"Il Ragno" (racconto horror)

"Il Ragno" di Hanns Heinz Ewers (1872-1943)

Quando Richard Bracquemont, studente di medicina, decise di trasferirsi nella stanza n.7 del piccolo Hotel Stevens, al n.6 di rue Alfred Stevens, già tre persone, in tre venerdì successivi, s'erano impiccate al telaio della finestra di quella stanza.

Il primo era stato un viaggiatore di commercio svizzero. Il suo corpo non venne ritrovato fino a sabato sera, ma i medici stabilirono che la morte dovesse essere avvenuta tra le cinque e le sei del venerdì pomeriggio.

Il corpo era sospeso ad un robusto gancio che era stato conficcato nel telaio della finestra, e che di solito serviva per appendere gli abiti. La finestra era chiusa e l'uomo aveva utilizzato il cordone della tenda come fune. Siccome la finestra era piuttosto bassa, le sue gambe sfioravano il pavimento all'altezza del ginocchio.

Il suicida aveva dovuto di conseguenza esercitare una gran forza di volontà per portare a compimento la sua intenzione. Si venne poi a sapere che l'uomo era sposato ed era padre di cinque figli; che senza dubbio godeva di entrate regolari e piuttosto copiose; che aveva un temperamento allegro, ed era soddisfatto della sua vita.

Non venne trovato nulla, né nel testamento né in qualche altro scritto, che offrisse un qualche minimo indizio a spiegazione del suicidio, né lui aveva mai manifestato intenzioni di tal genere parlando con amici o conoscenti.

Il secondo caso non fu molto differente. L'artista Karl Krause, che lavorava nel vicino Circo come acrobata sulle due ruote, aveva affittato la camera n.7 due giorni dopo il primo suicidio. Quando egli non si presentò allo spettacolo il venerdì successivo, il manager del circo mandò un fattorino al piccolo hotel.

Il fattorino trovò la camera aperta e l'artista appesa al telaio della finestra, nelle medesime circostanze che già avevano caratterizzato il suicidio del viaggiatore di commercio svizzero.

Il secondo suicidio sembrava non meno sconcertante del primo; l'artista era assai popolare, guadagnava bene, aveva solo 35 anni e sembrava godersi la vita al massimo grado. Di nuovo non venne trovato nulla di scritto, né vi fu indizio alcuno che permettesse di risolvere il mistero. L'artista lasciava l'anziana madre, cui era solito inviare un appannaggio di trecento marchi il primo giorno d'ogni mese - unica fonte di reddito della donna.

Per Madame Dubonnet, che gestiva il piccolo ed economico hotel, la cui clientela era formata quasi esclusivamente dagli artisti delle vicende vaudevilles di Montmartre, questo secondo suicidio ebbe conseguenze dolorose. Già molti dei suoi ospiti s'erano trasferiti altrove e altri clienti abituali non si presentarono più. Fece allora appello al commissario della nona circoscrizione, che conosceva bene, ed egli promise di fare il possibile per aiutarla.

Per questo non solo si impegnò con notevole zelo nelle indagini volte a stabilire le ragioni di quei suicidi, ma mise a disposizione della donna un ufficiale di polizia, che si sarebbe trasferito nella misteriosa camera.

Fu il poliziotto Charles-Maria-Chaumié ad offrire volontariamente i suoi servigi per la soluzione del mistero. Vecchio "Marousine", arruolato per undici anni in marina, questo sergente aveva sorvegliato più d'un solitario avamposto a Tonchino e Annam, e aveva salutato più d'una improvvisata delegazione di pirati di fiume, che strisciavano furtivi come gatti nel buio della giungla, con un colpo di fucile di benvenuto. Di conseguenza, si sentiva ben equipaggiato per incontrare il "fantasma" di cui si spettegolava in rue Stevens. Si trasferì nella stanza la domenica sera e si coricò soddisfatto, dopo aver reso i dovuti onori al cibo e alle bevande che Madame Dubonnet gli aveva apparecchiato davanti.

Il mattino e la sera Chaumié faceva una breve visita alla stazione di polizia per fare rapporto. Durante i primi giorni, si limitò a comunicare nei suoi rapporti di non aver notato neppure la più piccola cosa che fuoriuscisse dall'ordinario. Ma il mercoledì sera annunciò che credeva di aver trovato un indizio. Richiesto di fornire maggiori dettagli, domandò a sua volta il permesso di non aggiungere altro, per il momento: disse di non essere certo che l'indizio che pensava di aver scoperto avesse qualcosa a che fare con i due suicidi.

Temeva di fare una figura ridicola, nel caso in cui si fosse trattato solo di un errore. Il giovedì sera parve insieme meno sicuro del giorno prima e decisamente più preoccupato. Ma di nuovo non fece alcun rapporto. Venerdì mattina sembrava eccitato: a metà fra il serio e il faceto, osservò che evidentemente la finestra doveva avere un forte potere d'attrazione. Nondimeno rimase ben fermo nella convinzione che quel fatto non avesse nulla a che fare con i suicidi, e che sarebbe stato solo preso in giro se avesse detto di più. Quella sera non si presentò alla stazione di polizia: lo trovarono più tardi, impiccato al gancio della finestra. 

[continua...]


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