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Con gli Angioini inizia la decadenza, aggravata da dominazioni, sfruttamento dei baroni e la lontananza del Sud dal resto dell'Italia. Intorno al 1520 nasceva in Basilicata, a Valsinni, allora Favale, una poetessa famosa: Isabella Morra;
c'è da ricordare che per tutto il '500 vi fu una partecipazione attiva delle donne alla letteratura
(e infatti solo gli idolatri di aristotele del mantra "solo aristotele ha scritto, le donne non hanno mai scritto niente per 2000 anni, eh eh eh!" ignorano le tante poetesse del Rinascimento e del Seicento... onde poi eclissarsi quando io tiro fuori una valanga di libri...)
Il senso di solitudine opprime Isabella e l'isolamento della Basilicata non aiuta e diventa protagonista del suo canzoniere. Tutto ciò che la circonda si presenta alla poetessa come selvaggio, orrido, indegno.
"I fieri assalti di crudel fortuna
scrivo, piangendo la mia verde etate,
me che 'n sì vili ed orride contrade
spendo il mio tempo senza loda alcuna."
[...]
Ecco ch'un'altra volta, O valle inferna, (1)
O fiume (2) alpestre, O ruinati sassi,
O spirti ignudi di virtude e cassi (3),
udrete il pianto e la mia doglia eterna.
Ogni monte udirammi, ogni caverna,
ovunqu'io arresti, ovunque io muova i passi;
ché Fortuna, che mai salda non stassi,
cresce (4) ognora il mio male, ognor l'eterna.
Deh, mentre ch'io mi lagno e giorno e notte,
O fere, O sassi, O orride ruine,
O selve incolte, O solitarie grotte,
ulule (5), e voi (6) del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d'altro miserando fine.
(1) Infernale
(2) Il fiume Sinni
(3) Spogli
(4) Accresce
(5) Uccelli notturni degli Strigidi
(6) Anche voi
All'orrido e alla viltà dei luoghi si accompagna, secondo la poetessa, la mancanza di persone degne con cui comunicare. Isabella trova accenti che saranno leopardiani:
"L'interno male
causato sol da te [fortuna] fra questi dumi [spine],
fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva d'ingegno,
ove senza sostegno
sono costretta a menare il viver mio,
qui posta da ciascuno in cieco oblio"
Dall'alto del castello guarda lo Ionio, in attesa di notizie del padre, nella speranza che, esule col fratello in Francia presso Francesco I, torni e se la porti lontano, nella splendida corte francese. Ma oltre che il non avverarsi di tale speranza la sgomenta il deserto, come della montagna, così anche del mare:
"Io non veggo nel mar remo né vela
(così deserto è l'infelice lito)
che l'onde fenda o che la gonfi il vento."
Se non potrà vivere, possa almeno morire:
"Questa spoglia, dove or mi trovo involta,
forse tale alto re nel mondo vive
ch'in saldi marmi la terrà sepolta"
"... misera! Io siedo nel mio duolo immersa, fra le lagrime mie, fra i miei sorrisi, ed attendo il mattino... Qui poserommi a' miei diletti accanto, lungo, il ruscel della sonante rupe, quando sul colle stenderà la notte le negre penne, quando il vento tace sul'erte cime, andrà 'l mio spirto errando per l'amato aere e dolorosamente piangerò i miei diletti."
"Scorrete anni di tenebre, scorrete, ché gioia non mi reca il corso vostro. S'apra ad ossiam la tomba, or che gli manca l'antica lena: già dal canto i figli riposan tutti. Mormorar si ascolta sol la mia voce, come roco e lento mugghio di rupe che dall'onde è cinta, quando il vento cessò: la marina erba colà sussurra, ed il nocchier da lunge gli alberi addita a la vicina terra."
Nota di Lunaria: la poesia carica di mestizia di Isabella sarebbe piaciuta moltissimo ad Ann Radcliffe, una che di mestizia gotica se ne intendeva, e io non escludo che l'avesse letta...
Più fortunato di Isabella Morra fu un altro, e maggiore poeta basilicatese: Luigi Tansillo (il mio preferito. Nota di Lunaria), che lasciò Venosa, sua città natale, per trasferirsi a Napoli, dapprima come paggio per famiglie nobili, poi come cortigiano del viceré Pietro da Toledo;
ebbe cariche militari e viaggiò molto, conoscendo i maggiori poeti e filosofi del suo tempo; fu largamente tradotto e imitato in Italia, Francia, Spagna, ma la Basilicata non è presente nella sua poesia; più che basilicatese, la poesia di Tansillo fu espressione della cultura meridionale nell'età successiva a quella del Pontano e del Sannazaro.
Tasso lo amò e imitò, Bruno ne riportava nei suoi "Eroici Furori" un sonetto; i secentisti lo consideravano l'iniziatore, con Petrarca e Marino, di uno dei tre momenti fondamentali della storia della lirica italiana; Stigliani scrisse di lui: "Io stimo che Luigi Tansillo... sia miglior poeta lirico che non è il Petrarca medesimo"
Nota di Lunaria: altrove, nei miei pdf dedicati al Rinascimento e al Romanticismo, avevo già fatto notare come la poesia del Tansillo (e di alcuni altri poeti italiani del '500 e del '600) anticipi la poesia cimiteriale inglese e sia in un certo senso "proto-gotica".
Riporto i versi del Tansillo, tanto per dare un'idea:
E freddo è il fonte, e chiare e crespe ha l'onde
e molli erbe verdeggian d'ogn'intorno (1),
e 'l platano coi rami e 'l salce, e l'orno
scaccian Febo (2), che il crin talor v'asconde:
e l'aura appena le più lievi fronde
scuote; sì dolce spira al bel soggiorno [...]
(1) Dappertutto, lungo le rive
(2) Il Sole
Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),
ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti;
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);
abbandonati a sterili deserti,
ov'han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),
vo piangendo io tra voi; e se partito (6)
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito (7)
(1) Senza vegetazione
(2) Possono
(3) Scavati
(4) Angoscia
(5) Lo porta
(6) E se non muta la sua decisione
(7) Defunti
"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."
Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte, sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi, precipitati sassi, alti dirupi, ossa insepolte, erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte che temon d'ir fra voi serpenti e lupi erme campagne, abbandonati lidi, ove mai voce d'uom l'aria non freme, Ombra son io dannata a pianto eterno, ch'a piagner vengo la mia morte fede e spero al suon de' disperati stridi, se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.
Citiamo anche il padre francescano Serafino da Salandra (1647) e il suo "Adamo caduto", una tragedia in versi, che si potrebbe persino paragonare al "Paradiso Perduto" di Milton.
(Nota di Lunaria: altri, più spicci, direbbero che Milton "si era ispirato all'Adamo Caduto", e io sono propensa a credere che Milton la conoscesse molto bene la nostra letteratura del Rinascimento...)
Altro basilicatese del Seicento è Tommaso Stigliani di Matera, che però si trasferì a Napoli e visse anche a Milano.
Celebre il suo madrigale "Desiderio di Luna":
Matarazzi del cielo, oscure nubi,
ch'or tenete celata
la celeste frittata [la luna]:
scopritela, vi prego, agli occhi miei,
perch'al lume di lei
io scriver possa alcune rime sdrucciole:
non ho più gatta (1) e non si trovan lucciole.
(1) Riferimento alla gatta che faceva lume al Tasso nell'ospedale; questo madrigale dello Stigliani è preceduto da altri sul "Desiderio di lucciole".
Altro suo madrigale è "Scherzo d'immagini"
Mentre ch'assisa Nice
del mare alla pendice
stava a specchiarsi in un piombato vetro,
io, ch'essendole dietro
affissati i miei sguardi a l'acqua avea,
l'ombra sua vi vedea
con la sinistra man di specchio ingombra:
e ne lo specchio ancor l'ombra de l'ombra.
"Desiderio di lucciole"
Belle lucciole mie,
fiaccolette vaganti
e baleni volanti,
vive faville alate,
vive stelle animate,
ammassatevi in gruppo
fate tutte una lucida congiura
contra la notte oscura;
e venite il mio albergo a render chiaro:
ché dell'oliva il verde sangue è caro
Di non grande rilevanza, per la critica letteraria, furono i poeti e drammaturghi lucani dell'Ottocento; il maggiore di essi fu Niccola Sole, che ebbe come modello Foscolo.
"Il viggianese" è una delle liriche più note del Sole:
"Le mie piangendo balze lucane
Io vagabondo per varie genti,
andrò chiedendo co' miei concenti
lagrime e pane"
Vincenzo Guglielmucci fu autore di un romanzo moderno, "La monaca di casa" (1846), che introduceva problemi sociali inscrivendosi nella narrativa post-manzoniana che precorre il romanzo verista del secondo Ottocento.
Nell'"Innamorato della Montagna" di Igino Ugo Tarchetti (*) l'autore descrive un paesaggio e un ambiente basilicatese semibarbaro e miserabile; il tema dell'orrido ritorna anche in Pascoli: "Foreste paurose al lume della luna\ardue rupi del mio paesello, orridamente pittoresche"
Sarà Rocco Scotellaro a interrompere la consuetudine, tipicamente romantica, di descrivere la Basilicata come terra mesta e primitiva; Scotellaro non era un contadino, ma proveniva da una famiglia di artigiani e di piccoli proprietari; laureando in legge; fu tra i primi ad interessarsi ai contadini e ai loro diritti.
(https://intervistemetal.blogspot.com/2023/05/rocco-scotellaro-quattro-poesie.html)
(*) che amò perdutamente Lunaria e ancora la ama d'Amore Ardente; è bene ricordarlo, per rendere più completo questo post sulla Storia della Letteratura Italiana.
Romanzi sui contadini (del Nord e del Sud) consigliati:
Un po' di pazienza, che poi farò uscire anche gli stralci più belli di entrambi i libri...
E ora...
Non resisto, mi dispiace
Lo so che sono siciliani e non c'entrano niente con la Basilicata, ma mi viene lo stesso la tentazione di citare gli Inchiuvatu
Del resto non sarebbe un post lunariale sulla Letteratura del Sud Italia se alla fine non ci fosse la citazione obbligatoria sugli Inchiuvatu (https://www.youtube.com/watch?v=mGSTGwcGono)
In realtà un paio di anni fa avevo scoperto una band Black Metal di Potenza, Effess, che canta proprio usando il dialetto (https://www.youtube.com/watch?v=MmmKjcBYKto)
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