"Il Richiamo di Cthulhu" di Lovecraft

Penso che il destino degli uomini sarebbe ancora più crudele di quanto già sia, se la nostra mente non fosse incapace di mettere in rapporto tra loro tutte le cose che avvengono in questo mondo. La nostra vita si svolge nei confini di una pacifica isola d'ignoranza, circondata dagli oscuri mari dell'infinito, e non credo che ci convenga spingerci troppo lontano da essa. Finora le scienze, progredendo passo passo nel campo d'azione proprio a ciascuna, non ci hanno arrecato troppo danno: ma un giorno o l'altro, quando infine si riuniranno le varie parti del sapere, oggi ancora sparse qua e là, si presenterà ai nostri occhi una visione talmente terrificante della realtà e della terribile parte che noi abbiamo in essa, che se non impazziremo dinanzi a una simile rivelazione, tenteremo di fuggire quella vista mortale rifugiandoci nell'oscurità di un nuovo Medioevo.

I teosofi non hanno potuto che affacciare vaghe ipotesi sulla immane vastità del ciclo cosmico, di cui il nostro mondo e la razza umana non sono che momenti effimeri. E le loro allusioni alla sopravvivenza di strani esseri, che esistevano prima dell'uomo, ci gelerebbe il sangue nelle vene, se non fosse per il blando ottimismo di cui, del tutto ingiustificatamente, si rivestono.

Comunque non è di là che mi giunge quell'unica, folgorante immagine di epoche proibite, che mi dà i brividi quando ci penso, e mi fa impazzire quando la sogno. Quell'immagine, come avviene ogni volta che una verità temuta si lascia intravedere, scaturì improvvisa dal casuale incontro di cose che fino ad allora erano rimaste separate, e precisamente da un vecchio articolo di giornale e dagli appunti di un professore che oggi non è più.

Mi auguro che nessun altro mai riesca a completare il quadro; ed è certo che, se vivrò, non aggiungerò mai di mia volontà un altro anello ad una catena già così spaventosa. Del resto suppongo che lo stesso professore non avesse intenzione di rivelare ciò che sapeva, e che avrebbe certo distrutto i suoi appunti, se la morte non lo avesse colto all'improvviso.

La cosa, per quanto mi riguarda, cominciò nell'inverno del 1926-1927, in seguito alla morte del mio prozio Angell, insigne professore di lingue semitiche all'università di Providence, nel Rhode Island.

Il professore Angell era considerato un'autorità in fatto di iscrizioni antiche e molto spesso direttori di importanti musei erano ricorsi al suo sapere. Per questo credo che la sua morte, avvenuta quando egli aveva ormai 92 anni, sia ancor presente nel ricordo di molti.

Nella sua città, l'eco che essa suscitò fu accresciuto dalle cause misteriose che la provocarono. Quando morì, era sceso da pochi minuti dal battello di Newport: cadde a terra d'improvviso, come raccontarono i testimoni, dopo essere stato urtato da un negro, forse un marinaio sbucato da uno di quei vicoletti bui e misteriosi, così frequenti sul ripido pendio della collina, e precisamente da quello che dal porto conduceva alla casa del defunto, in Williams Street.

I medici non riuscirono a scoprire la causa della morte di mio zio: dopo lunghe discussioni, ancora perplessi, finirono per concludere che la fine era da attribuirsi a una lesione al cuore, causatagli dall'avere affrontato a un passo troppo sostenuto per un uomo della sua età quella salita così ripida. A quell'epoca io non ebbi alcun motivo per non accettare la loro diagnosi, ma di recente ho cominciato ad avere dei dubbi... e forse qualcosa di più che semplici dubbi.

Quale unico erede ed esecutore testamentario del professore, che era morto vedovo e senza figli, fu mio compito esaminare a fondo le sue carte; trasportai dunque a Boston, a casa mia, tutti gli incartamenti e le cassette raccolti nel suo studio. Gran parte del materiale che riordinai sarà pubblicato tra qualche tempo dalla Società Archeologica Americana; ci fu però, tra le altre, una cassetta che mi lasciò profondamente perplesso, e, senza il minimo desiderio di mostrarla ad altri. Era chiusa a chiave, e tentai invano di forzarla finché non mi venne in mente di esaminare l'anello portachiavi che il professore teneva sempre in tasca. Riuscii così ad aprirla, ma solo per trovarmi di fronte a un ostacolo ancora più complicato e certamente più misterioso del primo. Quale mai poteva essere, infatti, il significato dello strano bassorilievo di argilla che vi trovai, insieme a un fascio di appunti disordinati e a numerosi ritagli di giornale?

Possibile che mio zio, in quell'ultimo periodo della sua vita si fosse lasciato andare fino a prestare fede alle mistificazioni più grossolane? Decisi di ricercare lo stravagante scultore che ritenevo responsabile di aver provocato questo evidente sconvolgimento della pace spirituale di un povero vecchio.

Il bassorilievo aveva all'incirca la forma di un rettangolo: non era più spesso di tre centimetri, e aveva una superficie di dodici per quindici centimetri. Era chiaro che si trattava di un oggetto di fattura moderna, benché i rilievi che portava di moderno non avessero proprio nulla se infatti le stravaganze del cubismo e del futurismo sono infinite e non conoscono limiti, ben di rado esse riproducono quella segreta regolarità che si nasconde nelle antiche scritture pittografiche o geroglifiche. Capivo che quel groviglio di disegni doveva costituire una sorta di scrittura, ma nonostante la familiarità che avevo acquisito con le carte e le varie collezioni di mio zio, non mi riusciva di identificare la specie e nemmeno di collegarla a qualcosa che, seppure vagamente, le fosse affine.

Sopra una serie di segni di apparenza geroglifica, stava una figura ritratta con intenti evidentemente figurativi, benché il modo impressionistico con cui era stata eseguita non permettesse a chi la osservava di farsi un'idea molto chiara della sua natura. Sembrava rappresentare una specie di mostro, o forse ne era soltanto un simbolo, e la sua forma non poteva essere nata che da una fantasia malata. Non mi allontanerò certo troppo dallo spirito di quella strana figura dicendo che in essa la mia sbrigliata immaginazione credette di vedere, allo stesso tempo, una piovra, un drago e una caricatura umana.

Aveva una testa rotonda, irta di tentacoli e posta su di un corpo grottesco e squamoso, da cui spuntavano due ali rudimentali: e c'era qualcosa, in quell'insieme, che rendeva la figura quanto mai spaventosa e ripugnante. Sullo sfondo si intravedevano, appena abbozzate, le linee architettoniche di imponenti costruzioni.

Gli scritti che accompagnavano questo strano oggetto, a parte un fascio di ritagli di giornale, erano tutti di pugno del professor Angell e non avevano alcuna pretesa letteraria. Quello che pareva essere il documento di maggiore importanza portava l'intestazione IL CULTO DI CTHULHU, scritta in stampatello e con caratteri molto chiari, evidentemente per evitare che l'inusitata parola potesse venire letta in modo sbagliato. Il manoscritto era diviso in due parti [...] Gli altri fogli non contenevano che brevi annotazioni: alcuni raccontavano strani sogni fatti da diverse persone; altri erano citazioni da libri e riviste teosofiche (in particolar modo da "L'Atlantide e la Lemuria scomparsa" di W. Scott-Elliott); il resto erano accenni ed antiche società segrete e a culti misteriosi, con riferimenti ad opere ben note tra gli studiosi di mitologia e antropologia, come "Il ramo d'oro" di Frazer e "Magie e sortilegi nell'Europa occidentale" della Murray.

In quanto ai ritagli di giornale, per la maggior parte riguardavano casi di pazzia furiosa o manifestazioni di follia collettiva, verificatisi nella primavera del 1925.

La prima metà del manoscritto principale narrava una storia assai strana. Il 1° marzo 1925 un giovane snello e bruno, dall'aria agitata, si era presentato al professor Angell recando con sé lo strano bassorilievo, di così recente fattura da essere ancora umido.

Il suo biglietto da visita portava il nome di Henry A. Wilocox. Mio zio lo conosceva vagamente: sapeva che apparteneva a una ottima famiglia, che aveva studiato scultura all'istituto di Belle Arti di Rhode Island, e che abitava da solo in un appartamento della Gilles House, nei pressi dell'istituto. Wilcox era un giovane precoce, di riconosciuto talento, ma decisamente eccentrico, che fin dall'infanzia si era fatto notare per la sua abitudine di raccontare storie immaginose e fantastici sogni. Si autodefiniva "psichicamente ipersensibile", ma, per gli altri inquilini del palazzo, era semplicemente "un originale". 

Essendo sempre vissuto piuttosto appartato, era diventato, a poco a poco, uno straniero nella sua stessa città, e ormai non era più in relazione che con uno sparuto gruppo di esteti di altri centri. Perfino il circolo artistico di Providence, preoccupato di mantenere le sue tradizioni di distinzione e buon senso, aveva finito per considerarlo un caso disperato.

Durante la sua visita, continuava il manoscritto del professore, il giovane scultore aveva fatto appello alle conoscenze archeologiche del suo ospite, pregandolo di aiutarlo a decifrare i geroglifici scolpiti sul bassorilievo. Si esprimeva con un tono ricercato e allo stesso tempo immaginoso, che aveva molto della posa e non era certo fatto per attirargli le simpatie. Il professore gli rispose piuttosto duramente, perché l'oggetto era di fattura troppo chiaramente moderna, per poter avere qualcosa a che fare con l'archeologia. Ma le spiegazioni che il giovane allora gli dette, lo colpirono talmente che in seguito poté trascriverle quasi parola per parola. Wilcox parlava con il tono poetico e fantasioso che gli era proprio e che, come io stesso in seguito ho potuto constatare, era la sua più spiccata caratteristica.

"Infatti è di fattura recentissima", confermò, "l'ho modellato io stesso la notte scorsa, dopo aver sognato di fantastiche città; e i sogni sono più antichi della fenicia Tiro, della Sfinge perduta nella sua eterna contemplazione, o di Babilonia dai mille giardini."

Subito dopo cominciò un racconto sconnesso, che, risvegliando in mio zio lontani ricordi, ne suscitò il febbrile interesse.

La sera precedente era stata avvertita una leggera scossa di terremoto, la più intensa che si fosse verificata nella Nuova Inghilterra da qualche anno a quella parte, e Wilcox ne era rimasto profondamente impressionato. Nella notte aveva fatto un sogno fantastico, in cui gli erano apparse immense città popolate da giganteschi blocchi di pietra e di colonne, alte fino al cielo; dalle costruzioni gocciolava una specie di fango verdastro, e su tutto gravava un'atmosfera di orrore. 

I muri e le colonne erano coperti di geroglifici; da qualche parte, non si capiva bene da dove, veniva una voce o, meglio, una sensazione confusa che soltanto la fantasia poteva tramutare in suono. Wilcox aveva tentato di renderlo con un'accozzaglia di lettere quasi incomprensibile: "Cthulhu fhtagn".

Furono proprio queste due parole a far scattare la molla dei ricordi nella memoria del professor Angell, e a metterlo in uno stato di profonda agitazione. Rivolse al giovane diverse domande di carattere quanto mai erudito, e studiò con trepidante attenzione il bassorilievo che Wilcox - come egli stesso raccontò . s'era trovato intento a modellare, semisvestito e rabbrividente, quando il risveglio l'aveva colto di sorpresa.

Più tardi il giovane mi raccontò che il professore aveva attribuito alla propria età avanzata il fatto di non avere riconosciuto subito i geroglifici e il disegno e che gli aveva poi rivolto delle domande in cui lui, Wilcox, aveva capito ben poco, come certi riferimenti a strani culti e associazioni segrete. Quello poi che non gli era assolutamente riuscito di capire, era stata l'insistenza del vecchio nell'assicurargli di mantenere il segreto se lui avesse confessato di appartenere a qualche setta di mistici, antica o moderna che fosse.

Quando infine il professor Angell s'era convinto che lo scultore non aveva assolutamente nulla a che fare con culti e riti segreti, l'aveva pregato più volte di tornare a raccontargli i sogni che, eventualmente, avesse fatto in seguito. La richiesta del professore non era rimasto senza esito: da allora, secondo il manoscritto, il giovane era tornato ogni giorno da lui a riferirgli gli impressionanti particolari dei suoi sogni. In tutti, costantemente, tornavano le rocce enormi, nere e gocciolanti, e tra di esse, da qualche punto indistinto, si...

[continua...] 


Vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2023/10/dagon-di-lovecraft.html https://intervistemetal.blogspot.com/2023/08/lovecraft-la-citta-senza-nome.html


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