"La Stirpe dei Licantropi" di Harry Small [pseudonimo di Mario Pinzauti]
Trama: Un incubo ricorrente, sin dall'adolescenza, tormenta le notti del giovane antropologo Wolfang Meyer e la lettura di una terrificante leggenda, che trova le origini nel paleolitico di una tenebrosa valle bavarese intorno a Rosenheim, lascia presagire che il tutto abbia avuto origine dall'amplesso bestiale di un lupo con una donna di Neanderthal. Elementi che coincidono con la periodica apparizione nella zona di un sanguinario licantropo agli inizi del secolo ventesimo. Trascinato dai suoi studi antropologici e antroposofici, Wolfang Meyer intraprende la ricerca della verità... per accorgersi che lui stesso incarna l'orrore!
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La luna piena inargentava la vallata, che separava l'immensa, oscura foresta, dai monti bavaresi. Il branco di lupi uscì dalla folta massa degli alberi secolari e si snodò in una ululante fila indiana, lungo il margine della foresta. Le rosse fauci spalancate a scoprire le bianche zanne fameliche, le belve si spostavano con sinistra circospezione, nere, irsute figure, che improvvisamente si staccarono dal riparo degli alberi, per avventarsi in una corsa sfrenata attraverso la distesa nevosa, verso le caverne che si aprivano sulla parete rocciosa ai piedi della catena montuosa. Il branco era guidato da un gigantesco lupo bianco, il cui mantello si confondeva nel candore argenteo della neve, contro la quale si stagliava soltanto l'ombra fugace della bestia, proiettata dalla luna. Gli ululati delle belve attraversarono la vallata e penetrarono, sempre più vicini, nelle caverne, facendo rabbrividire gli antropoidi, che tra le nere, umide pareti di pietra avevano trovato asilo, sin dalla notte dei tempi.
Con movimento istintivo, completamente privo di razionale ragionamento, Wolfang abbassò lo sguardo sul proprio corpo ed un grido soffocato di angoscia gli sfuggì dalla gola. Vide il proprio torace attraverso l'apertura della camicia sbottonata, completamente ricoperto di pelo bianco e lungo; il dorso stesso delle sue mani era ricoperto di folto pelo bianco e si rese conto di avere le mani poggiate contro il pavimento; di essere con il corpo prono, con piedi e mani poggiati a terra, press'apoco nella posizione che aveva il grosso lupo bianco riflesso. (...) Wolfang sentì sotto le dita il proprio volto, le forme ripugnanti; ruvide e villose di un muso aguzzo, ringhiante; tra le labbra leporine spalancate il contatto levigato e freddo di lunghe acuminate zanne. Ancora una volta urlò, con raccapriccio e rabbia, senza incredulità, senza stupore e si rese perfettamente conto di ululare, proprio come un lupo.
Ricordò il proprio scetticismo a proposito di forze infernali che potessero proteggere e sostenere certi maniaci assassini, ma davanti ai suoi occhi sbarrati adesso c'era veramente una creatura orribile, la cui visione le fece persino dimenticare il micidiale bisturi, che ella ancora stringeva nella mano e con il quale avrebbe potuto difendersi. Il licantropo era lì, a due passi da lei; un corpo dalla forma umana, ma dall'aspetto scimmiesco, orripilante. La terribile creatura, completamente nuda era ricoperta da lunghi peli arruffati; il volto bestiale piegato da un ghigno terrificante, che metteva in mostra denti aguzzi e zanne mostruose; dagli angoli della bocca spalancata gli scendevano fili di saliva vischiosa. Un sordo mugolìo misto ad un ansito pesante usciva dalle fauci spalancate del mostro, che avanzava con brevi passi saltellanti; le ginocchia piegate; il corpo massiccio equilibrato leggermente sui talloni e proteso in avanti. Frida riusciva a stento a respirare; il cervello le si era bloccato impedendole di pensare. Soltanto i suoi occhi terrorizzati vedevano la minacciosa, bestiale figura del licantropo ormai vicinissima; le sue orecchie sentivano il brontolio inarticolato che usciva dalle mascelle zannute e l'alito caldo del mostro le soffiò sul volto. L'unica reazione che la ragazza riuscì a percepire nel proprio corpo fu un lungo brivido di raccapriccio che la scosse dalla testa ai piedi. Poi una violenta, poderosa zampata dell'uomo-lupo la colpì al braccio destro facendole saltar via il bisturi dalle dita e soltanto allora, per una frazione di secondo, la ragione tornò nel cervello di Frida, la quale si rese conto di non avere più alcuna possibilità di difesa. Subito dopo, le mani villose del mostro le strapparono il mantello e l'orribile essere le sbrindellò la lunga sottana; il corpetto e la camicia, sino quasi a denundarla completamente. In un moto istintivo di ribellione, la ragazza tentò un'energica disperata difesa; le sue unghie sottili si spezzarono artigliando il muso ringhiante del mostro, ma non riuscirono a respingere il bestiale attacco. Il licantropo serrò con una mano la nuca di Frida, come in una morsa, mentre passandole un braccio poderoso intorno alla vita la piegava in avanti, carponi, sino a farla cadere in ginocchio. Il dolore alla nuca fece quasi perdere i sensi alla sventurata, ma la sua forte fibra le impedì di svenire completamente ed ella sentì che, proprio nel modo più obrobrioso, stava per essere sopraffatta dalla violenza mascolina che aveva sempre detestato. Tentò ancora di urlare, ma dalla gola le uscì soltanto un singulto strozzato, mentre sentiva il corpo possessivo e mostruosamente forte dell'uomo-lupo sovrastarla alle spalle; le braccia villose del mostro le avvolsero i fianchi e le unghie del licantropo le si chiusero sui seni opulenti in una dolorosa stretta lussuriosa e feroce; il ventre villoso, palpitante e muscoloso del mostro le aderì ai glutei indifesi in un bestiale assalto ed un grido rauco le sfuggì dalla gola contratta, quando sentì la prepotenza dell'uomo-lupo squassarle le viscere. Tentò di sfuggire al dolore con l'immobilità assoluta, mentre il licantropo la possedeva alitandole affannosamente sulle spalle ed artigliandole ferocemente i seni. (...) Le poderose, acuminate zanne del licantropo le si affondarono subito sotto la nuca; un dolore lancinante, atroce, le esplose nel cervello ed il grido lacerante, disperato di Frida fu stroncato dallo scricchiolìo delle vertebre cervicali spezzate. Il corpo senza vita della ragazza si accasciò sotto il peso del mostro, che la girò in posizione supina, con una violenta zampata e ringhiando con feroce avidità le squarciò la gola candida, indifesa, dalla quale il sangue caldo sgorgò a fiotti a lordare l'orrido muso irsuto e le balenanti zanne del licantropo. Il dolce, caldo sapore del sangue scatenò completamente la bestia e la ferocia dell'uomo-lupo, sino a quel momento relativamente contenuta e sovrastata dall'avidità sessuale. Le zanne e le mani artigliate del licantropo si accanirono con brutale, spietata ferocia sul corpo di Frida, dilaniandolo, smembrandolo in orripilanti pezzi sanguinolenti.
L'ululato del licantropo si levò sinistro nella notte; si ripercosse nella campagna a ridosso della città e si disperse nell'alta profondità del cielo, contro il quale si stagliava la luna piena, con il suo alone lattiginoso. L'uomo-lupo era già molto lontano dalla sua abitazione, quando fece udire la sua lugubre, minacciosa voce; abbastanza lontano per urlare e per uccidere, perché i lupi per istintiva astuzia conoscono il cacciatore e non si fanno mai notare con ululati e stragi nei pressi delle loro tane. Una sete irrefrenabile di sangue e il desiderio bestiale di una femmina guidavano il passo annaspante del licantropo sulla scìa di un odore inconfondibile, che gli giungeva alle narici dilatate e frementi.
Soffocata dal proprio grido e dal terrore, la giovane Marghareta balzò fuori dal letto e corse verso la porta, nel disperato tentativo di fuggire, ma il licantropo le sbarrò la strada con un balzo ferino. Lanciò un altro breve ululato e scoprì le mostruose zanne in un ringhio spaventoso, afferrando la donna per i capelli. La trascinò come un fantoccio verso il letto scaraventandola con la schiena contro il bordo del materasso sconvolto. Poi le artigliò la lunga camicia da notte lacerandola sino a denudarla, mentre il desiderio bestiale gli riempiva la bocca di saliva facendogliela colare dal muso ringhiante sulla pelle bianca e graffiata della giovane donna semiparalizzata dal terrore e dal disgusto. (...) Sentì contro il proprio ventre contratto quello villoso e palpitante del mostro, poi, quando le unghie artigliate dell'uomo-lupo le affondarono nei seni con feroce bramosia, facendoli sanguinare, Margaretha riuscì a sbloccare il proprio terrore lanciando un urlo lacerante. (...) La donna tentò di svincolarsi con il solo risultato di esasperare eccitazione e furore nel bestiale aggressore, la cui potenza erotica sussultò ed esplose bruciante nel corpo della donna, spingendola dal terrore alla pazzia totale. Ma fu il mostro stesso a liberare la sua giovane vittima dal traumatico shock, ma non certo per tenerezza. Subito dopo aver goduto del corpo caldo e contratto della donna, il licantropo la azzannò ferocemente alla gola sgozzandola. L'ultimo grido di Marghareta si spense in un rantolo, mentre il licantropo beveva avidamente il sangue che sgorgava a fiotti dalla gola squarciata della sua vittima, sino a quando non la sentì immobile, fredda sotto di sé.