Breve storia della pena di morte e della tortura

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La società ha il diritto di mettere a morte qualcuno che ha commesso gravi delitti?

Di questo problema si iniziò a discutere nel Settecento, specialmente quando Cesare Beccaria, un illuminista, pubblicò nel 1764 un opuscolo che fece scalpore: "Dei delitti e delle pene"

Beccaria era contro la pena di morte (come altri autori del suo tempo, come Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, matematico, filosofo, enciclopedista, membro dell'Accademia delle Scienze, anti-schiavista e a favore dell'emancipazione della donna. Nota di Lunaria https://intervistemetal.blogspot.com/2021/07/etta-palm-margaret-fuller-nicolas-de.html)

Anticamente, la morte era prescritta come castigo, così come la "veritatis indagatio per tormentum", cioè la tortura da usarsi "per la confessione".  Altri castighi erano la galera, il bando, l'ammenda, la confessione pubblica, la frusta. Alcune persone erano condannate a morte per impiccagione, altri erano condannati ad avere la mano tagliata, la lingua tagliata o bucata, altri ad avere le ossa spezzate, altri ad essere strangolati, smembrati (da dei cavalli che avrebbero "tirato" il corpo), decapitati o bruciati. 

















Le condanne a morte si svolgevano in pubblico, e dovevano essere terrorizzanti, perché l'esempio doveva servire da lezione. Beccaria condannò duramente questa visione vendicativa della giustizia, oltre ad essere contro la tortura usata come mezzo di indagine: gli appariva un anacronismo di una società medievale dove l'accusato era sottoposto all'ordalia. Per Beccaria era ingiusto tormentare un innocente e ogni uomo era tale fino a che i delitti dei quali era accusato non fossero stati provati. Per Beccaria, più che non la pena di morte, sarebbero state utili pene detentive molto lunghe, come i lavori forzati; in nessun modo lo Stato avrebbe potuto diventare assassino a sua volta, punendo un assassino. Più che non punire il reo dopo il delitto, per Beccaria si sarebbe dovuto prevenire i delitti, agendo su quelle condizioni, come la povertà, che potevano essere alla base dei delitti.

Beccaria ricevette critiche anche da altri illuministi e pensatori del suo tempo, soprattutto perché il suo pensiero si basava su due presupposti:

1) tutti gli uomini erano uguali (uguaglianza naturale) di fronte alla Legge

2) il delitto e la pena non erano da considerarsi come peccati, ovvero come violazioni di una legge data da Dio, ma come infrazioni di un ordine terreno.

Fu Pietro Leopoldo di Toscana il primo a riformare il sistema penale nel 1786, abolendo la pena di morte e rendendo più miti le pene.


BREVE STORIA DELLA TORTURA E DELLA PENA DI MORTE

Nel XV e XVI secolo la Chiesa condannava alla tortura e poi al rogo sia gli eretici sia le persone accusate di essere streghe e maghi.

Durante la Rivoluzione Francese, uomini, donne e bambini si radunavano intorno al patibolo per assistere alle esecuzioni capitali. La ghigliottina venne usata per la prima volta nel 1792, per estendere a tutti i condannati un'esecuzione giudicata "non infamante e rapida", per consentire una morte istantanea. La ghigliottina era, quindi, considerata "con intenti egualitari". I reati politici, a Londra, erano puniti con la gogna. Le pene non corporali erano accompagnate da pene accessorie, come la berlina: il condannato era legato al palo o alla gogna, ed esposto al pubblico scherno. Si potevano anche marchiare la fronte o la spalla con un marchio impresso a fuoco: così, il corpo del criminale, avrebbe portato per sempre il segno della colpa commessa.

In conclusione: mentre Beccaria si affannava a spiegare perché si sarebbero dovute abolire la pena di morte e la tortura, oggigiorno, nel 2021, "a diversi rettiliani" piacerebbe reintrodurre la pena di morte, la tortura, i lager... 

Io, comunque, continuerò a sfoderare LIBRI.

E su quel patibolo ci salirò come Olympe de Gouges. 




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