Anna Maria Mozzoni, Armanda Guiducci e Anna del Bo Boffino

ANNA MARIA MOZZONI

Di tutto quello che è accaduto in Italia nel 1946 Anna Maria Mozzoni non ha mai saputo nulla, perché è morta nel giugno del 1920. Lei che in vita si era battuta strenuamente per il diritto al voto delle donne, e perché potessero studiare, lavorare e partecipare alla vita politica al pari degli uomini. In una delle rare immagini che la ritraggono, si vede Anna Maria portare al petto la medaglia della Lega promotrice degli interessi femminili, da lei fondata a Milano nel 1881.

Ma andiamo a scoprire chi era Anna Maria. Classe 1837, Anna Maria nasce a Rescaldina, in provincia di Milano. I suoi genitori, Delfina Piantanida e Giuseppe Mozzoni, sono benestanti e la giovane, fin da piccola, si troverà a fare i conti con le stravaganze del padre e a confrontarsi con la mentalità aperta della madre. Mentre il signor Mozzoni prende parte a sedute spiritiche, Anna Maria ascolta i discorsi della madre, con un'idea che le frulla per la testa: la parità fra uomini e donne.

"Non dite più che la donna è fatta per la famiglia, che nella famiglia è il suo regno e il suo impero!", scriverà un giorno all'indirizzo di certi mazziniani che vorrebbero la donna "angelo del focolare". 

Di più: "Il Codice Civile mantiene le cittadine nella minorità, nella servitù e nella schiavitù", riferendosi al Codice Napoleonico durante la sua partecipazione, nel 1878 a Parigi, al primo congresso internazionale per i diritti delle donne. Anna Maria non risparmia aspre critiche a Napoleone descrivendolo con queste parole: "Figlio della rivoluzione, questo despota insigne soffoca la propria madre. Soldato, egli intende ordinare la famiglia come avrebbe potuto fare di un battiglione; marito, sacrifica la moglie, intelligente e amante, alla ragione di Stato, o in termini meno convenzionali, ma più veri, al suo interesse individuale."

Mentre Anna Maria in pubblico accende gli animi delle donne, in privato si sposa con il conte Malatesta Covo Simoni e cresce Bice, non si sa se figlia naturale della coppia o figlia adottiva. Di sicuro c'è la sua passione per la causa dell'emancipazione femminile, che culmina nella fondazione della Lega promotrice degli interessi femminili. No all'ubbidienza cieca al coniuge, sì alla separazione dei beni fra marito e moglie e al diritto della madre di esercitare la propria tutela sui figli: sono questi i temi cari ad Anna Maria che non dimentica la questione del suffragio femminile, presentando, nel 1887, una petizione in Parlamento perché le donne possano finalmente avere diritto al voto: "Democratici! Cavatemi dai vostri libri, dai vostri principi, dai vostri filosofi una sola illazione che statuisca e dimostri la legittimità di una diminuzione personale della donna", affermerà Anna Maria durante un famoso discorso. 

E ancora: "No, o signori! Voi non potete rispondere - voi non possedete argomenti nel campo vostro. Siete obbligati di andarli a rintracciare in quel passato che non autorizza la vostra agitazione, che contraddice ai vostri principi, che rinnega la vostra qualità di cittadini".

Le coraggiose battaglie di Anna Maria proseguono, ricevendo il sostegno di donne come Maria Montessori, ma non farà in tempo a veder concretizzato il suo sogno, che prenderà piede solo nel secondo dopoguerra.

"La rivendicazione dei diritti della donna e la redenzione di lei è la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali; è quella che andrà a sfidare l'egoismo dell'uomo, la sua libidine di dominio e sfruttamento..." (Anna Maria Mozzoni, socialista del 1881, impegnata nella battaglia per il diritto al lavoro e la parità salariale e il diritto di voto per le donne, in Italia, quando sia lo Stato che la chiesa ritenevano la donna una sorta di minorata mentale, dipendente dal marito...)


ARMANDA GUIDUCCI

 Alcuni stralci tratti da "La mela e il serpente - Autoanalisi di una donna" di Armanda Guiducci (1974)


Parte prima: il sangue della donna

"Ricordo quel gabinetto stretto e lungo, con le pareti a stucco scrostato a tratti, la vasca alta di ghisa ingombra di panni al macero, la corda che attraversava di sbieco curva sotto il peso dei pannolini umidi, la finestretta verticale sull'assenza di luce nel cortile. Ne strisciava un grigiore bisbigliante omertà, e rimproveri - quand'io stavo là, piegata sul mio corpo colpevole."

"Un giorno di primavera mi trovai costretta sulla tazza sciacquante del water [...] mentre stavo a gambe allargate, in piedi, [...] sentii una contrazione profonda, lontana. E, di colpo, le cosce furono rigate di sangue. Restai immobile, come uno colpito a tradimento - e guardavo, con spavento indicibile. [...] Mi chinai, e vidi la tazza bianca chiazzata di vivo sangue scuro. Ero ferita a morte. Ma da chi? E perché? [...] Mi sentii perduta. Abbassai il grembiule sulla mia rovina e mi gettai fuori della stanza gridando. Così il grido risuonò per tutta la casa: "Sono ferita, mamma! Aiuto, sono ferita!"."

(Nota di Lunaria: qui ricorda molto la scena del film "Carrie". In realtà, forse negli anni passati, non tutte le mamme avvisavano le loro bambine su cosa sarebbe loro capitato.)

"Con voce calma, normale, la mamma mi dice: "Adesso sei signorina". Ma io non voglio, voglio essere come prima. Non voglio sangue che esce dal mio corpo a tradimento. Non voglio sentirmi imbrattata, vittima. "In effetti", commenta la nonna, "è stata molto precoce. è ancora una bambina". Quel che adesso la mamma mi viene spiegando mi getta nella più assoluta costernazione. Mi si prospetta tutta una vita di sangue. Dovrei essere felice, mi dicono. Ma io guardo con odio - perché esse tenevano la chiave del mondo alla cintura, e solo adesso la fanno tintinnare al mio orecchio. Adesso, sento confusamente, è troppo tardi. La paura è difficile da cancellare. L'orrore è difficile da cancellare. [...] E io mi sento segnata. Non dimenticherò mai, mai, neanche quando sarò una donna vecchia e spenta, quando il sangue si sarà rinabissato per sempre nelle sue tane, quando sarà lui a fuggire ma con orrore, l'angoscia provata, la mazzata mortale."

"L'acqua, il sangue, la freschezza, il calore... com'è misteriosa e strana l'esistenza. E il mio corpo sotterraneo che sgorga, come la terra l'acqua, e tutto questo sgorgare e stillare in cui si raccoglie l'esistenza. Perderanno sangue anche gli uomini? Formulo la domanda, e la mamma e la nonna ridono. Le guardo perplessa e "Ci mancherebbe anche questa", mi rispondono. Beh, non è giusto, penso. Ecco un altro aspetto incomprensibile della vita. Perché i maledetti uomini, sempre i più fortunati, non devono neppure perdere sangue? [...] Adesso, si disegnava la crepa. La diversità delle sorti, maschili e femminili, mi si mostrò per la prima volta come il tracciato oscuro della costrittiva mano della natura."

(Nota di Lunaria: attualmente nell'Islam ancora persiste il concetto di impurità mestruale, e quindi le donne in "quei giorni" sono impure, non possono pregare, non possono toccare il corano e devono poi purificarsi)

"Quando la pubertà spaccò il mondo, ne fece due metà, una maschio e l'altra femmina, spaccò a metà anche un'infanzia che non era finita. Io vivevo allora con la sensazione netta e implacabile di due mondi - accostati, roteanti un'implacabile diversità [...] Avevo sempre questa sensazione, di brancolare fra le oscurità. Ora, in più, sentivo una certa minaccia per tutte le cose che, riguardo al mio nuovo stato, non venivano dette.

è stato attraverso queste ricorrenze del sogno legate, ne sono convinta, a contrazioni remote, sorde, impercettibili, che a poco a poco e a lungo andare, io sono entrata, insensibilmente, nel mio nuovo corpo e stato di donna."

"E il temibile sole tramontava, con la sua magnificenza solita, su molta altra ignoranza, su nuovi olocausti del tempo femminile.

[...] E quel senso di clandestinità, di peccaminosità... il corpo soffriva, ma anche la psiche. Doveva umiliarsi, per qualcosa di cui non ero io colpevole. Ma come una colpevole, dovevo comportarmi: fingere, nascondere i panni segnati, rassegnarmi a quella sospensione di vita."

"I farmaci studiati per attenuare le contrazioni uterine [...] costituiscono un'infrazione inconscia troppo grave. Giacché contraddicono un tabù di origine materna e religiosa: "Tu, donna, dovrai soffrire..."

Quante volte mia madre mi aveva ripetuto quelle parole della Bibbia, quel tragico monito che dannava, per tutti i secoli venturi, Eva cacciata dal paradiso terrestre! Ogni volta che piangevo per le mestruazioni, perché provavo un crescente dolore, ecco mia madre recitarmi con dolcezza quel pro-memoria biblico. Ciò fece parte della mia educazione alla passività."

Pagina 73 

"Mi tramutai così in un angoscioso melodramma. E il mio carattere si inalberava contro l'"impossibile" che dettava la mia assurda investitura a un'infelicità che non mi spettava e, pure, che mi spettava. Sentendomi, per ragioni invincibili, condannata, mi condannai da me e mi punii con la sgradevolezza. E con quel tumulto rauco di infelicità. Una costante "arrabbiata" - nel senso della società e della biologia. Entrambe, mi tenevano, e mi erano nemiche. Percepivo la loro ostilità alleata in ogni parola, dizione, etichetta, bavaglio, comportamento che mi fossero assegnati. Mi sentivo una prigioniera."

Pagina 75

"Una delle felicità maggiori della mia infanzia e prima adolescenza fu di sentire, i momenti di più acuto turbamento, il mio corpo sigillato - un messaggio che nessuno poteva leggere, un vaso da cui nessuno poteva attingere (una volta imparato, cattolicamente, che il corpo della donna era un vas, e un vas perfino il litaniato corpo di Maria).

Stringere la gambe, sentire la chiusura del sesso come una sicurezza. Verginità? Non esiste fiore più coltivato, più artificiale.

La verginità è uno stato della natura, ma è un sentimento puramente indotto - forse, al limite, non esiste neppure. L'innocenza non si conosce come innocenza. Quando si ritiene tale, è perché è già stata corrotta, delimitata da una negatività. La verginità è un valore sociale, una coazione religiosa; (*) è una proiezione della religione sulla società. Ricordo a perfezione il senso, goduto a gambe serrate, della verginità: era un sentimento fortissimo di sicurezza, di consistere in me, di non essere d'altri che di me stessa, un cupo orgoglio, una gioia tracotante dell'individualità chiusa, monade senza finestre.

Da dove veniva tanto orgoglio, tanta tracotanza?

Turris Eburnea, turris virginea...

Il cappio cattolico sulla tenera gola era già stato stretto molti anni addietro."  

(*) Di verginità (concetto totalmente postulato dai maschi) si muore ancora: delitti d'onore (vedi la storia di Suad, "Bruciata viva") nei quali, l'unica colpa della donna è quella di non avere più una membrana di pelle nelle parti intime. Questa colpa abominevole, "pii" uomini la fanno scontare bruciando il volto della "criminale e fetida donna" che perde "il preziosissimo e fondamentale pezzo di pelle" che si trova sulla vagina. 

"Ciò che non è pronunciabile, che rientra nel silenzio, ha uno stato dubbio, per noi, d'esistenza - resta sospeso fra l'essere e il non essere. Somiglia a un'agonia o a quell'attimo d'incertezza che segue lo spettacolo di una morte. Giacché la lingua è una congiura binaria, un coltello a due lame. 

A una bambina, la sessualità viene fatta costantemente vivere come un'esperienza innominabile, negata e, quindi, inesistente.

Affiora, la sua sessualità - dal profondo ignorato corpo, con una terribile forza di stelo. Sensazioni organiche, assolutamente elementari, la percuotono. Che accade nel mio corpo? essa si chiede turbata.

Ma intorno, dai volti impenetrabili, Nulla, le viene risposto. Non accade niente. Non è nulla. Fantasie. Sei una bambina, non puoi capire. O peggio: ti inganni. Pensa alle bambole, all'alfabeto, ai fratellini. [...] D'altrolato, le parole sono inesistenze, voce che evapora e si dissolve nel non-senso, in una in-significante assurdità [...] Una parola invasata spiumava via la sua cosità e, impalpabile, volteggiava a lungo ai limiti del vuoto, risucchiata infine dai tintinnii del nulla. [...] Se, attraverso gli eufemismi, il corpo del bambino viene diminuito, attraverso i tabù della parola gli adulti esercitano su lui, - ma, in particolar modo, su lei - una regolare e cosciente azione di repressione linguistica che coincide con una repressione o eliminazione di realtà. Così si impone silenziosamente all'io del bambino una disposizione dell'auto-censura."

"Io mi rendo conto solo adesso di essere un ammasso di mitologia. Ma non voglio gridare alla vittima. Non è sempre possibile distinguere la vittima e il carnefice. Guardo l'uomo e, dietro il possente petto respirante di Adamo, scorgo ora la vittima di una analoga, sebbene opposta, mitologia.

Ciò che posso fare è demistificarmi come donna, creatura etichettata; liberarmi della mia stessa, più profonda, repressione - che non è già l'ombra dell'uomo su di me, ma la mitologia che è in me stessa, che amo e di cui vivo.

Questa non è una rivolta, è una estirpazione. Molto sotto le cicatrici della pelle stanno le radici dell'inconscio. E tutta la mia mitologia femminile, dopo tanti anni, tanta infanzia passata, deve essersi ormai sedimentata là, deve essere divenuta una mitologia inconscia."

"La Madonna, La Dama, Isotta, Beatrice, Laura, Sofronia, Penelope, le pastorelle dell'Arcadia, Ofelia, Giulietta, Margherita, Lucia, erano tutte creature che avevano in comune una totale assenza di pulsioni sessuali. Erano creature escisse, o peggio ancora, infibulate. Con lo spiritualismo si possono fare operazioni invisibili, analoghe a quelle compiute da certi popoli africani sulle grandi labbra e i clitoridi."

"Sangue stupri, guerre, invasioni e lotte di religioni, barbarie e cattolicesimo: secoli d'occidente hanno letteralmente plasmato la sua "parte", la sua assegnazione femminile nel mondo: e un buon secolo di borghesia trionfante le ha dato la sua impronta - uterina e ornamentale."

E ancora:

"Un maschio, che bellezza. Femmina la primogenita, femmina l'altra e la terza: femmina ancora! Adesso, è nato l'erede" e guardava teneramente mia madre e mia madre fu redenta".

E ancora:

"Dopo che l'erede fu nato, un che di grandioso si aggiunse alla fisionomia di mia madre. Avendo generato il sesso opposto, il suo viso acquistò in sicurezza e nobiltà. Perfino oggi il viso di mia madre (domani compirà tre quarti di secolo e festeggeremo il suo compleanno all'ombra della morte) non è semplicemente, disfatto fra le rughe, un viso materno: imponente e tenero, sigillato dall'orgoglio di mio padre e della madre di mio padre e dei fratelli paterni e dell'intera ascendenza maschile della nostra stirpe e società, e di lei stessa infine, è il viso della madre di un uomo.

Così, la parola "femmina", col suo suono dall'alto in basso, si impresse sopra di me come un marchio - il marchio sociale della subalternità."

Infine:

"Incominciai a rosicchiarmi le unghie con accanimento selvaggio -fino a farmele sanguinare e, sempre immersa in quello stato d'animo ringhioso, succhiavo, inorridita e deliziata, il sangue che ne gocciolava. Me le intinsero in una sostanza amara come il fiele che si chiama aloe (se ben ricordo). E io mordevo più a fondo, e il sangue spillava più scuro e più rosso. Me le intinsero di tintura di iodio (non a caso, nei lunghi anni infantili, l'ho chiamata tintura d'odio) acre e marrone, ma non così disgustosa.

Alfine mio padre giurò che me le avrebbe ficcate nella m... Da allora, non ho più smesso questo vizio - nel quale gli psicanalisti rintracciano una rabbia del bambino per la mammella sottratta, una difficoltà nello svezzamento e, insomma, una richiesta d'amore protratta.

Mentre le delicate pelli intorno all'unghia, più volte lacerate, si enfiavano, trovai al rancore un altro sfogo nella disobbedienza totale e assoluta. Quasi risento i battiti protettivi del cuore, il furibondo senso della rabbia che si placa a stento alla vista dei miei genitori disperati, che si scambiano mutue occhiate di soccorso.

Ed ecco: il corpo di mio padre incomincia a vivere, a quest'epoca, per me. Le sue mani, dalle palme spesse e larghe, le dita grosse come catocci, calano staffilanti sulle mie gote.

Interi giorni ne porto il marchio: cinque strisce rosse e aperte mi scottano di rabbia e rinnovano l'insubordinazione. Non passa giorno che la mano massiccia non si schianti sul mio viso, fra le grida di paternità offesa. Io, tengo il mento alzato, ridacchio persino.

"Ti ucciderò" grida a volte mio padre. "Ti massacrerò di botte."

Mia madre, in un angolo, torce gli occhi gialli di qua e di là. Fiata appena, quando è troppo tardi, il ciclone ha già spezzato tutto dentro di me, ha lasciato mio padre ansante: "La ammazzerà, una volta o l'altra".

Ma poi si butta subito al collo di mio padre e geme: "E' perversa, questa bambina. Io non ho la forza di educarla".

Concludendo:

"E' un maschiaccio" geme mia madre, guardandomi come se non le appartenessi neppure. Una volta mi guardò fissa e soggiunse: "Ti devono aver scambiato nella culla, figlia mia"".

"E' un maschiaccio, ma io la domerò. Con la frusta" esclama mio padre, e le palme massicce delle sue mani pesanti si gonfiano scarlatte e fischiano nell'aria e, calando da un'altezza scottante, occupano il mio intero viso, le palpebre gonfie di pungente rossore, invadono l'intera stanza, il pollice rimbalza sul soffitto con un tuono assordante, il mignolo gigantesco picchia sul pavimento, che vibra, mentre io mi piego sotto la raffica, in giù, trascinando le ginocchia contro lo spigolo del mignolo di mio padre".

ANNA DEL BO BOFFINO


Quando si è legati a una persona su tutti e due questi fronti [sesso e affetti] si dipende da questa persona. La felicità, la serenità, la sopravvivenza dipendono dagli umori di questa persona. Pericoloso no? E questo vale per tutti, uomini e donne. Ma poi ci sono paure specifiche delle donne, e paure specifiche degli uomini. 

E le paure delle donne sono assai di più perché la condizione di inferiorità, di dipendenza economica, di dipendenza affettiva e sessuale in cui sono vissute da secoli le pone allo sbaraglio del potere maschile (1) 


(1) Nota di Lunaria: infatti, nella concezione monoteista, la donna non si afferma mai "al di là dell'uomo" e come individuo singolo; alla donna, nella visione cattolica\cristiana, vengono riconosciuti solo due ruoli: la vergine asessuata, come la suora, dipendente dalla gerarchia maschile ecclesiastica (o dipendente dal pastore protestante che ammaestra l'uditorio) e la moglie feconda, dipendente dal marito. Non esiste una celebrazione monoteista di una donna come "dirigente di uno Stato", "Sacerdotessa", "Pensatrice". 

Le stesse - poche - teologhe devono sempre stare attente a come e a cosa dicono, pena il venir ostracizzate ed estromesse. Il monoteismo non riconosce alcuna autonomia alla donna: ella è stata creata dal loro dio come "complemento per l'uomo", derivata da una costola maschile affinché l'uomo potesse sentirsi "primo e principio".

Così molte donne hanno nei secoli, inventato un contropotere: quello della seduzione a freddo, l'arte di lasciargli fare ciò che gli piace dosando tempi e concessioni. Vedremo quante identità femminili si sono formate in risposta alle imposizioni maschili. (2)


(2) Nota di Lunaria: il famoso "parassitismo femminile" spesso sfociato in alienazione mentale, come faceva notare Betty Friedan:

la moglie-casalinga che vegeta all'ombra del marito, mantenuta da lui nei bisogni materiali (mangiare, vestirsi, scaldarsi) ma annientata nel suo potenziale umano-culturale; dalla casalinga, dalla donna, non ci si aspetta, né la si esorta, a fare letteratura, a studiare la scienza; quelli sono "affari da uomini"; ci si aspetta che sappia rammendare le camicie, lavare bene piatti e pavimenti, essere una brava "soddisfatrice dei capricci nel letto", reverire e servire chi la mantiene. E così l'oppressione non ha mai fine, il ciclo di cause ed effetti non si interrompe mai; l'uno reifica, l'altra viene (vuole essere) reificata e sviluppa meccanismi di sopportazione alla reificazione.

Bisogni e desideri premevano con una forza mai vista prima. 

Segno che erano stati troppo a lungo negati, repressi (...) le donne si guardavano dentro (ci si chiede come il movimento dei diritti per le donne abbia cambiato tante donne) Nessuna idea si diffonde tanto presto se non se ne sente ovunque, e profondamente, il bisogno. Quando la trovi espressa, finalmente, espressa da qualcuno è come se fossi riuscita a disegnare il malessere oscuro che ti sentivi addosso, al quale non sapevi dare un nome. E subito l'idea diventa tua, come se l'avessi sempre pensata anche tu.

Si diceva, dunque, possibilità della donna di vivere il piacere come soggetto, non più come oggetto. Ma come? Nonostante le terapie coniugali il matrimonio si rivelava il terreno meno adatto per tentare una simile evoluzione [vedi la morale cristiana sui rapporti tra marito e moglie, al riguardo] (...) al momento dell'amore, dell'incontro più scoperto e indifeso viene fuori l'inconscio di ciascuno di noi. E l'inconscio è la somma di un passato che si è sedimentato al maschile e al femminile, in un modo che conosciamo. E al momento dell'incontro veniva fuori quello che eravamo. (3)


(3) Nota di Lunaria: punto che è stato colto bene anche da certa riflessione esistenzialista. Se l'essere umano è la somma dei suoi atti, delle sue "libertà di agire" e si definisce per quello che fa, la domanda successiva, o anche precedente, è chiedersi quanto l'ambiente circostante ci influenzi. è ovvio che una vedova induista sia "influenzata" a gettarsi sulla pira funebre dove brucia il corpo del marito perché l'ambiente nel quale si è formata l'ha indirizzata a quello; l'infibulazione è praticata dalle donne africane, sulle quali agisce un millennario condizionamento sociale di "maschi che le mogli le vogliono cucite"; nessuno di questi condizionamenti, per fortuna, fa parte del "bagaglio culturale" delle donne occidentali, e infatti le donne europee, alla morte dei marito, non sentono "il bisogno" di gettarsi su un rogo, né le adolescenti sentono "il bisogno" di mutilarsi la vagina per trovare un fidanzato. 

è sotto gli occhi di tutti, però, che molte donne europee, una volta convertitesi all'islam "perché si sono innamorate del musulmano", "assimilano" quel background culturale, fino ad assumere una nuova identità, del tutto in linea con i desideri e i bisogni postulati dagli uomini di quella religione.

Come spiegare questa tendenza all'autodistruttività femminile, o meglio, alla reificazione allo "Sguardo dell'Altro"? "Sono come tu mi vuoi, divento chi tu vuoi che io sia, esisto perché tu mi guardi e mi approvi". Ancora una volta, la mia ipotesi è che a monte manchi del tutto un concetto di autostima femminile vera e profonda. Non basta dare "il diritto di voto anche alle donne" e farle accedere a lavori da sempre considerati maschili (avvocato, ingegnere, dottore...) e credere di aver risolto le cose, se poi nell'ambiente circostante continuano a predominare simboli religiosi, metafisici, culturali esclusivamente maschili. Si veda il simbolismo del Cristo: questo dio maschile redentore "anche per le donne", che "salva anche le donne", "che rappresenta anche le donne" e "che assorbe le donne in lui" perché "non esiste più né maschio né femmina ma siete tutti uno in Gesù Cristo"... che è maschio.


Non è colpa nostra (...) è tutto intorno a noi, che ci ha condizionate e ci condiziona al negativo, che ci fa passive, che ci fa "oggetti". (4) 

E i nostri sforzi per uscirne, per essere attive, per dire ciò che vogliamo sono infinitamente impari all'impresa. Da qualsiasi parte cominciamo a dire, fare, chiedere, ci ritroviamo bloccate, impotenti, ricacciate alla nostra immagine di sempre. Ed è questa immagine che occorre guardare, con occhi diversi, per capire fin dove arrivano le radici delle nostre impossibilità.


(4) Nota di Lunaria: non si può uscire dalla reificazione dello Sguardo dell'Altro se si continua a stare appresso e a stare immerse in una cultura androcentrica; sarebbe come pretendere di svuotare il mare con un cucchiaino. 

La Wicca Dianica in tal senso si configura come un antidoto alla maschilizzazione forzata: laddove nel monoteismo tutti i simboli divini sono virati al maschile e le figure femminili di riferimento ricalcano la colpa e l'inganno o la sottomissione, quindi "qualità" estremamente negative e nefaste che "stigmatizzano" la femminilità reificandola come "peccaminosa o obbediente", nella Wicca Dianica esistono altri simboli e altre visioni prettamente femminili.  (Ginocentrici)

Parafrasando Simone de Beauvoir, 

donna non si nasce, si diventa, ma lo si diventa smettendo di stare appresso a quanto il monoteismo dice sulle donne e valutando se stesse alla luce di quanto dicono filosofe e pensatrici femminili autonome.

L'uomo può in qualsiasi momento soddisfare un desiderio sessuale: se proprio non ha a disposizione una donna, può sempre trovare una prostituta. (5) Ma la donna che conosce i propri desideri ha davanti a sé solo la coscienza della propria fame, (6) in un mondo che le nega qualsiasi nutrimento. Perché è lei la nutrice, da sempre, lei che è destinata a soddisfare la fame dell'uomo. 


(5) Comunque, la frase va anche inquadrata nel contesto storico e culturale in cui è stata scritta. Anna del Bo Boffino scriveva negli anni '50-'60, dove era ancora prematuro parlare di "libero desiderio sessuale femminile"; attualmente da qualche anno è stato sdoganato anche un erotismo femminile sempre più esplicito e disinibito. 

Vedi, per esempio, questo libro (ma ne esistono dozzine di cloni e clonacci dell'orrido "50 sfumature") che è scritto con i piedi (esattamente come il "libro" a cui si ispira),

ma ha il pregio di presentare una donna, la protagonista, che vuole divertirsi sessualmente, prende l'iniziativa, apprezza il cunniling*s (e lo richiede espressamente) e soprattutto, "si crea" un harem di maschi di suo proprio gradimento da distribuire nell'arco di un anno (e di quattro volumi...)

E questo è solo uno dei miliardi di titoli presenti sul mercato editoriale del "porn* rosa" specificamente pensato per donne e per i loro desideri (va da sé che la maggior parte degli uomini libri del genere probabilmente li troverebbe soporiferi essendo il concentrato delle aspettative e delle esigenze femminili, anche represse, e non tanto quello che "gli uomini, sessualmente, hanno sempre fatto"; così, se gli uomini bellissimi protagonisti di questi libri scritti in maniera indecente per lo stile grammaticale smozzicato in frasi brevissime - roba che Marinetti in confronto sembra Proust - si eccitano a regalare yacht, anelli, vestiti costosissimi alle donne in questione, e tutto fila alla perfezione fino all'agognato matrimonio, nella realtà le cose non stanno proprio così, e un uomo "che si eccitasse a fare regali" rientrerebbe più nel caso degli "schiavi finanziari" - e non dei dominanti - abusato e spolpato fino all'osso da qualche Mistress. 

Tra l'altro, "mantenere una donna" è proprio pratica patriarcale, perché è nei patriarcati che la donna pesa sul groppone dell'uomo non avendo accesso o diritto ad un lavoro\salario pieno) 


(6) Nota di Lunaria: si faccia caso come molte espressioni gergali abbiano proprio al centro la metafora del cibo: di una bella donna appetibile si dice che "è un bel bocconcino" con riferimento alla sua carne corporea; mentre tale espressione non esiste per definire il cervello femminile; nessuno dirà mai "il cervello di questa donna scienziata è proprio un bel bocconcino" con riferimento di "desiderio libidico".


E il rischio è proprio quello di perdere la testa: di provare tanto piacere a soddisfare la fame dell'uomo da non ritrovarsi più (...) farsi vittime del proprio masochismo (...) Quante donne hanno passato una vita ad amare e servire un uomo, in pura perdita? 

Lo chiamano masochismo femminile. E lo si può considerare una forma di adattamento allo stato di servaggio cui la donna è stata da sempre costretta (...) questo legame, la complicità vittima-carnefice, da dove viene? Perché continuiamo a viverlo, perché il nostro rapporto con l'uomo in più o meno grande misura è tutto e sempre masochista? è un problema che molte donne stanno analizzando, è forse il più dolente e difficile dei problemi della condizione femminile che neanche l'emancipazione ha debellato. 

Quale piacere puoi trarre dal farti penetrare da un uomo che, anche in quel momento, sta affermando l'importanza della sua mascolinità? (7) E per questo le vittime tendono a pensare: "la mia vita è questa, e una volta che ho perso ciò che ho, per gramo che sia, che cosa mi aspetta, che cosa me ne viene in cambio"? [è proprio la mancanza di prospettive - anche di aiuti femminili - che sfocia nel più mortificante e passivo fatalismo]


(7) Nota di Lunaria: qui l'Autrice si avvicina alle analisi fatte da Anne Koedt e da Carla Lonzi sul piacere clitorideo. Oggigiorno la suddetta distinzione acquista sempre meno importanza, perché come ho dimostrato sopra, attualmente esiste un mercato di "gadget erotici" pensati esclusivamente per femmine e per i loro titillamenti sessuali (ma non si deve pensare che lo si sia fatto esclusivamente per una "parità sessuale"; semplicemente lo si è fatto anche per meri motivi di marketing e guadagno e le donne sono una fetta di potenziali clienti e consumatrici), che vanno dai libri ai film, dai gigolò ultracostosi a oggetti stimolanti, per cui appare sempre più labile la distinzione "vaginale VS clitorideo", laddove la suddetta distinzione venne fatta, agli inizi, perché "il sesso penetrativo" era opprimente (la donna doveva riceverlo in matrimoni combinati che non aveva scelto lei\doveva restare incinta), e gli uomini in questione non erano neanche più di tanto interessati a "farla godere stimolandole la clitoride".

Oggigiorno, in libri come questi

dove la donna è la vera protagonista e padrona sessuale (perché i personaggini maschili sono meri "ancelli e bei pupattoli" delle sue voglie, anche nelle scene dove "in apparenza" lei è "dominata") una donna può sentirsi libera e padrona di scegliere quale piacere faccia al caso suo.


Il privato, il personale, è un abisso di ingiustizie per le donne. Abbiamo leggi nuove, che dovrebbero regolamentare il privato: il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, ora l'aborto che si fa nelle strutture pubbliche. Ma quanto, di queste leggi, regola davvero il rapporto fra uomo e donna? Sulla carta ci sono, ma nella realtà anche le leggi che difendono la donna le si rivolgono contro (...) 

A chi si appella la moglie trattata come la serva di casa dal marito: lui non fa niente altro che pretendere ciò che un uomo ha sempre preteso dalla moglie, se questa è stufa, ne trova subito un'altra disposta, in nome dell'amore, a fare i suoi anni di servitù. Eppure, nel nuovo diritto di famiglia sta scritto che uomini e donne sono uguali, godono degli stessi diritti e hanno gli stessi doveri. Sulla carta, ma nella realtà della vita quotidiana in famiglia, quante donne potrebbero affermare di sentirsi, di essere pari?

Ci sono anche quelle che in fabbrica, negli uffici, cambiano profondamente (...) imparano che, di fronte al padrone, si regge solamente se ci si muove nella solidarietà fra colleghi (...) Imparano che quella forza che ognuna di noi si ritrova dentro, e che si chiama aggressività, può essere adoperata per difendersi, e anche per conquistare. Non lo sapevano prima. A casa, la loro aggressività l'avevano sempre vissuta come rabbia impotente o come depressione: un'arma puntata contro se stesse, per salvare l'immagine del marito e dei figli davanti a tutti, perfino ai proprio occhi.

E in questo, le donne che si lamentano della propria solitudine, dimostrano i limiti della propria femminilità: passiva. Vivono nella sensazione che, da qualche parte, nel mondo, c'è la vita, e che è una questione di ambiente, di fortuna, trovarla. L'uomo, educato all'iniziativa, quando si trova in analoghe difficoltà, sa farsi centro di vita, sa porre le proprie innovazioni, sa proporre modelli nuovi (...) Resta da osservare, tuttavia, quanto la sessualità femminile resti inappagata, se si esprime nei termini della sessualità maschile.

Noi della nostra generazione, siamo le prime a ribellarci al sopruso e paghiamo il prezzo più alto. Ma qualcuna doveva pur cominciare. Le altre, che verranno dopo, sapranno che si può sopravvivvere, e come si fa. Siamo noi che dobbiamo cercare soluzioni, equilibri, sicurezze nuove: è difficile, disumano certe volte. Ma lo si fa perché si crede nella possibilità di un mondo migliore, anche per le donne.

Ho capito che aveva ragione, che la sofferenza aveva un senso, e sto ritrovando un rapporto diverso anche con il mio corpo. Poco per volta riesco a vederlo come espressione di me, di una vita, tutto sommato, ben spesa. 


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