Un uomo correva nella brughiera tenebrosa: correva temendo per la sua vita. Scure nubi minacciose si stavano addensando da ovest nel cielo notturno, oscurando la pallida orbita della luna. Le nuvole parevano volare rapide e compatte, mentre il vento sferzava i rami più alti degli alberi. Lontano, all'orizzonte dell'est, crepitavano i lampi nel cielo, e nell'aria rimbombavano i tuoni. La pioggia si abbatteva con violenza in rovesci isolati. Da lontano l'uomo sentiva il lugubre ululare di un mastino a caccia di selvaggina. Si fermò un attino a riposare su un masso umido e granitico; cercò di riprendere fiato e di alleviare le fitte di dolore che sentiva al fianco.
Era un uomo anziano; i vestiti che portava erano di ottima fattura, ma ora erano strappati e macchiati di muschio. Da un lungo taglio che aveva sulla fronte colava molto sangue, e i capelli erano sporchi di terra e bagnati di pioggia. Gli occhi parevano enormi su quella faccia mortalmente pallida dalla bocca spalancata un po' per paura, un po' per riprender fiato.
I lugubri latrati giunsero nuovamente alle sue orecchie. Stavolta erano vicini, molto vicini.
L'uomo si girò, quasi singhiozzando, e riprese a correre in quel desolato paesaggio notturno. Non sapeva dove stava andando. Sapeva soltanto che doveva scappare, fuggire, correre. Davanti a lui si ergeva la sagoma nera e spettrale di una collina. In cima alla collina si scorgevano i grandi monoliti di pietra di una civiltà antica. Grossi menhir di granito, eretti come monumento alla religione degli antichi. D'istinto, l'uomo cominciò a salire sulla collina, ansando e singhiozzando per il terrore, col cuore che gli batteva come impazzito.
I cespugli di ginestre e di spine gli graffiavano le mani e la faccia, finendo per strappargli completamente i vestiti già laceri. Ma lui non se ne curava. Avanzando a fatica, a volte aiutandosi con le mani o abbassandosi sulle ginocchia, l'uomo continuava a dirigersi verso la cima della collina, verso il circolo di pietre eretto sulla sommità e illuminato dalla luna. Si buttò contro un nero menhir che era caduto di traverso e che adesso giaceva, simile a un altare, accanto al circolo.
Per un po' cercò di inalare profondamente, di regolare i respiri convulsi ed affannati. Cercò di azzittire i polmoni rauchi e di ascoltare. Un ringhio lugubre lo fece girare di colpo.
Mai, neppure negli incubi più terrificanti del delirio, aveva immaginato una bestia simile a quella che veniva avanti nella pallida luce della luna per poi piantarsi davanti a lui e fissarlo con due occhi rossi feroci e malefici.
Era un mastino. No, era la grottesca parodia di un mastino, grossa come un leone e nera come il giaietto. Gli occhi scintillavano con una luce malevola, e parevano tizzoni incandescenti. Le grosse unghie bianche erano sfoderate, e il muso, il pelo del collo e il mento colavano saliva tinta di sangue.
Mentre l'uomo rimaneva a guardarlo, paralizzato dal terrore, l'enorme bestia sollevò il muso ed emise dei lugubri latrati. Poi gli saltò addosso, spalancò le fauci e lo sbranò.
Lungo una strada buia della brughiera, arrivava una carrozza cigolante e pericolosamente ondeggiante, tirata da quattro cavalli possenti che allungavano il collo e battevano gli zoccoli all'unisono, spronati dagli strilli burberi del cocchiere e dagli schianti di frusta che schioccavano vicino alle loro orecchie appiattite. Le loro pupille roteavano per il terrore, e sul muso, nel punto in cui i denti battevano contro il ferro del morso, si stava formando una schiuma bianca. Ogni tanto la carreggiata veniva illuminata in bianco e nero dal lampeggiare dei fulmini, ma la carrozza procedeva per la maggior parte del tempo nell'oscurità…

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