La Notte: nella Mitologia, nella Letteratura e nella Musica!

La Notte è sicuramente uno degli elementi più citati nei testi Metal! Tantissimi musicisti si sono ispirati alla Notte (o vivono solo di notte, eh eh!) così, ecco qui una raccolta di scritti dedicati proprio alla Notte!

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La notte non è sempre pensata solo come assenza del Sole, ma viene anche posta in relazione simbolica con l'oscurità e col grembo della madre protettrice. Il mito greco ci offre una doppia interpretazione della notte: essa è descritta come la grande Dea Nyx, vestita di nero e con l'abito trapuntato di stelle, che durante il giorno riposa in una caverna nel lontano Occidente e al tramonto con un carro al quale sono attaccati dei cavalli neri, viaggia nel cielo. Viene anche raffigurata con grandi ali nere. Nella rappresentazione poetica offertaci da Eschilo, vediamo che la Luna viene paragonata all'occhio della nera notte.



In quanto dispensatrice del sonno e liberatrice dagli affanni del giorno, la Notte prende, presso i Greci, il nome di Euphrosyne o Euphrone. Suo figlio è Hypnos, il sonno. Così Nyx è la madre del sonno, dei sogni e dei piaceri amorosi, ma anche della morte (Thànatos). Il suo aspetto perturbante la rende, nel mito, madre di figli scellerati, di Moros, la Rovina, di Nemesi, la Dea della Vendetta e delle Tessitrici del Destino (le Moire). La Dea detta dai Romani Nox veniva pensata come creatura del Caos; nata insieme a Erebos (l'Oscurità), Gea o Gaia (la Terra), Eros e Tartaro. Ma suo fratello, Erebos, concepì insieme a lei anche Aither (l'Etere) e Hemera (il Giorno). Quando il Giorno ritorna alla sua dimora, Nyx inizia il suo viaggio intorno al mondo. Non le fu dedicato un culto specifico, tuttavia lo stesso Zeus pare provasse un sacro terrore nei suoi confronti. In molte civiltà si celebrarono culti notturni legati alla terra e alla venerazione dei morti (riti ctoni) (*) e agli albori del cristianesimo tale abitudine venne mantenuta anche al fine di tener segreti gli incontri tra fedeli, proibiti dalle autorità.
In seguito vennero attribuite alle streghe orge notturne ("Notte di Valpurga"). Nella religione cristiana la notte di pasqua è il momento culminante dell'anno religioso, celebrata con la consacrazione del fuoco, delle candele e dell'acqua santa utilizzate per la somministrazione del battesimo.
All'origine di tale uso cultuale si trova chiaramente la gioia per l'avvicinarsi della resurrezione dei morti. Nelle leggende alpine si parla spesso di una folta popolazione notturna di spiriti che si "aggira" incutendo terrore agli uomini che non restano a casa.




Nota: vedi l'approfondimento sui Benandanti

(*) Come tra l'altro dimostra Mircea Eliade, i semi sono considerati come morti, e viceversa:

"Le relazioni fra la luna, la pioggia e la vegetazione erano state già osservate, prima della scoperta dell'agricoltura. Dalla stessa fonte di fertilità universale deriva anche il mondo delle piante, soggetto alla stessa periodicità, regolata dai ritmi lunari. ‘Grazie al suo calore crescono le piante’, dice un testo iranico. Certe tribù brasiliane la chiamano ‘Madre delle Erbe’, e in molti luoghi (Polinesia, Molucche, Melanesia, Cina, Svezia, eccetera) si crede che le erbe spuntino nella luna. I contadini francesi, ancor oggi, seminano alla luna nuova, ma tagliano gli alberi e raccolgono i legumi a luna calante, certamente per non mettersi contro il tempo dei ritmi cosmici, spezzando un organismo vivo mentre le sue forze sono in crescenza. Il legame organico fra la luna e la vegetazione è tanto forte che moltissimi Dèi della fertilità sono contemporaneamente divinità lunari; ad esempio Hathor l'egiziana, Ishtar, l'iranica Anahita, eccetera. In quasi tutti gli Dèi della vegetazione e della fecondità esistono come sopravvivenza  -  anche quando la loro ‘forma’ divina si è fatta completamente autonoma  attributi o efficienze lunari. Sin è contemporaneamente il creatore delle erbe; Dionysos è insieme dio lunare e dio della vegetazione; Osiride cumula tutti gli attributi: della luna, delle acque, della vegetazione e dell'agricoltura. Possiamo, in particolare, distinguere il complesso lunaacque-vegetazione nel carattere sacro di alcune bevande d'origine divina, come il "soma" indiano o il "haoma" iranico; questi ultimi, del resto, furono personificati in divinità autonome, benché infinitamente meno importanti degli dèi principali del pantheon indo-iranico.
Tuttavia possiamo identificare nel liquore divino, che conferisce l'immortalità a chi ne beve, il sacro concentrato nella luna, nelle acque e nella vegetazione. Tale liquore è la ‘sostanza divina’ per eccellenza, perché trasmette la ‘vita’ come ‘realtà assoluta’, vale a dire come immortalità. L'"amrta", l'ambrosia, il "soma", il "haoma", eccetera, hanno un prototipo celeste riservato agli dèi e agli eroi, ma sono anche presenti nelle bevande terrestri, nel "soma" bevuto dagli Indiani dei tempi vedici, nel vino delle orgie dionisiache, eccetera [...] Le corrispondenze e le identificazioni scoperte fra i vari piani cosmici soggetti ai ritmi lunari  -  pioggia, vegetazione, fecondità animale e lunare, spiriti dei morti  -  sono presenti perfino in una religione tanto arcaica quale può essere quella dei Pigmei. La festa della luna nuova, presso i Pigmei africani, si tiene un poco prima della stagione piovosa. La luna, che chiamano Pe, è considerata ‘principio di generazione e madre della fecondità’. La festa della luna nuova è riservata esclusivamente alle donne, come quella del sole è celebrata soltanto dagli uomini. Essendo la luna contemporaneamente ‘madre e asilo dei fantasmi’, le donne per glorificarla si spalmano di argilla e di succhi vegetali, diventando bianche come gli spettri e come la luce lunare. Il rituale consiste nella preparazione di una bevanda alcoolica a base di banane fermentate, che bevono le donne sfinite dalla danza, e in danze e preghiere rivolte alla luna. Gli uomini non ballano e non accompagnano il rito col tam-tam. Si domanda alla luna, ‘Madre delle cose viventi’, di allontanare gli spiriti dei morti e di addurre la fecondità, largendo alla tribù numerosi figli, pesce, cacciagione e frutta. La fecondità degli animali, come la fertilità delle piante, è soggetta alla luna. Le relazioni fra fecondità e luna diventano talvolta piuttosto complicate, in seguito alla comparsa di nuove ‘forme’ religiose, come la Terra Madre, le divinità agrarie, eccetera. Tuttavia un attributo lunare rimane sempre trasparente, malgrado il numero delle sintesi religiose che possono aver collaborato alla nascita di queste ‘forme’ nuove: il prestigio della fecondità, della creazione periodica, della vita inesauribile. Le corna dei bovidi, ad esempio, che caratterizzano le grandi divinità della fecondità, sono un emblema della "Magna Mater" divina. Dovunque compaiono, nelle civiltà neolitiche, sia nell'iconografia, sia su idoli in forma bovina, segnano la presenza della Grande Dea della fecondità. Ora il corno altro non è che un'immagine della luna nuova: ‘E' certo che il corno dei bovidi è diventato simbolo lunare perché ricorda la luna nuova; evidentemente il paio di corna deve rappresentare due lune nuove, cioè l'evoluzione astrale completa’
[...] Il ciclo mestruale ha indubbiamente contribuito a popolarizzare la credenza che la luna, sia il primo marito delle donne (Nota: ne parla anche Neumann https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-2.html

https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-3.html )
I Papuasi ritengono che la mestruazione dimostri i rapporti delle fanciulle e delle donne con la luna e rappresentano, nella loro iconografia, rettili che escono dai genitali femminili; questo conferma la consubstanzialità luna-serpente [...] L'epoca buia è assimilata all'oscurità, alla notte cosmica, e come tale può essere valorizzata nella misura precisa in cui la morte rappresenta un ‘valore’ in sé; è lo stesso simbolo delle larve nelle tenebre, dello svernamento, dei semi che si decompongono sottoterra per rendere possibile la comparsa di una nuova forma. Si potrebbe dire che la Luna rivela all'uomo la propria condizione umana; che, in un certo senso, l'uomo guarda sé stesso e si ritrova nella vita della luna. E' per questo che il simbolismo e la mitologia lunari sono insieme patetici e consolatori, perché la luna comanda contemporaneamente alla morte e alla fecondità, al dramma e all'iniziazione [...] In Egitto il morto è talvolta assimilato a Osiride e, come tale, può sperare un destino ‘agricolo’: che il suo corpo germini insieme ai semi. In una stele funebre del British Museum, il morto rivolge questa preghiera a Ra: ‘Che il suo corpo possa germinare’. Ma le libazioni non vanno sempre interpretate in senso ‘agricolo’, il loro fine non è sempre ‘la germinazione del morto’, la sua trasformazione in ‘seme’ e "neophytos" (neofita, ‘erba nuova’), ma è anzitutto la sua ‘pacificazione’, cioè l'estinzione del residuo di condizione umana che aveva conservato, la sua immersione totale nelle ‘acque’, affinché ottenga una nuova nascita. Il ‘destino agricolo’, che le libazioni funebri talvolta producono, è soltanto una conseguenza della definitiva disintegrazione della condizione umana; è un nuovo modo di manifestarsi, reso possibile dalle virtù dissolventi, ma anche germinative, delle acque [...] La credenza che i morti abitino sottoterra fino al momento in cui torneranno alla luce del giorno, a una nuova esistenza, spiega l'identificazione del regno dei morti col luogo da cui provengono i bambini [...] Sia perché si credeva che i morti conoscessero l'avvenire, sia perché la terra, riassorbendo periodicamente tutti gli esseri viventi, era considerata in possesso di poteri oracolari, alcuni oracoli arcaici della Grecia sorgevano accanto a crepacci o grotte telluriche [...] Ma, come era da prevedere, l'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa. Occorre distinguere nella sintesi mitica-rituale vari elementi: identificazione della donna e della terra arabile; identificazione del fallo e del vomero; identificazione del lavoro agricolo con l'atto generatore. [...] L'agricoltura rivela in modo più drammatico il mistero della rigenerazione vegetale. Nel cerimoniale e nella tecnica agricola, l'uomo interviene direttamente; la vita vegetale e il sacro della vegetazione non sono più per lui cosa esterna: egli vi partecipa, manipolandoli e scongiurandoli. Per l'uomo ‘primitivo’, l'agricoltura, come ogni altra attività essenziale, non è una semplice tecnica profana. Essendo in relazione con la vita e ricercando l'accrescimento prodigioso della vita presente nei semi, nei solchi, nella pioggia e nei geni della vegetazione, l'agricoltura è anzitutto un rituale. Così fu agli inizi, ed è così ancor oggi nelle società agrarie, anche nelle regioni più civili d'Europa. L'agricoltore penetra e si integra in una zona ricca di sacro; i suoi gesti, il suo lavoro sono responsabili di conseguenze importantissime, perché si compiono entro un ciclo cosmico, e l'anno, le stagioni, l'estate e l'inverno, il periodo delle semine e quello del raccolto, fortificano le proprie strutture e prendono ciascuno un suo valore autonomo [...] Molte di queste offerte hanno certamente carattere funebre. Le relazioni fra i morti e la fertilità agricola sono piuttosto importanti e ne riparleremo; notiamo intanto la completa simmetria fra le offerte fatte al PRINCIPIO della semina, della mietitura, della battitura o della sgranatura [...] Gli elementi agrari delle feste invernali si spiegano con la fusione fra culti della fertilità e culti funebri. I morti, protettori dei semi affidati alla terra, hanno sotto la loro giurisdizione anche i raccolti ammassati nei granai, alimento dei vivi per tutto l'inverno [...] i morti, come i semi, sono sotterrati, penetrano nella dimensione ctonia accessibile a loro soli. D'altra parte l'agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita, della palingenesi e della fecondità senza posa. Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma [...] Se i morti ricercano le modalità spermatiche e germinative, è altrettanto vero che anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere i seminati e proteggere i raccolti. La ‘Terra-Madre’ o la Grande Dea della fertilità, domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Ma questi ultimi, qualche volta, sono più vicini all'uomo, e l'agricoltore si rivolge a loro perché benedicano e sostengano il suo lavoro (il nero è il colore della terra e dei morti).
Per questi motivi inconsci è più frequente che sia la Dea ad essere collegata alla terra, campi ecc. (e i morti sono seppelliti, come semi, sottoterra, aspettando di rinascere, come i semi aspettano di diventare fiori e piante...) mentre è più frequente che la pioggia, che feconda i campi, sia legata agli Dei maschili"


La Dea della Notte è diffusa anche in altre culture:
Evaki (Dea del sonno e della notte, venerata da alcune tribù del Rio delle Amazzoni; il Sole dimora in un'anfora che la Dea scoperchia ogni mattina all'alba e ricopre ogni sera al tramonto)
Nott (nell'antico idioma norreno significa "Notte") è la Notte personificata, nonna di Thor.
Ratri, la Dea vedica della Notte, sorella di Usha, Dea dell'alba




Oxomoco (Oxomo) Dea Azteca della notte, dell'astrologia e del calendario.
Hine-nui-te-po, Dea della notte e della morte per i Maori; il suo nome significa "Grande Donna della Notte" [sui Maori vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/polinesiamelanesiamaori-1-introduzione.html]




Altro approfondimento sulla Notte

Per i greci la Dea Notte (Nyx) era figlia del Chaos e madre del Cielo (Uranos/Saturno). Essa percorre i cieli avvolta nel suo velo scuro, su un carro trainato da quattro cavalli neri.
In molte credenze popolari la mezzanotte è il momento sinistro in cui i fantasmi si rivegliano, gli spettri escono dalle tombe, i mostri si aggirano, cercando di impossessarsi delle anime; la fantasia di chi ha paura popola la notte di presenze angoscianti, dai fantasmi ai lupi mannari. è caratteristico del Chaos e della Notte che gli è figlia, brulicare di figure tenebrose; la fantasia di chi ha paura del buio popola la notte di presenze angoscianti. "La Notte oscura dell'anima" ("noche oscura del alma") è l'espressione coniata da san Giovanni della Croce e identifica lo stato esistenziale in cui l'uomo sprofonda nelle tenebre e nella disperazione: Jung scriveva "si è fatta ormai notte; il foglio sul quale è dipinto il mandala è tutto nero... immagine di una sospensione più o meno pensosa sul tenebroso abisso della solitudine interiore".
La notte è immagine delle gestazioni, delle germinazioni, della cova, della vita che si prepara nel buio. L'alchimia l'associa alla Nigredo, al periodo oscuro in cui la materia, imputridendo, fermenta una vita nuova. L'alchimista Filalete così si esprimeva: "Oh Notte, Nera Nutrice di stelle dorate.

Tutte le cose di questo mondo derivano da queste tenebre, dalla loro fonte e dalla loro matrice."



La Notte disvela il suo volto di Signora della Fecondità e si rivela non solo buio angosciante ma anche mistero seducente (Nota di Lunaria: ed è per questo che anche oggi, e anche in contesti non religiosi, il nero è un colore molto usato nella seduzione erotica: basti pensare alla lingerie o ad abiti che hanno reso immortali dive come Rita Hayworth o Ava Gardner)



C'è qualcosa di terribile ma anche di magico nelle sue oscurità, un fascino che scuote e in cui si vela il tremendum dell'Inafferabile.

Nota di Lunaria: Novalis è celebre per aver scritto "Inni alla Notte" (che suggerisco di leggere); anche Maupassant ha dedicato un racconto, così come Walter Otto.



è al buio che si mette a germogliare il seme; è al buio che viene covato il pulcino; la notte è collegata ai rapporti sessuali e alla fecondazione, e non serve a niente, razionalmente, far notare che tali rapporti si svolgano ugualmente anche di giorno: è nella notte che i puritani di ogni tempo hanno proiettato le loro fantasie sessuali; il Vampiro, che è un essere erotico e sessuale, agisce di notte.
Più propriamente, la Notte è lo sterminato oceano della libido, dell'energia psichica e fisica.
Il Figlio della Notte, Saturno, era chiamato "Sterculio" perché "fu il primo a dare fecondità ai campi mediante lo sterco"; essere "il dio dello sterco" elevava a dignità divina gli escrementi e le scorie in genere.


Nota di Lunaria: commentando l'asino (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/lasino-e-seth.html), nello studio di Bachofen, avevo già riportato che:
"A Cuma l'asino è associato all'adulterio ed è considerato demoniaco. A Elide una maledizione grava sull'accoppiamento dell'asino con una cavalla. Persino nel culto fallico di Dioniso, l'animale è decaduto ed è attributo e posto in connessione coi tempi preistorici della guerra dei giganti. Il suo raglio diffonde il terrore e manda a monte l'impresa lasciva di Priapo. (Ovidio). Questa concezione demoniaca dell'animale appare con forza particolare nella leggenda dell'asino con la testa d'oro nel tempio di Gerusalemme e nell'attribuzione a cristo di un aspetto asinino. La leggenda è connessa all'antichissimo culto dell'asino delle stirpi fenicie. Di questa concezione è una testimonianza anche il piede d'asino di Empusa; per questo ella viene detta "dalla gambe d'asino"; su una gemma ella è raffigurata con orecchie, coda e piede d'asino. In Aristofane ella appare a Dioniso e Xantia che visitano l'oltretomba con un piede di bronzo e l'altro di sterco d'asino. Questi resti di forma animale le derivano da un'asina, che fu fecondata da Aristonimo di Efeso. Ella abita nel mondo sotterraneo e obbedendo al comando di Ecate, spaventa col suo aspetto spettrale i viandanti, soprattutto coloro che offrono sacrifici funebri. A volte viene identificata con la stessa Ecate. Nella terra al di là del Caucaso, ella apparve ad Apollonio di Tiana, che la scacciò, apostrofandola con parole ingiuriose, come racconta Filostrato. Nell'incontro con Corinto, Empusa viene equiparata con lamia e viene posta in rilievo la sua natura vampiresca, avida di caldo sangue e della carne di begli adolescenti. Riguardo alla diffusione asiatica del simbolo dell'asino, è significativo che il fantasma di Corinto dica di essere una fenicia; Lamia, a lei assimilata, in Euripide viene chiamata principessa della Lidia, secondo quanto attesta Diodoro. Come Empusa, l'asino compare interamente nel significato demoniaco, che egli ha in sé come animale tifonico. La connessione dell'asino con Ecate è antichissima. Essa è anche confermata dal fatto che la Dea titanica è nata in Tracia; da ciò deriva anche il suo legame con Apollo iperboreo, che le viene associato come Ecato. (Strabone). La "gamba di sterco" di Ecate/Empusa rappresenta la forza fecondatrice della terra, associata al piede, alla gamba e al concime. Ciò che agli inizi aveva una valenza seria, appare alla fine come espressione di scherno e accentuazione della mostruosità spettrale di Empusa. (Nota di Lunaria: ci si potrebbe chiedere se, associando Empusa al letame, quindi al concime usato nei campi, non si stia in realtà parlando di un'antichissima Dea della fertilità agricola, poi denigrata per un qualche motivo e trasformata in mostro). La stessa metamorfosi di significato, che degradò l'asino a demone, investì anche l'attributo della gamba asinina. L'affinità dell'animale con il concime fecondatore risiede nella natura fallica di entrambi."


Anche nella mitologia Mesoamericana abbiamo un Dio connesso alla putrefazione e all'ano:
Al Puch è il Dio della morte, necessario al complemento della vita, rappresentato come scheletro o come cadavere in decomposizione. A volte indossa collane di occhi.




è associato al numero 10, Lahun, da "Lahu" che significa fine. Spesso Al Puch viene descritto come lo scarnificato e identificato con Kisin il Flatulento, con Hun Ahau, signore uno e Yum Cimil, signore sette della morte, della malattia e della notte, che ricopre il ruolo di psicopompo e conduce le anime attraverso gli strati sovrapposti degli inferi esibendosi in una danza macabra.

Nota: un simbolismo che è rimasto in certo "cattolicesimo messicano sincretista" è quello della Santa Muerte, tanto celebrata da certa musica Rap. Vedi per esempio i Cartel de Santa e la loro "Santa Muerte" https://www.youtube.com/watch?v=hFZIMpygApE




è anche il caso di citare le nostre Danze Macabre o anche l'Arcano Tredicesimo, che pur non indicando necessariamente la morte fisica, ha come simbolo lo scheletro falciatore.




uno scheletro che però falcia tutti, anche i re (notate la testa coronata che compare all'angolo destro...): davanti alla morte, alla finitudine dell'esistenza, siamo tutti uguali.
vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/il-simbolismo-della-falce-il.html


Per questa ragione, la continuità della vita dopo la morte e la presenza della morte anche nella vita, Al Puch possiede i caratteri tipici dei viventi, cioè occhi, pene, ano. Oltre che dall'uccello Moan ("Grido del destino") è accompagnato a turno da vari animali: il gufo, il giaguaro, il cane (*), il formichiere, l'avvoltoio (**), simbolo del Sole al tramonto e dal suo sgherro Ch, provvisto di pipa e armato di femori e tibie. Non a caso il Dio è preposto al compimento di azioni rituali quali fumare in stato di estasi, praticare il sacrificio dell'autoevirazione o celebrare il nuovo anno con feste solenni e sacrifici umani.


(*) Anche Ecate, altra Dea psicopompa, era accompagnata dai cani. E non dimentichiamo il cane infernale per eccellenza, Cerbero! Piuttosto, sarebbe interessante cercare di capire perché proprio il cane, agli inizia, aveva questa valenza infera...
(**) Sull'avvoltoio https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/simbolismo-dellavvoltoio.html


Genitrice di Saturno Sterculio, la Notte allude alla possibilità di fermentare nel proprio grembo le sofferenze più cupe, il caos, per riversarne l'essenza, digerita e distillata, nel processo individuativo.
Anche nel presepe napoletano compare una strana figura: è il "pastore che ca*a", allusione a Sterculio. Allude alle mefitiche oscurità del caos, appestate da esalazioni sulfuree ma, nel momento in cui le eleva a caratteristica di un Dio, le nobilita e le recupera al progetto dell'individuazione.


Nota di Lunaria: questa idea è rimasta anche nel cristianesimo "del popolo": il Diavolo (che poi, hanno ricalcato su Pan) "puzza" (di zolfo ed escrementi); anche questo elemento è indice del fatto che neppure l'ideologia cristiana "del Male" è originale.

Questa figura sviluppa il tema alchemico della Nigredo, ripetutamente espresso nelle immagini del buio, della feccia, della notte e di Saturno. L'origine dell'evoluzione e della trasformazione psichica si colloca nel cuore della notte archetipica, nell'esperienza delle proprie scorie.


Nell'immaginario germanico, la cavalcata notturna delle Valchirie sviluppa l'archetipo della Notte quale Signora del Tempo. Le Dodici Figure Femminili che volano nel cielo notturno sono le rappresentanti delle 12 ore del giorno. La Grande Dea della Notte è, dantescamente, "aura senza tempo tinta"; Dea Uroborica dei Primordi, Signora di quel tempo senza tempo che fu delle origini, quando tutto era ancora da cominciare e da compiere. Essendo Signora Uroborica del Tempo, la Notte è anche la Reggitrice degli accadimenti, della loro sequenza e concatenazione. è Signora del Destino.

Nella mitologia greca, la Notte non fu solo madre di Saturno, ma anche del Fato e delle Moire, le tre donne che filano il destino. (nota bene: nel presepe cattolico, si immagina un cielo notturno dove brillano "le stelle e la cometa", e non a caso, e in più "ci sono le vecchie che filano" come personaggi del presepe, insieme ai pastori). La Notte  è la Grande Dea Uroborica di totalità, che contiene nel suo cerchio l'infinità dello spazio e l'eternità del tempo, i germi della vita e il nucleo dell'individualità. è la Notte che detiene il possesso della vita: è Lei la feconda Signora che porta la vita nel proprio grembo.

Tara e Varahi, le due Dee indù connesse alla notte; si noti che entrambe portano la mezzaluna bianca sul capo; Tara, per di più,  è adorna di serpenti e porta la falce e le forbici...




Con la simbolica del suo blu profondo [si noti il blu della pelle di Tara e di Varahi] avvolta e avvolgente nel suo grande velo scuro, essa si propone come contenitore archetipico, vaso-corpo-madre, spazio di contenimento e di fermentazione. La Notte è raccoglimento interiore, meditazione, è spazio privilegiato per la meditazione, le confessioni, l'intimità. Di notte ogni sollecitazione si amplifica, l'udito si affina; se da un lato la notte è popolata da fantasmi inconsci, dall'altro è punteggiata di stelle. Kant ne fu ammaliato, tanto da cogliere nella notta stellata il riflesso dell'armonia cosmica ("il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me"). Tutti gli aspetti della Notte (figlia del Caos, regno di ombre, grembo, regina del tempo, contenitore uorborico, dimensione introspettiva) stanno alle origini delle celebrazioni solstiziali: la vita vegetativa, in inverno, sembra morta, la vegetazione imputridisce. La Notte può essere vista come stato psichico che precede e accompagna ogni rinnovamento e trasformazione. Freud ha formulato la teoria del sogno come "soddisfazione allucinata del desiderio" portando una varietà di esempi e documentazione su come nel sogno ci concediamo soddisfazioni che nel regime diurno ci sono impedite

In Egitto, la Grande Dea Notte era Naunet, controfigura di Nut. Nel tempio di Dendera queste due Dee omologhe distendono i loro corpi per l'intera lunghezza della volta, l'una su un lato, l'altra, duplicata specularmente, sull'altro.
Naunet è il Cielo Notturno, che ingoia il sole a occidente e lo partorisce a oriente. è nella sua veste di cielo notturno che Nut veniva dipinta sul fondo dei sarcofagi in modo che il defunto si trovasse adagiato fra le sue braccia. Con infinita pietas materna la notte accoglie il corpo stanco tra le braccia del Sonno, avvolge la coscienza diurna nel buio ancestrale dell'inconscio.
La Notte costella il potenziale trasmutativo che è dell'archetipo femminile. è il prototipo di ogni grembo, fucina di ogni trasformazione, matrice di rinascita. Appartiene all'archetipo della Grande Madre, che è Contenitore, Abisso per la sua profondità, Ventre per la gestazione. Fa presagire immagini di profondità acquatica o tellurica, della caverna e della grotta. 



Aggiungo anche l'approfondimento sul Nero

Colore che spesso ha assunto il valore simbolico dell'assoluto. Posto in naturale relazione col bianco, inteso come il suo opposto, il nero è, per la psicologia del profondo, il colore che esprime la completa assenza di coscienza, l'affondare nell'oscurità, nel lutto, nel buio. In Europa ha di solito un significato negativo: l'uomo nero, la casa buia, il serpente oscuro, tutti elementi cupi che esprimono l'assenza di speranze. Alle divinità ctonie venivano di solito offerti animali nerissimi e, analogamente, in età moderna al Diavolo e ai demoni veniva offerto in sacrificio un gallo nero o un caprone del medesimo colore. Il Diavolo stesso è più spesso nero che non rosso.
Lo spazzacamino, per il suo aspetto, è a prima vista interpretato come una figura sospetta e diabolica, ma, nel più complesso capovolgimento di senso, finisce anche per acquistare il valore simbolico di un portafortuna. Nel Medioevo gli uomini di pelle scura venivano visti con grande sospetto, ma successivamente, anche in conseguenza dell'attenuarsi del pregiudizio contro l'Africa e i suoi abitanti, uno dei Re Magi (Baldassarre)  venne raffigurato con la pelle nera. Il nero è stato anche inteso come simbolo della negazione della vanità terrena e dello sfarzo e anche per questo motivo il sacerdote indossa una cotta nera; il nero del lutto e della penitenza è contemporaneamente la promessa di una futura resurrezione, nel corso del quale si trasforma prima in grigio e poi in bianco. Nell'Alchimia Nigredo è il nome della Pietra Filosofale in grado di trasformare la materia primordiale, il presupposto della futura ascesa spirituale.
Il nero è anche il colore di molte divinità terrifiche (Mahakala, la Grande Nera, Kali)

Vedi anche l'Artemide di Efeso: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/lartemide-di-efeso-e-la-palma.html
Nell'iconografia tradizionale dell'antica Cina il nero è legato all'elemento dell'acqua e del Nord. L'imperatore Shih Huang-ti, la cui ascesa segnò il crollo della dinastia Chou (simboleggiata dal colore rosso), scelse il nero (colore dell'onore e della morte) come propria tinta simbolica perché l'Acqua spegne il Fuoco.
Una figura di donna nera è anche Sarah (Sarah la-Kali), patrona protettrice degli zingari, venerata nella Francia meridionale a Les Saintes Maries de la Mer, dove si narra che giunse la triade delle Marie partite dalla Terra Santa (Maria Giaconea, sorella della madre di cristo, Maria Salomè e Maria Magdalena); anche la Sarah Nera, la cui festa cade il 24 maggio, è riconducibile al culto arcaico delle madonne nere. (Nota di Lunaria: in realtà è un'antica Dea cristianizzata)





Qui trovate un altro approfondimento su Nut: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/neith-nut-atena-e-il-carro.html

Nota di Lunaria: sarebbe praticamente impossibile citare tutti coloro che, nei secoli, sono stati ispirati dalla Luna, dalla Notte e dal calare della sera. Grandi nomi, nella Poesia, restano Foscolo, Leopardi, Shelley,









ma anche la poesia barocca del '600 e persino i grandi mistici hanno cantato la notte; per esempio, Angelus Silesius così scriveva: "La quiete è uguale all'eterna notte; nulla è simile al nulla più di quiete e solitudine. Perciò le vuole il mio volere, se pur vuol qualcosa."

Anche musicalmente sarebbe arduo citare tutti quegli artisti che hanno dedicato canzoni alla Notte... Mi limito a citarne due: Phildel, "Moonsea" ma anche "Afraid of the dark" (canzone altrettanto bella) ha tutta un'atmosfera notturna.

In Italia, gli Ecnephias hanno composto "Nyctophilia" 








Leggete l'intervista: https://intervistemetal.blogspot.com/2014/11/ecnephias-death-doom-metal.html

La Notte, nel commento di Walter Otto e nel racconto di Guy de Maupassant

Nyx, la Dea Notte, non è identica a Hermes e Apollo distingue sufficientemente suo fratello da lei, quando lo chiama "compagno della Notte". Ma Otto nota a ragione che a proposito di molte cose che i Greci dicono della Notte, noi involontariamente dobbiamo pensare a Hermes.
In questo caso però non si tratta della tradizione, bensì di quel qualcosa cui la tradizione corrisponde. Leggiamo dunque la più bella pagina dell'immagine che Otto dipinge di Hermes, quella che egli dedica all'esperienza della Notte.


Chi di notte vegli, solitario, in un prato aperto o erri per strade silenziose, ha un'esperienza diversa del mondo da quella che può avere di giorno. Le vicinanze sono scomparse per lui, e con esse anche le lontananze. Tutto è lontano e vicino nello stesso tempo, strettamente accanto a noi, eppure misteriosamente distanziato. Lo spazio ha perso la sua misura. Si odono sussurri e suoni, ma non si sa da dove e da chi vengano. I sentimenti stessi sono singolarmente incerti. La più piacevole calma è pervasa da un senso di disagio, mentre il raccapriccio stesso attira e affascina. Cessa ogni differenza tra esseri vivi e oggetti, tutto è animato e inanimato, sveglio e addormentato nello stesso tempo. Ciò che il giorno gradatamente porta innanzi e fa conoscere, ora si svincola del tutto immediatamente dal buio. L'incontro si realizza improvvisamente come un miracolo: che cosa è che si svela ora, una fanciulla incantevole, uno spirito maligno o un semplice tronco d'albero? Tutte le cose sollecitano il viandante, scherzano con visi sconosciuti per non saperne più nulla nel momento successivo; spaventano con gesti strani, per ritrovarsi subito innocue e familiari.
Dappertutto il pericolo è in agguato. Dalle oscure fauci della notte che si spalancano accanto al viandante, in ogni momento può comparire, senza preavviso, un brigante o un mostro spettrale, lo spirito irrequieto di un morto - Chi sà che cosa mai è avvenuto una volta in questo luogo? Forse i maligni spiriti della nebbia vogliono deviarlo dalla giusta strada per condurlo nel deserto dove abita il Terrore, dove seducenti esseri malvagi danzano in coro, un luogo che nessuno può, vivo, abbandonare più. Chi lo potrebbe proteggere, chi guidarlo sulla giusta via, chi dargli un buon consiglio? Lo spirito della Notte stessa, il genio della sua benignità, della sua magia, della sua inventiva e della sua profonda saggezza. Essa è, infatti, la madre di ogni pace, essa copre gli stanchi col sonno, levando loro ogni preoccupazione e giocando intorno alle loro anime con sogni variopinti. Gli infelici e i perseguitati godono della sua protezione altrettanto che i furbi che le sue tenebre aiutano a mille invenzioni e colpi maestri. Essa stende il suo velo anche sugli amanti e protegge con la sua oscurità tutte le tenerezze, tutte le grazie nascoste o scoperte. La musica è il vero linguaggio della sua calma, il suono magico che si sente con gli occhi chiusi e in cui cielo e terra, vicinanza e lontananza, uomo e natura, presente e passato sembrano conciliarsi in perfetta armonia.   Ma le tenebre della notte che così dolcemente invitano al sonno nello stesso tempo prestano allo spirito un'acuta vigilanza e chiarezza. Gli danno capacità di conoscere, audacia e temerarietà. Improvvisamente balena un sapere, o precipita come una stella filante - un sapere raro, prezioso, un sapere magico. Così la notte che può spaventare o fuorviare il solitario, è anche la sua amica, la sua protettrice e consigliatrice.


"La Notte" racconto di Guy de Maupassant, 1887

Un esempio di fantastico ottenuto con minimi mezzi: questa novella non è che una passeggiata per Parigi, fedele resoconto delle sensazioni che il nottambulo Maupassant viveva in ognuna delle sue sere. Ma qui una sensazione oppressiva, da incubo, occupa il quadro fin dal principio e si fa sempre più intensa. La città è sempre la stessa, strada per strada e palazzo per palazzo, ma prima scompaiono le persone, poi le luci; lo scenario ben noto sembra contenere soltanto la paura dell'assurdo e della morte. Maupassant (1850-1893) ha un posto anche nella letteratura fantastica (basti pensare a "Le Horla", uno dei migliori racconti horror di sempre),
per una serie di scritti che precedono la sua crisi di follia che non ebbe ritorno: è dalle immagini quotidiane che si sprigiona un senso di terrore. 


Amo appassionatamente la notte. L'amo come si ama la patria o l'amante, di un amore istintivo, profondo, invincibile. L'amo con tutti i miei sensi, con gli occhi che la vedono, con l'odorato che la respira, con le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutta la mia carne che le tenebre accarezzano. Le allodole cantano nel sole, nel cielo sereno, nell'aria calda, nell'aria fresca dei chiari mattini. Il gufo fugge nell'oscurità, nera macchia che passa attraverso lo spazio nero, e, rallegrato, inebriato dalla nera immensità, lancia il suo strido vibrante e sinistro. Il giorno mi stanca e m'annoia. è brutale e rumoroso. Mi alzo a fatica, mi vesto svogliatamente, esco di cattivo umore, e ogni passo, ogni movimento, ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero mi stancano come se sollevassi un pesante fardello. Ma quando il sole tramonta m'invade una gioia confusa, una gioia di tutto il corpo. Mi sveglio, mi animo. A mano a mano che l'ombra si infittisce mi sento un altro, più giovane, più forte, più sveglio, più felice. La guardo infoscarsi, questa grande ombra dolce caduta dal cielo: sommerge la città come un'onda inafferrabile e impenetrabile, nasconde, cancella, distrugge i colori, le forme, abbraccia le case, gli esseri, gli edifici col suo impercettibile tocco. Allora sono tentato a gridare di piacere come le civette, a correre sui tetti come i gatti; e un impetuoso, un invincibile desiderio d'amare si accende nelle mie vene. Vado, cammino, ora nei sobborghi oscuri, ora nei boschi vicini a Parigi, dove odo aggirarsi le bestie mie sorelle e i bracconieri miei fratelli. Quello che amiamo con violenza finisce sempre coll'ucciderci. Ma come spiegare ciò che mi accade? Anzi, come far comprendere ch'io possa raccontarlo? Non so, non so più, so soltanto che così è. - Ecco. Ieri dunque - fu ieri? - sì, senza dubbio, a meno che non fosse un altro giorno, un altro mese, un altr'anno, - non so. Eppure dovette essere ieri, poiché il giorno non è più sorto, poiché il sole non è più riapparso. Ma da quanto dura la notte? Da quanto?... Chi lo dirà? Chi lo saprà mai? Ieri dunque uscii come faccio sempre dopo aver pranzato. La sera era splendida, calmissima, calda. Incamminandomi verso i boulevards guardai sopra il mio capo il fiume del cielo, nero e gremito di stelle, contro il quale i tetti si stagliavano. E il mio percorso, pieno di giravolte, faceva ondulare come un fiume nero il ruscello rotante degli astri. Tutto era chiaro nell'aria leggera, dai pianeti sino ai fanali a gas. Le luci che splendevano lassù e nelle città erano tante, che le tenebre parevano illuminarsene. Le notti scintillanti sono più allegre che i grandi giorni di sole. Sul boulevard i caffè fiammeggiavano, si rideva, si circolava, si beveva. Entrai in teatro per qualche minuto... in quale teatro? Non so più. C'era così chiaro che mi sentii rattristato e ne uscii col cuore un po' oppresso da quell'urto di luce brutale sugli ori della balconata, da quello scintillio fittizio dell'enorme lampadario di cristallo, dalla barriera di fuoco della scalinata, dalla malinconia di quella chiarità falsa e cruda. Giunsi ai Champs-Elysées dove nel fogliame i caffè-concerto sembravano focolari d'incendio.  Gl'ippocastani intrisi di luce gialla sembravano dipinti, sembravano alberi fosforescenti. E le lampade ad arco, simili a lune sfolgoranti e pallide, facevano impallidire sotto la loro luce madreperlacea, misteriosa e regale, le reticelle del gas, del gas brutto e scialbo, e le ghirlande di vetro colorato. Mi fermai sotto l'Arco di Trionfo per guardare l'avenue, la lunga e mirabile avenue stellata, fuggente verso Parigi tra due file di luci, e gli astri! gli astri lassù, gli astri sconosciuti disseminati a caso nell'immensità dove disegnano le strane figure che tanto fanno sognare, che tanto fanno pensare! Entrai nel Bois de Boulogne e vi rimasi a lungo, a lungo. Mi aveva colto un brivido singolare, un'emozione imprevista e possente, un'esaltazione del pensiero che rasentava la follia. Camminai a lungo. Poi ritornai. Che ora era quando ripassai sotto l'arco trionfale? Non so. La città s'addormentava, e qualche nuvola - grosse nuvole nere - si allargava lentamente nel cielo. Per la prima volta sentii che stava per accadere qualche cosa di strano, di nuovo. Mi sembrò che facesse freddo, che l'aria s'ispessisse, che la notte, la notte a me diletta, gravasse sul mio cuore. L'avenue era deserta, ora. Solo due guardie di città passeggiavano accanto al posteggio delle vetture di piazza, e sulla massicciata appena rischiarata dai lumi a gas che parevano morenti, una fila di carrette cariche di legumi andava al Mercato. Avanzavano lentamente, cariche di carote, di navoni e di cavoli. I conducenti dormivano invisibili, i cavalli camminavano con un passo uguale, seguendo il veicolo precedente, senza rumore sull'impiantito di legno. Davanti a ciascuna luce del marciapiede le carote s'illuminavano in rosso, i navoni s'illuminavano in bianco, i cavoli s'illuminavano in verde; e passavano una dietro l'altra, quelle carrette rosse d'un rosso di fuoco, bianche d'un bianco d'argento, verdi d'un verde smeraldo. Le seguii, poi svoltai per la rue Royale, e tornai sul boulevard. Nessuna persona, nessun caffè illuminato; soltanto qualche passante in ritardo che s'affrettava. Non avevo mai visto Parigi così morta, così deserta. Guardai l'orologio. Erano le due. Mi spingeva una forza, un bisogno di
camminare: proseguii quindi sino alla Bastiglia. Là m'accorsi che non avevo mai visto una notte così oscura, poiché non distinguevo nemmeno la colonna di luglio, il cui Genio d'oro era annullato dall'impenetrabile oscurità. Una cupola di nuvole, folte come l'immensità, aveva sommerso le stelle e sembrava abbassarsi sulla terra per annientarla. Ritornai. Non c'era più nessuno intorno a me. Soltanto in piazza del Chateau-d'Eau un ubriaco venne a darmi di cozzo, poi scomparve. Udii per un poco il suo passo sonoro e ineguale. Camminavo. All'altezza del Faubourg Montmartre passò una vettura di piazza che andava verso la Senna. Chiamai. Il cocchiere non rispose. Una donna vagava accanto alla rue Drouot. "Signore, signore, sentite..." Affrettai il passo per evitare la sua mano tesa. Poi più nulla. Davanti al Vaudeville un cenciaiuolo frugava nel rigagnolo. Il suo lanternino ondulava rasente terra. Gli domandi: "Che ora è, brav'uomo?" Borbottò: "E che ne so? io non ho orologio". Allora m'accorsi improvvisamente che i lumi a gas erano spenti. So che in questa stagione vengono eliminati di buon'ora, prima dell'alba, per economia: ma il giorno era lontano, tanto lontano dallo spuntare! "Andiamo al Mercato" pensai "lì almeno troverò la vita". Mi incamminai, ma non ci vedevo nemmeno tanto da trovare la strada. Avanzavo lentamente, come si fa in un bosco, e riconoscevo le strade contandole. Davanti al Crédit Lyonnais un cane brontolò. Ritornai dalla rue de Grammont, e mi sperdetti; errai, poi riconobbi la Borsa dalle cancellate di ferro che la circondano. Tutta Parigi dormiva d'un sonno profondo, spaventoso. Frattanto, correva lontano una carrozza, una sola vettura di piazza; forse quella che m'era passata davanti poc'anzi. Cercavo di raggiungerla andando verso il rumore delle ruote, attraverso le strade solitarie e buie, buie, buie come la morte. Mi smarrii ancora. Dov'ero? Che follia, quella di spegnere il gas così presto! Non un passante, non un ritardatario, non un girellone, nemmeno il miagolio d'un gatto in amore. Nulla. Dov'erano dunque le guardie di città? Dissi tra me e me: "Adesso mi metto a gridare, accorreranno". Gridai. Nessuno accorse. Chiamai più forte. La mia voce si disperse, senza eco, fievole, soffocata, schiacciata dall'oscurità, da quella oscurità impenetrabile. Urlai: "Aiuto! Aiuto! Aiuto!" Il mio richiamo disperato rimase senza risposta. Che ora era, dunque? Estrassi l'orologio, ma non avevo fiammiferi. Ascoltai il tic-tac leggero del fragile meccanismo con una gioia sconosciuta e bizzarra: sembrava
vivesse. Ero meno solo. Quale mistero! Mi rimisi in cammino come un cieco, tentando i muri col bastone, e alzavo di continuo gli occhi al cielo sperando che finalmente spuntasse il giorno: ma lo spazio era nero, assolutamente nero, più profondamente nero che la città. Che ora poteva essere? Camminavo, mi pareva, da un tempo infinito, poiché le gambe mi si piegavano, il petto ansava e avevo una fame terribile. Mi decisi a suonare al primo portone. Tirai il pomo d'ottone, e il campanello squillò nella casa sonora: squillò stranamente, come se quel rumore vibrante fosse stato solo nell'edificio. Aspettai: nessuno rispondeva, la porta rimase chiusa. Suonai nuovamente: attesi ancora... nulla! Ebbi paura! Corsi alla casa vicina, e venti volte di seguito feci squillare la suoneria nel corridoio oscuro dove presumibilmente dormiva il portinaio. Ma nessuno si svegliava - e io andai più lontano, tirando con tutta la mia forza l'anello o il pomo d'ottone, bussando coi piedi, con le mani, col bastone a tutte le porte ostinatamente chiuse. E improvvisamente mi accorsi ch'ero giunto al Mercato. Il Mercato era deserto, senza un rumore, senza un movimento, senza una carretta, senza un uomo, senza un cesto di verdura o di fiori. Vuoto, immobile, abbandonato, morto! Fui colto da uno spavento orribile! Che succedeva? Mi rimisi in cammino. Ma l'ora? l'ora? chi mi avrebbe detto l'ora? Nessun orologio suonava ai campanili o negli edifici pubblici. Pensavo: "Adesso apro il vetro del mio cronometro e tasto le sfere con le dita". Estrassi l'orologio: non batteva più, s'era fermato. Più nulla, più nulla, non un palpito nella città, non una luce, non la vibrazione di un suono nell'aria! Nulla! più nulla! nemmeno la corsa lontana della vettura di piazza - più nulla! Ero giunto sul Lungosenna, e una freschezza glaciale saliva dal fiume. La Senna scorreva ancora? Volli sapere: trovai la scala, discesi... Non udivo la corrente ribollire sotto gli archi del ponte... Qualche gradino ancora... poi sabbia... mota... poi acqua... vi tuffai il braccio... scorreva... scorreva... fredda...fredda...fredda... quasi gelata... quasi inaridita... quasi morta... E sentivo bene che non avrei mai più avuto la forza di risalire, e che sarei morto lì... anch'io, di fame.... di stanchezza... e di freddo.