Due racconti ottocenteschi sui fantasmi

Adoro la letteratura ottocentesca dell'Orrore! In particolar modo, novelle e racconti brevi. Ecco qui gli stralci più belli di questi racconti spettrali dell'Ottocento!



"LA MINIATURA" di JOHN YONGE AKERMAN (1853)

Un giorno, andai a far visita a un amico che aveva collezionato un gran numero di autografi e di altri curiosi manoscritti, e lui mi mostrò un piccolo volume "in quarto" che aveva ereditato da un parente, un medico, il quale aveva esercitato lungamente la professione a Londra.
"Curava i pazienti malati di un mente di un manicomio privato per le classi agiate e spesso raccontava dell'autore di questo bel manoscritto, un gentiluomo di buona famiglia che era ricoverato a Casa... da una trentina di anni, al tempo in cui venne chiamato per la prima volta a visitarlo."
Sfogliando il volume, mi accorsi che era pieno di frammenti poetici estratti da autori classici e persino di scrittori talmudici; ma ciò che mi interessò maggiormente fu una storia che si dipanava per numerose pagine con una tale dovizia di particolari da lasciare scarsi dubbi quanto al suo essere in parte, se non del tutto, basata su fatti reali. Chiesi il permesso di trascriverla, che mi fu prontamente accordato, e il risultato è sotto gli occhi del lettore.

Noi ridiamo di ciò che definiamo la follia dei nostri antenati, delle loro nozioni di destino e delle influenze maligne delle stelle. 
Per che cosa ci derideranno i nostri figli? Forse per aver sognato che l'amicizia fosse una realtà e che la costanza nell'amore avesse dimora sulla terra. Una volta credevo che l'amicizia non fosse un vano nome, e pensavo che, come nelle antiche saghe, a volte una sola anima dimorasse in due corpi. Sognavo, e mi svegliai per scoprire che era solo un sogno!
George S. era stato il mio amico del cuore ai tempi della scuola e mio inseparabile compagno all'Università.
La lasciammo allo stesso tempo, lui per trasferirsi a Londra, dove sperava di ottenere una carica lucrosa in una delle colonie inglesi, e io per fare ritorno per un breve periodo alla tenuta di famiglia. Giunto a ...Hall, vi trovai numerosi ospiti, tra i quali una mia cugina, Maria D.
Dall'ultima volta che l'avevo vista, era diventata una donna, e allora pensai di non aver mai visto una figura più perfetta, né un aspetto più ammaliante. Inoltre, cantava come una sirena e cavalcava con eleganza. Coloro che leggono non si stupiranno che mi fossi innamorato di lei, che trascorressi in sua compagnia quasi l'intera giornata, e che non riuscissi a pensare a nient'altro.

[...]

Mentre guardavo con ansia il sentiero che si snodava attraverso la piantagione, ne vidi uscire mia cugina e il mio amico! Il cuore mi salì in gola e soffocò la mia esclamazione, altrimenti a quella vista avrei urlato. Mi allontanai dalla finestra e mi accasciai sul divano, tormentato da congetture mille volte più dolorose persino della realtà.

[...]

Dopo la colazione, George S. propose una passeggiata a piedi alle rovine dell'Abbazia Cistercense che si trovava a circa un miglio di distanza, a cui acconsentii subito. Mentre passeggiavamo lungo il bel sentiero ombroso che conduceva alle rovine, George era loquace come sempre, parlava di tutto e di tutti, e della sua fiduciosa speranza di fare fortuna all'estero. Io non avevo affatto voglia di parlare, e rispondevo con qualche scarno commento; ma lui sembrava non dar peso alla mia laconicità e, quando giungemmo sul posto andò in estasi alla vista delle nobili rovine.
Ed era davvero uno scenario la cui contemplazione avrebbe placato le menti della maggior parte degli uomini! Centinaia di uccelli cantavano intorno a noi, e l'erba nei pressi della rovina non era alta e rigogliosa, ma corta, fitta, tempestata di trifoglio, e soffice come un ricco tappeto. Un'edera lussureggiante si arrampicava sulle mura crollate, sbiancate dal vento di secoli, e le lucertole, che si crogiolavano al sole, sfrecciavano sotto le pietre al rumore dei nostri passi che si avvicinavano.
Entrambi sedemmo su una grossa pietra e osservammo il nobile bovindo.
Io amavo appassionatamente l'architettura gotica e avevo spesso ammirato quella finestra, ma adesso mi sembrava di non averla mai vista così bella.
I miei pensieri foschi si dileguarono, ed ero assorbito dalla contemplazione della squisita fattura dell'intaglio, quando fui di colpo scosso dal mio amico, il quale, dandomi familiarmente un colpetto sulla schiena, esclamò: "Queste rovine sono davvero suggestive, Dick! Come vorrei che la tua dolce cugina, Maria, ci avesse accompagnati!"

[...]

"Mi spiace per te, Dick", disse, dopo una breve pausa, fingendo con molta goffaggine un'aria indifferente "te lo giuro sulla mia anima, ma sono innamorato pazzo di lei, e morirei al solo pensare che possa incoraggiare un altro."
Avrei voluto avere la forza di Milone per scagliargli sulla testa l'enorme pietra su cui ci eravamo seduti. Mi sentii ribollire il sangue a quella dichiarazione, e con il pugno chiuso gli sferrai un colpo violento che, pur non facendolo cadere al suolo, lo fece indietreggiare barcollando di qualche passo.

[...]

Rimessosi in piedi, George S. mise la mano sulla spada che aveva sguainato a metà ma, consapevole del fatto che non c'era alcun testimone presente, forse, oppure perché desiderava ancora convincermi del suo vantaggio, la snudò.

[...]

Fece un sorriso amaro, si asciugò il volto ferito e sanguinante, e con lentezza trasse dal petto una piccola miniatura con una cornice di diamanti, che mi tese dinanzi agli occhi. Un'occhiata bastò: era il ritratto di Maria! Era il volto che, nel sonno e nella veglia, mi ha tormentato in questi ultimi trent'anni.

[...]

Fingendo una freddezza che non poteva provare, sorrise di nuovo, rimise al suo posto la miniatura e sguainò la spada. Un istante dopo, le nostre armi si incrociarono con un clangore rabbioso, scintillando al sole del mattino.
Il mio avversario padroneggiava perfettamente la sua arma [...] mentre si alzava, schivai di lato il colpo indirizzato a me, e spinsi la mia spada nel suo petto. Credo di avergli trapassato il cuore, perché si accasciò sulle ginocchia con un singulto, e un attimo dopo cadde pesantemente faccia a terra, con la spada ancora stretta nella mano.
Esausto, ansimando per lo sforzo del violento combattimento, mi gettai sulla grossa pietra che solo pochissimo tempo prima ci era servita da sedile, e guardai il corpo del mio avversario. Era morto! Quel colpo fatale aveva cancellato ogni rivalità, ma al prezzo di un omicidio, l'omicidio di colui che mi era stato amico sin dall'infanzia!
Mille emozioni contrastanti mi tormentarono mentre guardavo quella scena pietosa. L'odio era scomparso, e il suo posto era stato preso dal rimorso, ma continuavo a pensare alla sua audacia come causa che aveva provocato quel risentimento mortale.
Che cosa dovevo fare? (...) I miei pensieri successivi furono rivolti al cadavere. Mi guardai intorno in cerca di un angolo dove poterlo sistemare.
C'era una fossa nel terreno tra le rovine a pochi metri di distanza dove era crollato il tetto a volta della cupola. (...) Lo trascinai lì e con qualche difficoltà lo gettai attraverso l'apertura.

[...]

Non so descrivere l'orrore di quella serata e della notte che le seguì, e le tenebre che calarono su di me, povero disgraziato, prima che sorgesse l'alba!
(...) Una serie di sogni raccapriccianti tormentarono il mio sonno (...) In quel momento mi svegliai: stavo davvero lottando con qualcuno, e la stanza era immersa nel buio totale! Una mano possente e ossuta mi afferrò strettamente per la gola, mentre l'altra mi frugò il petto, come alla ricerca della miniatura che avevo messo lì prima di addormentarmi.
Con uno sforzo disperato, mi divincolai e balzai giù dal letto; ma fui riacciuffato, e il mio assalitore cercò di nuovo di raggiungere il mio premio fatale (...) Deciso a vedere con chi stavo lottando, tirai da un lato la tenda. La vaga luce della luna calante che penetrò nelle stanze cadde sul volto del mio antagonista, e una sola occhiata mi gelò il sangue nelle vene.
Era lui! Era George S..., l'uomo che avevo assassinato, che mi fissava con occhi quali nessun mortale avrebbe potuto guardare una seconda volta!
La mia mente turbinò, un rumore simile a una scarica di artiglieria scosse la stanza e caddi a terra, fulminato da quella vista!


"LA VERITà, TUTTA LA VERITà, NIENT'ALTRO CHE LA VERITà" di RHODA BROUGHTON (1868)... che dovrebbe essere una storia vera.

Oh carissima Bessy, come vorrei che fossimo lontani da questa terribile, terribile casa! (...) Circa dieci giorni fa, Benson (la mia cameriera) è venuta da me con un'espressione desolata e mi ha detto "Signora, sapevate che questa casa è infestata dagli spettri?"
(...) Solo il pensiero di trovarmi faccia a faccia con un "morto incorporeo" mi fa vacillare.

[...]

Di colpo ho avvertito una sorta di brivido e poiché mi sono spaventata - senza sapere perché - ho alzato in fretta lo sguardo.
La ragazza stava in piedi accanto al letto, leggermente china in avanti con le mani serrate l'una nell'altra, con i nervi tesi; gli occhi, spalancati, le sporgevano dalle orbite con un'espressione di inesprimibile orrore; le guance e la bocca non erano pallide, ma livide come di chi sia morto già da tempo con un'atroce agonia.
Mentre la guardavo, le sue labbra si sono mosse leggermente e, con orribile voce rauca, diversa dalla sua solita, hanno detto: "Oh mio Dio, l'ho visto!" e poi è caduta a terra di colpo come un pezzo di legno, con un tonfo sordo.
 
 


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