La Rivoluzione Francese e le donne


Neppure i filosofi furono privi di ambiguità; delle volte, è il caso di Montesquieu, consideravano la donna un esemplare d'umanità più perfetto dell'uomo ("l'impero che noi abbiamo su di loro è una vera tirannia; esse ce l'hanno lasciato prendere solo perché più dolci di noi e, di conseguenza, dotate di maggiore umanità e ragione")
oppure, è il caso di Voltaire, vedono nella donna più un debole generalmente oppresso che una vittima dell'usurpazione maschile.
(Nota di Lunaria: è già un miglioramento, considerato che aristotele la riteneva un essere malriuscito...)

Convinti che la disuguaglianza fra l'uomo e la donna sia di carattere sociale, si affidano ai risultati dell'istruzione e alla riforma della legislazione per rimediare, all'interno di un più vasto programma di rigenerazione e progresso ad una situazione di palese ingiustizia.

Per Rousseau la donna è "fatta per piacere e per essere soggiogata, per cedere all'uomo e anche per sopportarne le ingiustizie"; Rousseau non è contrario all'istruzione ma "preferirebbe cento volte una fanciulla semplice e grossolanamente allevata ad una fanciulla colta ed erudita che si installasse in casa mia per fondarvi un tribunale di letteratura di cui si farebbe presidente."
Tuttavia è proprio Rousseau che trascina la donna nella Rivoluzione "carica di un entusiasmo pronto per l'Utopia."

Certo, il femminismo nel 1789 è fatto ancora di aspirazioni vaghe, rintracciabili nei primi periodici dedicati alle donne, o di richieste concrete ma circoscritte (presenti in alcuni libelli anonimi che circolavano già nel 1788 e chiedevano per le donne l'istruzione, la riforma del regime matrimoniale, il divorzio, il diritto di guadagnarsi da vivere, l'accesso alla cariche pubbliche, rimedi contro la prostituzione)

Bisognerà aspettare Olympe de Gouges e la sua "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina" (1791): "La donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell'uomo"


"L'esercizio dei diritti naturali della donna non ha altri limiti se non la perpetua tirannia che le oppone l'uomo. Questi limiti devono essere infranti dalle leggi della natura e della ragione."

Anche Condorcet, nella seconda fase del suo pensiero (1793) trova ingiusto continuare a rifiutare alle donne il godimento dei loro diritti naturali: "questa disuguaglianza non ha altra origine se non l'abuso della forza e invano si è cercato poi di giustificarla con sofismi"; "non esistono diritti naturali per l'uomo o non ce n'è nessuno che la donna non debba condividere"



Ma al di là della propria emarginazione, le donne partecipano fin dagli inizi agli eventi rivoluzionari. Donne di ogni condizione prendono parte alla presa della Bastiglia; marciano armate su Versailles. Nel 1791 firmeranno la petizione del Campo di Marte; nel 1792 uccideranno e si faranno uccidere durante i tumulti (...) Donne della Rivoluzione non sono dunque solo le Roland, le Desmoulins, le Méricourt, le Lacombe, ma anche la donna del popolo si gettò nella rivoluzione, ardente e furiosa. 
Si presentava l'occasione di vendicarsi per tutte quelle donne che sfacchinavano come dannate, facevano una fatica della malora e malgrado tutto, contavano meno che zero.
Le pescivendole precipitarono le sommosse, trascinarono gli uomini, fecero marciare le milizie nazionali, si misero tra le truppe reali e le orde patriottiche, lanciarono l'attacco, paralizzarono la difesa. Gli uomini uccidevano, loro massacrarono… 
La Rivoluzione onorò le pescivendole come le sue amazzoni, conferendo loro la medaglia patriottica.

Ma dalla Rivoluzione le donne ottennero ben poco: nel gennaio del 1789 il Regolamento reale prevedeva per alcune categorie di donne proprietarie, la possibilità di partecipare all'elezione dei deputati degli Stati generali. 
Nel 1793 la Convenzione, su rapporto di Amar, escludeva tutte le donne dai diritti politici e, sopprimendone i club e le società, negava loro il diritto di associazione.
Tutto, diceva Amar, si opponeva alla capacità politica della donna, la sua debolezza "morale e fisica", i suoi doveri naturali, il suo stesso carattere: "ogni sesso è chiamato ad un genere di occupazione suo proprio; la sua azione è circoscritta in un cerchio dove esso non può valicare."
Soltanto il montagnardo Charlier si era opposto: "A meno che non contestiate che le donne fanno parte del genere umano, potete voi toglier loro tale diritto, comune a tutti gli esseri pensanti?"
La replica di Basire, che si rifiutò di contestare il diritto politico naturale della donna, aveva distinto tra regime normale e regime rivoluzionario: "Vi siete dichiarati regime rivoluzionario... avete per un istante gettato il velo sui principi, per timore dell'abuso che se ne potrebbe fare. Si tratta dunque esclusivamente di sapere se le società femminili siano pericolose. L'esperienza ha provato i giorni scorsi quanto sono funeste alla tranquillità pubblica; ciò posto, non mi si parli più di principi..."
Le devote di Robespierre e Marata, le giacobine, furono accomunate dallo stesso destino: schiacciato dal divieto di associazione, private di qualsiasi diritto politico.
Qualcosa, la Rivoluzione, alla donna aveva concesso: aveva abolito i voti monastici perpetui, riconosciuto il diritto di essere testimone, stabilito l'uguale spartizione dei beni, concesso il divorzio.
L'intuizione di Olympe de Gouges, che l'unica uguaglianza stabilita dalla Rivoluzione era quella dinnanzi al patibolo, trovava conferma nel discorso di Lanjuinas alla Convenzione, nell'aprile del 1793: escludendo le donne dai diritti politici, ma mantenendole nel "corpo sociale", diveniva lecito condannarle per i crimini politici, era legittimata la loro esecuzione.

Passati 30 anni, sotto il Direttorio e la Restaurazione, il femminismo era morto. Nel 1804 il Codice Napoleonico imponeva "l'obbedienza della moglie al marito", nel 1816 il divorzio è soppresso.
Scomparsa la politicizzazione degli anni rivoluzionari, troneggia la donna futile da un lato, la madre di famiglia dall'altro.
Esclusa dal dominio del reale, la donna non tarderà ad assumere una dimensione mitica nell'immaginazione di poeti, scrittori, utopisti che le affideranno nebulose missioni, compiti di rigenerazione dell'umanità.

Con l'avvento di Luigi Filippo (1830) riesplode la questione femminile: un femminismo di ordine mistico-sentimentale strettamente legato allo sviluppo del saint-simonismo e un femminismo più pratico, che non si propone nessun sovvertimento dell'ordine sociale e spesso da associazioni come la "Société des droits de la femme" (1836) e da giornali come la Gazette des Femmes (1836-1838).
Ricorrendo al diritto di petizione, esso punto a precise rivendicazioni giuridiche: il ripristino del divorzio, l'abrogazione dell'articolo del Codice civile sull'obbedienza della moglie al marito, la soppressione del regime dotale, la revisione della legislazione sulle ragazze madri e sui figli adulterini e naturali, l'accesso a mestieri manuali affidati agli uomini (come quello di parrucchiere) e alle professioni liberali (medico, avvocato, insegnante, direttore responsabile di giornale), il diritto di voto per le donne nubile o separate di età superiore ai 25 anni che paghino almeno 200 franchi di imposte (per le donne sposate non si rivendica diritto alcuno, a meno che non amministrino esse stesse i loro beni)
Le saint-simoniane rivendicarono indipendenza economica, istruzione, formazione professionale equivalente a quella degli uomini, parità salariale, libertà sessuale.


Le operaie furono in prima linea nelle rivendicazioni femministe.
Fourier criticò l'istituzione familiare, vedendo nel matrimonio "una depravazione morale", giustificò l'aborto, si proponeva di impartire un'identica educazione a maschi e femmine e di liberare la donna dal servaggio impostole dal marito e dalla casa. 
Molte donne furono conquistate dal fourierismo.

L'applicazione della legge Guizot nel 1836 fu l'unico risultato concreto raggiunto: le donne ottennero l'ammissione effettiva all'insegnamento primaria. Le altre richieste non ebbero alcun successo.
Curiosamente, le donne letterate del tempo (Sand, Colet, Allart) avevano preso le distanze da queste rivendicazioni.

Con l'ascesa al potere di Napoleone III si abbatte sul movimento femminista-socialista un'ondata di riflusso destinata a durare quasi vent'anni.

Nota di Lunaria: purtroppo poco famose, ma per quanto riguarda l'Italia sono da ricordare Anna Maria Mozzoni (1837-1920) e Argentina Altobelli. Anna Maria Mozzoni si batté per il diritto di voto alle donne e rappresentando l'Italia al Congresso Internazionale per i diritti delle donne di Parigi.
Fondò a Milano la "Lega Promotrice degli Interessi Femminili" ma in Italia il diritto di voto alle donne venne riconosciuto solo nel 1946.
Argentina Altobelli fu fondatrice della Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra nel 1901, impegnandosi attivamente per i diritti dei lavoratori e delle mondine.



Suggerisco di leggere anche Cristina di Belgioioso:


Infine, fermo restando che il comunismo ha imposto dittature ovunque sia stato instaurato, c'è da far notare che alcuni padri del comunismo erano a favore dei diritti delle donne.
Infatti 



"Durante tutta la sua attività rivoluzionaria Lenin ha scritto e nei suoi discorsi ha parlato molto dell'emancipazione della donna lavoratrice, dell'operaia e della contadina. Certo, la causa dell'emancipazione della donna è indissolubilmente legata a tutta la lotta per la causa operaia, a tutta la lotta per il socialismo. (...) proprio perché esiste il legame più indissolubile tra tutta la lotta della classe operaia e il miglioramento della condizione della donna, Lenin si soffermava spesso nei suoi discorsi e articoli su questa questione (vi sono più di quaranta sue dichiarazioni in merito)"



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