"[...] Herzen respinge tutto questo, considerandolo null'altro che una mitologia sadica peculiare ai tedeschi, privi di giustificazione morale e di fondamento empirico. è convinto che la morale non sia un codice fisso, oggettivo ed eterno, una serie di precetti immutabili che gli esseri umani devono semplicemente discernere per obbedirvi, siano essi stati decretati da una divinità o individuati nella "natura" o nella "logica della Storia". Sostiene anzi che è l'uomo a inventare la propria morale: animato da quell'egoismo senza il quale non ci sono vitalità e attività creativa, l'uomo è responsabile delle proprie scelte e non può invocare l'alibi della natura o della storia per non essere riuscito nemmeno a tentare di realizzare ciò che per qualsiasi ragione egli ritiene buono, o giusto, o piacevole, o bello, o vero. Questa negazione della possibilità di formulare, in linea di principio, norme morali generali ed eterne, espresse senza traccia di drammatizzazione byroniana o di iperbole nietzchiana, rappresenta una dottrina che è raro incontrare nell'Ottocento. [...] Herzen attaccava con particolare violenza coloro che fanno appello a principi generali per giustificare feroci crudeltà, che oggi legittimano il massacro di migliaia di persone alla luce della promessa che, in un nebuloso domani, assicurerà a milioni la felicità, perdonando miserie e ingiustizie inaudite nel nome di una felicità travolgente ma remota. Per Herzen questo atteggiamento non è altro che una perniciosa illusione e forse un deliberato inganno; perché il fine lontano non sarà forse mai raggiunto, mentre i tormenti, le sofferenze, e i crimini del presente sono anche troppo reali; e poiché sappiamo così poco del futuro, e non abbiamo modo di predirlo con certezza, affermare l'opposto e cercare di scusare gli effetti dei nostri atti brutali con promesse tanto fallaci, è follia o frode. Non siamo in grado di dire se la moltitudine conseguirà mai la sorte beata che le abbiamo con tanta sicurezza garantito; sappiamo però per certo che oggi migliaia di uomini periranno inascoltati. Un fine lontano per Herzen non è un fine, bensì una mostruosa illusione. [...] Non è necessario ricordare agli uomini del nostro secolo la tirannia dei grandi sistemi altruistici: i liberatori che opprimono [...] (Nota di Lunaria: Herzen si opponeva alle utopie del suo tempo, dai socialisti agli hegeliani, perché gli apparivano una minaccia per la libertà individuale. Avesse visto "la -crazia" del nostro 2021...) [...] In "Dall'altra sponda" egli critica aspramente la meschinità e il livore della borghesia che schiaccia tutto ciò che è originale, indipendente e aperto; e critica del pari la reazione clericale e militare e l'odio per la libertà e la barbara brutalità delle masse. Herzen avverte la sventura imminente [...] se al comunismo - alla rivolta delle masse - sarà mai permesso di dilagare in Europa, esso sarà "terribile, sanguinoso, ingiusto, repentino" e distruggerà nel nome del sangue e delle lacrime degli oppressi, tutto ciò che è caro agli uomini civili."
Herzen, a suo figlio, nel 1855:
"[...] Non cercare soluzioni in questo libro, poiché non ve ne sono, né comunque se ne hanno per l'uomo contemporaneo. Quanto è risolto è finito, mentre il rivolgimento venturo è appena agli inizi.
Non costruiamo noi, noi demoliamo, non annunciamo una nuova rivelazione, disperdiamo bensì la vecchia menzogna. L'uomo contemporaneo, triste pontifex maximus, si limita a gettare un ponte; lo attraverserà un altro, uno sconosciuto, l'uomo futuro. Forse tu lo vedrai... Non fermarti sulla vecchia sponda... Meglio con costui perire, che salvarsi dall'ospizio della reazione."
"Dov'è adesso questo sistema consolatorio? è crollato nel suo stesso fondamento; il XVIII secolo termina, mentre in due passi l'infelice filantropo misura la sua tomba, per giacervi con cuore ingannato, dilacerato e chiudere gli occhi per sempre. [...] Secolo dei lumi, io non ti riconosco! Nel sangue e nelle fiamme, fra assassini e distruzioni, io non ti riconosco!... [...] Lo spargimento di sangue non potrà durare in eterno [...] anche i tuoni taceranno, la calma prima o poi verrà, ma che genere di calma? potrebbe essere morta, fredda, buia... [...] Forse già interi eoni sono affondati nell'eternità [...] Lentamente si è diradata, lentamente si è rischiarata la densa tenebra [...] O posterità! Che destino ti attende?..."
"[...] Ci siamo storpiati sotto il peso della disperazione, eppure ci siamo in qualche modo salvati. [...] E la si può forse destare [la coscienza sopita del popolo] parlando a bisbigli, per remote allusioni, quando il grido e la parola diretta si fanno appena sentire?"
"[...] La sofferenza, il dolore, sono un invito alla lotta, sono il grido d'allarme della vita che richiama la nostra attenzione sul pericolo. Il mondo in cui viviamo muore, muoiono le forme in cui la vita si manifesta; ormai non c'è medicina in grado di agire sul suo corpo vetusto; perché gli eredi possano respirare senza difficoltà occorre seppellirlo, mentre gli uomini vogliono farlo a tutti i costi guarire e ne ritardano la morte. [...] I secoli precedenti hanno sviluppato in noi soprattutto la tristezza, uno sfinimento malato."
"[...] Fatica sprecata. Ci ricordiamo di essere vivi per il sordo dolore, per il dispetto che ci rode il cuore, per il monotono battere delle ore... è arduo dilettarsi, inebriarsi, quando si sa che il mondo intero tutt'intorno si disintegra e magari finirà a un certo punto per schiacciarci. E poi non importa dove si vada a parare, ci toccherà comunque morire di vecchiaia vedendo intorno a noi mura decrepite e barcollanti che a cadere nemmeno ci pensano. [...] Noi non abbiamo niente per cui morire, né per cui vivere..."
"[...] Perciò: evviva il caos e la distruzione! E che sia issato il vessillo dell'avvenire!"
"[...] Non intendo schierarmi né sotto l'una né sotto l'altra bandiera [...] Predicate l novella della morte, mostrate agli uomini ogni nuova piaga sul petto del vecchio mondo, ogni successo nella sua distruzione [...] Predicate la morte come buona novella della redenzione ventura. [...] Finita la lotta, cominceremo a predicare la morte, nessuno potrà impedircelo in un ampio cimitero ove giacciano l'uno accanto all'altro tutti i combattenti; a chi meglio che ai morti si addice ascoltare l'apoteosi della morte? Se le cose continueranno ad andare come adesso, lo spettacolo sarà invero originale; il futuro appena edificato perirà insieme al decrepito che trapassa [...] Un futuro che muore non è un futuro. [...] Dietro la conoscenza di cosa non vogliamo si cela il presentimento di cosa vogliamo; su questo si fonda il pensiero, ripetuto tanto spesso da vergognarsi a citarlo, che ogni distruzione è a suo modo una creazione."
"[...] la sofferenza distrae, occupa, consola."
"[...] Nulla che io rispetti, ad eccezione di quanto esso condanna, eppure resto...resto a soffrire, doppiamente, a soffrire del mio dolore e del suo, a perire forse nella disfatta e nel crollo."
"[...] Le conseguenze non mi riguardano... è meglio smarrirsi, cadere del tutto, piuttosto che rinunciare alla propria verità."
"[...] Il futuro non ci appartiene, col presente non abbiamo niente da spartire... crediamo in tutto, fuorchè in noi stessi..."
"[...] La vita dei popoli diventa un gioco vacuo, un modellare incessante con la sabbia, con le pietre, perché poi tutto crolli nuovamente a terra, perché gli uomini strisciando da sotto le macerie ricomincino da capo... ottenendo nel corso dei secoli, con lunga fatica, un nuovo crollo."
"[...] Trovare una consolazione nell'assenza stessa di speranza."
"Noi non abbiamo altra occupazione che soffermarci tristemente sulle sue rovine, né altro significato che servirgli da monumento tombale?"
"Siamo riusciti a renderci conto della nostra condizione, non speriamo più nulla, nulla più attendiamo, o, se volete, ci aspettiamo di tutto: è la stessa cosa."
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