Le Masche

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Il termine "Masca" probabilmente di origine longobarde, significava "maschera", e questo termine si adoperò per definire le streghe delle zone montane della Liguria e del Piemonte; il termine significa anche "fantasma" e spesso le figure della strega e del fantasma sono confuse.

L'immaginario collettivo immagina le Masche come vecchie, dal naso adunco (nota di Lunaria: ciò che resta dell'ancestrale Dea Uccello, con il becco, adorata nell'età primitiva, come dimostrava Marija Gimbutas) che però potevano trasformarsi in fanciulle bellissime.




La caratteristica principale delle Masche era, appunto, quella di trasformarsi: da fanciulla bellissima a vecchia orrenda e viceversa, ma anche in gatto, bue, serpente, lupo mannaro, capra o siepe per sbarrare i sentieri; poteva anche chiamare i viandanti con una voce melodiosa, e si rischiava di essere "ammascati".

Apparivano soprattutto ai cercatori di tartufi ("trifolau"), a chi viaggiava di notte e ai giovani che amoreggiavano.

Qualsiasi avvenimento strano veniva attribuito alle Masche.

Le Masche danzavano attorno ad un masso detto "roc barèiso" e quando toccavano la mano di qualche fanciulla incuriosita, la fanciulla diventava "ammascata", diventando una strega anche lei.

Al Pian d'Irogna, vicino Novara, le Masche, col volto coperto, danzavano tutta la notte, con violini ed archetti; via via che danzavano si tramutavano in animali, anche di sesso maschile.



Anche Cuorgnè (Torino) era luogo di raduno per le Masche, specialmente sul piano detto "Plan dla Masca"

Come tutte le creature del Piccolo Popolo anche le Masche avevano un carattere ambivalente, a seconda delle persone con cui avevano a che fare; potevano lanciare i neonati da un monte all'altro.

Si credeva che le Masche prima di abbandonare il nostro mondo, dovessero trasmettere il loro potere ad una fanciulla, che lo portasse avanti. Le veniva donato anche il Libro del Comando, un manuale di stregoneria che solo colei che era predestinata (in una vita precedente era stata una Masca) poteva svolgere quel compito, comprendendo il libro.

Libro consigliato:


APPROFONDIMENTO: LE MASCHE

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Dall'archivio storico del comune di Rifreddo, nel cuneese, sono emersi atti giudiziari a carico di alcune donne del luogo, che alla fine del 1495 furono inquisite e condannate per stregoneria. Denunciate dall'inquisitore, imprigionate e torturate, le masche (streghe) confessarono sabba notturni, amplessi demoniaci, profanazioni di croci e ostie, banchetti di carne di bambino, malefici e violenze. Di che cosa parlavano veramente? Che cosa c'era dietro quelle confessioni implausibili?

Alla fine del '400 la favola horror delle streghe e dei demoni era già nata, era già un paradigma esplicativo per fatti oscuri o minacciosi. Per le povere masche di Rifreddo la via per il rogo era obbligata.

Dalla Realtà all'Immaginario Metareale

Il tentativo di dare razionalità all'evento inquisitoriale stregonesco di Rifreddo - uno tra i moltissimi che lo precedettero e lo seguirono in tutta la cristianità europea ed extraeuropea - soffre dei limiti propri della documentazione di cui disponiamo. Nell'evento di Rifreddo, come in quelli anteriori e posteriori, concorrono fattori sia locali sia generali, gli uni e gli altri variamente privilegiati dalla contingenza e difficilmente precisabili in rapporto a rispettivi rilievo e peso. Sullo scorcio del XV secolo i tempi per il definitivo scatenarsi della caccia alle streghe erano maturi a livello così strutturale come culturale.

La credenza nella realtà stregonesca e la sua equiparazione all'eresia avevano avuto sanzione teologica e canonistica nella "Summis Desiderantes Affectibus" di Innocenzo VIII del 5 dicembre 1484: questo atto pontificio trasformava l'immaginario minaccioso in realtà di fatto.

Attraverso una lenta e inesorabile elaborazione intellettuale, il cristianesimo aveva materializzato in un universo antagonistico interno - eretico e stregonesco da giustapporre agli universi antagonistici esterni, ebreo e musulmano. Nel '400 si moltiplicano trattati e manuali antistregoneschi e si incrementa la predicazione contro maghi, streghe, stregoni. Due anni dopo la lettera di Innocenzo VIII venne completato il Malleus Maleficarum il trattato-manuale destinato ad essere, tristemente, assai famoso, raccoglieva e rendeva organica la frammentaria produzione inquisitoriale e polemistica in tema di streghe e che ebbe l'approvazione pontificia.

L'equipollenza della mascaria, la stregoneria, all'apostasia e all'eresia segna il fondersi e il confondersi di fenomeni eterogenei, se non estranei l'uno all'altro ("valdesia" e "gazzaria", riferiti a Valdesi e Catari, erano usati come sinonimo di stregoneria), nell'universo negativo, indefinito e nebuloso, della diversità minacciosa: un universo necessario e funzionale all'imposizione di una rigida disciplina religiosa e sociale di controllo dell'anima e del corpo dei fedeli/sudditi. Non è un caso che tra le Alpi occidentali, a fine'400, i Valdesi del Delfinato e della val Pragelato, oltre ad essere violentemente repressi attraverso una vera e propria crociata, dalla cultura chiericale siano ideologicamente equiparati a streghe e stregoni.

Ovviamente, le confessioni sono il risultato distorto e distorcente degli effetti delle torture fisiche a cui streghe e stregoni venivano sottoposti e quindi sono del tutto inattendibili, rispecchiando il pensiero degli inquisitori piuttosto che quello delle imputate e degli imputati. Altri si sono orientati, invece, in percorsi esplicativi più complessi, individuando una mediazione tra cultura dotta e cultura folklorica, dove sopravvivenze politeiste e culti precristiani vengono tradotti e interpretati attraverso gli schemi e gli stereotipi prodotti da una lunga elaborazione intellettuale intorno alla stregoneria. In tale prospettiva, la stregoneria esisterebbe realmente anche se non nei termini fissati nelle fonti e nei documenti. Streghe e stregoni sarebbero portatori di una cultura altra di antichissima origine che si perpetua secondo modalità e forme carsiche e orali, quando non in riti veri e propri. Di recente vi sono state anche letture in chiave femminile e femminista con l'accentuazione del fatto che le streghe esprimerebbero dimensioni esistenziali proprie delle donne in società maschiliste che tali dimensioni non accettavano e reprimevano, costrigendole nella marginalità di un cosmo diverso e antagonistico.

Al volgere dal XV al XVI secolo sembra disvelarsi un panorama senza luce: un panorama che è speculare a quello in cui le masche erano accusate di praticare i loro riti: le riunioni collettive a Rifreddo avvenivano di notte. Eppure qualche barlume di speranza rimaneva e si prospettava anche nella favola horror delle masche. Il 21 novembre 1495 Romea dei Sobrani di Rifreddo ricorda che nel buio notturno, sopra i riti stregoneschi, "talvolta la luna riluceva" ("Aliquando Luna Lucebat"). 

Il mondo lunare delle streghe portava in sé, nonostante tutto e nonostante gli uomini, un segno di speranza, quasi a riprodurre l'evangelico Giovanni 1,5, "La luce risplende nelle tenebre" (Lux in Tenebris Lucet)

Romanzo consigliato: "Il Rogo" 

"Chi erano davvero le streghe? Donne che, dopo aver venduto l'anima al Diavolo, si servivano del proprio potere per fare del male, oppure guaritrici, depositarie di una sapienza tramandata di madre in figlia? Questo incantevole romanzo, ambientato nell'Inghilterra del '600, racconta la storia avvincente e tenebrosa di Issy, una ragazzina alle prese con il lato oscuro della stregoneria, ma anche con quello più benigno e luminoso. Tra crudeli pregiudizi, Sabba notturni, cacciatori di streghe, segreti ed intrighi, Issy riuscirà finalmente a trovare se stessa e a scoprire verità ignorate, mentre le fiamme del rogo si accendono ancora una volta, minacciose, per inghiottire una nuova vittima." 

"Si faceva un gran parlare di Dio, ma quel che veramente temevamo era il Diavolo. Le streghe vivevano nei villaggi e nelle fattorie. Di notte, quando si radunavano per adorarlo, Satana sorgeva dall'Inferno e camminava fra noi, nei campi, nelle brughiere. Poteva capitarvi, per strada, di sfiorare un uomo che l'aveva baciato solo poche ore prima. Una volta certi ragazzi mi mostrarono un segno sulla collina di Pendle, dove sostenevano che il Diavolo fosse solito andare a passeggio; era l'impronta di uno zoccolo, simile a quello d'una mucca, ma molto più grande. Pochi metri dopo c'erano i resti d'un fuoco. I ragazzi mi chiesero com'era il Diavolo, e dove mi aveva baciato. E quando dissi che non l'aveva mai fatto, non vollero credermi. "Issy la bruciata!", mi schernì uno di loro. Così, mi chiamavano. Però non osarono toccarmi.    

"Non è stata colpa mia", mormorai. "è successo e basta." "Tu hai grandi doni, Issy. Devi solo imparare a controllarli." "Non ho fatto niente..." "Mi hai salvato la vita." "Non sono stata io, il cavallo è inciampato, è caduto, era spaventata", balbettai. Ma era inutile. Non riuscivo a convincere me stessa. "Ho visto il fuoco... Il fuoco del sogno", aggiunsi. "Era lì tutto il tempo." Di nuovo Iohan annuì: "Quel fuoco è la chiave della tua forza, Issy. E continua a mettersi fra te e i tuoi talenti che Dio ti ha donato." "Allora è vero... Sono una strega, proprio come dicono loro." Iohan sbuffò. "Che cos'è una strega? Una che dissotterra cadaveri e ammazza i neonati per farne unguenti, e getta il malocchio sulla gente onesta perché non le obbedisce? Tu non fai niente del genere, mi pare." "Però posso fare altre cose... E tu... Il parroco ha detto che sei una strega... che lo sanno tutti." "Tu credi che io sia una strega?" "Non lo so!" "Chi è una strega? Dimmelo." Conoscevo la risposta. "Qualcuno che ha venduto l'anima al Diavolo." "Allora ti garantisco che non sono una di loro, mai stata e mai sarò... e neppure tu, qualunque cosa dicano gli ignoranti. Non ho niente a che spartire col Diavolo, niente a che spartire col male."

Era chiaro che mi consideravano uno di loro. Possedevo gli stessi loro doni, i doni del dio che adoravano, doni di guarigione e di malattia, di visione e di premonizione. "In essi non c'è nulla di buono o di cattivo", mi spiegò Iohan. "Così come si può condurre una vita buona o cattiva, tu puoi usare i tuoi poteri per fare del bene o del male." (...) Quella notte andai a letto con la mente in subbuglio. Qualcuno si sbagliava, o era stato ingannato. Il parroco Holden... Iohan? Non avevo modo di saperlo."

In Abruzzo le streghe erano chiamate Pantàsema, ed erano legate ai riti agricoli pagani. (http://www.altosannio.it/pantasema-stregheria-negliabruzzi-melinda/)

Invece in Campania le streghe erano chiamate Janare, come ci spiegava questa band che ho intervistato:  https://intervistemetal.blogspot.com/2015/11/la-janara.html

Lunaria: "Il vostro monicker è particolare: la Janara propriamente è una sorta di strega. Riassume molto bene tutto il vostro concept. Come e perché nasce questa vostra proposta non solo musicale, ma anche concettuale? Tra l'altro, curiosamente, ho parlato di questo argomento anche con i La Pietra Lunare (loro vengono dal Molise e hanno fatto uscire un bel cd dedicato al folklore contadino). Ricordo di aver sentito, fino a 16 anni anni fa, che gli anziani, qui dove vivo io, ricordavano ancora delle streghe che operavano nelle cascine, mi pare chiamate "scalfirie", e come tale, da isolare e da evitare. Un altro esempio di "strega italica popolare", l'ha offerto Lucio Fulci, con "Non si sevizia un paperino"... ad ogni modo, potete raccontarci nei dettagli chi era questa Janara? Sapete per caso cosa significhi il suo nome?"

Risposta della band: "La janara non è altro che una di quelle streghe che, nella cultura del tuo paese, operavano nelle cascine. La figura stregonesca appare in tutte le culture sin dall’inizio dei tempi, ogni zona geografica, poi, le ha cucito un ruolo nel folclore locale, le ha dato un nome e ne ha celebrato il mito in relazione alla propria storia ed alla propria cultura. Il popolo irpino, che anticamente era una delle quattro tribù che componevano la lega Sannitica, si è stabilito nell’attuale Irpinia (zona che corrisponde all’attuale provincia di Avellino in Campania) attraverso una leggendaria migrazione dalle terre del Molise e dell’Abbruzzo a partire dal VI sec. A.C., seguendo, secondo la leggenda, un animale sacro, il lupo (nell’antica lingua osca, infatti, ‘hirpus’ vuol dire lupo). Condividiamo sicuramente, quindi, delle tradizioni con la cultura contadina celebrata da La Pietra Lunare. Probabilmente il nome ‘janara’ viene da Diana, Dea della caccia dell’antica religione romana (da qui ‘dianara’ che si sarebbe poi evoluto in janara), anche se una versione che trovo più affascinante, è quella che riconduce il termine ‘janara’ alla parola latina ‘ianua’, che vuol dire porta. Cosa c’è di più affascinante che pensare alla janara come una donna che si fa tramite fra due mondi, quello fisico e quello spirituale, relativo alla conoscenza?" 

In Basilicata invece il termine era Maciara. Per approfondimenti vedi https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/sud-e-magia.html  https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/il-noce-di-benevento.html






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