''Tenebra Antica'' (horror)



La finestra della cucina era bianca per la luce, un migliaio di mani invisibili batterono all'unisono. Nina si irrigidì. La cucina divenne improvvisamente buia, fuori il vento ululava mentre la pioggia tamburellava contro la finestra.

"Cos'è stato?" urlò Andrew dal soggiorno.

"Non so, è come se qualcosa avesse colpito la casa."

"Doveva succedere proprio adesso, alla fine di questo brano musicale, nel bel mezzo di un accordo."

Nina sentì suo marito nel corridoio che avanzava a fatica verso la cucina.

Fuori stava diventando buio, la luce grigia e fioca della sera si affievoliva.

"Non so come fare a preparare la cena", disse Nina fissando l'elettrodomestico a quel punto inutile. "Stavo per tritare le cipolle."

Andrew si appoggiò al frigorifero. "Prima le tritavi anche senza quell'affare."

"Lo so, ma sono diventata pigra, ormai non riesco più a farne a meno."

Attraversò la stanza, andò lentamente nell'ingresso e aprì la porta, sbirciando nel pianerottolo buio. "è tutto scuro."

"Nina?"

Riconobbe la voce della vicina. "Rosalie?"

"Sì, sono io. Ho guardato fuori un attimo fa. Non c'è una luce accesa in tutta la strada."

"Accidenti!" esclamò Nina. "Stavo preparando la cena."

"Be', il gas funziona, però. Consolati, potevi avere una cucina elettrica."

Nina si schiarì la voce. Il buio la innervosiva, nell'ingresso l'aria sembrava pesante e opprimente. Rientrò in casa e chiuse la porta.

Andrew era ancora in cucina, intento a comporre un numero al telefono.

"Chi chiami?", gli chiese Nina.

"L'azienda dell'energia elettrica. Pronto? Sì, volevo chiedere... va bene, aspetto."

Si appoggiò al muro.

Mentre Nina andava alla finestra il tuono rombò.

Il vento ululava. La pioggia era una cortina d'argento quasi parallela al terreno, tanto era schiaffeggiata dal vento.

"Pronto? Si, volevo solo sapere... Ah. Abitiamo nella Zona Nord. Sì."

Andrew si fermò. "Quando? Ah, va bene. Be', grazie." Riattaccò. "Una delle linee centrali è spezzata, hanno detto che la metteranno a posto tra un'ora o due."

"Mangeremo tardi, stasera. Non posso preparare questo piatto senza il mio elettrodomestico."

"Dai, su, sono sicuro che puoi farcela anche senza elettricità."

"Non riesco nemmeno a vedere cosa faccio."

"Abbiamo delle candele, adesso te ne accendo qualcuna. Abbiamo anche una pila."

Frugò in un cassetto, tirando fuori una scatola di fiammiferi. "Per una sera possiamo vivere senza comodità."

Nina finì di preparare la cena alla luce gialla e tremolante delle candele. Andrew ne aveva messa una sulla stufa, un'altra sul bancone e due sul tavolo, con uno specchio dietro per riflettere la luce.

Rabbrividì. Nonostante il caldo che veniva dal forno, l'aria sembrava insolitamente fredda. Senza la familiare presenza dell'elettricità si sentiva stranamente vulnerabile, incapace di cucinare o di leggere, inoltre senza il phon non poteva nemmeno asciugarsi i folti e lunghi capelli.

La tecnologia l'aveva resa solo più impedita; pensò al passato, immaginando le famiglie che sbrigavano le proprie faccende quando il sole tramontava, leggendo agli altri alla luce del fuoco, stringendosi uno all'altro nella notte.

I suoi nonni, sostenitori del progresso, le avevano sempre detto che al giorno d'oggi le cose andavano meglio, perché quando la gente non poteva leggere di notte, la mente umana era più buia, la televisione non esisteva e non trasmetteva immagini di luoghi lontani, e di conseguenza i pregiudizi erano più diffusi e, senza le attrezzature che adesso tanti danno per scontate, il lavoro era più duro.

Nina non ne era così sicura; secondo lei la civiltà industriale aveva allontanato l'uomo dai valori fondamentali della vita, ingannandolo e facendogli credere di essere in grado di controllare il mondo.

Andrew apparecchiò la tavola, poi mise una radio portatile e un registratore vicino alle candele.

"Non è poi così male, in un certo senso è romantico. Dovremmo farlo più spesso."

"Non hanno ancora riparato la linea?"

"Lo faranno"

"Il cibo nel freezer andrà a male." 

"Non pensare al cibo, resisterà, basta non aprire lo sportello". Strappò una bottiglia di vino e intanto lei serviva i peperoni ripieni.

Mentre portava i piatti in tavola, il tuono rombò di nuovo. I temporali l'avevano sempre spaventata, e il buio oltre la stanza illuminata era pieno di ombre minacciose.

Si sedette davanti allo specchio. L'odore della cera che si scioglieva si mescolava a quello della salsa di pomodoro e delle spezie.

"Abbiamo cibo e persino musica". La voce di Andrew suonava cupa e distante. Un'ombra nera incombeva dietro di lei, pronta a nasconderla con il suo scuro mantello; Nina fissava lo specchio, timorosa di muoversi. Andrew mise una cassetta nel registratore e la musica di Bach inondò la stanza.

La musica aveva un potere calmante, Andrew cominciò a dirigere con la forchetta, "Magnificat", urlò insieme al coro.

Un pugno colpì la porta e Nina sobbalzò. "Chi è?"

"Rosalie."

Si stupì, perché di solito Rosalie bussava con un tocco lieve ed esitante. Quando uscì dalla fioca luce della cucina, l'aria le compresse il corpo ed ebbe di nuovo paura. Aprì la porta.

"Accomodati", le disse, e non aveva ancora finito di parlare che Rosalie era già dentro, ansante, si appoggiava alla parete e si teneva una mano sullo stomaco. Nina la prese per un braccio e la portò in cucina, facendola sedere di fronte ad Andrew.

"Adesso sto bene", disse Rosalie. "è tutto buio. Mi ha davvero spaventata."

"Ora calmati. Vuoi un peperone?"

Rosalie scrollò il capo ma accettò il bicchiere di vino che le offrì Andrew. "Non sarei voluta venire, ma non riuscivo a stare da sola. Stavo per andare da Jeff, ma la radio ha detto di tenersi lontano dalle strade... Il vento sta abbattendo gli alberi."

"Dov'è Lisanne?"

"Passa il weekend da suo padre."

Rosalie sollevò il bicchiere con la mano che tremava e sorseggiò un po' di vino.

"Tutto quello che ho è una pila, quindi non ero molto preparata."

Andrew abbassò la musica; nell'angolo un'ombra sembrava diventare più scura.

"L'ho provato anch'io", disse Nina.

"Quando sono andata ad aprire la porta, mi sono venuti i brividi."

"Sei troppo suggestionabile" le disse Andrew a voce alta.

"Faceva freddo", disse Rosalie con un tono piatto, mentre la luce della candela le tremolava sul viso, dando un bagliore dorato ai suoi capelli color del rame.

"Ero nel soggiorno e ho sentito un punto freddo, proprio nel centro della stanza. Poi gli O'Hara hanno iniziato a urlare uno contro l'altro... riuscivo a sentirli attraverso il pavimento."

"Gli O'Hara litigavano?", chiese Nina stupita.

"Certo. Non immaginavo che la moglie potesse parlare in quel modo. Il soggiorno è diventato più freddo, qualcosa mi soffiava sul collo e mi è sembrato di sentire un sospiro. Poi ho pensato: se non esco di qui, sarò in trappola... non potrò più..."

"Era uno spiffero" Andrew gesticolò con il coltello in mano. "Ci sono sempre delle correnti d'aria in questo palazzo."

"Non era quello, l'aria era immobile."

Nina cercò di sorridere.

"Meno male che non ci sono i miei nonni, starebbero già raccontando delle vecchie storie. Sai, c'è una leggenda che dice che i primi abitanti di questa valle scomparvero, svanirono proprio nei boschi. E una volta..."

Andrew l'ammonì con gli occhi.

"è solo una leggenda, non ci ha mai creduto nessuno."

"Sei cresciuta qui, vero?", le chiese Rosalie.

Nina annuì. "A parte gli anni dell'università, ho vissuto qui tutta la vita."

Gli altri componenti della sua famiglia se ne erano andati verso luoghi caldi e luminosi, mentre lei era rimasta per la paura di vivere fra sconosciuti privi del calore che nasce dalla confidenza.

La cantata di Bach terminò e Andrew spense il registratore con uno scatto.

"Non hanno ancora riparato la linea", disse Nina.

"Probabilmente il temporale è più violento di quanto si aspettassero." La voce di Rosalie echeggiò nella cucina.

La stanza era più buia, la candela della stufa si era consumata. Adesso l'ombra dell'angolo era una figura simile a un uccello deforme, con le punte delle ali che sventolavano.

"Spero", continuò Rosalie, "che abbiate delle altre candele, perché queste non dureranno ancora per molto."

"Nel soggiorno ce n'è una profumata." Andrew si alzò.

"Sarà meglio che vada a prenderla."

"Tieni la pila", gli disse Nina.

"Troverò la strada senza."

Quando Andrew uscì, Nina si girò verso la vicina. Stava per parlare quando vide Rosalie tendere le labbra sui denti, simile a un predatore, con le mascelle pronte ad azzannare e le mani simili ad artigli.

"Quel bastardo", disse Rosalie a bassa voce. "Fin dal nostro divorzio vuol far credere a Lisanne di essere lui il tipo a posto. Forse proprio adesso le sta dicendo che è stata tutta colpa mia."

Nina si tirò indietro. Rosalie era sempre stata in buoni rapporti con l'ex marito, e il loro divorzio era stato degno di nota proprio per la mancanza di rancore che lo aveva contraddistinto.

"è lui che l'ha voluto", continuò Rosalie.

"Mi ha fatto andare in tribunale con l'inganno e io non me ne sono nemmeno accorta. Pensavo che stesse facendo il gentile, così sono rimasta fregata sugli alimenti... sapeva che non mi sarei opposta."

Nina si sentì in trappola, la cucina sembrava angusta, le pareti troppo vicine. Poi udì un tonfo che proveniva dalla parte anteriore della casa e un urlo.

Balzò in piedi, afferrò la pila sul tavolo e corse nel soggiorno. "Andy?"

Era sdraiato sul pavimento e il viso, illuminato dal raggio della pila, era pallido. "Mi ha colpito qualcosa."

Raccolse un grosso libro e lo posò sul tavolino.

"Stai bene?" gli chiese Nina, inginocchiandosi al suo fianco. Andrew annuì, sfregandosi la testa. "Dovresti mettere un altro scaffale."

"Non ho avuto tempo."

"Allora sbarazzati un po' di quella robaccia."

La voce di Nina era tagliente.

"Sta occupando tutto lo spazio, fra poco dovremo prendere un altro appartamento solo per i libri."

Stava urlando, con il desiderio di spazzare via dagli scaffali quei volumi rilegati e buttarli fuori nella pioggia.

"E non spolveri mai quando è il tuo turno."

Prese fiato, sentendosi stordita, il senso di oppressione si era attenuato.

Una candela danzava nell'oscurità, illuminando il viso di Rosalie.

"Qualcosa non va?"

Nina sospirò mentre Andrew si alzava in piedi. "Mi è caduto un libro in testa. Tutto qui."

Andrew sparecchiò la tavola e mise i piatti sporchi nel lavandino, poi portò i resti delle candele e il registratore nel soggiorno. Accese solo quella profumata, tenendo in serbo le altre.

"Le candele ci basteranno per tre o quattro ore", sentenziò. "Prima di allora avranno riparato la linea."

Nina, che ascoltava il lamento del vento, non ne era così sicura.

Andrew accese il registratore e le voci che cantavano le lodi di Dio tremarono, fallando alcune note, quindi mise mano all'apparecchio e lo spense.

"Non hai nient'altro?", gli chiese Rosalie.

"Ho Vivaldi, Handel e alcuni..."

"Avrei dovuto portare le mie cassette", lo interruppe Rosalie. "Ma purtroppo le ho lasciate in macchina."

Diede un'occhiata alla finestra. "E non esco di certo con questo tempo."

"Non posso dire che mi dispiaccia", commentò Andrew.

Rosalie alzò la testa. "E con questo, cosa vuoi dire?"

"Non sopporto la musica che ascolti in continuazione... se poi si può chiamare musica."

"E cosa le manca?"

"Sono tutti urli e percussioni... un esempio perfetto di primitività e banalità."

"Davvero? Perché pensi che quella musica pasticciata che senti tu sia meglio?"

"Non dire che è pasticciata."

"è noiosa", disse Rosalie. "è sempre uguale."

"Come fai a dirlo?"

"Basta!", urlò Nina. Rosalie sprofondò nel divano, Andrew si sedette sul pavimento e appoggiò un braccio sul tavolino. "Non dobbiamo litigare per stupidaggini simili."

Nina si sentiva lo stomaco chiuso per la tensione, si chiese se non le sarebbe venuta un'indigestione per via dei peperoni ripieni. "è questione di gusti."

Il fulmine per un attimo illuminò la stanza, i baffi neri di Andrew spiccarono sul viso. "Proprio così, è questione di gusti", disse. "Buon gusto o cattivo gusto."

Prima che Rosalie potesse replicare, aveva riacceso il registratore.

Andrew scrollò il capo.

"Mi spiace, Rosalie."

"Non importa. Anche a me spiace."

Nina sentì dei passi sulle scale, poi un colpo alla porta; un bambino strillò. "Vado io", disse Andrew.

Mentre si avviava fuori dalla stanza, Nina si sporse verso Rosalie. "Non intendeva dire quello che ha detto."

"Lo so. Adesso sto bene. All'improvviso ho sentito il bisogno di scagliarmi contro qualcuno."

Andrew stava parlando con chi aveva bussato e Nina riconobbe le voci di Jill e Tony Levitas. La bambina dei loro vicini entrò nel soggiorno, si sedette a un capo del divano e iniziò a succhiarsi il pollice. La musica era lenta e Nina spense il registratore.

"Scusate", disse Jill quando si sedette su una sedia.

"Non volevamo salire ma... non so come dire."

"Avevi la pelle d'oca", disse Rosalie. "Sono venuta qui anch'io per lo stesso motivo."

Jill abbassò la voce. "Il tavolo in sala da pranzo ha iniziato a muoversi... giuro davanti a Dio. Poi Melanie è diventata isterica, diceva che c'era qualcosa in camera sua, e non ha voluto andare a letto. Prima di stasera non ha mai avuto paura del buio."

Rosalie disse: "Gli O'Hara stavano litigando. Ti sembra possibile?"

"Li ho sentiti. Era proprio spiacevole."

"Ho portato i beveraggi", disse Tony, posando una caraffa di vino sul tavolo. Andrew entrò con altri bicchieri e versò il vino, poi si ritirò in un angolo con Tony.

"Stasera avevamo intenzione di uscire", disse Jill. "Poi la baby sitter ha chiamato per dire che non poteva venire perché un albero era caduto sul vialetto di casa. Non che abbia quella grande importanza... probabilmente anche a teatro manco la luce. Così siamo stati bloccati."

Tony e Andrew stavano parlando tra loro.

"Naturalmente il temporale doveva scoppiare proprio la sera che dopo tanti mesi avevamo deciso di uscire", disse Jill amaramente. "E probabilmente passeranno degli anni prima di poter uscire di nuovo. Nina, che ti serva da lezione."

Sui suoi occhiali tremò il riflesso di due fiamme. "Non avere figli prima di aver fatto tutto quello che vuoi fare, perché dopo non puoi più. E non sperare che tuo marito ti aiuti."

"Ho sentito", disse Tony.

"è la verità."

"Ascolta, durante la settimana lavoro. Faccio la mia parte nei weekend."

"Sei tu che a forza di insistere mi hai fatto smettere di lavorare."

"Perché ci sarebbe costato di più se continuavi a farlo."

"E allora? La mia serenità mentale non significa niente per te?"

"Jill! Odiavi quel lavoro."

"Perlomeno ero con degli adulti. Sto regredendo. Adesso lo sforzo intellettuale più grande che faccio è paragonare i meriti di General Hospital con quelli di Sentieri."

"Jill, desideravi un bambino."

"Sei tu che lo volevi."

"Sai qual è il tuo problema?" La voce di Tony era insolitamente acuta. "Non ti sei mai preoccupata di cercare un lavoro che ti piacesse, perché pensavi che qualche uomo si sarebbe preso cura di te. Adesso ti lamenti perché non ti piacciono i lavori di casa. Be', deciditi!"

Melanie si rannicchiò, coprendosi la testa con le mani. Nina si strofinò le braccia, la stanza era fredda. Sentì qualcosa frusciare, poi uno scricchiolio. Molti libri volarono giù dagli scaffali, cadendo sul pavimento; uno la colpì sulla schiena.

Balzò in piedi. Dentro di lei un serpente si srotolò, strisciandole su nella gola. "Maledizione, Andy! Devi tenere così tanti libri?"

Stava di nuovo urlando. Gridava di rado, e in pochi minuti l'aveva già fatto due volte.

Si diresse a grandi passi verso la finestra, scrutando fuori attraverso il temporale. Su una collina in lontananza brillavano delle luci che le ricordavano le stelle; perlomeno la Zona Sud aveva ancora luce.

Riusciva a malapena a distinguere i cinque uomini sul marciapiede sottostante, fermi a bere, incuranti della pioggia che li inzuppava e rotolava giù dalle giacche e dai capelli, dando l'impressione che si stessero sciogliendo. Un uomo tenne la bottiglia di birra per l'imboccatura, poi la gettò oltre la siepe nel cortile davanti alla casa.

"Merda", mormorò Nina. "Qualcuno ha appena gettato una bottiglia nel cortile."

Andrew si avvicinò, spalancò la finestra e poi aprì la controfinestra. Il viso di Nina fu spruzzato di pioggia.

"Ehi", urlò Andrew al di sopra del vento mentre accendeva la pila su quei maleducati. "Raccogli quella bottiglia!" Gli uomini non si mossero. "Non gettare la tua merda nel nostro cortile."

Un altro uomo tirò indietro il braccio; una bottiglia volò, andando a spaccarsi contro un lato della casa.

Un'altra bottiglia seguì la prima, atterrando sui rami del pino. Nina chiuse in fretta la controfinestra. "Chiama la polizia."

"Non puoi", rispose Tony. "I telefoni non funzionano più. Prima di salire da voi ho provato a chiamarvi."

Melanie piagnucolò e iniziò a piangere. "Zitta!", disse Jill. Melanie si lamentò. "Sta' zitta!"

Rosalie si sporse verso la bambina per calmarla, ma Jill le disse: "Lasciala stare!"

"C'è qualcosa di positivo nel divorzio", disse Jill. "Almeno, una volta ogni tanto ti liberi di Lisanne. Cosa te ne pare, Tony? Ti darò persino la tutela."

"Chiudi il becco, Jill."

"Ti pagherò il mantenimento della bambina."

Tony attraversò la stanza a grandi passi. "Zitta, maledizione"

"Non so di cosa vi lamentiate", urlò Rosalie. "Vorrei poter dedicare più tempo alla bambina. Quel maledetto di Elliot prima di dirmi che voleva il divorzio si è assicurato di avere qualcun altro a sua disposizione."

Nina si appoggiò contro il davanzale della finestra. Le voci amare sembravano lontane, le parole aspre arrivavano smorzate. La stanza era più calda, come se la rabbia degli amici avesse portato via il freddo. Guardò le ombre tremolanti vicino al divano, stupita che la calma Jill e l'allegra Rosalie potesse avere delle reazioni così violente. Andrew tracannò il vino, prese la caraffa e se ne versò un altro bicchiere.

Un soffio d'aria solleticò l'orecchio di Nina. "Ha bevuto abbastanza." La voce era così bassa che la sentiva a malapena, si guardò intorno in fretta. "Non riuscirà a reggerlo. Non ha mai retto gli alcolici." Prima che potesse capire da dove provenisse la voce, la  rabbia si era impossessata di lei: strinse i pugni. Andrew si inginocchiò, colpendo il registratore. "Queste maledette pile sono scariche. Vanne a prendere delle altre."

Nina gli rispose: "Non ce ne sono più"

"Vuol dire che non ne hai comperate?"

"L'avrei fatto domani", rispose urlando. "Ti aspetti che mi ricordi di tutto?"

Andrew si versò ancora del vino. Nina fece per prendere la bottiglia, ma Andrew gliela strappò di mano.

"Andy, hai bevuto abbastanza."

"Non impicciarti", le rispose tracannando il vino con aria di sfida.

"Andy, smettila. Lo sai che non puoi bere così tanto."

"Faccio quello che mi pare. Non ho bisogno del tuo permesso."

"Diventerà un ubriacone come suo padre", sospirò la voce.

"Diventerai come tuo padre", disse Nina. "A forza di bere finirai all'ospedale"

"Dio mio, è solo un po' di vino!", Andrew esclamò, alzandosi. "Non sai quante volte avrei voluto ubriacarmi e quante volte mi sono trattenuto. Tu e i tuoi continui rimproveri. Lasciami in pace. Vorresti vedermi ubriaco, eh? Solo per dimostrare che avevi ragione."

Nina sentì il rumore di uno schiaffo. "Figlio di puttana!", urlò Jill. "Adesso ti metti a picchiare le donne. Avanti, colpiscimi di nuovo!"

Tony rispose: "La prossima volta non ti prendi solo uno schiaffo."

Nina voleva urlare. La voce si mise di nuovo a sussurrare: "Jill tiene sempre il volume del televisore troppo alto. E Tony si dimentica di tosare il prato. E Melanie lascia i giocattoli sulle scale."

Si tappò le orecchie, ma la sentiva sempre. "Ammettilo", le diceva. "Tu li odi."

"No!", urlò Nina. Melanie aveva smesso di piangere; adesso era Rosalie che singhiozzava angosciata. "Dobbiamo smetterla."

Sentiva un dolore pungente al petto e faceva fatica a respirare. La stanza era più buia, quando fuori il vento soffiava, le pareti scricchiolavano. "Non abbiamo mai litigato prima di stasera... cosa ci succede?"

Il dolore peggiorava; si sedette, stringendosi l'addome. Odiava tutti quelli che si trovavano nella stanza e l'unico modo per liberarsi dell'odio era quello di manifestarlo.

"Ha ragione", disse Tony con la voce che sembrava rauca. Il tavolino si mise a traballare e la candela danzò. Un altro libro volò attraverso la stanza, andando a finire con un tonfo contro il muro. Adesso i sussurri erano così forti che Nina riusciva a malapena qualcos'altro.

"Sapete cos'è?", gracchiò Tony. "Non ho benedetto il vino. I miei genitori mi dicevano sempre di benedire il cibo perché altrimenti avrebbe avuto degli effetti negativi su di me."

Quando cantò una preghiera in ebraico, la sua voce gracidò.

Il dolore di Nina si stava attenuando. Annusò l'aria, prima così opprimente, che adesso sapeva di pulito. "Cosa sta succedendo?"

"Non so", rispose Tony.

"Continua a pregare", disse Andrew. Tony cantò un'altra preghiera. "è questo. Se solo avessimo delle pile... potremmo sentire ancora un po' di Bach."

"Cosa c'entra quello?", chiese Rosalie.

"è musica sacra. Non l'hai notato? Quando sentivamo la cassetta, tutto andava bene. Adesso che Tony prega, non sento più quelle voci."

"Le sentivi anche tu?"

"Penso che le sentissimo tutti."

Nina allungò la mano per prendere quella di Andrew. Tony si fermò per respirare; Rosalie iniziò a cantare "Rock of ages".

"è la mancanza di energia elettrica", continuò Andrew.

"è come se l'elettricità fosse una specie di magia bianca che tiene le cose sotto controllo. Adesso dobbiamo usare una magia più antica."

Nina tremò. Una mano invisibile le compresse la testa, aspettando di spezzarla una volta che fossero finiti i canti. Avevano sempre rimosso le leggende raccontate dai nonni, e persino loro non le prendevano poi tanto sul serio. Adesso ricordava i loro racconti che parlavano di oggetti che volavano attraverso le stanze, di omicidi casuali che di solito avvenivano di notte, di gente che barricava le porte per proteggersi dalle tenebre.

"Non ci credo", disse Tony. "Per l'amore del cielo, siamo nel ventesimo secolo!"

Rosalie adesso cantava "Amazing grace" con la voce che nelle note alte si inceppava.

In cucina un piatto andò in frantumi sul pavimento. La candela sul tavolino si spense.

Nina ebbe la sensazione di essere al centro di un vortice: cose invisibili le turbinavano intorno. Quando Andrew accese la candela, Rosalie continuò a cantare. Nina sentì che le pareti sarebbero crollate su di lei; qualunque cosa fosse, non sarebbe stato scacciato da semplici canzoni e preghiere.

"Dobbiamo uscire di qui", disse Andrew. "La Zona Sud ha ancora l'elettricità, là dovremmo essere al sicuro."

"Non possiamo", rispose Jill. "è troppo rischioso. Hanno detto alla gente di tenersi lontano dalle strade a meno che non si tratti di un'emergenza."

"Questa è un'emergenza. Dovremmo infilarci in macchina e andarcene."

"No", disse Rosalie quando Tony iniziò a cantare. "Qui siamo più al sicuro."

"Fino a quando si continua a cantare." Sugli scaffali i libri cominciarono a saltare. "E forse nemmeno allora."

"Andy ha ragione", disse Nina. Un cuscino d'aria sembrò ingoiare le sue parole.

"Per favore, venite con noi."

Lanciò un'occhiata al divano. "Fate venire almeno Melanie."

"No", disse Jill, avvicinandosi alla bambina e facendole scudo con il braccio.

Nina indietreggiò verso la porta con Andrew.

Nel corridoio il frigorifero vibrò, caddero ancora dei piatti. Prese la borsa, appesa al gancio. "è meglio se guido io. Non puoi guidare con tutto il vino che hai bevuto."

Le parole risuonarono più brusche di quanto avesse voluto; il dolore stava tornando.

Andrew aprì la porta. Nina si voltò a guardare i propri vicini che si stringevano intorno alla candela; adesso una cortina di nebbia la separava da loro. Scivolò nel corridoio e scese le scale buie, tenendosi alla ringhiera. Dietro la porta degli O'Hara regnava un silenzio sinistro.

Quando aprì la porta d'ingresso, il vento gliela strappò quasi di mano, ma lei la tenne saldamente. Andrew le prese la borsa, frugando in cerca delle chiavi della macchina, mentre lei chiuse la porta con una spinta.

Le gettò la borsa e si avviarono in fretta verso la macchina, parcheggiata dall'altra parte della via. Nel prato si era formata una grande pozzanghera che raggiungeva il marciapiede. La pioggia scrosciava su di lei, incollandole i vestiti al corpo. Un uomo nel cortile di casa sua urlava contro il portico. Nina non riusciva a vedere il resto della strada; il cielo, scuro com'era, sembrava più chiaro della terra nera.

I fulmini illuminavano la strada, una sagoma era accucciata vicino alla casa e abbaiava: "Oscar", mormorò, riconoscendo il bassatto tedesco e chiedendosi cosa facesse fuori casa. "Poverino."

Il cane fece il balzo verso di lei e le morse una gamba, poi con gli artigli e le zanne le lacerò i jeans. Nina con la borsa lo colpì sulla testa, mandandolo a sbattere contro la porta.

"Dai, Nina!" corse verso la macchina, salendo al fianco di Andrew e avviando il motore. La pioggia era così fitta che riusciva a vedere solo i tergicristalli che andavano avanti e indietro. Accese i fari e la macchina si mosse lentamente lungo la via. Il lato sinistro della strada era bloccato da un albero caduto, mentre nella corsia di destra c'era un gruppo di persone. Qualcuno stava sogghignando, i fari colsero il bianco dei loro denti e fece luccicare i loro occhi.

Nina suonò il clacson. La folla si precipitò contro la macchina, costringendola a frenare, mentre dei pugni battevano contro i finestrini e la macchina dondolava.

"Continua ad andare!", le urlò Andrew.

Spinse il motore a tutto gas, la macchina fece un balzo in avanti e la gente si allontanò. Nina girò a sinistra, verso sud. "Ce la faremo", disse Andrew. "Non abbiamo molta strada da fare."

La macchina si fermò. Nina girò la chiavetta, schiacciando il pedale. "Dannazione" Il motore girò un paio di volte e poi tacque. "Cos'ha?"

"Non so"

"Ti sei dimenticata di portarla in garage. Te l'avevo detto e tu ti sei dimenticata."

"Andy, maledizione!" Lo colpì. Lui le afferrò i pugni, tenendola lontana. Lei cercò di dargli dei calci.

"Nina!", le disse, scrollandola. "Dobbiamo camminare, tutto qui."

"Con questo tempo?"

"Tanto sei già fradicia, dai!"

Scesero dalla macchina e, mentre correvano verso il marciapiede, il vento ululò, facendo quasi cadere Nina. Sentì un forte scricchiolio: un albero cadde, fracassando l'automobile ormai vuota.

Andrew le prese il braccio e la guidò nella via buia.

Una massa scura brulicava davanti ai grandi magazzini; Nina sentì il suono di ventri andati in frantumi. Accanto a lei passarono in fretta due uomini con una cassa di bourbon; poi le sfrecciò vicino anche un ragazzo con un televisore portatile.

Una folla si era accalcata davanti ai magazzini bui. Molta gente era all'interno, occupata a lanciare attraverso le vetrine infrante vestiti, piccoli elettrodomestici e bottiglie a quelli che si trovavano nel parcheggio.

Andrew si fermò, Nina lo tirò per il braccio. "è meglio continuare a camminare!", gli urlò. "La polizia arriverà presto". Sistemi d'allarme alimentati da batterie gemevano e suonavano con fragore e, quando attraverso la vetrina venne scagliato un forno microonde, la ressa di persone acclamò con strepito. Nina si guardò intorno in fretta, chiedendosi dove fosse la polizia.

Un'altra folla tumultuante stava correndo nella loro direzione; improvvisamente Nina e Andrew si trovarono in mezzo alla calca che li spingeva verso i magazzini. Cercò di raggiungere suo marito, ma le mani afferrarono solo l'aria.

"Andy!" Lottò per rimanere in piedi, con la paura di venire calpestata se fosse caduta.

"Andy!"

Un tostapane le volò vicino, andando a colpire un'altra donna, che cadde e sparì dalla sua vista. Alcune persone avevano delle pile, tenendole come se fossero state torce. Una ragazza con le braccia cariche di jeans passò velocissima. Nina si allungò per aggrapparsi a un palo e l'afferrò forte mentre la folla ondeggiava verso il reparto dei liquori. Sentiva i lamenti della gente a terra, sul marciapiede, i lampi illuminavano la scena; Nina pensò di vedere una pozza nera di sangue vicino alla testa di un uomo.

"Andy!"

"Nina"

Andrew era accanto a lei, disteso a terra. Si piegò su di lui, tirandolo, e lui mormorò: "La gamba... è ferita"

Lo fece alzare in piedi, e Andrew si appoggiò pesantemente a lei. Altra gente passò vicino a loro e si unì alla folla che saccheggiava il negozio di elettrodomestici. "Non penso di farcela, faresti meglio a lasciarmi."

"Salvati", le sussurrò la voce.

"No!", urlò Nina. Mentre trascinava Andrew attraverso il parcheggio in direzione della strada, si mise a pregare.

Il vento si era calmato e la pioggia adesso cadeva meno fitta. Mentre Nina procedeva faticosamente con Andrew che continuava a zoppicare, le fronde degli alberi minacciosi la schiaffeggiavano. Mormorava preghiere quasi automaticamente: era stupita, dopo anni che non ne diceva una, di ricordarsene così tante.

Passarono accanto a un prato ingombro di mobili e in lontananza sentirono un urlo. Per un attimo fu accecata da un lampo, e mentre sei bambini si mettevano a ridere, fu colpita da alcuni sassi. Nina schiaffeggiò l'aria con il braccio libero, e quando i bambini se ne andarono, il raggio di luce si spostò dal suo viso.

Scrutò attraverso la pioggia e vide confusamente un bagliore dorato.

"Luce!", disse. "Ci siamo quasi." Adesso riusciva a distinguere i lampioni della strada e cercò di affrettare il passo, ma Andrew la costringeva a rallentare. Nina si ritrovò a dire: "Non mi avrai, mi salverò."

Una strada illuminata, bloccata da un furgone dell'azienda elettrica, si snodava lungo i fianchi di una collina. Nina si avviò verso l'autocarro dove, lì accanto, sotto un lampione, c'era parcheggiata un'auto della polizia. Guidando Andrew in quella direzione, si avvicinò al confine fra il buio e la luce, poi si fermò.

Cercò di fare un passo in avanti ma non ci riusciva; qualcosa la tratteneva. Si protese, ma le ginocchia si bloccarono. 

"No!", urlò.

Un poliziotto, con addosso un impermeabile di gomma, scese dalla macchina e corse verso di lei. "Cosa fa lì", le gridò.

"Ci aiuti", disse, tendendo il braccio. Non riusciva a raggiungerlo, l'uomo l'afferrò, ma cadde all'indietro.

"Non riusciamo a entrare", disse il poliziotto.

"Abbiamo tentato, ci stiamo ancora provando."

"E tu non puoi uscire", sussurrò la voce.

Cercò di nuovo di fare un passo in avanti, ma si sentì rimandare indietro; Andrew scivolò per terra.

"Signora, vorrei aiutarla, ma non posso." 

Le disse il poliziotto agitando le braccia con aria impotente.

Nina si lasciò cadere a terra, cullando Andrew fra le braccia. Improvvisamente la notte apparve più luminosa; ebbe l'illusione di vedere la luce che aveva tanto desiderato. Il vento urlò la propria furia, delle braccia l'afferrarono, ma si tenne stretta ad Andrew.

"Su, signora!" Il poliziotto la stava sostenendo, in qualche modo era riuscito a raggiungerla. La lasciò andare e mise Andrew in piedi, Nina Inciampò e seguì i due uomini verso la macchina, dove un altro poliziotto li stava aspettando.

"Guardate!", urlò.

Nina si voltò. La zona della città in cui abitava splendeva luminosa. Una fitta oscurità si levava dal terreno, poi iniziò a ritirarsi a nord, verso le colline. "Siamo salvi", disse a Andrew. "Siamo salvi". Il poliziotto, mentre fissava la nebbia nera, scrollò il capo.

Sopra di loro delle scintille danzarono lungo la linea elettrica che si spezzò, contorcendosi nella loro direzione come un serpente. Trascinarono Andrew verso la macchina. La Zona Nord era di nuovo buia, e stava diventando sempre più scura e, poco dopo, l'oscurità era così fitta che Nina, al sicuro nella luce, non riusciva ad attraversarla con lo sguardo.

Si era appisolata, e si svegliò con un sobbalzo, si scrollò e scese dalla macchina della polizia.

Aveva smesso di piovere. Nella luce incerta vedeva un medico che stava bendando la gamba di Andrew.

Una folla era ferma nella strada: osservava il velo nero davanti a loro.

"è tornata la luce!", gridò la voce di un uomo.

Mentre il sole spuntava sulle colline alla destra di Nina, la parete nera si ritirò sconfitta.

Qualcuno urlò. Dove prima c'era l'oscurità, rimaneva solo la terra annerita; le tenebre avevano portato via tutto, lasciando solo una distesa vasta e desolata. Nella Zona Nord saccheggiata rimanevano solo le linee elettriche, sentinelle ronzanti della città.

Nina pensò ai propri amici, intrappolati per sempre nelle tenebre. Si chiese dove sarebbe andata l'oscurità. Sapeva la risposta. Si sarebbe ritirata ai confini del mondo, e nella gente che conosceva, e dentro di lei; persino in quel momento la sentiva in agguato, celata nelle ombre della propria mente, create dalle sue paure. Avrebbe aspettato fino a quando la magia bianca fosse di nuovo svanita.


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