Il nostro destino è spesso contenuto in un "istante": è ciò che viene in mente leggendo le liriche di "La Fine del Cerchio". Questo "istante" è ripetuto persino nel ritmo dei versi, scandito in un incedere: ad ogni tocco, come quello inesorabile dei minuti che passano, anche l'incertezza di un futuro che diventa continuo interrogativo, come sottolineando pulsioni che si muovono tra conscio e inconscio, realtà e desideri, ricordi e proiezioni.
Un po' Jung (questo cerchio nell'idealità formale, non geometrica, che potrebbe non chiudersi mai) e un po' Kafka (un castello della vita le cui porte cigolano sbattute da venti che sono quelli del nostro destino)
Maschere, autentiche o false, che ci condizionano nell'allegoria romantica o crudele dell'esistenza.
L'autore ha scritto queste poesie dopo "una fatica di vivere", con la contemplazione del paesaggio naturale, in un emblematico silenzio che arricchisce gli istanti, quando emozioni e corporalità diventano attimi su cui riflettere e da ricordare.
LA FINE DEL CERCHIO
Una voce silenziosa
là sugli alberi.
è la sua,
lo sento.
Corre di foglia in foglia.
Lucida scivola
lungo il filo intrecciato
della ragnatela.
è domenica:
nessuno se n'è accorto.
E le campane?
Dove sono le campane?
Dicono sia festa.
Ma tutti vanno
senza più ritorno.
Come canta l'eco.
Di chi?
Del passato
o d'un breve futuro?
Si sente nel brusio
di tante parole.
Si sente
non ti crucciare
Il passo insiste:
non coglie la stanchezza
velato d'illusione.
Eppure disegna il cerchio.
Che sciocchi siete.
Non pensate sia finito?
I morti lo sanno.
è svanito nel nulla
come la geometria
dell'intelligenza umana.
SENZA SIGNIFICATO
Il mio cuore romantico
in sintonia con l'animo
attende canzoni
cariche di nostalgia.
Per mille facce brune
sfumature indefinite
partono dal verde antico.
Foglie dipinte e coriandoli.
Lunghe ombre tra i rami
Asciutta e calma la luce.
Si sente il ritmo dell'attesa.
Il faggio rosso del giardino
nasconde la tavolozza
aggrovigliata
inquieta
dei merli e degli uomini.
Chi punge il sonno?
Dov'è lo scoiattolo?
E il cervo?
E l'alito del vento
che sorride agli occhi?
Silenziosa e caduca
si crogiola la terra
entro il suo grembo.
Solo il serpente
propone sapori muti.
Ma ora l'iride dello sguardo
s'arricchisce
di tinte dense e sconosciute
portate da suoni.
Così l'orecchio
ascolta felice
il crepitio del pino
che brucia nel camino
insieme ai ricordi
d'amore.
Disteso sulla brace
giace il corpo d'amare
legato al vocabolario
da parole insensate.
Ecco perché
voglio restare solo
e gustare lentamente
l'estasi del silenzio
fatto di foglie morte
macerate nei sogni,
costruendo nella mente
l'aspra struttura dei rovi
assieme a quella dur
della roccia primordiale.
Ditemi,
voi che vivete lontani,
si possono odiare
i ciarlatani
che non piangono mai?
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