Al tramonto avevamo cenato sull'ampia terrazza dell'antica torre, poiché lì faceva più fresco durante il gran caldo dell'estate. Inoltre, una piccola cucina era stata ricavata su un angolo della grande piattaforma quadrata, e questo rappresentava una grande comodità, piuttosto che andar su e giù coi piatti lungo quei ripidi gradini di pietra, scheggiati e consumati dovunque dal tempo. La torre è una delle tante fatte costruire lungo le coste occidentali della Calabria dall'imperatore Carlo V all'inizio del sedicesimo secolo, per tener lontani i pirati barbareschi, quando gli infedeli si erano alleati a Francesco I contro l'imperatore e la Chiesa. La maggior parte è in rovina, poche sono ancora integre, e la mia è una delle più grandi. Come sia diventata mia dieci anni fa, e per quale ragione io vi passi la maggior parte dell'anno, sono questioni che non riguardano questo racconto. La torre si erge in uno dei luoghi più solitari dell'Italia Meridionale, all'estremità di un promontorio roccioso, là dove questo si incurva formando un piccolo ma sicuro porticciolo all'estrema punta sud del golfo di Policastro, appena a nord di Capo Scalea, il luogo in cui - secondo antiche leggende locali - nacque Giuda Iscariota. La torre spunta isolata da quell'uncino di roccia, e nel raggio di tre miglia non si scorge una sola casa. Quando abito alla torre porto con me un paio di marinai, uno dei quali è discretamente in gamba come cuoco; quando sono assente, lascio tutto in custodia a una piccola creatura simile a uno gnomo, che in gioventù era minatore e mi si è affezionato molto tempo fa.
L'amico che a volte viene a trovarmi nella mia solitudine estiva è un'artista di professione, scandinavo di nascita, costretto dalle circostanze al cosmopolitismo. Cenammo al tramonto; il bagliore del sole, di un rosso infuocato, andava attenuandosi, e il manto purpureo della sera avvolgeva l'ampia catena di montagne che abbracciava l'ampio golfo verso oriente, impennandosi sempre più in alto in direzione sud. Faceva caldo, e noi eravamo sull'angolo della terrazza che guardava verso terra, in attesa che la brezza notturna cominciasse a discendere su di noi dalle colline più basse. La tinta purpurea dell'aria si spense, e vi fu un breve intervallo crepuscolare di un grigio intenso. Una lampada proiettò una striscia gialla dalla porta della cucina, dentro la quale gli uomini stavano consumando il pasto serale. Poi, quasi all'improvviso, la luna spuntò dietro la cresta del promontorio, inondando la terrazza col suo chiarore e traendo riflessi da ogni protuberanza rocciosa o filo d'erba sotto di noi, giù fino al bordo dell'acqua immota. Il mio amico accese la pipa e restò seduto a guardare verso un punto sul fianco della collina. Sapevo che lo stava guardando, e mi stavo chiedendo, infatti, quando finalmente si sarebbe deciso a parlare. Io conoscevo bene quel punto, e mi risultò subito chiaro che il mio amico si interessava vivamente ad esso. Passarono alcuni minuti, in completo silenzio. Come molti pittori, il mio amico si basava interamente sulla sua vista, come un leone confida nella sua forza e un cervo nella sua velocità, e si trovava sempre a disagio quando non riusciva a conciliare ciò che credeva di dover vedere con quello che, effettivamente, vedeva.
"è strano", disse. "Vedi il piccolo tumulo sul lato di quel macigno?"
"Sì", confermai, sapendo già ciò che sarebbe seguito.
"Sembra una tomba", continuò Holger.
"è vero. Ha l'aspetto di una tomba."
"Sì", disse ancora il mio amico, sempre tenendo gli occhi fissi su quel punto.
"Ma la cosa strana è che vedo il corpo che giace sopra di essa. Naturalmente", proseguì Holger, piegando la testa da un lato, come fanno gli artisti, "dev'essere un gioco di luci. Per prima cosa, non è affatto una tomba. Secondo, se anche lo fosse, il corpo sarebbe dentro, e non fuori. Perciò, è soltanto un effetto della luce lunare. Lo vedi?"
"Perfettamente. Lo vedo sempre quando c'è il chiaro di luna."
"Non mi sembra che ti interessi molto", osservò Holger.
"Al contrario, mi interessa, anche se ci sono abituato. E non ti sei affatto sbagliato: quel tumulo è davvero una tomba."
"Sciocchezze!", gridò Holger, incredulo. "E mi dirai anche, immagino, che quello che io distinguo là sopra è veramente un cadavere!"
"No", risposi, "non lo è. Lo so perché mi sono preso la briga di andar giù a vedere."
"Allora, che cos'è?", domandò Holger.
"Non è niente."
"Vuoi dire che è un gioco di luci, allora?"
"Forse lo è. Ma il lato inesplicabile della faccenda è che non ha alcuna importanza che la luna sia crescente o calante, che stia sorgendo o tramontando; che la sua luce giunga da oriente o da occidente, o scenda a perpendicolo dal cielo. Basta che illumini la tomba, e si vede sempre il profilo di un corpo sopra di essa."
(continua...)
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