Prima di vedere le band celebri nel genere e comunque, quelle che mi piacciono :D, vediamo un approfondimento storico-letterario ^_^
Riferisce san Gregorio di Tours, nella sua "Historia Francorum" scritta nel 561 d.c., che al funerale della moglie Scolastica, il superstite, l'inconsolabile coniuge Ingiurioso, gentiluomo d'Alvernia, provò l'impulso di ringraziare pubblicamente il Signore per avergli, sia pur per breve tempo, affidato "quel tesoro di purezza" che lui ora gli restituiva "intatto come l'aveva ricevuto". A tali parole, la defunta si rizzò di scatto nel sarcofago, dicendo: "Perché, marito mio, disveli a tutti faccende che dovrebbero riguardare noi due soli?". Poi si riaccomodò nella tomba e si lasciò seppellire.
Ingiurioso, forse per lo spavento, il giorno dopo era morto anche lui, e fu inumato accanto alla consorte, in un cenotafio accanto a quello di lei. Al mattino, i guardiani del cimitero notarono del disordine fra i sepolcri: la tomba del notabile era vuota mentre in quella di Scolastica si ritrovarono ambedue i cadaveri, l'uno nelle braccia dell'altro. La morte che - come diceva il Principe de Curtis - livella molte cose, aveva evidentemente consentito che venisse riparata un'omissione commessa nella vita.
Dopo il fatto, avvenuto a Clermont nel 390 d.c, la tomba di Scolastica venne indicata come "il letto degli amanti".
Questo episodio ispirò il poeta francese Guerrier de Dumast per il suo componimento "Le Tombeau des deux amants de Clermont".
Un'altra leggenda, celebrata da Goethe, è "La Fidanzata di Corinto": la fanciulla Filinnio, alla quale la madre aveva impedito, in vita, di unirsi al promesso sposo, torna da morta a reclamare il compimento dell'amplesso:
Dalla tomba mi levo a ricercare
il bene, che mi manca, dell'amore;
il mio sposo perduto ad abbracciare,
ed a suggere il sangue del suo cuore.
La vicenda della giovane Filinnio venne raccontata per la prima volta da Flegone nei suoi "Mirabilia", che se ne disse testimone oculare. La vicenda venne ripresa anche da altri: Lutero, Delrio, Anatole France.
Goethe, rielaborando l'episodio, sottolineò la sua connotazione vampirica, aggiungendovi una nota inquietante: la vergine vampira, una volta spenta la vita del fidanzato, si rivolgerà ad altri giovani per suggere il sangue.
L'idea ancestrale che post mortem sia possibile in determinati casi la prosecuzione di certe attività dell'esistenza dei vivi è all'origine della leggenda del Vampiro.
Due sono le attività dei vivi che si pensava potessero essere trasferite anche nel mondo dei trapassati: il sesso e l'alimentazione. L'attività sessuale dei defunti era considerata piuttosto intensa e, ad evitare che il morto la soddisfacesse al di fuori del sepolcro, lo si forniva di una compagna simbolica (o, in certi casi, reale). è questa l'origine delle cosiddette "concubine di pietra" ritrovate nei sepolcri dell'Antico Egitto, della Mesopotamia e di varie altre località: statuette femminili, tutte senza piedi perché non potessero fuggire, segnate da una tipica ipertrofia degli organi sessuali.
Il timore della riapparizione di un morto insoddisfatto nel mondo dei vivi - fa notare Frazer - è diffuso in tutti i tempi e in tutte le culture, fin dal Neolitico, quando i cadaveri erano arsi e chiusi in urne o sepolti strettamente legati in avelli serrati da pesanti lastre di pietra.
Ancora in tempi moderni, tra popolazioni appena entrate in contatto con l'uomo bianco, gli antropologi registrarono strane usanze.
Presso gli Shuswap della Colombia Britannica, vedovi e vedove restavano a lungo isolati dalla comunità, dormendo su giacigli di spine per scoraggiare visite indesiderate da parte del compagno defunto. I vedovi maschi della Nuova Guinea erano soliti tener presso di sé un'accetta da guerra con cui difendersi dalla moglie morta; gli Herero dell'Africa sud-occidentale troncavano la spina dorsale ai cadaveri prima del seppellimento, onde impedirne la deambulazione. I Mesopotami avevano specifici rituali e scongiuri per tenere lontani i familiari defunti. I Lucumoni etruschi chiudevano i corpi dei parenti scomparsi in un'apposita intercapedine tra le pareti della loro residenza e la facevano vigilare. I Romani accordavano un breve periodo di tempo (da uno a tre giorni all'anno) ai defunti, in cui era loro permesso circolare liberamente tra i vivi. In quei giorni i membri della famiglia si astenevano da qualsiasi occupazione pubblica e non trattavano alcun affare; al termine del tempo concesso, il pater familias gettava alle spalle una manciata di fave nere come tributo nonché segnale perché ritornassero alle proprie sedi.
Persiani, Medi, Parti, Iberni davano i morti in pasto alle belve, per impedire che tornassero in vita. Alcuni popoli nomadi (i Ciuvasci della Russia) inchiodavano i cadaveri nelle bare, con lunghi ferri appuntiti nella testa e nel cuore. Certe tribù del Camerun chiudevano il corpo in un sacco di cuoio, lo riducevano in poltiglia a bastonate e lo abbandonavano ai piedi di un albero.
Anticamente, la fame dei trapassati veniva placata con periodiche offerte alimentari (latte, miele, farina), ovvero rinchiudendo nelle tombe varie provviste di cibo reali o simboliche, queste ultime sotto forma di affreschi e figurine di terracotta. Nel "De Masticatione Mortuorum in Tumulis" di Michel M. Raufft (1734) sono riportati vari esempi, risalenti a diverse epoche, sull'attività manducatoria nei sepolcri: morti - o presunti tali - che divorano ciò che era stato loro posto nel cenotafio e rodono i sudari, giungendo a divorare le proprie membra. E in effetti, quando le provviste finivano, il morto provvedeva da solo.
Le leggende nelle quali si scopre l'inopinata presenza di un defunto fra i convitati a un banchetto sono numerose. Presso certe comunità si faceva sedere a capotavola un cadavere mummificato: si pensava che in tal modo un eventuale risurgente, vedendo il posto già occupato, desistesse dal tentativo di sedersi alla mensa.
Peraltro, il cibo preferito dai trapassati è proprio la carne umana.
Nei miti più antichi, era considerata "il cibo degli Dei", in grado di saldare la frattura tra la vita e la morte.
Per esempio, l'amplesso che precedeva il divoramento, per la Lamia (1), aveva una funzione vivificante al pari della carne e del sangue, sulla base del principio intuitivo secondo cui l'attività sessuale è fonte di vita.
Per i Babilonesi, era la Lamashtu che attirava gli uomini per berne il sangue e strappava il feto dal grembo delle donne incinte.
In uno scongiuro si legge: "Colei che mi ha preso, notte e giorno mi travaglia, prosciuga le mie carni, tutto il giorno mi stringe, tutta la notte non mi lascia".
Aluqa, ovvero "succhiasangue" la chiamavano gli Ebrei: una sorta di larva che assaliva i viandanti persi nel deserto per suggerne il sangue e lo sperma. Un essere simile era l'Empusa: in apparenza, una bella fanciulla, che col suo aspetto seduceva gli incauti, mentre in realtà era un orrido mostro con un piede di bronzo e l'altro di sterco d'asina.
D'altronde, bere il sangue, oltre che per acquisire una speciale forza di vita, poteva essere visto anche come piacere: si legge nei "Nibelunghi" che i guerrieri di Hagen, intrappolati in una sala in cui era stato appiccato il fuoco, per spegnere l'arsura bevvero il sangue che stillava dai corpi dei caduti:
Disse Hagen di Tronje: "Nobili cavalieri, chi soffre per la sete beva di questo sangue. Non c'è vino migliore per questa arsura"
Anche nella Bibbia troviamo traccia di vampirismo, o meglio, di precetti che lo proibiscono...
"Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue"
"La vita della carne è nel sangue... il sangue è la vita di ogni carne"
"Non ti nutrirai di sangue perché il sangue è la vita: e tu non devi mangiare la vita insieme con la carne"
(1) Nella tradizione classica, le Lamie erano mostri femminili che si nutrivano del sangue degli infanti e dei giovani vergini, nonché delle carni dei cadaveri. Erano seguaci di Ecate, la Dea della Morte negli arcaici culti lunari mediterranei.
Nella Roma antica, esisteva un collegio di sacerdoti con le speciale ufficio di combatterle e lo Jus Pontificum proibiva di "lasciare i morti esposti alle Strygae e alle Lamie". Gli studiosi delle religioni tracciano connessioni tra le Lamie e Lilith che secondo la tradizione rabbinica sarebbe stata la prima moglie di Adamo, genitrice di una stirpe di vampiri; si pensava che la Tessaglia, la Siria e la Libia fossero territori particolarmente infestati dalle Lamie.
"Vampiro" è il termine che individua il morto bevitore di sangue, ed è di origine slava: dall'Europa baltico-balcanica (https://intervistemetal.blogspot.com/2023/07/i-vari-tipi-di-vampiri-nel-folklore.html), infatti, proviene la maggior parte delle leggende giunte fino a noi. Secondo molti, la parola va messa in relazione con il lituano "wempti", "bere", e il turco "uber", "essere diabolico". Il senso sarebbe "demone che beve": il vampiro propriamente detto è un defunto che sopravvive alla propria morte succhiando il sangue sottratto ai vivi: il che gli concede un osceno simulacro di esistenza. Secondo uno studioso, Evel Gasparini, la radice slava della tradizione vampirica è legata alla forma di religiosità pagana praticata da quei popoli. Una religiosità dalle radici profonde, se si considera che gli ultimi ad essere cristianizzati con la forza furono i baltici che rinunciarono al paganesimo soltanto alla fine del XII secolo e che i riti ancestrali continuarono ad essere praticati, clandestinamente o in forma sincretistica col cristianesimo (nota di Lunaria: vedi il culto idolatra a maria, scopiazzato da tantissime Dee...) Residui ritualistici delle antiche festività pagane vennero registrate dagli antropologi in alcune zone dell'Europa slava, ancora nei primi decenni del '900. La religione degli slavi pre-cristiani aveva una forte tinta manistica: prevedeva un culto dei morti. La vita d'oltretomba era considerata come una specie di risvolto negativo della vita di questo mondo. Credendo che i morti vivessero la stessa vita dei vivi, si disponevano presso i cadaveri varie provviste di cibo, armi e oggetti di cui si pensava che il defunto potesse avere bisogno. Si riteneva che il morto si separasse di malavoglia dalla sua gente, per cui vegliavano il cadavere e cercavano di distrarlo con canti e danze. In particolare, si temeva il ritorno dei morti di morte violenta e delle vergini: si pensava che questi morti fossero avidi delle gioie di cui il trapasso li aveva privati.
Onde assicurarsi la "tranquillità dei defunti" presso certi popoli era in uso il rito delle esequie ripetute. A intervallo di tre, cinque, sette anni, i sepolcri venivano riaperti, le ossa lavate con i balsami, i resti riavvolti in teli funebri. Quando nel corso di tali cerimonie, un corpo veniva trovato non decomposto, si credeva che il morto fosse già tornato periodicamente nel mondo a succhiare il sangue per prolungare la propria vita. Allora, li si impalava o bruciava.
La tipologia del Vampiro variava a seconda del popolo di appartenenza. I polacchi lo chiamavano "Upir" e credevano che avesse una lingua affilata come un pungiglione. In Russia era detto "Mjertovjek", ed era considerato il figlio di un lupo mannaro e di una strega. Per i serbi era il "Vurdalak"; dai macedoni era detto "Vrukolak" e il suo richiamo notturno causava la morte a chi gli rispondeva. Gli albanesi lo chiamavano "Sampir", i bulgari "Norferat", "Ogoljen" i boemi, "Gierach" i prussiani.
Malgrado le differenziazioni, esistono caratteristiche comuni: il Vampiro ha un viso emaciato, folti capelli e corpo villoso, al punto di avere peli anche sul palmo della mano; le labbra sono gonfie e tumefatte, i canini lunghi e aguzzi, le unghie lunghissime e livide, le orecchie appuntite e mobili come quelli dei pipistrelli, l'alito fetido. Teme l'aglio, l'esposizione al sole, la visione dei simboli sacri. Il suo morso è anestetico, tanto che la vittima che lo subisce durante il sonno non si desta, e il morso è contagioso: chi ne muore, diviene Vampiro a sua volta.
Nel corso dei secoli tutta l'Europa fu percorsa da epidemie di vampirismo. La "Saga degli uomini di Eyr" narra la storia di Torolf Gambastorta, alla cui morte si cominciarono a verificare misteriosi decenni di uomini e animali. Si udivano rumori, e appariva anche il cadavere dello stesso Torolf. Si riaprì la sua tomba e lo si ritrovò perfettamente conservato. Dopo poco tempo, si decise di bruciarlo, dopodiché il Vampiro non apparve più.
Saxo Grammaticus, nel XIII secolo racconta nella "Danica Historia" che durante una pestilenza in Danimarca si attribuì la morìa all'opera di un morto che vagava per le campagne. Anche qui il Vampiro venne esumato, decapitato, trafitto al cuore: la peste si estinse. Anche in Inghilterra nel 1100 venne esumato in Inghilterra il corpo di un Vampiro e si dovette darlo alle fiamme.
A partire dal Seicento, le documentazioni aumentano. Epidemie di vampirismo si hanno in Moravia (1662, 1685), Istria (1672), Grecia (1701), Prussia orientale (1710, 1721, 1750), Ungheria (1725, 1732), Slesia (1755), Valacchia (1756), Russia (1772), Serbia (1731); ma la prima volta che il termine "vampiro" venne utilizzato risale al 1725, nei documenti parocchiali di Barn in Moravia: di una salma sospetta, si dice che è in "Vampertione infecta".
Nel secolo successivo il fenomeno diminuì tanto che nel 1824 il Parlamento britannico abolì la legge che prescriveva di trafiggere con un cuneo di legno i cadaveri dei suicidi e dei morti sospetti. Una legge analoga rimase in vigore fino al primo '900 nel Rhode Island, sede nella seconda metà del Settecento dell'unica epidemia di vampirismo documentata negli Stati Uniti. (da questa vicenda Lovecraft ne trasse lo spunto per il suo racconto "The Shunned House")
La straordinaria concetrazione di fenomeni vampirici nel Secolo dei Lumi generò un fiume di scritti e di dibattiti; anche Voltaire e Rousseau se ne interessarono. Voltaire si mostrò scettico, mentre Rousseau concluse che la società umana era basata sullo sfruttamento e perciò "il nostro Vampiro sono gli altri". (*)
Se i razionalisti e medici negavano il fenomeno, il clero, specialmente i preti di campagna, lo diffondevano, confortati da testi quali il Malleus Maleficarum, la Demonomania, le Disquisitionum Magicarum, il Compendium Maleficarum, nei quali l'esistenza del vampiro veniva dimostrata e sostenuta con citazioni dalla Bibbia e dalla Patristica, anche se alcuni cardinali come Prospero Lambertini, in seguito papa Benedetto XIV, raccomandò di trattare le voci sui risurgenti come superstizioni popolaresche. Se ciò fu sufficiente a convincere le persone colte, non bastò per le genti di campagna, tanto che si svolgevano pratiche esumatorie in presenza di preti e magistrati.
La religione degli antichi Balti fu l'ultimo culto pagano d'Europa. Essa possedeva caratteristiche peculiari e un pantheon indoeuropeo tutto proprio. La religione degli antichi Estoni condivideva invece le credenze pagane comuni agli altri popoli finnici. La più antica attestazione sulle religione degli antichi Balti risale a Pietro da Duisburg (XV secolo) il quale annotò: "I Prussiani adoravano come Dio ogni creatura e cioè il sole, la luna e le stelle, i fulmini, i volatili persino i quadrupedi, fino alla rana". Da questa descrizione deriva che essi adoravano una schiera numerosa di Dei naturali minori, mentre altre testimonianze ci danno notizia di una divinità superiore, cui tutte le altre erano subordinate. Così Maletius (XV secolo) narra di "un colle presso i Samogizi, nei pressi del fiume Nauvas, sulla cui cima era tenuto acceso da un sacerdote il fuoco perpetuo in onore di Perkunas, che da quel popolo superstizioso è ancor oggi ritenuto signore dei fulmini e delle tempeste". Anche la classe sacerdotale, cui potevano appartenere entrambi i sessi, doveva essere organizzata gerarchicamente: "Nel mezzo di questa perversa nazione, e precisamente in Nadrovia, v'era un luogo detto Romow, dove abitava un tale detto Criwe, che quelle genti rispettavano come un papa, poiché come il papa regge la chiesa universale dei fedeli, così dal cenno e dal mandato di costui erano governate non solo dette genti, ma anche i Lituani e le altre nazioni della Livonia [...] I Prussiani credevano nella risurrezione della carne; non così come avrebbero dovuto. Infatti pensavano che se una persona era nobile o ignobile, ricca o povera, potente o debole in questo mondo, tale sarebbe stata anche nell'altro; perciò accadeva che insieme con i cadaveri dei nobili si bruciassero le armi, i cavalli, i servi e le serve, i cani da caccia, gli uccelli rapaci d'uso venatorio e altre cose" (Pietro da Duisburg).
Il primo a fondare una chiesa e a condurre opera di conversione fu l'agostiniano Meinhard, intorno al 1170. Il suo successore fu ucciso dai pagani, ma [...] col vescovo Alberto furono organizzate crociate e venne costruita la cattedrale di Riga (1201); venne anche creato un ordine di monaci-soldati ("Ordine dei Portaspada"). Grazie ai drastici metodi di evangelizzazione militare la pur viva resistenza dei pagani fu stroncata nel sangue, e in breve germanesimo e cattolicesimo presero solidamente piede in Livonia.
(*) Nota di Lunaria: curiosamente, anche de Sade cita questa metafora del vampiro, in un suo libro, per riferirsi... a Dio:
"Qualunque sofisma sostengano i fautori assurdi della divinità chimerica degli uomini, non vi dicono altro se non che non c'è effetto senza causa, ma non vi dimostrano che occorre risalire ad una prima causa eterna, causa universale di tutte le cause particolari, che sia inoltre essa stessa creatrice e indipendente dalle altre cause. Convengo che noi non riusciamo a comprendere il legame, la successione e la progressione di tutte le cause. L'ignoranza di un fatto non è mai però motivo sufficiente per crearsene o determinarne un altro. Coloro che vogliono persuadervi dell'esistenza del loro abominevole Dio osano sfrontatamente dirvi che, dal momento che non possiamo collegare la vera causa agli effetti, occorre che necessariamente ammettiamo la causa universale. Si può fare un ragionamento più sciocco? Come se non fosse meglio confessare la propria ignoranza, invece di sostenere un'assurdità, o come se l'ammissione di tale assurdità divenisse una prova della sua esistenza. Confessare la propria pochezza non è un inconveniente, senza dubbio; l'adozione del fantasma è piena di ostacoli contro cui non faremmo che urtare se ci manteniamo tranquilli, ma dove potremmo spezzarci se permettiamo che le nostre teste si riscaldino: e le chimere accalorano sempre.
Concediamo, se si vuole, un istante, ai nostri antagonisti l'esistenza del vampiro (:) che crea lo loro felicità. Chiedo loro, in tale ipotesi, se la legge, la regola, la volontà mediante la quale Dio guida gli esseri, sono della stessa natura della nostra volontà e della nostra forza, se Dio, nelle stesse circostanze, possa volere o non volere, se la stessa cosa possa piacergli e dispiacergli, se non cambi di avviso, se la legge che lo determina è immutabile. Se è lei che lo guida, egli non fa che eseguire; quindi, non ha alcun potere (...) Se il vostro Dio non è libero, se è costretto ad agire in conseguenza delle leggi che lo dominano, allora è una forza simile al destino, alla fortuna, non influenzabile con i voti, non modificabile con le preghiere, non placabile con le offerte e che è meglio disprezzare in eterno piuttosto che implorare con tanto poco successo. Se poi il vostro esecrabile Dio è più pericoloso, più cattivo e più crudele ancora, e ha nascosto agli uomini ciò che era necessario per la loro felicità, il suo progetto allora non era di renderli felici (Nota di Lunaria: sicuramente il suo progetto non era quello di rendere felici e magnificate nel Divino le donne...); egli non li ama, quindi, non è né giusto, né benefico. Mi sembra che un Dio non debba volere altro se non il possibile, e non è possibile che l'uomo osservi leggi che lo tiranneggiano o che gli sono sconosciute."
(:) Il vampiro succhiava il sangue dei cadaveri. Dio fa scorrere il sangue degli uomini, entrambi, a ben vedere, sono chimerici: è sbagliarsi dare all'uno il nome dell'altro? (Nota dello stesso de Sade)
All'origine della letteratura sui Vampiri c'è una scommessa, dalla quale sarebbe nato il romanzo dell'orrore anglosassone. Nella splendida dimora, Villa Diodati, a Ginevra, il giugno del 1816 è radunato un gruppo di intellettuali: Byron, Shelley, Mary e John Polidori.
A causa del tempo piovoso, i quattro dovettero stare rinchiusi in casa e Byron propose di scrivere ciascuno una storia di fantasmi. Si cominciò a discutere di trame, ma solo due dei presenti presero sul serio la scommessa: la prima fu lei, Mary Wollstonecraft Godwin in Shelley, che comincerà a scrivere il "Frankenstein", pubblicato nel 1818; il secondo fu Polidori che pubblicò una novella: "The Vampyre". https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/commento-al-vampiro-di-john-polidori.html
In poco più di 20 pagine, il racconto di Polidori ridisegna completamente il personaggio del Vampiro: da povero contadino ignorante Polidori lo trasforma in una figura a tutto tondo: il suo Lord Ruthven, tenebroso nobile inglese condannato dai suoi delitti a succhiare il sangue dei vivi, è un aristocratico e ricco di fascino irresistibile, tratti profondamente originali rispetto alla tradizione popolare che dipingeva i Vampiri come villici analfabeti e cadaveri ripugnanti. Infine, non è più un personaggio che infesta le campagne e i casolari, bensì è completamente inurbato e frequenta la società del tempo. Da questo schema deriverà la matrice sul quale verranno modellate le successive filiazioni del Vampiro, sia in veste maschile sia femminile (Nota di Lunaria: almeno fino agli anni '80 e soprattutto '90-'00 quando cominciano a vedersi anche vampiri parodizzati o teen agers, vedi il fenomeno Twilight... https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/recensione-twilight.html https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/recensione-la-ragazza-del-vampiro.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/il-diario-del-vampiro-il-risveglio.html). L'intuizione letteraria di Polidori sembra sia nata dal desiderio di dipingere una caricatura di Lord Byron, per vendicarsi delle frustrazioni subite nella competizione tra i due. Inoltre, non contento di prestare al suo Vampiro aspetto e atteggiamenti byroniani, Polidori fece pubblicare il suo racconto, nel 1819, a firma dello stesso Byron. Il racconto ebbe immediatamente un successo straordinario, e nessuno dubitò che fosse di Byron. Polidori morì suicida a soli 26 anni: gli sopravvisse il suo personaggio (Byron ne aveva smentito la paternità). In breve, quasi ogni autore romantico dell'Ottocento si cimentò con la sinistra figura del Principe delle Tenebre: "Vampirismus" (1828) di E.T.A. Hoffmann, "Il Vij" (1835) di Gogol' e "Clarimonde" (1836) di Gautier sono da annoverare tra i capolavori del genere (soprattutto "Clarimonde", anche noto come "La morta innamorata", il mio preferito. Nota di Lunaria).
"Varney the Vampyre" (1847), pubblicato anonimo, a puntate, ma probabilmente di Thomas Preskett Prest e/o James Malcolm Rymer, e "Carmilla" di Le Fanu (1872) sono altri racconti in cui la tematica ormai classica del Vampiro - le nobili origini, il maniero perduto nella foresta, il sottofondo erotico (in Fanu c'è anche il rimando saffico), la vittima inconsapevole, la tradizionale fine cruenta - sono concentrati e riassunti.
Tre furono gli spunti di cui si valse Bram Stoker per tracciare la figura di Dracula; il primo fu la lettura di Carmilla; il secondo fu la figura dell'attore vittoriano Henry Irving, che gli servì come modello in vista di una possibile riduzione scenica della trama che stava progettando; il terzo fu un sogno, che ispirò l'ambigua sottotraccia erotica.
Era una notte di marzo del 1890 quando Stoker, svegliatosi da un incubo, tracciò in fretta queste righe su un foglio di carta: "Un giovane esce e vede tre fanciulle; una di loro cerca di baciarlo sulla gola. Il vecchio Conte interviene con rabbia e furia diaboliche: quest'uomo mi appartiene, io lo voglio."
L'esile traccia così descritta era quanto restava della visione notturna; chi ha letto il romanzo riconoscerà la scena: si trova nel terzo capitolo.
Con meticolosità, Stoker passò sette anni a documentarsi sui Vampiri. Nel suo romanzo accolse e concentrò tutte le precedenti connotazioni narrative della tematica vampirica: ne confermò l'origine balcanica, collocando il suo personaggio in Transilvania, "la terra al di là delle foreste", e facendone un signore di un castello cupo; ne accettò anche il modello - sempre tracciato da Polidori - di nobile maledetto. Gli mancava un nome; a suggerirlo fu Arminius Vambery, docente di tradizioni slavi, che gli parlò della figura del Voivoda di Valacchia, Vlad Basorab detto Tepes, "l'Impalatore", terrore dell'Europa centrale nel quindicesimo secolo, nemico dei Turchi; costui aveva avuto l'appellativo patronimico di Dracula, figlio di Dracul, poiché il padre era affiliato all'Ordine cavalleresco del Drago.
Una radice del termine valacco per "demonio", insita nell'appellativo, fece sì che il personaggio in questione, di fama spaventosa per le sue efferatezze, passasse per figlio del Diavolo.
Il libro uscì nel 1897 e fu un successo immediato; sollecitò interi studi e affascinò, malgrado gli evidenti limiti tanto letterari quanto di struttura; un'altra motivazione del successo va ricercato nella venatura erotica del racconto: l'analisi alla sensualità di Dracula ha prodotto fiumi di saggistica, tendente ad interpretare la figura del Vampiro come simbolo letterario nei confronti delle repressioni vittoriane in materia di sesso.
C'è un simbolismo omosessuale: Dracula cerca di succhiare il sangue che cola dal viso di Jonathan Harker; e lo reclama, furibondo, quando le tre vampire tentano di sedurlo: "Come osate toccarlo? Quest'uomo mi appartiene"; un analogo senso di possesso omosessuale figurava già in "Carmilla": "Tu sei mia. Tu devi essere mia; tu e io dobbiamo essere una cosa sola, per sempre"; c'è da far notare che Bram Stoker stesso si era auto-censurato: dagli appunti preparatori del romanzo risulta che nella sua prima versione la scena prevedeva che Harker si tagliasse il dito e che Dracula glielo succhiasse; ma la metafora appariva fin troppo azzardata per l'Inghilterra vittoriana.
Il sesso vampirico diviene così contaminazione assoluta, espressione di un disordine universale in cui non soltanto i limiti della morale sessuale ma anche i confini tra la vita e la morte vengono a cadere.
Il romanzo di Stoker fa da spartiacque nella storia della letteratura vampirica che può essere suddivisa in una fase pre-Dracula e una post-Dracula. A partire dagli anni '50 alcuni autori iniziano a introdurre novità: Richard Matheson in "I Am Legend" (1954) il vampirismo è ricondotto ad una causa interamente naturale: l'infezione prodotta da un microorganismo sconosciuto. L'umanità è infettata e solo pochi umani restano immuni; alla fine, la prospettiva è ribaltata: non sono più i vampiri, ormai la maggioranza, ad essere "contro natura", ma gli esseri umani; il protagonista conclude con "la leggenda sono io", e non più i vampiri. Colin Wilson invece immagina dei vampiri spaziali, provenienti da un altro pianeta, che suggono la forza vitale. Altri romanzi best-sellers furono "Salem's Lot" (1975) di Stephen King, "Intervista col Vampiro" di Anne Rice e "Sunglasses After Dark" di Nancy Collins.
Non esistono bibliografie esaurienti, ma è certo che in oltre 170 anni di letteratura vampirica - dalla novella di Polidori ad oggi - sono diverse centinaia, forse migliaia, le opere narrative aventi come protagonisti i vampiri (senza contare i cd musicali, fumetti, film - nota di Lunaria)
Nota di Lunaria: ovviamente leggendo questi libri, la miglior colonna sonora resta questa: ovviamente, i Cradle of Filth di "Dusk and Her Embrace" https://www.youtube.com/watch?v=mc7o4wzW128
ma anche questi (a patto che li si ascolti nei loro cd migliori, ovvero i primi e più marcatamente "vampirici") Lord Vampyr e Theatres des Vampires
("The Vampire Chronicles" - "Bloody Lunatic Asylum" - "Suicide Vampire")
Anche i Dark Unfathomed
di "Vampiric Opera" https://www.youtube.com/watch?v=vn9dl24HD0c
hanno composto un'ottima canzone, così come i Lamia Antitheus https://www.youtube.com/watch?v=mWav5amWn2k https://www.youtube.com/watch?v=hsARj4QSjTI e i Black Countess https://www.youtube.com/watch?v=UDtYCyxGKqw
(che comunque plagiano molto i Cradle of Filth...)
I Siebenbürgen di "Delictum" sono comunque un ascolto piacevole, anche se nella media https://www.youtube.com/watch?v=ZpG3uBDe0T0
Suggerisco anche i Vampiria, dall'Argentina https://www.youtube.com/watch?v=s1_vN7ZjwpI
Gli Ancient Ceremony, anche se non a tema esclusivamente vampiresco
hanno composto delle canzoni davvero suggestive.
So che tanti "puristi degli ideali satanici del Black Metal" storceranno il naso, ma a me piacciono anche i Nocturnal Freeze https://www.youtube.com/watch?v=ioQ6oObEFW0
che... ehm... "purtroppo" sono cristiani... però dai, "Transylvania" è un gran bel cd, anche se per forza di cose si avvicinano di molto al quasi-plagio dei COF di "Dusk..." che c'importa se sono cristiani, se sanno suonare bene?? Io non sono di certo razzista contro i cristiani che sanno far uscire cose ben fatte xD
Infine una citazione particolare va ai bulgari Amor e Morte, purtroppo anche loro ormai sciolti
e particolarmente ispirati dall'opera di Keats... https://www.youtube.com/watch?v=AZixTZZbkU0
Altrimenti, per musica strettamente strumentale, i suggestivi Nox Arcana
Sono tutte belle le canzoni, per cui potrei citarne dozzine e dozzine... ma vi lascio questa che ha un bel video non-ufficiale
Infine, per chi fosse stanco dei patemi adolescenziali e pop di "Twilight" - libro che per inciso, meriterebbe un'analisi a parte sugli aspetti "più subliminali" dell'opera e che possono essere colti solo da chi conosce bene certi riferimenti teologici, vedi la gravidanza "coatta" di Bella :D -
ma non volesse rinunciare "all'atmosfera rosata" con un tono da soft-gotico ottocentesco, suggerisco questo romanzo: "Dopo Mezzanotte", scritto dalla brava Teresa Medeiros
che ha scritto anche il seguito, che purtroppo mi manca :P
Notevoli sono le pagine soft-horror dedicate ai vampiri e l'Autrice si è davvero superata nel disseminare la vicenda con citazioni tratte non solo da Byron, ma anche da Polidori e da Horace Walpole! Si veda tutta la parte del romanzo ambientata nel castello: gli appassionati riconosceranno sicuramente gli stilemi gotici da "Castello di Otranto", nella descrizione dei corridoi, pertugi, passaggi segreti, cripte o la luna che illumina la brughiera; infine, roventi e coinvolgenti, anche se presenti solo negli ultimi capitoli, le descrizioni dell'amplesso tra Caroline e Adrian. Insomma, "Dopo Mezzanotte" è davvero un romanzo accattivante, appassionante, che vale la pena di cercare - è uscito nel 2007 - perché se cercate una bella storia d'amore erotico - a differenza del più celebre e teen-ageriale "Twilight" dove mancava del tutto l'eros carnale! - tinta di atmosfere gotiche e horror soft, "Dopo Mezzanotte" fa al caso vostro...
Altrimenti potete sempre cercare romanzi come questo... e i sempre ottimi "Racconti di Dracula"