino a dare le vertigini in un silenzio vasto, pesante che accentuava la stranezza del fenomeno: infatti il meccanismo centrale restava muto, con i suoi fantocci fissati in una immobilità paurosa. Gli occhi di Al erano fissi su Sue. Il ragazzo che stava in sella si aggrappava al collo dell'animale piangendo e gridando che stava per cadere e ammazzarsi. Puf, puf, puf...il motore si rimise in marcia e i fantocci del perno centrale ripreso a batter tamburi e triangoli.
- Senti un po'- esclamò il monello che era saltato a terra appena la giostra aveva rallentato. -La tua bestiaccia suda, attacca e puzza...e come puzza! - e scuoteva le mani con disgusto. Al vide larghe chiazze umide luccicare sui fianchi di Sue, ma non cercò di capire. D'altraparte c'era forse qualcosa da capire?
Durante la notte egli udì un rumore come se una schiera di topi si desse da fare da qualche parte. E poteva darsi che fossero davvero topi , dato che a French Fair non ne mancavano. Ma la mattina seguente Gil Barker dovette staccare il leone Rabo che aveva i fianchi dilaniati; e Al vide che il vecchio toglieva di nascosto delle schegge di legno dalla bocca di Sue.

- Ehi, Blass- disse Sol Corter, l'illusionista, - forse che Barker ha ripreso il suo antico mestiere di domatore e si esercita di nascosto?-
- Cosa ti salta in mente?- si stupì Al.   
-Deve già una sterlina e quattro scellini a Grudden che ha una macelleria di carne di cavallo in Bricklane; e ieri, quando Grudden ha rifiutato di fargli ancora credito, si è quasi messo in ginocchio. Alla fine, è riuscito a portarsi via un po' di carnaccia.
Al riflettè un poco; poi, durante una breve assenza del suo domestico, andò a esaminare Sue con maggiore attenzione. Il legno con il quale la bestia era stata fabbricata non aveva mai olezzato di rosa, ma adesso esalava un fetore insopportabile di putrefazione. - Dove ho già sentito questa puzza?- mormorò Al. Più tardi, durante il giorno, si battè la mano sulla fronte: ricordava, ma era un ricordo che rendeva le sue idee ancora più confuse. Quel fetore era l'alito delle tigri del serraglio di Westlock.
Una notte Al Blass fu destato dal soffio freddo di uno spiffero; e, alla luce di un fanale che entrava da un finestrino della roulotte, vide che la cuccetta di Gil era vuota. Il fatto non aveva nulla di singolare, senonché dall'esterno giungeva un rumore strano che non era quello della pioggia che martellava i tendoni e le lamiere di copertura. Una lanterna era accesa all'interno della giostra e un triangolo di luce  usciva dal tendone. Udendo un rumore soffocato di colpi, di salti e di cadute, Al sgattaiolò dentro.

Accadde allora qualcosa di fulmineo e di confuso. Vide vicino al suo viso quello di Gil Barker, rosso di sangue, contratto dalla disperazione e dal dolore; e poi una forma che girava a vuoto. Urtò contro qualcosa, oppure fu urtato, e cadde con la faccia al suolo e un dolore lancinante che gli trafiggeva il petto. Nello stesso istante la lanterna si staccò dal palo e andò a sbattere contro la damigiana piena di gasolio. - Al fuoco- urlò Al. Ma già un cerchio di fiamme ruggenti lo circondava.  
Meno di un'ora dopo la povera casa di assi e di tela che era stata French Fair non era più che cenere rossa che sibilava sotto la pioggia. Per un vero miracolo la vittima fu una sola: Al Blass, il cui cadavere fu trovato semi carbonizzato tra i resti del suo merry-go-round.

- Sarà bene fare indagini- dichiarò il sergente di polizia che aveva assistito ai lavori di salvataggio.       
- Direi che questo colpo è stato tratto col coltello.-
Si cercò Gil Barker che era sparito, e non ci volle molto a trovarlo. Il suo cadevere giaceva nel settore di manovra di Shoreditch-Station. Il dottor Andrew Matthis che si era recato sul posto su invito della polizia raccontò: - è una fortuna che gli fosse rimasto un pezzo di testa che ci ha permesso di identificarlo. Il resto non era che poltiglia. Pareva che l'avessero passato al tritatutto per farne polpette. Gli era rimasto anche un pezzo di mano, però; quanto bastava per impugnare un'ascia dalla lama completamente storta e che sembrava intrisa di vischio o di melassa.-. Intorno al cadavere furono raccolti grossi pezzi di una sostanza verdastra, densissima, esalante un odore così nauseabondo che il dottor Matthis fu colto dai conati di vomito.

Dieci anni dopo, il dottor Andrew Matthis faceva parte di una spedizione scientifica inglese nel deserto del Gobi. Una sera la comitiva incontrò la spedizione del professor Hatterly, e nella triste solitudine del deserto i due gruppi di scienziati fraternizzarono.
- Abbiamo fatto una scoperta eccezionale, senza precedenti - raccontò il professore, - sulle rive di uno di quei maledetti laghi salati che pullulano da queste parti. Anzi, non dovrei maledirli, perchè è proprio grazie al sale delle loro acque che il cadavere è relativamente ben conservato.
- Un cadavere? Domandò il dottor Matthis. - Allora dev'essere bene avanti negli anni, perchè da secoli qui non ci sono altri esseri viventi all'infuori delle tarantole o delle cavallette.-
- Secoli? Dite pure millenni, caro collega- rispose l'americano ridendo. E diede ordine di aprire alcune casse.
-Fortunatamente la testa è quasi intatta- continuò, - mentre il resto del corpo si è in gran parte decomposto e disgregato. Ma lo portiamo via ugualmente; ci permetterà di fare ricerche più ampie.-
Il dottor Matthis trattenne a stento un'esclamazione di terrore quando Hatterly gli fece vedere una testa mostruosa, di una laidezza senza pari. - Sarebbe una tigre... ma con l'orrore in più!-
- Infatti. Non credo di sbagliare dicendo che si tratta di un machairodus, la tigre della preistoria. Osservate la testa, allungata, come quella di un cavallo o di un asino. E il muso: non ne trovate di simili in nessun altro grande animale feroce. Ma che razza di gigante doveva mai essere questo...Due volte le dimensioni di un bufalo, vi pare?- Indicò  un'altra cassa dalla quale usciva un odore ripugnante. - Muscoli quasi putrefatti. Osservate il loro strano colore verdastro e bronzeo; forse il sale ne è la causa, almeno in parte. Quanto al fetore, non penso che sia dovuto alla putrefazione ma che sia l'odore "sui generis" del mostro. Altrettanto insolita è la densità di questa sostanza: 6.50, pressapoco la stessa dell'antimonio.-

Richter, lo scienziato austriaco che faceva parte della spedizione americana e aveva passato molti anni in Siberia, disse a sua volta: - Nell'Ostrog, gli uomini delle tribù Schamanes scoprono qualche volta corpi simili imprigionati, ma si guardano bene dal toccarli, anzi si allontanano in fretta e vanno a rizzare le loro tende il più lontano possibile. E, non ho mai capito perchè, chiamano quei corpi  "La cosa che resta terribile e non muore mai".-

Andrew Matthis si chiese allora dove avesse visto resti identici a quelli che esalavano lo stesso fetore pestilenziale. Se ne ricordò solo qualche giorno dopo, e la sua mente concepì un'ipotesi allucinante e spaventosa. Ma, riflettendo, si rese conto di quello che sarebbe avvenuto se l'avesse resa pubblica: la levata di scudi degli ambienti scientifici, le controversie appassionate, le risate di disprezzo, le ingiurie, perfino. E poichè ambiva a una cattedra a Oxford o a Cambridge, preferì tacere.