Precarietà della vita nel Simbolismo Biblico + Nomad Son + Social Funeral Influencer

Nota di Lunaria: eh, non resisto. Devo impreziosire questa rassegna esegetica con dell'ottimo Doom Metal Cristiano, bello mortifero, funereo e depressoide; tra i vari gruppi che potevo citare scelgo i Nomad Son, che sono stati il mio gruppo Doom dell'anno 2022 

dopo che mi ero "miracolosamente ripresa, non per opere, ma per grazia" ovverossia da uno stato di "Ti abbiamo quasi uccisa, manca giusto solo il colpo finale e schiatterai di terrore, eh eh eh!" a "Non sono crepata, ma sono riuscita a stazionare un po' meno in rigor mortis a partire da maggio 2022".

In un mondo di social influencer bionde e belle pimpanti che fanno la vacanza nei paradisi tropicali, io mi propongo come la prima social funeral influencer, pronta a spargere a piene mani esegesi cristiana verniciata di nero pece, tra una capatina e l'altra nei migliori lazzaretti e chiese diroccate.

Del resto, se Altizer ha tirato fuori dal cilindro "Il Vangelo dell'Ateismo Cristiano", 

io tiro fuori dal cilindro l'Esistenzialismo Cristiano per Non-Cristiani! 


Insomma, un post lunariale di eccelsa Depressione Cristiana, tutta Morte e Sofferenza, roba teologica (e scalognata) che sponsorizzo solo io 

e pure gratis, senza che la Chiesa Cattolica mi ringrazi regalandomi la Coroncina di Dottoressa in Teologia

ma neppure mettendomi a disposizione un autista che mi porti a visitare le chiesette che mi mancano e che non posso raggiungere da sola!

che poi sarebbe tutto "Ad Maiorem Ecclesiae Gloriam", visto che ci verrebbe fuori una "guida lunariale alle chiese diroccate più belle della Lombardia", ma, ahimè, nessun VIP teologico che conta mi considera e dobbiamo sempre fare i salti mortali per andare a vedere cappelle, catafalchi e sepolcreti cattolici, senza manco trovare un cristiano esistenzialista interessato alla cosa.

Insomma, un post molto Doooooooooooooooooooooooooooom, che va letto alla moviola, stazionando fissisti con sottofondo di "Winds of Golgotha" o "Sigma Draconis" dei Nomad Son.

Ma per la tematica il post piacerà anche a tutti gli Unblacksters in fissa con i Christageddon.

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Info tratte da

Per esprimere la fragilità dell'uomo i salmisti impiegavano l'immagine del soffio, il cui vapore si condensa per un attimo a contatto con l'aria fredda prima di disperdersi. 

"Non è che un soffio, ogni uomo che si leva... null'altro che la turbolenza di un alito" (Sal 39,6-7) "Soffio dei soffi, il più fugace dei soffi, tutto è soltanto un soffio!" (Eccle 1,2)

La primavera risboccia ogni anno, ma la vita dell'uomo è "polvere che tornerà alla terra come ne venne, e il soffio a Dio che lo ha dato" (Eccl 12,7-8)

"Non si comanda al giorno della propria morte, più di quanto si comandi al vento e lo si possa trattenere" (Eccle 8,8)

In ebraico, la stessa parola, "Ruah", significa "vento" e "soffio": l'essere umano che tenta di durare [non che sia una mia priorità. Sono Cioraniana dal 2004. Nota di Lunaria]

"insegue il soffio" che lo sfugge in un ultimo respiro. 

L'uomo non può dominare né trattenere il soffio che lo anima.

All'immagine del soffio, si aggiungono anche:

l'immagine dell'ombra (1 Cron 29,15 - Giob 8,9\14,2 - Sal 102,12\109,23\144,4 - Eccle 6,12\8,13 - Sap 2,5\5,9), la bruma mattutina che si dissipa o la rugiada dell'alba disciolta dal Sole (Os 6,4) le nubi leggere che si fondono nel cielo di mezzogiorno (Sap 2,4) il fumo che sfugge e scompare (Os 13,3) la pula che il vento soffia via dall'aia (Sof 2,2) la scintilla che brilla solo per un attimo (Sap 2,2) la scia lasciata da un battello (Sap 5,10) le tracce del passaggio di un uccello o di una freccia nell'acqua (Sap 5,11\12) il ricordo lasciato dall'ospite di un giorno (Sap 5,14) l'incubo cacciato dal risveglio (Sal 73,20) la cavalletta che scompare in un balzo (Sal 109,23) l'erba o il fiore  che appassiscono sotto il soffio del vento dell'est (Is 40,6-8) le rose di una corona che appassiscono (Sap 2,8) la schiuma delle onde portata via dalla tempesta (Sap 5,14)


+ Weekend da Social Funeral Influencer +

(ovverossia luoghi cristiani molto Doom, Gothic e Sympho Black, che piacciono solo alla non-cristiana Lunaria e non ai cristiani che neanche sanno che esistono perché preferiscono fare i weekend a Canazei e ai Tropici)


















ALTRO APPROFONDIMENTO, tratto da


Nel corso degli anni e dei secoli le realtà storiche e culturali si modificano talora radicalmente e, insieme con esse, anche l'uomo muta il suo modo di essere, il suo rapporto con il mondo e con la vita. Tuttavia, certi stati d'animo, certi sentimenti, una certa percezione del reale si mantengono inalterati, sembrano avere una vita perenne sicché finiamo per ritrovarli nelle epoche più lontane e diverse, come se poeti totalmente differenti per natura, epoca, mentalità, religione si tendessero la mano accomunati da un'identica sensibilità. Accade allora che temi, immagini, motivi letterari o artistici nei quali trovano espressioni questi sentimenti eterni riaffiorino a distanza di secoli, costituendo una specie di sottile filo rosso che collega autori lontani nello spazio e nel tempo. Cogliere queste connessioni intertestuali equivale a seguire la persistenza e insieme l'evoluzione di un tema attraverso i secoli. Al tempo stesso ci aiuta a scendere nel laboratorio dei poeti e a osservare da vicino come avviene il miracolo della poesia che il più delle volte non è frutto di un'ispirazione originale ma il risultato di una paziente e accorta rielaborazione di parole e immagini che giungono dalla tradizione e che il poeta rinnova e riempie della sua sensibilità.
Uno dei motivi che sembramo avere particolarmente affascinato autori di tutti i tempi è quella della precarietà della vita e del conseguente invito alla gioia e al godimento. Lo ritroviamo infatti nei lirici greci e latini (Mimnermo, Catullo, Orazio) dai quali esso è giunto ai poeti della nostra letteratura, da Lorenzo il Magnifico a Tasso, per non citarne che alcuni. Proviamo a seguirlo, facendo una rapida carrellata attraverso i testi e i secoli.

Una delle testimonianze più antiche ci viene da un frammento del poeta greco Mimnermo visse nel secolo VI secolo a.c, il quale paragonando l'esistenza dell'uomo al breve ciclo vitale delle foglie sottolinea l'inesorabile fugacità della giovinezza, l'unico bene che esista per l'uomo, che è breve come un sogno.

Siamo come le foglie nate nella stagione florida
- crescono così rapide nel sole -
godiamo per un gramo tempo i fiori dell'età,
dagli Dei non sapendo il bene, il male.
Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:
l'una ha un destino di vecchiezza atroce,
l'altra di morte. E il frutto della giovinezza è un attimo,
quanto dilaga sulla terra il sole.

Nel I secolo a.c il poeta latino Gaio Valerio Catullo per esortare Lesbia ad abbandonarsi al sentimento dell'amore e a viverlo intensamente, le ricorda che il sole tramonta e rinasce, ma la vita dell'uomo è breve ed è seguita da una notte eterna. Bisogna quindi moltiplicare i baci all'infinito e mescolarli per sottrarsi all'invidia e al malocchio e fronteggiare così l'inesorabile fuga del tempo.

Viviamo intensamente, o mia Lesbia, e amiamo
e i mugugni dei vecchi troppo severi
stimiamoli tutti un soldo.
I giorni possono tramontare e risorgere:
ma non appena muore la breve luce della nostra vita,
una continua, eterna notte ci attende.
Dammi mille baci e poi cento
e ancora altri mille e poi di nuovo cento
e poi di seguito mille e poi cento.
Quando ce ne saremo dati a migliaia,
li mescoleremo, affinché nessun maligno
possa farci il malocchio,
sapendo che possono esistere tanti baci.

Vivemus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

La gioia di vivere e l'invito ad amare e a godere che si effondono impetuosi nei versi iniziali sono immediatamente velati da una nota di malinconia. Il pensiero della brevità della vita e dell'incombere della morte (brevis lux/nox perpetua - breve luce/notte eterna),  
genera come un brivido di angoscia a cui il poeta reagisce protraendo oltre ogni limite la felicità quasi a voler proclamare il trionfo dell'amore sulla morte.
Ma l'angoscia rimane: lo dimostrano il ritmo incalzante dei versi, la ripetizione ossessiva dell'avverbio "deinde", "poi", e quell'accumulare un numero incommensurabile, infinito di baci, quasi a voler creare una barriera tra la felicità e la morte.

Alcuni decenni dopo un altro poeta, Quinto Orazio Flacco, enunciava in una sua famosissima ode il motivo divenuto proverbiale del carpe diem: "cogli l'attimo che fugge".

Rivolgendosi a Leuconoe, la "fanciulla dalla mente candida", che ansiosa interroga gli oroscopi babilonesi per sapere qualcosa del futuro, il poeta la esorta a vivere con serenità il presente senza affidarsi all'incertezza del domani, perché la vita dell'uomo è una e irripetibile e fugge rapidamente.

Non affannarti a cercare, non è lecito saperlo, quale fine
gli Dei abbiano stabilito per me, quale per te, o Leuconoe,
e non interrogare gli oroscopi babilonesi. Meglio accettare quanto avverrà!
Sia che Giove ci abbia assegnato più inverni, sia che questo
che ora contro opposte scogliere affatica il mar Tirreno
sia per noi l'ultimo, sii saggia, filtra il vino e
commisura a breve spazio della vita la tua speranza
che si proietta lontano nel futuro. Mentre parliamo il tempo
invidioso è già fuggito: cogli l'attimo presente, affidandoti il meno possibile al futuro.

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati!
Seu plures hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, vina liques, et spartio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas; carpe diem, quam minimum credula postero.

Anche Orazio, come Catullo, ricorda che la vita è breve e che il tempo invidioso fugge rapidamente, ma mentre Catullo reagisce all'avvertimento della precarietà con la frenesia del godimento, l'atteggiamento di Orazio è più pacato e riflessivo. Ci si può liberare dall'angoscia del futuro cogliendo e gustando il piacere dell'ora presente (carpe diem) e vivendo intensamente ogni attimo come se fosse l'ultimo.
Questi motivi confluiscono nella ballata di Lorenzo il Magnifico, "Trionfo di Bacco e Arianna", il quale fonde il tema oraziano della fugacità del tempo e dell'illusorietà del futuro con l'invito catulliano a gustare intensamente le gioie della giovinezza.

"Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c'è certezza."

Orazio > fugerit invida aetas (il tempo invidioso è già fuggito) in Lorenzo il Magnifico è "che si fugge tuttavia"

Orazio > quam minimum credula postero (contando il meno possibile sul futuro), in Lorenzo il Magnifico è "del doman non v'è certezza"

Catullo > vivamus/et amemus (viviamo e amiamo) in Lorenzo il Magnifico è "chi vuol esser lieto sia"

Vediamo ora come un gran poeta del Cinquecento, Torquato Tasso, 

ha saputo far rivivere nei suoi versi l'ebbrezza d'amore e la malinconia del carme catulliano che ha "tradotto" quasi letteralmente, gareggiando con il modello per ricchezza e profondità di sentimenti e per perfezione formale:

Amiam ché non ha tregua
con gli anni umana vita e si dilegua.

Amiam: ché 'l Sol si muore e poi rinasce:
a noi sua breve luce
s'asconde, e 'l sonno eterna notte adduce.

Sono questi i versi conclusivi del coro dell'Aminta, un dramma pastorale composto da Tasso nel 1573. 

Il coro è una parte lirica che interrompe l'azione drammatica e alla quale il poeta affida le sue riflessioni sulla vicenda. Qui Tasso nei primi due versi si è ispirato a Lorenzo il Magnifico, mentre negli altri tre ha seguito da vicino il modello catulliano sia nelle scelte lessicali sia nelle figure retoriche (analoga è infatti l'antitesi breve luce/eterna notte, resa più efficace dalla collocazione del primo elemento alla fine del verso come si nota anche in Catullo).

La riflessione sulla fugacità della vita e della giovinezza e la struggente malinconia che l'accompagna pervadono anche l'ultimo canto di Giacomo Leopardi, "Il tramonto della luna", in particolare i versi finali che pare abbia scritto poco prima di morire.

Paragonando il tramonto della luna alla fine della giovinezza, Leopardi mette in risalto la tragicità della condizione dell'uomo che è destinato alla decadenza e alla morte, mentre il ciclo vitale della natura si rinnova ogni giorno: al tramonto della luna, dopo una breve oscurità, segue il sorgere del sole secondo un itinerario sempre uguale che non avrà mai fine; la vita dell'uomo, invece, dopo la fine della giovinezza, trascorrerà oscura e priva di gioia.


Stazionando, sempre alla moviola, sul cristianesimo Quinzio Style 


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