Il Ciclo di Shannara

Inizierò a leggere (parte del) Ciclo di Shannara... mia madre ne ha qualcuno, e pensate che li ha letti mentre era incinta... di me! 

La Spada di Shannara (1978)

Le Pietre Magiche di Shannara (1984)

La Canzone di Shannara (1986)

Gli Eredi di Shannara (1990)

Il Druido di Shannara (1991)

La Regina degli Elfi di Shannara (1992)

I Talismani di Shannara (1993)


Gli stralci più belli:

"Il sole tramontava già fra le profondità verdi delle colline a ovest della vallata, e le sue ombre rosse e rosate sfioravano gli angoli più remoti della campagna, quando Flick Ohmsford cominciò la sua discesa. Il sentiero calava giù irregolarmente per il pendio settentrionale, serpeggiando attraverso i massi imponenti che costellavano il terreno, sparendo nelle folte foreste delle pianure per ricomparire a tratti nelle piccole radure e negli spazi liberi della zona dei boschi. Flick seguiva con lo sguardo il percorso familiare mentre avanzava stancamente, un passo dietro l'altro, il sacco buttato sopra una spalla. La sua faccia larga, battuta dal vento, aveva un che di placido, disteso, e solo i grandi occhi grigi rivelavano l'energia che bruciava dietro quella calma apparente. Era giovane, anche se la corporatura robusta e i capelli castani spruzzati di grigio e le sopracciglia folte lo facevano apparire assai più vecchio. Indossava la comoda tenuta da lavoro della gente della Valle e nel sacco portava diversi utensili metallici che sbattevano l'uno contro l'altro, sferragliando. Un'ombra di gelo pervadeva l'aria della sera e Flick si strinse contro la gola il collo della camicia di lana. Lo aspettava un viaggio attraverso foreste e pianure all'infinito, le ultime non ancora visibili quando s'inoltrò nell'oscurità della foresta, dove le alte querce e i tetri noci s'intrecciavano fino a nascondere il cielo notturno, senza nubi. Il sole era ormai tramontato, lasciando il blu profondo del cielo trapuntato di migliaia di amichevoli stelle. Ma gli alberi cancellavano anche queste e Flick rimase solo nell'oscurità e nel silenzio a avanzare lentamente sul sentiero battuto. Lo aveva percorso migliaia di volte e così notò immediatamente quella inconsueta staticità che era scesa come un incantesimo sull'intera vallata. Il ronzio familiare e lo stridio degli insetti che normalmente animavano la pace della notte, le grida degli uccelli che si svegliavano al tramonto per volare alla ricerca di cibo... erano scomparsi.  Flick tendeva l'orecchio per captare qualche suono di vita, ma il suo udito perfetto non intercettava nulla. Scosse la testa, innervosito. Quel silenzio profondo lo inquietava, tanto più che, secondo certe voci, un'orrenda creatura dalle ali nere era stata avvistata solo qualche giorno prima nel cielo notturno della vallata. (...) Fermandosi momentaneamente in una radura illuminata dalla luna, alzò gli occhi verso la profondità del cielo notturno prima di inoltrarsi bruscamente fra gli alberi."

"Il cielo fu improvvisamente oscurato da qualcosa di nero e immenso che si librò sopra di loro e scomparve. Un attimo dopo ripassò di nuovo, descrivendo lentissimi cerchi, ombra quasi immobile che incombeva sinistra sui due viandanti nascosti come si preparasse a avventarsi su di loro. (...) Davanti a lui passò rapidamente la visione di un'immagine nera lampeggiante a tratti di rosso, di mani artigliate e ali immani, una creatura così malvagia da minacciare la sua vita per il semplice fatto di esistere."

"Atterrito in modo indescrivibile, sollevò la testa fino al davanzale e cautamente guardò oltre l'intelaiatura di legno. Vide quasi immediatamente la creatura... una immensa, terribile sagoma nera, che strisciava trascinandosi lentamente attraverso le ombre degli edifici davanti alla locanda, il dorso gibboso ricoperto da un mantello che si sollevava e rigonfiava leggermente mentre quel che nascondeva vi batteva contro. L'orrendo raspare di quel respiro era avvertibile persino a quella distanza e i piedi emettevano un curioso rumore raschiante spostandosi sulla terra scura. Shea si afferrò al davanzale, gli occhi inchiodati sulla creatura che si avvicinava e, un istante prima di abbassare la testa per nascondersi, intravide chiaramente un pendente d'argento a forma di Teschio."

"Ma non erano ancora usciti dalla vallata. Shea si chinò verso il fratello costringendolo a alzarsi, tirandoselo dietro mentre si addentrava nel bosco e cominciava a salire su per il ripido pendio. Flick lo seguiva senza una parola, ormai incapace anche soltanto di pensare, concentrando la vacillante forza di volontà nel tentativo di proseguire il cammino. Il pendio orientale era aspro e insidioso, disseminato di massi, alberi caduti, cespugli e buche. Era Shea a dare il passo, superando gli ostacoli più velocemente che poteva, mentre Flick ne seguiva le orme.  Il cielo cominciò a schiarire e le stelle scomparvero. Davanti a loro, al confine della vallata, nel cielo notturno si accendevano le prime luci dorate che riflettevano vagamente il disegno del lontano orizzonte.  Shea cominciava a stancarsi, il respiro gli si era fatto ansante, soffocato, mentre avanzava a fatica. Dietro di lui, Flick si costringeva a strisciare, trascinando il corpo esausto, mani e braccia cosparse di graffi e di tagli lasciati dalle erbacce aguzze e dai sassi. Quella scalata sembrava senza fine. Si muovevano a passo di lumaca sopra l'aspro terreno, e solo la paura di essere sorpresi li faceva avanzare. Se li avessero individuati, lì, all'aperto, dopo tanti sforzi... Improvvisamente, a circa tre quarti del cammino, Flick lanciò un grido di allarme e cadde a terra senza fiato. Shea si volse, atterrito, e subito vide l'immensa sagoma nera che si innalzava dalla Valle... salendo come un grande uccello in spirali allargate nella luce tenue dell'alba. Il giovane si appiattì contro le rocce, facendo cenno al fratello di nascondersi in fretta e pregando che la creatura non li avesse visti. Rimasero immobili sul pendio mentre il mostruoso Messaggero del Teschio si levava sempre più alto, in una spirale sempre più larga, avvicinandosi al loro nascondiglio. Di colpo il Messaggero diede in un grido agghiacciante, spegnendo in loro l'ultima speranza di salvezza. Caddero nella morsa di quello stesso inspiegabile senso d'orrore che aveva immobilizzato Flick, nascosto nella boscaglia con Allanon, sotto l'immensa ombra nera. Ma questa volta non c'era alcun rifugio. Il terrore crebbe rapidamente, facendosi parossismo, quando la creatura si librò sopra di loro e essi seppero in quel breve istante che stavano per morire. Ma l'istante successivo, il cacciatore nero virò e prese a scivolare verso nord senza deviazioni, rimpicciolendosi costantemente nell'orizzonte fino a scomparire alla vista. I due giovani, pietrificati, rimasero a terra contro le rare erbacce e i sassi sparsi, timorosi che la creatura rifacesse vela su di loro distruggendoli nel momento stesso in cui avessero cercato di muoversi. Ma quando la terribile irragionevole paura si fu smorzata, si alzarono tremando, e silenziosi, sfiniti, ripresero a arrancare verso il sommo della vallata; mancava ormai poco all'orlo di quell'aspro pendio e essi trovarono la forza di correre attraverso il prato fino alla salvezza, le Foreste del Duln. Pochi minuti dopo si persero fra i grandi alberi, e il sole del mattino trovò silenziosa e solitaria la terra che si estendeva fino alla Valle. Quando s'inoltrarono nella foresta i due rallentarono il passo, e infine Flick, che non aveva alcuna idea di dove fossero diretti, lanciò un richiamo a Shea. "Perché stiamo andando da questa parte?", chiese. Udire la propria voce lo turbò dopo tutto quel silenzio.  "Dove stiamo andando, insomma?" "All'Anar, come ci ha detto Allanon. Ci conviene scegliere il percorso che i Messaggeri del Teschio meno si aspettano. Così ci dirigeremo verso le Querce Nere e di là punteremo verso nord, sperando di trovare aiuto lungo la strada." "Aspetta!", esclamò Flick, che improvvisamente aveva capito.  "Tu vuoi dire che stiamo andando a est, passando per Leah, nella speranza che Menion possa aiutarci. Sei impazzito? Perché non ci arrendiamo semplicemente a quella creatura? Sarebbe molto più veloce." Shea allargò stancamente le braccia e si voltò per affrontare il fratello. "Non abbiamo altra scelta! Menion Leah è l'unica persona cui possiamo rivolgerci per un aiuto. Egli conosce le terre al di là di Leah. Può darsi conosca un modo per attraversare le Querce Nere." "Oh, certo. Hai forse dimenticato che l'ultima volta ci siamo persi proprio da quelle parti per colpa sua? Non mi fido di lui!" "Non abbiamo altra scelta", ribadì Shea. "Nessuno ti ha costretto a affrontare questo viaggio, lo sai." Improvvisamente la sua voce si smorzò: "Mi dispiace di aver perso la calma. Ma dobbiamo fare le cose a modo mio, Flick."

"I fratelli raccolsero le loro poche cose e ancora una volta ripresero la lenta, costante marcia verso est, volgendo le spalle alla morente luce del giorno. Nei boschi regnava un silenzio inconsueto, e i due giovani avanzavano cautamente, senza parlarsi, attraverso il manto cupo della foresta notturna, la luna un raggio lontano che affiorava solo a brevi intervalli attraverso l'oscuro intreccio di rami. Flick era soprattutto turbato dal silenzio innaturale della foresta, un silenzio strano ma tristemente familiare al giovane. Di tanto in tanto si fermavano, ascoltando quella quiete profonda; poi, non udendo nulla, riprendevano la marcia, cercando con lo sguardo una radura che si allargasse verso le montagne. Flick detestava quel silenzio opprimente e cominciò a fischiare fra sé, ma fu subito messo a tacere da un cenno ammonitore di Shea. (...) Entrambi si sentivano sollevati ora che erano emersi dalla foresta, dagli alberi mostruosi, soffocanti fino a togliere il respiro, da quello sgradevole silenzio. Forse erano stati più al sicuro fra il manto ombroso della foresta, ma ora si sentivano meglio preparati a affrontare pericoli che li minacciassero direttamente sulla prateria.  (...) Shea si addormentò. Erano passati solo pochi minuti e si ritrovarono entrambi a occhi aperti. Non era stato un rumore a svegliarli, ma il silenzio mortale, sinistro che era caduto all'improvviso. Avvertirono subito la presenza di un altro essere; la sensazione li colpì nel medesimo istante e entrambi balzarono in piedi, senza una parola, i pugnali scintillanti nella debole luce, mentre scrutavano lo spazio circostante. Tutto era immobile. Shea fece cenno al fratello di seguirlo mentre strisciava su per il pendio della piccola valle verso la sommità, così da poter guardare meglio all'orizzonte. Rimasero immobili nella boscaglia, scrutando l'oscurità del primo mattino, aguzzando la vista per individuare cosa fosse in agguato.  Che qualcosa vi fosse, non lo mettevano in dubbio... entrambi avevano provato quella sensazione davanti alla finestra della loro camera da letto. (...) Poi, con un improvviso fruscio di vento e foglie, la sagoma nera del Messaggero del Teschio si levò silenziosamente in lontananza, da una lunga linea di boscaglia alla loro sinistra. La forma confusa sembrò librarsi e incombere pesantemente sopra la terra per diversi lunghi istanti, come incapace di muoversi, stagliandosi contro la debole luce dell'alba nascente. I fratelli si appiattirono contro l'orlo dell'altura, silenziosi come gli stessi boschi, aspettando che la creatura si muovesse.  (...) Una volta ancora l'alba li salvò. Mentre il Messaggero del Teschio si librava silenzioso sopra la prateria, l'orlo dorato del sole del mattino si levò fra le colline orientali e mandò i primi messaggeri del giorno nascente a dardeggiare sulla terra e sul cielo. La luce solare investì la sagoma scura della creatura notturna che si alzò bruscamente nel cielo, roteando sopra la prateria in cerchi sempre più ampi. Il suo grido di morte, di odio agghiacciante, raggelò i teneri rumori del mattino; poi volgendosi a nord, si allontanò velocemente. Un attimo dopo era scomparsa e i due giovani, increduli, felici, rimasero con lo sguardo perduto nel libero cielo del mattino."

"Passarono quella notte accampati in una piccola radura delle Querce Nere, riparati dai grandi alberi e da una densa boscaglia che cancellava lo squallore delle Pianure di Clete. La coltre di nebbia si dissolveva entro la foresta, consentendo di fissare lo sguardo al baldacchino di rami e foglie che si intrecciava alto sopra di loro. Mentre nelle morte pianure non vi era stato segno di vita, fra le querce si udivano nella notte gli insetti, e un brusio di vita animale. Era piacevole udire di nuovo quei suoni, e per la prima volta dopo giorni i tre viaggiatori si sentirono a loro agio.  Ma ancora indugiava in loro il ricordo del viaggio precedente, quando si erano perduti per lunghissimi giorni e avevano corso il rischio di venir divorati dai lupi famelici che si aggiravano nelle profondità della foresta. E le storie di sventurati viaggiatori che avevano tentato di attraversare quella stessa foresta erano troppo numerose per essere ignorate."

"Mentre giacevano supini, lo sguardo rivolto verso l'alto, verso le sommità degli alberi che oscillavano dolcemente, la luce vivida del fuoco sembrava dardeggiare in deboli lingue arancione che davano l'impressione di un altare ardente in un grande santuario. La luce danzava e scintillava contro la ruvida corteccia e il muschio che marezzava di verde i tronchi massicci. Gli insetti della foresta continuavano a ronzare placidamente. Di tanto in tanto qualcuno volava fra le fiamme e estingueva la sua breve vita con un lampo abbagliante." 

"Quando si svegliarono il mattino dopo la foresta era ancora immersa nel buio, e solo deboli tracce di luce filtravano fra le cime delle grandi querce. Una foschia leggera era salita dalle Pianure che si intravedevano oltre il limitare della foresta, squallide e cupe come sempre. Era freddo fra gli alberi... non il gelo umido, penetrante delle Pianure, ma il freddo pungente, frizzante delle prime ore del mattino nella foresta. Consumarono una veloce colazione, poi Flick si preparò a arrampicarsi."

"Tuttavia, il giorno volse rapidamente al termine, si avvertirono i primi segni della notte, e la foresta si stendeva sempre compatta innanzi a loro, senza traccia di radure fra i grandi alberi. E un pesante mantello di nebbia grigia filtrava sempre più denso: una nebbia che essi non conoscevano; non impalpabile come nella pianura, ma di una sostanza quasi fumosa che si incollava al corpo e ai vestiti, si avvinghiava in modo disgustoso. Simile alla pressione di centinaia di mani gelide, vischiose, che cercassero di abbattere i tre viaggiatori, e questi ne provavano una inconfondibile ripugnanza. Menion osservò che quella sostanza fumosa proveniva dalla Palude della Nebbia, poiché ormai stavano raggiungendo i confini della foresta. Ma presto la nebbia si fece così pesante che i tre riuscivano a malapena a vedere a un metro di distanza. Menion rallentò l'andatura e i due compagni gli si tennero vicinissimi per evitare di perdersi. La luce del giorno era ormai svanita e la foresta sarebbe apparsa tenebrosa anche senza la nebbia; ma quel muro di densa umidità rendeva ancor più tetra e impenetrabile l'atmosfera, al punto che era ormai impossibile individuare un sentiero. Era come essere sospesi in una sorta di limbo, dove solo la terra, salda ma invisibile sotto i loro piedi, costituiva una prova di realtà. E infine l'oscurità si fece tale che Menion ritenne opportuno legarsi l'uno all'altro con una corda per evitare di smarrirsi. Egli sapeva che ormai dovevano essere molto vicini alla Palude della Nebbia e scrutava attentamente il grigiore davanti a sé nello sforzo di individuare uno spiraglio. E tuttavia, quando finalmente raggiunse il limitare della Palude, non se ne rese conto se non quando sprofondò fino alle ginocchia nelle dense acque verdastre. La morsa gelida, mortale del fango, e la sua reazione di sorpresa, lo fecero scivolare ancora di più, e solo il suo rapido avvertimento salvò Shea e Flick da un destino analogo. Udendolo gridare, i due tirarono a sé la corda che li teneva legati e salvarono il compagno dall'acquitrino e dalla morte. Uno strato plumbeo, melmoso d'acqua copriva la grande massa di fango sottostante, che risucchiava meno velocemente delle sabbie mobili, ma altrettanto inesorabilmente. Chiunque finisse in quella morsa era condannato a morire in un abisso senza fondo. Da secoli e secoli quella superficie silenziosa invitava i viandanti incauti a attraversarla o a costeggiarla o soltanto a saggiarne le acque opache, e i resti decomposti di quegli infelici giacevano sepolti sotto la placida facciata. I tre viaggiatori rimasero fermi sulla riva, osservandola, inconsciamente inorriditi dal suo cupo segreto. Anche Menion Leah rabbrividì, ricordando il breve viscido abbraccio. Per la magia di un secondo, i morti si schierarono come un mare di ombre innanzi a loro, poi sparirono."

"(...) Presero rapidamente la decisione di proseguire costeggiando la Palude della Nebbia fino a raggiungere la campagna aperta a est, dove avrebbero trascorso la notte. Shea temeva di essere sorpreso allo scoperto dai Messaggeri del Teschio, ma il terrore crescente della Palude metteva in ombra anche quell'ossessione, e suo primo pensiero era allontanarsene quanto più presto possibile. Dopo aver stretto le corde intorno alla vita, i tre ripresero a camminare in fila indiana, lungo le rive irregolari della Palude, gli occhi incollati alla debole traccia di sentiero che serpeggiava davanti a loro. Menion li guidava con prudenza, evitando il groviglio di radici e erbacce che proliferavano lungo l'acquitrino, forme nodose e contorte che parevano vive nell'irreale penombra della nebbia. Talvolta il terreno diventava molle poltiglia, pericolosamente simile a quella della Palude, e bisognava evitarla. Oppure alberi immensi bloccavano la strada, i tronchi pesantemente chini verso la superficie tetra, immota della Palude, i rami inerti, in attesa della morte in agguato là sotto, a pochi centimetri. Se le Pianure di Clete erano una terra morente, la Palude era la morte in attesa... una morte infinita, senza tempo, che non dava segnali o avvertimenti, ma se ne stava immobile, pronta a ghermire,nascosta nel cuore di quella terra che aveva così ferocemente distrutto. All'umidità raggelante delle Pianure si accompagnava la sensazione inspiegabile che la melma densa, stagnante della Palude permeasse anche la nebbia, avventandosi sui viaggiatori. La bruma intorno a loro turbinava lentamente, ma non c'era traccia di vento, nessun fruscio di brezza fra l'erba alta dell'acquitrino o le querce morenti. Tutto era quiete, un silenzio di morte perdurante che non ignorava chi regnasse in quel luogo. Camminavano forse da un'ora quando Shea per primo avvertì qualcosa di inquietante; una sensazione apparentemente inspiegabile lo afferrò gradualmente finché ogni suo senso fu all'erta, nel tentativo di scoprirne l'origine. Camminando in silenzio fra gli altri due, ascoltava intensamente, scrutando prima fra le querce, poi girandosi verso l'acquitrino. Infine concluse con agghiacciante certezza che non erano soli... là fuori, nell'invisibile mondo circostante, perso nella nebbia, era in agguato qualcuno, in grado di scorgerli. Per un breve istante il giovane ne provò un tale terrore che non seppe parlare, né fare un gesto. Muoveva un passo dietro l'altro meccanicamente, la mente paralizzata in attesa che l'indescrivibile accadesse. Ma infine, con uno sforzo supremo, calmò i suoi pensieri disordinati e fece bruscamente fermare gli altri due."

"(...) Le Pianure erano assolutamente piatte, scoperte e visibilmente senza vita. Vi crescevano soltanto alberelli e ciuffi di boscaglia nudi e rinsecchiti come scheletri. Il suolo era compatto, tanto arido a tratti da aprirsi in lunghi crepacci frastagliati. Nessun fremito di vita mentre i viaggiatori proseguivano in silenzio, occhi e orecchie all'erta per captare qualsiasi elemento inconsueto. A un tratto - ormai da tre ore percorrevano le Pianure di Rabb - Dayel fece rapidamente cenno di arrestarsi, lasciando intendere che aveva captato qualcosa dietro di loro, nella lontana oscurità. Rimasero accovacciati e immobili per diversi lunghi istanti, ma nulla accadde. Alla fine, Allanon si strinse nelle spalle indicando di rimettersi in fila, e ripresero la marcia. Raggiunsero i Denti del Drago subito prima dell'alba, il cielo notturno sempre cupo e nuvoloso mentre si fermavano ai piedi delle montagne che si ergevano sul loro cammino come aculei mostruosi di un cancello di ferro." 

"(...) Le montagne cominciarono a circondarli da ogni lato mentre si facevano strada verso la cavità nella rupe. Oltre quel passo poco profondo, s'intravedevano altre montagne, ancora più alte e chiaramente inaccessibili. Shea si fermò per un breve istante, raccolse da terra un frammento sparso di roccia, lo esaminò incuriosito e riprese a camminare. Notò con sorpresa che era piatto e levigato, quasi vitreo d'aspetto, di un nero profondo, rilucente, simile al carbone che aveva visto usare come combustibile in alcune comunità del Sud. Eppure questo appariva più durevole del carbone, quasi fosse stato compresso e levigato per raggiungere la forma attuale. Lo porse a Flick, che lo guardò, si strinse nelle spalle e lo buttò via, senza interesse. Il sentiero cominciò a serpeggiare attraverso enormi agglomerati di massi caduti, al punto che i viandanti persero momentaneamente di vista le montagne circostanti. S'inoltrarono per un po' in quel meandro di rocce, sempre arrampicandosi verso la cavità, e infine raggiunsero una radura fra i macigni da dove si vedevano nuovamente le rupi: erano all'ingresso della cavità e palesemente vicini alla fine della pista che a quel punto doveva ridiscendere o sparire fra le montagne. Fu allora che Balinor spezzò il silenzio con un fischio sommesso, che fece fermare la compagnia. Parlò velocemente con Durin, poi si volse a Allanon e agli altri con espressione allibita."

"(...) Pochi minuti dopo vi si trovarono davanti, fissando esterrefatti il paesaggio che si apriva innanzi a loro. La valle era un deserto barbarico di roccia frantumata e di massi sparsi, neri e luccicanti come il sasso che Shea aveva esaminato sul sentiero. Null'altro era visibile tranne un laghetto dalle acque melmose che scintillava di un nero verdastro ed era agitato da piccoli vortici indolenti come possedesse una propria vita. Shea rimase colpito dallo strano movimento dell'acqua. Nessun vento poteva causarne il lento increspare. Guardò il silenzioso Allanon e, sconvolto, vide una strana luce irradiarsi dal suo volto cupo, severo. Il viandante sembrava perso nei propri pensieri mentre guardava in basso, verso il lago, scrutandone ininterrottamente le acque con una struggente nostalgia che non sfuggì al giovane. "Questa è la Valle d'Argilla, la soglia della Cripta dei Re e la residenza degli spiriti delle ère. Il lago è il Perno dell'Ade... le acque sono funeste ai mortali. Accompagnatemi fino in fondo alla Valle e poi io andrò solo."

"(...) Nel mezzo delle grida raggelanti, con un rombo sordo che risuonava dal cuore della terra, il lago si aprì al suo centro come un gorgo vibrante e dalle acque melmose emerse il sudario di un vecchio, curvo per gli anni. La figura si levò in tutta la sua altezza e parve reggersi sulle acque, il corpo esile, di un grigio trasparente, spettrale, che scintillava come le acque del lago. Flick sbiancò. L'apparizione di quell'orrore finale lo faceva certo che fosse giunto il loro ultimo momento sulla terra. Allanon restava immobile sulla riva, le braccia magre lungo i fianchi, il nero mantello avvolto strettamente intorno alla figura statuaria, il viso rivolto verso l'ombra spettrale che gli si levava dinanzi. Pareva parlassero tra di loro, ma i quattro spettatori nulla udivano se non il risuonare incessante delle grida inumane che si levavano dalla notte ogniqualvolta la figura spettrale compiva un gesto. La conversazione, qualunque ne fosse la natura, non durò che pochi istanti, terminando quando lo spettro si volse improvvisamente verso di loro, levò il braccio lacero, scheletrico, e indicò qualcuno. Shea sentì affondare nel suo corpo indifeso una lama gelida che parve penetrarlo fin nelle ossa, e seppe che, per un breve istante, la morte lo aveva sfiorato. Poi l'ombra si volse e, con un ultimo gesto d'addio a Allanon, affondò lentamente nelle acque nere del lago e sparì. Mentre svaniva le acque ribollirono di nuovo e i gemiti e le grida raggiunsero un agghiacciante diapason prima di spegnersi in un basso gemito di angoscia. Poi il lago rimase immobile e gli uomini si ritrovarono soli. Quando l'alba si levò sull'orizzonte, l'alta figura sulle rive del lago parve oscillare lievemente, quindi si afflosciò a terra. Per un secondo, i quattro esitarono, poi corsero verso il loro capo caduto, scivolando e inciampando sul terreno sconnesso. Lo raggiunsero in pochi secondi e si chinarono cautamente su di lui, incerti sul da farsi. Infine, Durin scosse con precauzione la figura ancora immobile, chiamandolo. Shea gli strofinò le mani, trovandole gelide e di un pallore allarmante. Ma dopo pochi minuti i loro timori svanirono. Allanon si mosse appena e gli occhi infossati si riaprirono. Li guardò per alcuni secondi, poi si tirò lentamente a sedere mentre loro si accovacciavano ansiosi accanto a lui."

"L'alba incombeva sopra i vasti crinali e i picchi dei Denti del Drago. Il calore e la luminosità del sole nascente erano offuscati da bassi banchi di nuvole e da una pesante foschia. Il vento si abbatteva con furia maligna sulle rocce nude, frustando canaloni e dirupi, sconvolgeva la misera vegetazione fin quasi a spezzarla, ma scivolava attraverso la coltre di nuvole e foschia con rapidità sfuggente, lasciandola inspiegabilmente e stranamente immota. L'ululare del vento, simile al ruggito profondo dell'oceano che si abbatte su una spiaggia aperta, avvolgeva le vuote sommità in un bizzarro ronzio che finiva per creare una particolare dimensione del silenzio. Gli uccelli si alzavano e abbassavano seguendo il vento, con grida sparse e ovattate. Pochi erano gli animali a quell'altezza, branchi isolati di una razza particolarmente agguerrita di capre di montagna e piccoli topi pelosi che abitavano i recessi più remoti fra le rocce. L'aria era gelida. La neve copriva le sommità dei Denti del Drago e i cambiamenti stagionali avevano scarso effetto a quella altitudine in cui la temperatura raramente superava lo zero. Erano montagne infide, vaste, torreggianti, incredibilmente massicce. Quel mattino sembravano velate di una bizzarra aspettativa, e agli otto che componevano il gruppo partito da Culhaven non poteva sfuggire il senso di disagio che contagiava i loro pensieri come s'inoltravano faticosamente nel freddo e nel grigiore. Non era soltanto la profezia di Bremen a turbarli, o sapere che avrebbero presto tentato di attraversare la proibita Cripta dei Re. Qualcosa li stava aspettando, qualcosa dotata di pazienza e astuzia, una forza vitale nascosta nel terreno brullo, sassoso, che stavano attraversando, e che, traboccante di odio vendicativo, li osservava mentre avanzavano faticosamente fra le montagne che racchiudevano l'antico regno di Paranor. Si diressero verso nord, in una linea ondulata che si stagliava contro l'orizzonte nebuloso, avviluppati nei mantelli di lana per proteggersi dal freddo, le facce chine contro il vento. I pendii e i canaloni erano ricoperti di macigni sparsi e di crepacci nascosti che rendevano il procedere estremamente pericoloso. Più di una volta, un membro del piccolo gruppo scivolò in una pioggia di sassi e polvere. Ma sempre la cosa nascosta in quel paesaggio non volle mostrarsi, soddisfatta di far sentire semplicemente la propria presenza, aspettando che quella consapevolezza distruggesse lentamente la resistenza degli otto uomini. I cacciatori sarebbero diventati prede. Non ci volle molto tempo. I dubbi cominciarono a corrodere lentamente, insistentemente le menti stanche... dubbi che scaturivano come fantasmi dalle paure e dai segreti che i viandanti celavano in loro stessi. Separati l'uno dall'altro dal freddo e dal ruggito del vento, ogni uomo era lontano dai suoi compagni, e l'incapacità di comunicare accresceva lo sgomento. Solo Hendel ne era immune. La sua natura taciturna, solitaria, gli aveva creato una scorza protettiva contro il dubbio, e la fuga tormentosa dagli Gnomi impazziti al Passo di Giada lo aveva liberato, almeno temporaneamente, da ogni timore della morte. Vi era stato vicino, così vicino che, infine, solo l'istinto l'aveva salvato. Gli Gnomi lo avevano circondato da ogni direzione, sciamando su per il pendio incuranti di un eventuale pericolo, furibondi al punto che solo il sangue avrebbe placato il loro odio. Veloce, era scivolato fra le frange del Wolfsktaag, acquattandosi immobile nella boscaglia, aspettando, a sangue freddo, che gli Gnomi si sparpagliassero tutti intorno finché gliene era capitato uno a tiro." 

"Il grigiore dell'alba scivolò lentamente nel grigiore del mezzogiorno, e la marcia fra i Denti del Drago proseguiva lenta e faticosa. Le creste e i pendii si delineavano e svanivano con una monotonia e uno squallore tali da instillare nelle menti dei viaggiatori affranti l'impressione di non avanzare affatto. Poi s'inoltrarono in un canalone che scendeva bruscamente verso uno stretto sentiero, irrompente fra due enormi pareti rocciose per svanire poi nella foschia. Allanon li guidava nel grigiore turbinante mentre l'orizzonte scompariva e il vento si smorzava. Il silenzio fu brusco e inaspettato, quasi come un sussurro sommesso fra le torri rocciose che sibilasse parole di ammonimento alle orecchie dei viandanti. Poi il passo si allargò leggermente e la foschia si schiarì in una nebbiolina leggera, rivelando un varco cavernoso nella facciata della montagna. L'accesso alla Cripta dei Re. Era tremendo, maestoso, terrificante. Ai due lati del nero ingresso rettangolare due mostruose statue scolpite nella roccia si levavano per oltre trenta metri contro la scura facciata. Le sentinelle di pietra erano plasmate in forma di guerrieri rivestiti d'armatura, con le mani che stringevano l'elsa di enormi spade volte all'ingiù. Le facce barbute, battute dalle intemperie, portavano le cicatrici del vento e del tempo, eppure quegli occhi sembravano vivi, quasi scrutassero gli otto mortali sulla soglia del luogo antico che custodivano. Sopra il grande varco, incise nella roccia, tre parole in una lingua antica di secoli e da tempo dimenticata ammonivano coloro che entravano che quella era la tomba dei morti. Oltre la vasta apertura, tutto era oscurità e silenzio."

"Nelle prime ore del mattino, avvolti in una coltre di silenzio e oscurità e nascosti dalle ombre della foresta che escludeva la luce rassicurante della luna e delle stelle, i sette uomini giunsero finalmente davanti alle rupi di Paranor. Quel momento doveva restare impresso per sempre nelle loro menti (...) La Fortezza era come un castello: mura di pietra antiche di secoli che si levavano in torrette svettanti e in torri a spirale che si immergevano nel cielo con sfida orgogliosa." 

"Il freddo spento, senza gioia del cielo del Nord incombeva in sottili striature di nebbia grigia contro le smorte vette dei picchi che si innalzavano dalla montagna di tenebre: la Fortezza del Signore degli Inganni. (...) Al centro si ergeva la Montagna del Signore degli Spiriti (...) Il sudario di morte che ne dominava le alte sommità diffondeva la sua aura maligna per l'intero paese (...) Era l'ora della Morte e le ultime tracce di vita si disfacevano lentamente nella terra. All'interno del teschio formato da quella montagna solitaria correvano centinaia di caverne senza tempo, le cui mura rocciose mai avevano conosciuto il sole nel grigiore immutabile del cielo. (...) Tutto era silenzio e morte nella nebbia grigia del regno degli spiriti, una cupa atmosfera che segnava la totale estinzione della speranza (...)"

"Intorno a loro la volta celeste era limpida e azzurra alla nuova luce dell'aurora, e il sole si levava con una luminosità accecante sopra le catene montuose a est. Ma a nord, contro l'orizzonte, si ergeva una gigantesca, torreggiante colonna di oscurità, come se tutte le nubi temporalesche della terra vi si fossero addensate formando una tenebrosa barriera. La colonna si levava nell'aria fino a perdersi nell'arco atmosferico dell'orizzonte e si estendeva su tutte le aspre, devastate Terre del Nord, enorme, cupa, terrificante... allargandosi intorno a un centro: il regno del Signore degli Inganni. Sembrava preannunciare l'inesorabile, inevitabile discesa di una notte eterna."

"Guardò il cielo notturno, quasi potesse fornirgli un indizio per la soluzione del problema: i banchi di nuvole restavano saldamente al loro posto, cupi fra la luce della luna e delle stelle e l'oscurità della terra addormentata. La notte era quasi al termine. (...) L'alba venne improvvisa, una grigia luce spenta a oriente, impregnata di bruma e silenzio. (...) Enormi nuvole temporalesche ristagnavano nel cielo come un sudario gettato sopra una terra irrigidita nella morte."

"La ricerca della Spada di Shannara non era più una questione di orgoglio ferito o una missione per ritrovare un misterioso talismano. Era diventato la caccia frenetica, pericolosa, dell'unico strumento che avrebbe consentito loro di restare vivi. La fortezza del Signore degli Inganni si alzava fra i neri picchi che si stagliavano davanti a loro. Alle spalle incombeva la micidiale barriera di nebbia che segnava i confini esterni del Regno del Teschio."

"Nella città di Tyrsis la lunga terribile lotta fra l'essere nato dalla terra e la creatura dello spirito echeggiò con sconvolgente subitaneità. Dalle profondità delle viscere incrostate di roccia la terra cominciò a rumoreggiare, i tremori gorgogliarono fino alla superficie lacerata e devastata con brividi costanti, minacciosi. Sulle basse colline a est di Tyrsis la piccola compagnia di cavalieri elfi si affannava per controllare le cavalcature spaventate, e Flick Qhmsford, disfatto, si guardava intorno mentre la terra veniva scossa da strane vibrazioni. Sulla sommità delle Mura Interne la figura gigantesca, indistruttibile, di Balinor respingeva un assalto dopo l'altro, mentre l'esercito del Nord tentava vanamente di infrangere le difese del Sud, e per diversi minuti le scosse passarono completamente inosservate nella ferocia dello scontro. Sul ponte di Sendic i Troll che già avanzavano verso il nemico si fermarono, guardandosi intorno disorientati mentre le vibrazioni continuavano a crescere d'intensità Menion Leah sussultò quando lunghe fenditure si aprirono nella pietra antica e i difensori del ponte esitarono, pronti a fuggire. I rombi profondi aumentarono trasformandosi con potenza terrificante in una valanga di scosse tonanti che inondarono terra e roccia. Il vento irruppe sul paese con raffiche feroci che si avventarono sull'esercito elfo, sparpagliandolo, mentre accorreva per sostenere Tyrsis. Da Culhaven nell'Anar fin negli angoli più remoti del vasto Ovest, ruggiva un grande vento. Nelle foreste, alberi giganti furono divelti dalle radici e frantumati, e pareti frastagliate di roccia strappate dalle montagne e sbriciolate mentre la forza sconvolgente del vento e del terremoto si abbatteva sulle quattro Terre. Il cielo si era approfondito in una massa nera, compatta, senza nubi, senza sole, vuoto come se la volta celeste fosse stata cancellata di colpo. Enormi strisce frastagliate di lampi lacerarono l'oscurità, intrecciando nel cielo, da un orizzonte all'altro, una rete incredibile di energia elettrica. Era la fine del mondo. Era la fine per ogni forma di vita. L'olocausto promesso sin dall'inizio del linguaggio era finalmente giunto. Ma un attimo dopo tutto finì, smorzandosi all'istante in una quiete totale. Il silenzio incombeva completo, come un sudario, finché, dalle tenebre impenetrabili, si alzarono gemiti e grida che si trasformarono rapidamente in lamenti angosciosi. Nella città di Tyrsis la battaglia fu dimenticata. Soldati del Nord e del Sud videro inorriditi i Messaggeri del Teschio veleggiare verso l'alto come spettri informi, contorcendo gli arti uncinati negli spasimi di una indescrivibile agonia. Si librarono per un attimo visibili a tutti gli uomini, che sbiancarono per l'orrore senza poterne distogliere lo sguardo. Poi le forme alate cominciarono a disintegrarsi, i corpi scuri si dissolsero lentamente in cenere e veleggiarono verso la terra. Qualche secondo dopo non restava che una tenebra vasta e vuota, che cominciò a muoversi, scossa da una enorme raffica impetuosa che la trascinò verso nord, spingendola ai bordi come fossero stati i lembi di una coltre. Dapprima al sud, e poi anche a est e a ovest, il cielo azzurro riapparve all'improvviso e il sole inondò le quattro Terre con abbagliante luminosità. Turbati, i mortali osservavano la tenebra ripiegarsi in una sola nuvola nera, lontano nel nord, librarsi immobile sopra l'orizzonte, quindi calare a terra e scomparire per sempre."

Qui trovate altre belle copertine fantasy https://intervistemetal.blogspot.com/2021/04/copertine-fantasy.html























Un'edizione più recente ha una copertina diversa




La serie di Landover





Non finirei più di citare le band Black, Epic e Power che hanno scritto testi fantasy o impreziosito i loro cd con copertine fantasy... https://intervistemetal.blogspot.com/2017/05/recensione-ai-blind-guardian-e-al-power.html  

Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/draghi.html

https://intervistemetal.blogspot.com/2021/01/conan.html

Inoltre, ho anche trovato "I Misteri della Jungla Nera" di Salgari (https://intervistemetal.blogspot.com/2021/01/il-corsaro-nero.html)(https://intervistemetal.blogspot.com/2020/10/emilio-salgari.html) e devo dire che lo trovo anche più avvincente del "Corsaro Nero"!

Vi suggerisco di leggere almeno l'incipit https://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/salgari/i_misteri_della_jungla_nera_ed_fabbri_2010/pdf/salgari_i_misteri_della_jungla_nera_ed_fabbri_2010.pdf

Appena lo finirò, farò subito la recensione pure a "I Misteri della Jungla Nera"! 


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