Tributo alla stupenda Cadaveria - Pizia e Sibilla

IMPORTANTE: andate a leggere anche questo post:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/purtroppo-il-mio-essere-priva-di.html

Ho passato la serata in full-immersion con le canzoni più belle degli Opera IX, così mi sono detta "perché non celebrare la stupenda Cadaveria con un post che riepiloghi il ruolo sacerdotale femminile nel paganesimo greco?"

Detto e fatto, pubblico qui un paio di scritti su questo tema ^_^


Cadaveria è sempre stata, da quando l'ho sentita la primissima volta (correva l'anno 2000, o giù di lì, e misero "Congressum cum Daemone" su Psychosonic!...) uno dei miei modelli femminili, insomma, quel tipo di Donna che stimo e ammiro e da cui prendo esempio ^_^  e che mi riempie di orgoglio femminile (considerato che razza di zavorre mentecatte citrulle affossano la condizione femminile, Cadaveria e poche altre donne - non necessariamente nella scena Black Metal - sono un lampo di speranza...)

Bellissima, bravissima, affascinante, è una vera e propria Pizia del Black Metal, che ci ha regalato un'interpretazione leggendaria di Sacerdotessa in "Fronds of the Ancient Walnut"...


I fondamentali cd degli Opera IX: "The Call of the Wood", "The Black Opera", "Maleventum", "Sacro Culto"...


ma anche la sua band Cadaveria


 un Culto tutto italiano che ha fatto la Storia del Black Metal... apportando un contributo anche femminile :D


Citiamo anche Tristessa delle Astarte, purtroppo deceduta ;(


Altra stupenda interprete e "Sacerdotessa del Black Metal"...

Info tratte da




La consultazione dell'eroe Trofonio, in Beozia, comportava un'impressionante messa in scena. Il paziente, dopo aver compiuto i riti preliminari, beveva alla sorgenti del Lete e di Mnemosine, poi, avvolto in un sudario, s'infilava, con i piedi in avanti, dentro ad una stretta apertura, in una cavità naturale ricavata nel fianco della roccia. Qui, egli veniva aspirato come da un turbine e percepiva nel corso della notte visioni o brusii profetici. Dopodiché, riguadagnava l'aria libera per la stessa apertura, sempre con i piedi in avanti, e semiincosciente. I sacerdoti lo mettevano a sedere sul trono di Mnemosine e lo aiutavano ad interpretare quel che aveva visto o udito. Questa curiosa pratica ha tutte le apparenze di un'iniziazione: il fedele è messo nella tomba (dal momento che l'antro di Trofonio sembra più che altro una sepoltura), quindi risuscita a nuova vita, tenendo presente allo spirito, grazie al trono di Mnemosine, la rivelazione che ha ricevuto nell'aldilà.
Non è possibile non pensare alle dottrine pitagoriche e platoniche dell'anamnesi, nonché alle discese all'Ade di Pitagora e di Er di Panfilia.
Alcuni degli Olimpici sono degli Dei oracolari: Atena, Ermes e Apollo. Il santuario di Dodona, posto in terra straniera, risale alla più remota antichità. Zeus deve esservisi sostituito ad una Dea pre-ellenica dell'albero, della quale ha conservato l'attributo fondamentale, la quercia. Proprio attraverso la voce della sua quercia, Zeus emanava i suoi oracoli. Coloro che andavano a consultare l'oracolo scrivevano le proprie richieste su una tavoletta di piombo e delle sacerdotesse, dette le Colombe, interpretavano il brusio delle fronde per ricavarne il responso. Omero non conosce le Colombe; egli parla, invece, di profeti, i Selli, "dai piedi mai lavati, che dormivano per terra". Queste definizioni ben si addirebbero ad antichi sacerdoti della Terra che avrebbero tratto la loro ispirazione da un contatto permanente col suolo. Ad ogni modo si può pensare che Zeus abbia avuto normalmente a suo servizio un duplice collegio di interpreti: maschili e femminili, come Apollo a Delfi.

A Olimpia, del pari, Zeus è venuto dopo una Dea della Terra.
Ivi Gea avrebbe profetizzato, e la sola donna che fosse ammessa alla sua vista era la sacerdotessa di Demetra Chamyne.
Ma il modo della divinazione era diverso. Zeus possedeva ad Olimpia, come Gea, un altare fatto con le ceneri ammonticchiate delle vittime. In cima al cumulo, che poteva raggiungere i 6,50 metri d'altezza, degli indovini, gli Iamidi, praticavano la divinazione attraverso il fuoco, interpretando i segni offerti dalla fiamma.
Prima dell'arrivo di Apollo, anche Delfi ha avuto un oracolo con tecnica analoga, che in questo caso dipendeva da Poseidone e da Gea. Si riteneva che Atena avesse inventato la divinazione tramite i dadi. A Fare, in Acaia, si interrogava Ermete; l'interrogante poneva le domande all'orecchio della statua, quindi lasciava il tempio, tappandosi le orecchie; arrivato all'estremità dell'agorà, egli levava le mani e la prima parola che udiva veniva presa come la risposta del Dio. Ma il Dio profetico per eccellenza è Apollo, perlomeno in epoca classica. I suoi oracoli erano numerosissimi, non se ne contano meno di cinque in Beozia (Tebe, lo Ptoion, Eutresis, Isie, Tegira); numerosi e celebri erano quelli dell'Asia Minore: Claro, vicino Colofone, Didimo e numerosi oracoli in Licia. 
Delfi si è affermata tardi, ma rapidamente. Non sembra che Apollo sia arrivato sul Parnaso prima del VIII secolo a.c
Un passo dell'Iliade canta, a partire dal VII sec. a.c, la straordinaria ricchezza del suo santuario. Apollo deve aver preso posto di una Dea della terra che praticava la mantica attraverso i sogni vicino alla fonte Castalia. La sostituzione è avvenuta tranquillamente o di forza? Nell'antichità se ne discuteva. La leggenda dell'uccisione del serpente ctonio, Pitone, da parte di Apollo, non va chiamata in causa per risolvere questa controversia: si tratta di un mito etiologico, presente anche a Sicione e in Asia Minore, al quale non va attribuito alcun significato storico.


Nota di Lunaria: non che siano così numerosi, comunque, nel caso passasse un misogino pagano tradizionalista dei giorni nostri, sbraitando che "sono tutte tue idiozie, Zeus era super potente e adorato sempre, e non c'era nessuna Dea prima di lui!!! W Zeus, il nostro Dio patriarcale, Pater Familias, donne a casa a fare figli, come dice il nostro idolo intoccabile Aristotele!!!", meglio mettere le PROVE che prima di Zeus nell'oracolo c'era una DEA:





La prestazione dell'oracolo era assicurata dalla Pizia e dal profeta.
La Pizia veniva scelta tra l'insieme delle sacerdotesse di Delfi; doveva avere almeno cinquant'anni; la castità alla quale era tenuta era una norma di purezza rituale, ma non implicava essere considerata la sposa del Dio. La Pizia fungeva da intermediaria, da medium tra la divinità e gli uomini. Il ruolo del profeta è più oscuro: poteva ricevere la rivelazione che la Pizia, in seguito, si limitava a comunicare, o poteva formulare la risposta ispirata dalla Pizia.
Le consultazioni si avevano, originariamente, una volta l'anno, in occasione dell'anniversario di Apollo; dato l'incremento delle richieste, se ne ebbero una o più al mese: rimanevano esclusi i giorni nefasti e i mesi invernali, durante i quali Apollo si assentava da Delfi. Ogni interpellante consacrava dapprima un dolce di miele (pelanos) sostituito poi da una tassa in denaro. Poi veniva sacrificata e bruciata una capra, precedentemente aspersa d'acqua: se durante l'aspersione la capra veniva presa dai fremiti, significava che Apollo accettava di pronunciarsi. Il pelanos e l'olocausto sono da mettersi in rapporto con l'origine ctonia dell'oracolo.
Nei casi più semplici, per la consultazione, si tirava a sorte con delle fave bianche o nere (cleromanzia) ma nelle questione particolarmente importanti, la Pizia rivelava la volontà divina in preda ad un delirio profetico, profetizzando nella cripta del tempio, seduta sul suo tripode, accanto alla statua d'oro di Apollo e alla tomba di Dioniso. La Pizia, comunque, non entrava in trance isteriche ma sentiva manifestarsi in lei il suo Dio e ne ascoltava gli appelli ripiegandosi in sé. Probabilmente per raggiungere questo stato, la Pizia inalava alloro e farina di orzo, masticava alloro e beveva acqua alla fonte Cassotide. Secondo la tradizione il tripode era posto su di una voragine dalla quale si sprigionavano esalazioni, un soffio o pneuma sovrannaturale.




 LA BULé

L'altro Consiglio era la Bulé, costituito prima da 400, poi da 500 membri estratti a sorte:
"Suo compito era di deliberare in precedenza sulle proposte da sottoporre al popolo, e di impedire che alcuna fosse avanzata all'assemblea senza essere stata preventivamente esaminata. 
In sostanza il Consiglio fu insediata da Solone come organo di controllo su tutti gli atti dello Stato e come custode delle leggi, con l'idea che la città, ormeggiata su due Consigli come su due ancore sarebbe stata meno agitata e il popolo sarebbe rimasto più calmo" (Plutarco, "Vita di Solone")

Anche le competenze della Bulé erano vaste:

"La Bulé delibera molte cose relative alla guerra, alle finanze dello Stato, alla creazione di nuove leggi, agli affari quotidiani della città, agli alleati; cura la riscossione dei tributi, si occupa della flotta e delle cose sacre" (Pseudo-Senofonte, "Repubblica degli Ateniesi")

La Bulé poteva anche giudicare e condannare i magistrati accusati di corruzione o di illegalità, ma il suo giudizio non era valido se non era convalidato dal tribunale popolare.



L'ORACOLO DI DELFI

Nel Santuario di Dodona, Zeus dava i suoi responsi attraverso lo stormire delle fronde delle querce (un vero e proprio bosco sacro); nell'Oracolo di Delfi, Apollo si manifestava per bocca di una Sacerdotessa: la Pizia.
Stava assisa su un tripode, nella cella del tempio, a contatto con i vapori che uscivano da una spaccatura del pavimento; la Sacerdotessa, in trance, rivelava i voleri di Apollo usando parole ambigue, che venivano poi interpretate da dei sacerdoti.

Apollo non rivelava il futuro, ma rispondeva a delle domande precise e all'Oracolo di Delfi ci andavano cittadini, ambasciatori, sovrani, anche per domandare al Dio cosa fare in ambito di guerra o per fondare nuove colonie.
Se la predizione risultava errata, si pensava ad un errore di interpretazione delle parole.

 In genere, gli edifici di culto venivano edificati in luoghi dove si riteneva si fosse manifestata una divinità: nelle vicinanze di un albero che avesse offerto riparo ad un Dio, nei pressi di una fonte dove una Dea avesse fatto il bagno...
L'edificio era piuttosto semplice, ma veniva onorato dagli abitanti del luogo.
Se il Dio o la Dea gradivano le offerte, si tracciava un recinto dentro il quale si svolgevano i riti religiosi.
Con offerte ed ex voto, il tempio poteva poi essere abbellito con frontoni, colonnati, statue, e tutta la zona diventava un vero e proprio santuario.
 



Aggiungo un altro approfondimento sulla Pizia e sulla Sibilla 

I più antichi luoghi di culto, anche in Grecia, erano tutti all'aperto, sulle cime delle montagne, nei boschi, presso le sorgenti sacre, sulle rive del mare, in caverne e spelonche. Questi luoghi, come sacri agli Dei, venivano chiusi in un recinto sacro nel mezzo del quale un rialzo rappresentava l'altare del sacrificio e delle offerte. Col tempo si innalzarono agli Dei vere e proprie dimore: nella cella era custodito il simulacro della Divinità; il tempio era quasi sempre orientato a levante, se era dedicato agli Dei, a levante se era dedicato agli eroi.
La religione essendo una funzione di Stato, le cerimonie pubbliche erano compiute dal magistrato in carica, per esempio ad Atene dall'arconte re che era succeduto nelle mansioni sacerdotali all'antico re patriarcale e perciò controllava i vari sacerdoti.
Le donne non erano escluse dal sacerdozio e venivano destinate al servizio delle Divinità Femminili. Per esercitare il sacerdozio occorreva l'integrità fisica delle membra e della sanità, età adulta e sesso corrispondente (ma non sempre) a quello della Divinità e in certi casi, castità temporanea o perpetua e l'astensione da certi cibi o bevande; alcuni templi richiedavano l'età fanciulla (come per i sacerdoti di Athena Cranea ad Elatea, di Athena Alea a Tegea e di Zeus a Egio e per le Sacerdotesse di Artemide in Egina e in Patre): in questo caso i sacerdoti fanciulli avevano assistenti per le mansioni di culto. Nei sacerdozi pubblici vi era il sistema della scelta e quello del sorteggio che era preferito in quanto la nomina sembrava determinata dalla Divinità stessa; talora i due sistemi venivano combinati, cioè si estraeva a sorte il candidato da una lista di eleggibili. Non era esclusa la compera della carica, specie nei templi dell'Asia Minore durante l'epoca ellenistica.
Il sacerdozio non era a vita, salvo qualche caso; la carica era annuale o poteva durare un periodo maggiore: 2, 3, 4 anni.
I sacerdoti indossavano una lunga veste bianca essendo questo - secondo Platone - il colore caro agli Dei. Lasciavano intonsi i capelli; durante il sacrificio si ponevano in capo una corona vegetale (di ulivo, mirto ecc.) che variava a seconda della Divinità; talora portavano bende o scettro, come Crise, il sacerdote di Apollo in Omero. Ma queste norme non erano assolute: così il sacerdote di Dioniso vestiva di giallo croco, la Sacerdotessa di Athena a Pellene vestiva la foggia della Dea portando l'armatura e l'elmo.
La funzione principale del sacerdote era soprattutto liturgica cioè relativa all'azione sacrificale; il sacrificio non era giornaliero (salvo che per l'altare di Zeus a Olimpia) ma cadeva nei giorni previsti dal rituale a meno che qualche privato non domandasse a suo profitto una libazione o un sacrificio.
V'erano poi anche mansioni amministrative: se il tempio era piccolo, il sacerdote adempiva da solo a tutte le mansioni di pulizia, ma se i santuari erano grandi vi era una schiera di inservienti; al sacerdote spettava una parte della vittima sacrificata; oltre a questo il sacerdote riceveva doni di focacce, frutta, vino, denaro.
Il sacerdote abitava presso il santuario e godeva l'usufrutto dei beni del medesimo; molti cittadini aspiravano a questa carica per la posizione sociale onorifica e i privilegi che assicurava tra cui il più noto era il posto d'onore nel teatro, nei giochi e nelle assemblee.


Nota di Lunaria: i Greci sono spesso tacciati di misoginia; indubbiamente furono un popolo più misogino (o meglio: sessista) di altri, eppure le Sacerdotesse erano stimate e riverite da tutti, segno che una carriera di prestigio e realizzazione sociale, per alcune donne greche, era possibile. 

I grandi santuari avevano addetti dei corpi di musici, danzatrici, ieroduli, nonché una schiera di ierodule per il servizio della prostituzione sacra per esempio a Corinto. Questo tipo di rapporto sessuale (accoppiamento ierogamico) era un antico rituale che "ricalcava" i rapporti sessuali delle divinità; con l'unione sessuale si pensava di ottenere la fertilità non solo per se stessi, ma anche per la terra. In alcune iscrizioni sumere è menzionata la ierogamia. Dee del sesso erano Inanna, Ishtar e Astarte; anche in Grecia Afrodite aveva un aspetto di prostituta (Afrodite Porne). Questo tipo di riti sacri erano praticati ovunque e vengono condannati dalla bibbia proprio perché rimandavano al culto della Grande Madre e della Donna-Sacerdotessa che era il tramite tra la Grande Dea e l'umanità. Le Ierodule erano considerate "vergini" perché non si sposavano e i "figli di vergine" erano i figli nati dal connubio di queste sacerdotesse con uomini che impersonavano il Dio.

Il termine "figlio di vergine" per gli antichi aveva proprio quel significato e difatti san paolo quando parla di gesù NON dice "gesù, nato da vergine" ma "gesù nato da donna": probabilmente lo stesso Paolo AVEVA ANCORA IN TESTA QUESTO SIMBOLISMO: dire di qualcuno che era "un figlio di vergine" voleva dire "figlio di una Sacerdotessa unitasi con un Sacerdote in un tempio", cosa che avrebbe voluto dire che lo stesso gesù fosse figlio di una Sacerdotessa; per questo motivo Paolo NON PARLA DI VERGINITà DI MARIA, e la chiama semplicemente "donna" ma non "vergine", e men che meno "vergine santa"; il fatto che lo stesso Paolo - che poi di fatto è il tizio che diffuse il cristianesimo - non parli di verginità la dice già lunga, su quello che avesse in testa; fu ben attento a non parlare di "vergine che partorisce" altrimenti l'uditorio dell'epoca avrebbe collegato la cosa ai riti pagani delle prostitute nei templi! In realtà si poté affermare che gesù nacque da una vergine solamente quando la memoria dei riti pagani delle vergini nei templi era ormai tramontata...

La preghiera si faceva in piedi, levando in alto le mani e tenendo in mano una verga cinta di lana oppure un ramoscello d'ulivo. Si piegavano le ginocchia avanti al simulacro del Dio, di cui si abbracciavano i piedi e a cui si gettavano baci.
I sacrifici in Grecia, come dappertutto nell'antichità, si dividevano in due grandi categorie: offerte incruente o doni e immolazioni. I doni erano di vario genere: dalle primizie del raccolto o con sostanze liquide. Le immolazioni entravano nelle occasioni più solenni della vita pubblica o privata perché il sacrificio era creduto il modo più efficace per interessare la divinità. L'offerta più comune era quella delle focacce che potevano avere varie forme e anche di oggetti, diversi a seconda della divinità a cui erano offerti. Alle Divinità Infere si offrivano libazioni di latte e miele; v'erano anche offerte di legumi, frutta, fave, grappoli, rami di olivo e favi di miele presentati dentro dei piatti di argilla con spartizioni interne a forma di incavo per porvi offerte varie: frumento, orzo, ceci lenti, piselli, papaveri (*), lana, miele, vino misto ad acqua, profumi. (**)


(*) I papaveri erano un simbolo molto forte nella vicina Creta: lì si adorava anche "La Dea dei Papaveri", con tre capsule di semi in testa.  https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/creta.html



Perché si faceva gran uso del papavero, a Creta? Non lo sappiamo; forse perché aveva una valenza allucinatoria, per le trance delle Sacerdotesse o forse perché ha una forma vaginale...




(**) Offerti anche oggi alla Dea haitiana Erzulie, che ama molto i profumi.

Quanto ai sacrifici cruenti, gli animali più ordinariamente sacrificati erano buoi, pecore, capre, porci, ma potevano essere anche di altra specie determinata dalla natura del Dio: ad Esculapio si sacrificava il gallo, a Ecate il cane, a Poseidone il cavallo.



Nei primi tempi della civiltà greca non mancarono anche i sacrifici umani (attestati anche presso gli Ebrei: vedi la storia della figlia di Iefte, nota di Lunaria)
Nell'operare il sacrificio il sacerdote vestiva di bianco, talora ornato di porpora e portava in capo una corona di mirto, lauro, olivo, a seconda della Divinità, corona che lo metteva sotto l'usbergo del Dio e lo difendeva dai mali influssi; la corona era una caratteristica così essenziale del sacerdozio greco che prendere o deporre la corona significava assumere o deporre la carica sacerdotale.
Oggetti caratteristici del sacrificio erano un vaso contenente l'acqua lustrale e una cesta che poteva anche essere d'argento che conteneva il tritello d'orzo e una spada o coltello sacrificale. Altri vasi con acqua per aspersioni posavano presso l'altare. Se era alto, era dedicato agli Dei celesti, se era basso, o un tumulo di terra, era dedicato a Divinità ctonie o a defunti. Il sacrificio aveva luogo al mattino. Sull'ara avanti il tempio o nel mezzo del sacro recinto ornato di bende e fiori, stava il sacerdote coronato e biancovestito. L'animale veniva condotto, ma non trascinato a forza (sarebbe stato di cattivo augurio); le corna erano state dorate; prima di essere sacrificato veniva purificato e sacralizzato con una manciata di tritello d'orzo sparsa sulla testa. Il tritello veniva sparso anche nel fuoco e su tutti i partecipanti quale elemento di purificazione ed unificatore nella sfera del sacro. Altro rito purificatorio era quello di immergere un tizzone nell'acqua, che ne rimaneva santificata, e poi spruzzare con quest'acqua la vittima e l'assemblea. Santificata così la vittima, le veniva tagliato un ciuffo di peli sul capo e gettato nel fuoco a simbolo dell'imminente iugulazione. Un araldo domandava: "Chi è presente?"; veniva risposto "molti e buoni"; poi si faceva silenzio e si recitava la preghiera che ricordava lo scopo del rituale.
Le carni dell'animale venivano poi offerte agli Dei e la gran parte era portata a casa di chi aveva finanziato le spese del sacrificio: le carni venivano poi consumate ai banchetti pubblici o privati.
Per le divinità ctonie si procedeva allo stesso modo, di sera, però, e la vittima non era cosparsa di tritello d'orzo ed era tenuta con la testa verso il basso, mentre il sangue scorreva in una piccola fossa che si immaginava in comunicazione col mondo sotterraneo; in questo caso le carni non erano mangiate ma consumate sul fuoco dell'ara. Le viscere venivano esaminate a scopo divinatorio. La lustrazione fu in grandissimo uso presso i Greci ogni volta che dovessero porsi in comunicazione con il Divino o purificarsi da qualche contatto che li avesse ritualmente inquinati; si purificavano prima di entrare nel tempio, prima del sacrificio, prima di pregare, prima di emettere voto; si purificavano luoghi, animali, utensili. Materia della lustrazione era l'acqua, spesso con sale, spruzzata con un ramoscello.


Non esiste per le varie città greche uniformità per quanto riguarda il calendario delle feste che erano in relazione con le vicende delle stagioni o delle ricorrenze storiche-politiche. Tra le tante festività, ricordo soprattutto le Tesmoforie, delle quali riporto questo approfondimento:

Da E. Abbott "Storia della castità"



Le Tesmoforie (della durata di tre giorni, celebrate ad ogni autunno) liberavano le donne dai doveri coniugali, imponendo la castità rituale. Venivano celebrate ad Atene, in onore di Demetra, Dea della coltivazione dei cereali. Le cerimonie erano dirette dalle donne; gli uomini erano tassativamente esclusi. Le celebranti osservavano tre giorni di castità, con uno schieramento di sostegni simbolici che dava alle Tesmoforie un'atmosfera assolutamente unica per le città-Stato greche, regno dei maschi e assai poco caste.
Ad Atene, le Tesmoforie si tenevano sulla collina della Pnice, dove normalmente si riunivano le assemblee dei cittadini (solo maschi) per l'esercizio della democrazia. Il primo giorno, quello dell'Ascesa (anodos), le donne salgono la collina in processione, portando oggetti sacri. Giunte nello spazio aperto chiamato Tesmoforio, costruiscono file di primitive capanne in cui alloggeranno. Per sedersi e dormire useranno giacigli di rami e foglie di salice, albero considerato casto e capace di sedare le pulsioni sessuali. Non portano gioielli, non sono truccate e indossano vesti semplici, senza ricami. Il secondo giorno era quello del Digiuno (Nesteia). Questo giornata di digiuno rievocava contemporaneamente il dolore della Dea che nel mito aveva perso sua figlia, Core, e la fame dei tempi antichi precedenti all'agricoltura. Il terzo giorno era detto "Felice Generazione" o "Bei Germogli"(Kalligeneia) ed era all'insegna della gioia: le donne celebravano la fertilità che avevano accresciuto con la loro temporanea castità. Facevano sacrifici e festeggiavano. Probabilmente era anche il momento in cui le Attingitrici (Antletriai) compivano la loro opera. Mesi prima della festa, queste donne purificate da tre giorni di astinenza dal sesso, avevano seppellito porcellini e modellini di serpenti e di genitali maschili in pasta di pane. In seguito, durante le Tesmoforie, li disseppellivano recuperando i resti decomposti, che venivano collocati sugli altari e poi mescolati con le sementi di grano che venivano ritualmente piantate per favorire la fertilità dei campi nella stagione che stava per cominciare. Le Tesmoforie erano speciali sotto vari aspetti. Vi erano ammesse solo le donne sposate, e non le vergini. Era l'unica festa che richiedeva alle donne sposate di osservare la castità sia nel periodo di preparazione sia durante le cerimonie. Gli uomini erano accuratamente tenuti alla larga dalle donne, che citavano un mito orrorifico in cui le celebranti delle Tesmoforie, grondanti di sangue, castravano a colpi di spada il re Batto, sorpreso a spiarle durante un'antica edizione della festa. Una volta era successo davvero che un uomo, Aristomene di Messenia, si infiltrò arrivando troppo vicino, e le donne lo catturarono usando come armi coltelli sacrificali, spiedi da arrosto e torce. Un'altra particolarità delle Tesmoforie era che tutte le donne che vi partecipavano erano chiamate Melissai, - le api - in ricordo di un episodio del mito di Demetra, che mentre vagava alla ricerca di Core fu ospitata da Melissos, re di Paro o, in un'altra versione, re delle api. I Greci avevano una grande ammirazione per la casta alacrità delle api e per il modo in cui nell'alveare si aborre l'adulterio, punito con l'uccisione dell'adultero, o con la migrazione dell'intero sciame. Durante le Tesmoforie le matrone diventavano Melissai, caste api asessuate e astinenti. Data la condizione di inferiorità e subordinazione delle donne in Grecia, le Tesmoforie erano tre giorni di licenza straordinaria, in cui le donne sposate erano libere di abbandonare il focolare e i lavori di casa per stare assieme tra loro, rendendosi volontariamente non attraenti [...] Le Melissai non erano sorvegliate e non erano rinchiuse, eppure, attraversa l'insolita castità e in comunione con le altre donne, provvedevano a svolgere i riti di fertilità così importanti che gli uomini non avrebbero osato farne a meno [...] Le matrone usavano questa temporanea castità per evadere dalla noia dei lavori domestici, dall'autorità dei mariti; [...] riaffermavano la propria importanza sociale in quanto donne.
Le matrone dell'antica Roma, la cui religione era simile a quella greca, celebravano una festa che ricordava quella delle Tesmoforie, ma durava molto meno. Per trovare un'incursione grecoromana più sostanziosa, e talvolta permanente, nei territori della castità dobbiamo rivolgerci al culto di Iside, una gentile Dea Egizia, che trapiantata nella Roma ellenistica, trovò grande seguito di fedeli, attratti dalla sua competenza negli aspetti spirituali e fisici dell'amore. Iside era solita apparire in sogno alle persone invitandole a celebrare i suoi riti. [...] Iside era una Dea relativamente casta, e alcuni padri della Chiesa come Clemente e Tertulliano elogiano la castità delle sue devote e delle sue sacerdotesse (qui l'Autrice non dice che gli epiteti di Iside furono "presi a prestito" per la madonna cattolica...che risulta essere un'Iside annacquata). Il culto tendeva all'ascetismo, e non ostentava simboli sessuali. I capelli venivano rasati, e le vesti di lino avevano un taglio modesto. Tutto era austero, le processioni rituali, le preghiere e tutto l'apparato liturgico a base d'acqua, incenso e strumenti musicali. Chi partecipava alle cerimonie, doveva astenersi dal sesso. [...] Nei dieci giorni di astinenza, le donne si purificavano ritualmente e dormivano coscienziosamente da sole, tra lenzuola di lino immacolato. [...] Anche a costo di far arrabbiare i loro uomini negandosi per più tempo di quanto qualunque altra divinità richiedesse, in una società che non dava alcun valore alla castità. Era un piccolo segno di indipendenza, e la gentilezza e la bontà della loro casta Dea facevano sì che il sacrificio valesse la pena.  


Un'altra festività interessante era quella nota come le Antesterie (16 febbraio-15 marzo), feste di carattere funerario, che si svolgevano in tre giorni; riporto il rito che si svolgeva il giorno di Choes ("Anfore"), considerato funesto, con chiusura di templi e uso di ramoscelli di biancospino (pianta apotropaica) e di pece sulla porta perché gli spiriti dei morti andavano in giro.
L'atto cultuale più solenne era il matrimonio sacro della moglie dell'arconte-re (Basilinna) con il simulacro ligneo di Dioniso. La Basilinna sceglieva poi 14 matrone dette "Le Venerabili" e faceva loro giurare di trovarsi in condizioni di purità rituale e di non rivelare ad alcuno quanto avrebbero veduto. Compivano cerimonie ai 14 altari del Dio e poi accompagnavano la Basilinna che si recava su di un carro, come una sposa, presso il pritaneo dove rimaneva tutta la notte presso il simulacro del Dio portato anch'esso al medesimo luogo su un carro a forma di barca. Questo matrimonio sacro va interpretato come un rito sacro-magico diretto a provocare la fecondità nella vegetazione e nel bestiame.
Appare evidente qui il significato simbolico: dalla morte e dal lutto (spiriti dei morti, desolazione), si usciva annualmente (fine dell'inverno) ed era proprio la donna (la Basilinna), con il suo corteo, che "traghettava" fuori dal periodo di oscurità invernale, sposandosi al Dio e rinnovando così la fertilità in terra. Durante la festa si onoravano anche Demetra e Core (simbolo della prima vegetazione del frumento e dell'orzo). 




 Anche le Brauronie erano interessanti: dedicate ad Artemide, venerata a Braurone. La festa era quadriennale e alla Dea venivano presentate delle bambine di 5 anni che restavano nel santuario fino ai 10 anni. Erano ritualmente chiamate "orse" e durante la danza sacra indossavano una veste gialla imitante la pelliccia dell'orso. Il rituale era arcaico e ricordava un tempo in cui la Dea era concepita come orso e le persone del suo corteo dovevano imitarne l'aspetto e le movenze. Altra caratteristica era la ferita inferta ad un uomo sulla nuca, avanti all'ara della Dea, residuo di un sacrificio umano.

Nota di Lunaria: una Dea Orsa forse collegata alla prima Artemide è Artio: "Artio è la Dea Celtica della fertilità e degli animali selvatici, soprattutto l'orso, animali sciamanici: il loro letargo, cioè il periodo di ibernazione in inverno, simboleggia il viaggio nell'oscurità, mentre il loro risveglio, in primavera, è il ritorno della luce che reca con sé la sapienza acquistata durante il viaggio"




Un'altra festa che vedeva la partecipazione solo delle donne erano le Schiroforie (16 giugno - 15 luglio); il nome derivava da una specie di ombrello da sole usato dalle donne, uniche partecipanti di questa festa, dedicata a Demetra e Core, insieme ad Athena, che si svolgeva a Schiro, località tra Atene ed Eleusi, sotto la guida di un sacerdote; Schiro era il luogo del primo campo coltivato.
Le Arreforie erano celebrate in onore di Athena ed erano in stretta relazione con le Schiroforie. Due fanciulle di nobile famiglia, che rinunciavano per un anno al servizio della Dea, ricevevano in consegna dalla Sacerdotessa di Atena delle ceste con dentro oggetti misteriosi; recavano sul capo queste ceste, di notte, fino presso al tempio di Afrodite dove li depositavano in un luogo sotterraneo ricevendone altre altrettante misteriose che riportavano al tempio sull'acropoli.

Importantissimi erano i profeti e le Pitonesse che dettavano oracoli scrivendoli anche su lamine di piombo (molte ne sono state trovate a Dodona). In Grecia la forma più antica del responso era in versi, soltanto più tardi si ebbero responsi in prosa.
Gli oracoli funzionavano mediante l'assistenza di una corporazione sacerdotale che manteneva il luogo nella sua efficienza e ne perpetuava la tradizione. In un archivio venivano conservate copie dei responsi. Alcuni oracoli erano così ermetici che era necessario farli interpretare da esegeti specializzati.
Dopo l'oracolo delfico, nessun altro oracolo di Apollo era più insigne di quello di Didima, a 12 km da Mileto, un tempio poi distrutto dai Persiani nel 494 a.c e rifabbricato in maggiori proporzioni. In quel luogo la Pitonessa profetava dopo aver bevuto da una fonte sacra ed essersi assisa sopra una pietra rotonda tenendo in mano una verga.
Presso Acraia in Beozia vi era un oracolo di Apollo che parlava per bocca di un profeta; dopo la distruzione di Tebe l'oracolo tacque e ai tempi di Pausania non esisteva più. In Argo, ai piedi dell'acropoli, vi era un altro oracolo di Apollo. La Profetessa doveva essere vergine e prima di entrare in estasi doveva bere il sangue di una pecora sacrificata. A Patrai l'oracolo di Apollo funzionava solo in inverno: la Sacerdotessa riceveva la rivelazione dal Dio durante la notte.
L'oracolo di Dodona, nell'Epiro, dedicato a Zeus cui era associata come moglie Dione, era fondato dentro un bosco di querce: dallo stormire delle fronde, delle colombe, della fonte sacra, i sacerdoti traevano responsi.


Nota di Lunaria: se ne parla anche qui:



"In Epiro, nella parte nordorientale della Grecia, sorgeva il più antico degli oracoli greci, la Quercia Sacra di Dodona.
Il luogo aveva - e conserva tuttora - un aspetto selvaggio e drammatico. Ai piedi del monte Tamaro, sulle pendici dal quale si ergono ancora vecchissime querce, s'innalzava il santuario di Zeus, che nel IV-V secolo diventò chiesa cristiana e sede episcopale. La zona era famosa per la violenza dei suoi temporali e anche per il freddo che vi regnava. Omero parla di "Dodona dalle male tempeste". A Dodona esisteva una quercia consacrata a Zeus, e in quella quercia c'era un oracolo le cui profetesse erano donne. Quelli che venivano a consultare l'oracolo si avvicinavano alla quercia e l'albero si agitava un po'; poi le donne prendevano la parola e dicevano "Zeus annuncia la tal cosa". Queste Sacerdotesse si chiamavano Peleiadi o Peristere, cioè "le colombe". Erano tre, ci dice Erodoto, la maggiore si chiamava Promenia, "l'anima di prima", la seconda Timarete "la virtù onorata", la più giovane Nicandra "vittoriosa sugli uomini". Interpretavano il fruscio prodotto dal movimento del fogliame (dendromanzia).
Non erano però Sacerdotesse di Zeus, ma di Dione, la Dea sposata da Zeus a Dodona. Presso i Greci, Dione è ricordata solo dagli autori più antichi, che la ritengono pre-ellenica. Appare all'inizio della formazione del mondo. Nel mito pelasgico, Dione è una Titanide che, associata a Titano Crio, regna sul pianeta Marte. Nella Teogonia di Esiodo è figlia di Oceano e Teti. Nel mito orfico, riferito da Platone, Oceano e Teti costituirebbero la coppia primordiale che ha dato origine agli Dei e a tutti gli esseri.
Nel mondo egeo pre-ellenico, Rea, Dea della quercia e delle colombe, con il suo paredro, lo Zeus cretese adolescente, era al centro del culto che si rendeva agli alberi, pratica fondamentale della religione minoica. In Grecia sono esistiti altri alberi oracolari, ma nessuno ha conosciuto una carriera altrettanto lunga di quella della quercia di Dodona. A Page veniva consultato un pioppo nero che, malgrado fosse un albero funebre, era in quel luogo consacrato a Era. Alla Dea dei morti, Persefone, era attribuito, a causa dei pioppi neri, un altro oracolo a Egira, in Acaia. Sul monte Liceo, in Arcadia, per favorire la pioggia, il sacerdote di Zeus immergeva un ramo staccato da uno di questi alberi in una sorgente che doveva trovarsi ai suoi piedi: occasionalmente Zeus era quindi considerato il dio del temporale e della pioggia fecondatrice.
In periodo precristiano il culto della quercia era diffuso in tutta Europea. Esso era talmente radicato nei costumi di certi popoli che presso di loro sopravvisse a lungo alla conversione al cristianesimo. Plinio nella "Storia naturale" ci ha lasciato delle descrizioni delle immense foreste di querce della Germania, che meravigliarono i Romani, che vi entrarono con una specie di terrore sacro. "Querce di enormi dimensioni, lasciate intatte dal trascorrere del tempo e originate insieme col mondo" (Tacito)
I Germani veneravano nelle querce i divini antenati. Il Frassino era dedicato a Odino, la quercia a Donar-Thor. La quercia che nell'ottavo secolo fu abbattuto da san Bonifacio era consacrata a Donar, un Dio legato ai fenomeni atmosferici (tuono, lampo, vento, pioggia) A Perkunas, il Dio Lituano del tuono, erano consacrate le querce e venivano tenuti accesi i fuochi perpetui (esattamente come per Perun, Dio del tuono slavo). I Lettoni adoravano Perkun, Dio della folgore e la quercia a lui consacrata era "la quercia d'oro". Anche a Taara, Dio del tuono estone, il Padre del Cielo, era consacrata la quercia. Anche in Gallia esistevano, secondo Plauto, querce oracolari e secondo Lucano, mangiare ghiande era ritenuto una pratica divinatoria.
Del resto, insieme alla quercia era adorato il vischio, ritenuto il seme onnipotente del Dio. I cristiani assimilarono il culto del vischio "accettando" che nella notte di San Silvestro ci si baci o scambi gli auguri sotto un rametto di vischio.
"Come nel freddo brumale fra la boscaglia usa il vischio frondeggiare diverso, ché non sua pianta lo semina, e di ghirlande giallastro circonda i tronchi rotondi, così si vedeva quell'oro frondeggiare fra l'elce ombroso, così con le brattee leggere sussurrava nel vento", così è celebrato il vischio da Virgilio nell'Eneide.
Beaujeu osserva: "La mitologia del vischio, molto scarsa in Italia, era abbondante nei paesi celtici e germanici; al vischio si attribuiva un potere magico: permetteva di aprire il mondo sotterraneo, allontanava i demoni, conferiva l'immortalità"


Altro approfondimento tratto da



La Quercia, essendo un albero molto diffuso, ha dato origine a leggende presso molti popoli europei, dai Celti ai Romani, dagli Anglosassoni, ai Normanni, continuando ad alimentarle attraverso l'intero Medioevo fino ai nostri giorni. Era uno dei "sette alberi nobili", della tradizione irlandese, e la sua distruzione si ritorceva su colui il quale se ne era reso colpevole con malattie, morìe di bestiame, rovesci economici. Quando san Columcille edificò una chiesa in Irlanda, dopo aver incendiato una quercia per far posto alla costruzione, incorse nelle ire del re, il quale considerò addirittura l'abbattimento della pianta alla stregua di un omicidio.
Il sant'uomo potè proseguire il lavoro, ma dovette impegnarsi a non toccare più alcuna quercia. I primi norvegesi invasori delle terre britanniche introdussero la credenza secondo cui la quercia era l'albero del fulmine e perciò sacra a Thor, aggiungendo che essa offriva protezione ai viandanti durante i temporali. Può sembrare un controsenso, ma la doppia credenza è spiegabile per il fatto che le querce sono frequentemente colpite dal "fuoco celeste" e per il detto secondo cui "il fulmine non cade mai nello stesso posto". Di qui l'usanza ancor viva tra certi contadini, di tagliare un pezzo di tronco colpito appunto dal fulmine e di appenderlo sulla porta di casa proprio come "parafulmine magico". La Quercia venne anche considerata un'eccellente difesa contro le streghe, tanto che persino san Bedra, il medico inglese dottore della Chiesa, famoso erudito, narrava che sant'Agostino da Canterbury era uso pregare sotto le fronde di questo albero da quando re Etelberto (un sovrano del Kent, che favorì l'introduzione del cristianesimo nel suo regno) glielo aveva raccomandato per evitare l'azione di sortilegi. Il culto della quercia venne infine proibito dalla chiesa cristiana. Fu sempre tollerato, tuttavia, l'uso di danzare tre volte attorno all'albero dopo un matrimonio religioso, per invocare la buona sorte sugli sposi. Dopo questa cerimonia si usava offrire una bevanda a base di ghiande tritate e bollite. Contro la tonsillite si usa portare al collo una coroncina di 9 o 13 ghiande che simboleggiano le tonsille infiammate. Staccatene una ogni giorno e buttatela lontano da voi: gettata l'ultima, dovreste essere guariti. Se non accade, ricominciate con la cura, ma bruciate le ghiande. Se è un maleficio, arrostite le ghiande, scoprirete la persona che ha lanciato l'incantesimo, perché sarà colpita da una forte raucedine. 
Perché, tra i tanti sempreverdi, proprio l'agrifoglio e il vischio accompagnano le feste natalizie? La leggenda nordica che ce ne narra l'origine non è molto allegra. Baldur, figlio di Odino, venne ucciso da un suo nemico, Loki, appunto con una freccia tratta da un ramo di vischio. Odino maledisse la pianta, ma la moglie del Dio, piangendo la morte di Baldur, vi fece cadere alcune lacrime, che diventarono perle: così il vischio fu rivalutato, anche se fu allontanato dai templi in favore dell'agrifoglio, il cespuglio accanto al quale era spirato Baldur, reso da Odino sempreverde e dotato di bacche rosse, in ricordo del sangue sparso dal figlio. L'agrifoglio venne subito ammesso nelle chiese cristiane, mentre al vischio ne fu a lungo vietato l'accesso, dato l'uso fattone dalle religioni pagane, che lo avevano rivestito di tanti significati magici. Poiché ciò sia avvenuto, resta un mistero, anche se numerose leggende circondano questo sempreverde. Il vischio è una pianticella parassita di diversi alberi, con foglie verdi e dure e frutti a bacca bianchi. In genere, però, il mito si riferisce al vischio quercino, parassita delle querce che ha foglie più piccole di quello comune. Vischio e querce erano sacri ai druidi, gli antichi sacerdoti celtici, e sacro era il rituale con cui, durante il solstizio d'inverno, i rametti venivano staccati dall'albero: l'operazione veniva effettuata con un falcetto d'oro, e il vischio, per non perdere i suoi poteri occulti, non doveva toccare il suolo, ma essere raccolto in un panno di lino. Plinio ci spiega questo complesso procedimento dicendoci come i druidi ritenessero così di "evirare la quercia". La credenza ci porta alla magia similitudinaria: il liquido appiccicoso del vischio era forse paragonato a quello spermatico, per cui la pianticella era ritenuta apportatrice di fertilità. Curioso è il fatto che tale credenza non sia propria soltanto dell'Europa celtica: la troviamo pure presso gli Ainu dell'antico Giappone, dove anche il rituale per cogliere il vischio era pressapoco uguale a quello dei druidi. "Molti credono ancora oggi che questa pianta abbia il potere di far fruttificare i giardini", ci dice Frazer. "E si sa che qualche donna sterile mangia vischio per avere prole." Anche in molte regioni africane, la pianticella è considerata sacra, apportatrice d'incolumità, tanto che i guerrieri Valo, andando in guerra, ne portavano addosso le foglie per assicurarsi l'invulnerabilità. In Europa troviamo altre credenze: i contadini di molti paesi (compresi alcuni italiani) ritenevano il vischio capace di domare gli incendi, per cui ne appendevano i rami sui tetti delle case.
In Boemia lo si chiamava "scopa del tuono" poichè lo si considerava in grado di allontanare i fulmini. Il vischio è stato usato anche in campo terapeutico: nella Francia meridionale lo si applicava sull'addome dei sofferenti di colite, in Svezia e in Inghilterra lo si pensava atto a preservare dagli attacchi epilettici, mentre in alcune regioni tedesche lo si mette tuttora al collo dei bambini per immunizzarli dalle malattie. Tali credenze - ci dice Frazer - sono forse dovute al fatto che gli uomini di ogni tempo e luogo hanno visto qualcosa di soprannaturale in questa pianta che cresce e prospera senza affondare le radici nella terra. Non sappiamo se la spiegazione sia davvero questa: sta di fatto che la chiesa ha cercato a lungo e inutilmente di far dimenticare i poteri magici del vischio, vedendosi infine costretta ad accettarne l'uso e a inserirlo nella tradizione cristiana. Alla pianticella (come all'agrifoglio) è stato così attribuito il generico simbolo di pace e serenità.


Altro stralcio, preso da "La Dea Bianca" 

"Eracle era anche connesso al culto del Fallo e al rito dell'Evirazione: "Il mito dell'evirazione di Urano ad opera del figlio di Crono [...] Il significato originario è quello dell'eliminazione annuale del vecchio re della quercia da parte del suo successore [...] La cerimonia druidica del taglio del vischio della quercia rappresentava l'evirazione del vecchio re da parte del suo successore essendo il vischio un simbolo eminentemente fallico. Dopo la castrazione il re veniva mangiato eucaristicamente".

Anche la ghianda è un simbolo fallico, così come il fungo.

Infine, una breve citazione anche per la Pizia!

Dopo essersi purificata alla fonte Cassotide e aver fatto fumigazioni di lauro e farina d'orzo, scendeva nel sotterraneo del tempio, dove era conservato l'onfalo (1) e qui saliva sul tripode, entrava in trance e profetava. 
Le sue parole inarticolate erano interpretate dal sacerdozio.
La differenza tra la Pizia e la Sibilla (invasata da Apollo) consisteva nel fatto che la Pizia aveva una manifestazione più controllata nel modo e negli effetti dell'oracolo,




mentre la Sibilla godeva di una maggiore libertà di ispirazione personale, non legata né al sacerdozio né al santuario. La Sibilla profetizzava spesso sventure, e l'immagine famosa che abbiamo è quella di Cassandra.



Su Cassandra c'è un romanzo, di Marion Zimmer Bradley, "La Torcia" (1987), dedicato proprio alla celebre Profetessa destinata a non essere mai creduta.



La Sibilla era legata alle fonti sacre e agli antri; Varrone fissa a 10 il numero delle Sibille, localizzandole come Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina, distribuite in tre gruppi: greco-ionico, grecoitalico, orientale.

Eraclito così sintetizzava i caratteri della Sibilla: "La Sibilla con bocca invasata pronunzia cose tristi, senza ornamento né profumi e attraversa con la sua voce migliaia di anni per opera del Nume."
E ora venitemi a dire se i cristiani abbiano mai riconosciuto alle donne questo carattere di eccezionale sapienza, tanto nel predire cose fauste, tanto nel predire cose infauste!!! Venitemi a dire se nella società cristiana si è mai riconosciuto un così alto ruolo mistico, profetico, sapienziale alla donna!!!
Perché Sibilla e Pizia non solo predicevano il futuro, la buona sorte e quella cattiva; ma davano spesso anche consigli e soluzioni: erano la bocca stessa della Sapienza.








(1) Onfalo: Il centro rilevato di uno scudo o patera, per estensione, il centro della terra immaginato in un certo luogo per fare onore ad un santuario o ad una città.




A Delfi, il centro era segnato da una pietra cilindrica terminata a forma ovoidale. Questa pietra, simile ad una pietra tombale, ricordava anche la tomba del serpente Pitone vinto da Apollo, cioè la prima fase religiosa di Delfi, quando il santuario era dedicato a Gea; l'onfalo era raffigurato coperto da bende disposte a rete; talora era fiancheggiato da aquile o colombe. Era il simbolo dell'oracolo delfico e perciò su esso si rappresentava Apollo seduto, vero signore del luogo.
L'oracolo delfico ebbe grandi meriti nella storia politica e religiosa della Grecia e i Greci lo consultavano ogni volta che si trattava di intraprendere imprese e progetti.




APPROFONDIMENTO:

Info tratte



La capra era un animale legato alla Dea, simbolo di fertilità e rigenerazione, e vivendo negli antri della roccia e in montagna, venne associato alla Sibilla Cimmeria, che dava i suoi responsi nelle cavità delle rocce da dove sgorgava l'acqua (sul Monte Barbaro); oltre alla Sibilla Cumana e Cimmeria erano presenti, in tutto il territorio campano, anche altre Sibille su monti considerati sacri (Montevergine), oggi tappa dei pellegrinaggi mariani (un tempo avevano ospitato vere Dee come Iside, Demetra, Diana, Cibele)
Le Sibille erano legate al canto, a profezie di tipo sciamanico.
Nel "De Mirabilibus Auscultantionibus" dello Pseudo-Aristotele (III sec. a.C) si citava la stanza sotterranea della Sibilla presso Cuma: "era Eritrea, benché chiamata Cumana da alcuni abitanti d'Italia e da altri Melancraera, Testa Nera"; la Cumana venne chiamata anche Amaltea, che è il nome della capra che allattò Zeus; dal suo corno, riempito di fiori e frutta, derivò la cornucopia; Amaltea è quindi una Dea Capra dell'abbondanza e dell'età dell'oro e formava una trinità lunare: Amaltea era la vergine madre buona, Io "Colei cui non si sfugge" era la Madre Terribile sotto forma di vacca della Luna e Adrastea era l'oracolo dell'autunno\morte.

Anche sui Monti Sibillini i vecchi ricordano le sibille, che urlavano e preparavano unguenti nauseabondi.
"Le streghe s'incontravano a croce strada (crocevie delle strade) si sentiva nà puzza de petrolio!"
Si credeva che potessero trasformarsi in maiali e che avessero mangiato le dita ad un bambino.

APPROFONDIMENTI: LA DONNA E LA FEMMINILITà IN MIRCEA ELIADE E BERTRAND RUSSELL.


Uno stralcio tratto da Mircea Eliade "Trattato di Storia delle Religioni"

Quelli che potremmo chiamare «i misteri della donna» sono stati poco studiati, sicché siamo ancora male informati sul contenuto delle iniziazioni femminili. Tuttavia esistono sorprendenti somiglianze tra le due categorie di misteri, rispettivamente maschili e femminili. Ai riti di passaggio da una classe d'età all'altra corrisponde la segregazione delle fanciulle per la prima mestruazione; alle società di uomini ("Männerbünde") corrispondono le società di donne ("Weiberbünde"); infine, i riti iniziatici costitutivi delle confraternite maschili si ritrovano nei misteri esclusivamente femminili. Evidentemente queste corrispondenze sono di ordine generale, non bisogna aspettarsi di ritrovare nei riti iniziatici e nei misteri riservati alle donne lo stesso simbolismo o, più esattamente, espressioni simboliche identiche a quelle che abbiamo appena analizzato nelle iniziazioni e nelle confraternite maschili. Esiste tuttavia un elemento comune: un'esperienza religiosa profonda è sempre alla base di tutti questi riti e misteri. L'ACCESSO ALLA SACRALITA', - quella sacralità che si manifesta appunto nella condizione di donna - costituisce il punto focale sia dei riti iniziatici puberali sia delle società segrete femminili.
L'iniziazione comincia con la prima mestruazione. Questo sintomo fisiologico esige una rottura, il distacco della fanciulla dal suo mondo familiare, l'isolamento e la separazione immediati dalla comunità. Non dobbiamo occuparci ora dei miti invocati dagli autoctoni per spiegare a un tempo la comparsa del primo sangue mestruale e il suo carattere malefico. Possiamo anche ignorare le teorie elaborate dagli etnologi e dai sociologi moderni per giustificare questo strano comportamento. Ci basta ricordare che la segregazione avviene immediatamente, in una capanna speciale, nella boscaglia o in un angolo buio dell'abitazione, e che la giovane mestruata deve conservare una posizione particolare, abbastanza scomoda, e deve evitare di esporsi al sole o di essere toccata da una qualsiasi persona. Indossa una veste speciale, o un segno, un colore che le è in qualche modo riservato, e deve nutrirsi di alimenti crudi. Ci colpiscono subito alcuni particolari: la segregazione e la reclusione nell'ombra, in una capanna buia, nella boscaglia. 
E questo ci richiama il simbolismo della morte iniziatica degli adolescenti isolati nella foresta, chiusi in capanne. Con la sola differenza che, per le fanciulle, la segregazione avviene immediatamente dopo la prima mestruazione, quindi è individuale, mentre per i maschi l'iniziazione avviene in gruppo. Ma la differenza si basa sull'aspetto fisiologico della fine dell'infanzia, che nelle fanciulle è evidente. Il carattere individuale della segregazione, che avviene man mano che compaiono i segni mestruali, spiega il numero abbastanza ridotto di riti iniziatici femminili. Tuttavia esistono, sia in Australia presso gli Aranda, sia in molte regioni dell'Africa. Non bisogna però dimenticare una circostanza: la durata della segregazione varia da una cultura all'altra: da tre giorni (come in India), a venti mesi (Nuova Irlanda), o anche parecchi anni (Cambogia). Sicché le fanciulle finiscono col costituire un gruppo, e allora la loro iniziazione viene effettuata collettivamente da anziane donne istruttrici. Come dicevamo prima, si conosce pochissimo sull'iniziazione delle fanciulle. Si sa però che ricevono un'educazione abbastanza completa, che verte tanto su alcune tradizioni della tribù (come presso i Basuto) quanto sui segreti della sessualità. Il periodo di iniziazione termina con una danza collettiva (si trova già questa usanza presso i cosiddetti "Pflanzenvölker", i popoli dello stadio culturale della raccolta); in molte regioni le giovani iniziate vengono presentate e festeggiate pubblicamente, oppure visitano in corteo le case per ricevere doni. Esistono anche altri segni esteriori per indicare la fine dell'iniziazione, come, per esempio, i tatuaggi o l'annerimento dei denti. Non riteniamo opportuno di studiare più in particolare i riti e i costumi delle fanciulle iniziate. Ricordiamo tuttavia l'importanza rituale di alcuni lavori femminili che vengono insegnati alle neofite durante il periodo di reclusione, in primo luogo la filatura e la tessitura, il cui simbolismo ha una parte essenziale in numerose cosmologie. 
La luna fila il tempo, «tesse» le esistenze umane, e le Dee del destino sono filatrici. (Nota di Lunaria: il collegamento con le Parche e le Norne è evidente) Creazione o ricreazione del mondo, filatura del tempo e del destino, da una parte; lavoro notturno, lavoro femminile che deve essere eseguito lontano dalla luce solare e in segreto, quasi di nascosto, dall'altra: si intuisce la stretta connessione occulta che esiste tra questi due ordini di realtà mistiche. In certi luoghi (per esempio, in Giappone) è ancora rintracciabile il ricordo mitologico di una tensione permanente, anzi di un conflitto, tra le società segrete delle fanciulle e le società maschili, i "Männerbünde". Gli uomini e i loro dèi aggrediscono nottetempo le filatrici, distruggono la loro opera e spezzano le spole e gli strumenti di tessitura. In altre regioni è durante la reclusione iniziatica che le donne anziane insegnano, con l'arte della filatura, le danze e le canzoni rituali femminili, perlopiù erotiche e anche oscene. Anche dopo la reclusione le fanciulle continuano a ritrovarsi nella casa di una donna anziana per filare assieme. Bisogna insistere sul carattere rituale di questo lavoro femminile: la filatura è molto pericolosa, perciò si può praticare soltanto in case speciali e soltanto in certi periodi e fino a certe ore; in alcune regioni la filatura è stata abbandonata o addirittura completamente dimenticata a causa della sua pericolosità magica. Credenze simili persistono tuttora in Europa (cfr. Perchta, Holda, Frau Holle, eccetera). In una parola, esiste una connessione segreta tra le iniziazioni femminili, la filatura e la sessualità. Le fanciulle godono di una certa libertà prenuziale e gli incontri con i maschi avvengono nella casa dove si riuniscono a filare. L'usanza era attestata in Russia ancora all'inizio del secolo Ventesimo. E' sorprendente che nelle culture stesse dove la verginità è tenuta in alta considerazione gli incontri tra le fanciulle e i giovani siano non soltanto tollerati ma incoraggiati dai parenti. Secondo gli osservatori occidentali - e, in Europa, soprattutto secondo il clero - tali usanze denotano una licenza di costumi. No, la morale è estranea. Esse si ricollegano a un fatto molto più importante perché essenziale alla vita: la ricerca di un grande segreto, la rivelazione della sacralità femminile, dove si toccano le fonti della vita e della fecondità. Le libertà prenuziali delle fanciulle non sono di ordine erotico, ma di natura rituale: costituiscono i frammenti di un mistero dimenticato, e non divertimenti profani. Non si può spiegare diversamente il fatto che in società in cui il pudore e la castità sono di rigore le fanciulle e le donne si comportino durante certi intervalli sacri, e soprattutto in occasione di matrimoni, in un modo che ha fortemente scosso gli osservatori. Un solo esempio: quando in Ucraina le donne sollevano le gonne fino alla cintura per saltare attraverso il fuoco si dice che «bruciano i capelli della sposa». Il capovolgimento totale del comportamento - dalla modestia all'esibizione - ha uno scopo rituale e interessa di conseguenza l'intera comunità. Il carattere orgiastico di questo mistero femminile si fonda sulla necessità di abolire periodicamente le norme che reggono l'esistenza profana, in altri termini, sulla necessità di sospendere la legge che grava come un peso morto sulle usanze e di restaurare lo stato di assoluta spontaneità. 
In certe regioni l'iniziazione femminile comprende molti gradi. Presso i Yao, per esempio, l'iniziazione comincia con la prima mestruazione, si ripete e si approfondisce durante la prima gravidanza e si completa soltanto dopo la nascita del primo figlio. Il mistero del parto, cioè la scoperta da parte della donna di essere creatrice sul piano della vita, costituisce un'esperienza religiosa intraducibile in termini di esperienza maschile. Si comprende allora perché il parto abbia dato origine a riti segreti femminili che talvolta si compongono in una vera compagine misterica. Tracce di simili misteri si sono conservate anche in Europa. Nel nord dello Schleswig, alla notizia della nascita di un bimbo le donne del villaggio si comportavano come folli: si dirigevano verso la casa della puerpera danzando e gridando; se incontravano uomini, strappavano loro i capelli e li coprivano con sterco equino; se incontravano un carro, lo riducevano in pezzi e mettevano in libertà il cavallo (si intuisce qui la reazione femminile contro il lavoro degli uomini). Quando tutte le donne erano riunite nella casa della puerpera cominciava una corsa frenetica attraverso il villaggio: le donne correvano in gruppo, come Menadi, urlando, lanciando grida di «evviva», ed entrando nelle case prendevano tutto il cibo e tutte le bevande che desideravano, e se incontravano degli uomini li costringevano a danzare. E' molto probabile che in antico certi rituali segreti si svolgessero nella casa della puerpera. 
Secondo un'informazione del secolo Tredicesimo, in Danimarca esisteva questa usanza: le donne si riunivano in casa della puerpera e, cantando e urlando, confezionavano un fantoccio di paglia che chiamavano il Bue. Due donne lo prendevano in mezzo e danzavano con lui in atteggiamento lascivo, e alla fine gridavano: «Canta per il Bue». Allora un'altra donna cominciava a cantare con voce bassa e rauca e con parole orrende. Ma la notizia, riferita da un monaco, non ci dice altro. E' molto probabile che il rituale fosse più complesso e il dialogo con il Bue avesse un senso di «mistero».

Società segrete femminili

Le riunioni segrete delle donne sono sempre in relazione con il mistero della nascita e della fecondità. Nelle isole Trobriand, quando le donne piantano i giardini hanno il diritto di assalire e di far ruzzolare ogni uomo che si avvicina troppo al loro lavoro. Parecchi tipi di confraternite segrete di donne sono tuttora vivi; i loro riti includono sempre un simbolismo della fertilità. Ecco, per esempio, alcuni particolari che riguardano la società segreta delle donne dei Mordvini. Gli uomini, le fanciulle non maritate e i bambini ne sono rigorosamente esclusi. L'insegna della confraternita è un bastone con testa di cavallo e le donne che l'accompagnano sono dette «cavalli». Questi cavallucci portano al collo una borsa piena di miglio e ornata di strisce; la borsa rappresenta il ventre del cavallo; si aggiungono delle piccole palle per simboleggiare i testicoli. Ogni anno si svolge il banchetto rituale della confraternita nella casa di una donna anziana. Entrando, le giovani spose vengono colpite per tre volte con una frusta dalle anziane che gridano loro: «Deponi un uovo»; e le giovani spose tolgono dal corsetto un uovo cotto. Il banchetto, a cui ciascun membro della confraternita deve contribuire con cibi bevande e danaro, diventa molto presto orgiastico. Al cadere della notte la metà della confraternita fa visita all'altra metà (infatti ogni villaggio è diviso in due parti) formando un corteo carnascialesco: vecchie donne ebbre cavalcano i suddetti cavallucci e cantano canzoni erotiche. Quando le due metà della confraternita si riuniscono, la confusione è indescrivibile. Gli uomini non osano uscire nelle strade. Se lo facessero, sarebbero assaliti dalle donne, denudati e percossi brutalmente, e dovrebbero pagare una ammenda per riavere la libertà. Possiamo avere alcuni particolari sulle iniziazioni nelle società segrete femminili osservando più da vicino alcune confraternite africane. Gli specialisti si sono presi cura di avvertirci che questi riti segreti sono molto mal conosciuti, tuttavia è possibile intravedere il loro carattere generale. Ecco quello che sappiamo sulla società Lisimbu presso i Kuta del nord (Okondja). Gran parte della cerimonia si svolge presso un fiume o anche nel fiume, sicché è importante sottolineare fin d'ora il simbolismo acquatico presente in quasi tutte le società segrete di questa regione dell'Africa. Appunto sul fiume viene costruita una capanna di rami e di foglie. «Ha un'unica entrata e la sommità del tetto è appena a un metro dalla superficie dell'acqua». «Le candidate, di età che varia dai dodici ai trentadue anni, vengono condotte sulla riva. Ciascuna è sotto la sorveglianza di un'iniziata, che si chiama la "madre". Avanzano insieme camminando nell'acqua, curve, soltanto con la testa e le spalle fuori dall'acqua. Il loro viso è dipinto di "pembe" e tengono in bocca una foglia (...) La processione discende il fiume. Arrivate vicino alla capanna si drizzano bruscamente e si precipitano nell'apertura. Entrate nella capanna, si svestono completamente e si precipitano di nuovo fuori. Curve, si mettono in semicerchio davanti all'apertura della capanna ed eseguono "la danza della pesca"». Una delle «madri» esce poi dal fiume, si denuda il sesso ed esegue una danza fra le più lubriche. Quando ha terminato, un'altra prende il suo posto.» Dopo questa danza le candidate devono entrare nella capanna, dove avviene la loro prima iniziazione. Le «madri» le denudano, «ne immergono la testa nell'acqua fino al soffocamento» e sfregano il loro corpo con foglie ruvide. L'iniziazione prosegue nel villaggio: la «madre» batte sua «figlia», le tiene la testa vicino a un fuoco in cui è stata gettata una manciata di pepe, infine la prende per le braccia, la fa danzare e poi passare tra le sue gambe. La cerimonia comprende anche un certo numero di danze, tra cui una che simboleggia l'atto sessuale. Due mesi dopo avviene una nuova iniziazione, sempre sulla sponda del fiume. Nella capanna, le neofite subiscono le stesse prove e, sul fiume, vengono tagliati loro i capelli in tondo, segno distintivo della confraternita. Prima di ritornare al villaggio la presidente rompe un uovo sul tetto della capanna «per assicurare ai cacciatori la cattura di un'abbondante selvaggina». Ritornate al villaggio, ogni «madre» sfrega il corpo della propria «figlia» con il "koula", divide una banana in due, ne dà un pezzo alla «figlia», trattiene l'altro, e tutt'e due mangiano insieme il frutto. Poi la «figlia» si curva e passa tra le gambe della «madre». Dopo alcune danze, di cui alcune simboleggiano l'unione sessuale, le candidate sono considerate iniziate. «Si crede che le cerimonie del mistero Lisimbu abbiano un'influenza favorevole su tutta la vita del villaggio: le piantagioni produrranno, le spedizioni di caccia e di pesca saranno fruttuose, epidemie e liti saranno allontanate dagli abitanti». Non insisteremo sul simbolismo del mistero Lisimbu. Ricordiamo soltanto questo: le cerimonie iniziatiche avvengono nel fiume; l'acqua simboleggia il caos e la capanna rappresenta la creazione cosmica. Penetrare nelle acque significa restaurare lo stadio precosmico, il non-essere. Si rinasce poi passando tra le gambe della «madre», cioè si nasce a una nuova esistenza spirituale. I motivi della cosmogonia, della sessualità, della nuova nascita, della fecondità e della fortuna sono inseparabili. In altre società segrete femminili della stessa regione africana certe caratteristiche iniziatiche dei rituali sono ancora più marcate. Nel Gabon esistono le associazioni chiamate Nyembe o Ndyembe, che pure celebrano le loro cerimonie segrete vicino a un corso d'acqua. Tra le prove iniziatiche annotiamo queste: un fuoco deve bruciare continuamente, e per ravvivarlo le novizie devono andare sole nella foresta, spesso durante la notte o il temporale, per cercare legna. Un'altra prova consiste nel fissare il pieno sole mentre si canta una canzone. Infine le novizie devono introdurre le mani in cunicoli per estrarre serpenti che portano poi al villaggio arrotolati attorno alle braccia. Durante l'iniziazione le donne che sono già membri della confraternita danzano nude e cantano canzoni oscene. Ma vi è anche un rituale di morte e di risurrezione iniziatiche, che si svolge nell'ultimo atto del mistero: la danza del leopardo. Questa danza viene eseguita in coppia da quelle che dirigono: una rappresenta il leopardo, l'altra rappresenta la madre. Attorno a questa sono raccolte dodici fanciulle che vengono assalite e «uccise» dal leopardo. Ma la madre assale a sua volta il leopardo e lo uccide. Si suppone che la morte della belva permetta alle giovani di essere liberate dal suo ventre. Alcuni tratti particolari emergono da tutto ciò che abbiamo appena detto. Colpisce il carattere iniziatico di questi "Weiberbünde" e di queste confraternite segrete femminili. Per parteciparvi bisogna aver superato una prova; questa non è di ordine fisiologico (prima mestruazione o prima nascita), ma di ordine iniziatico, cioè impegna l'essere totale della fanciulla o della giovane sposa. L'iniziazione avviene in un contesto cosmico. Abbiamo appena visto l'importanza rituale della foresta, dell'acqua, delle tenebre e della notte. La donna riceve la rivelazione di una realtà che la trascende anche se ne fa parte. Non è il fenomeno naturale della nascita a costituire il mistero: è invece la rivelazione della sacralità femminile, cioè della solidarietà mistica tra la vita, la donna, la natura, la divinità. Questa rivelazione è di ordine transpersonale: proprio per questo si esprime in simboli e si attualizza in riti. La giovane o la donna iniziata prende coscienza di una sacralità che emerge dal più profondo del suo essere, e questa coscienza - per quanto oscura possa essere - è un'esperienza dei simboli. Proprio «realizzando», «vivendo» questa sacralità, la donna trova il significato spirituale della sua esistenza; sente che la vita è REALE e SANTIFICATA, che non è una serie infinita di automatismi psico-fisiologici ciechi, inutili e, infine, assurdi. Anche per le donne l'iniziazione equivale a una rottura di livello, al passaggio da un modo d'essere a un altro: la fanciulla viene brutalmente separata dal mondo profano, subisce una trasformazione di natura spirituale che, come ogni trasformazione, implica un'esperienza della morte. Abbiamo appena visto come le prove delle fanciulle assomiglino alle prove che simboleggiano la morte iniziatica. Ma si tratta sempre di UNA MORTE A QUALCHE COSA CHE DEVE ESSERE SUPERATA, e non di una morte nel senso moderno e desacralizzato del termine. Si muore per trasformarsi e accedere a un livello più elevato di esistenza. Nel caso delle fanciulle, si muore all'indistinto e all'amorfo dell'infanzia per rinascere alla personalità e alla fecondità. Come nel caso degli uomini, ci troviamo di fronte a molteplici forme di associazioni femminili in cui il segreto e il mistero aumentano progressivamente. Vi è in primo luogo l'iniziazione generale attraverso cui passa ogni fanciulla e ogni giovane sposa e che sfocia nell'istituzione di società segrete di donne ("Weiberbünde"). Vi sono poi le associazioni misteriche femminili, come in Africa, oppure, nell'antichità, i gruppi chiusi delle Menadi. Sappiamo che simili confraternite misteriche femminili sono scomparse molto lentamente. Ricordiamo le streghe del Medioevo europeo, le loro riunioni rituali, le loro «orge». Anche se perlopiù i processi per stregoneria sono stati ispirati da pregiudizi teologici, anche se sarebbe spesso necessario distinguere tra le vere tradizioni magico-religiose rurali, che hanno le loro radici nella preistoria, e le psicosi collettive, che hanno un carattere molto complesso, è tuttavia probabile che le «orge» delle streghe siano esistite: non nel senso che attribuivano loro le autorità ecclesiastiche, ma nel senso originario e autentico di riunioni segrete che includevano riti orgiastici, cioè cerimonie che traevano origine dal mistero della fecondità. Le streghe, proprio come gli sciamani e i mistici delle altre società primitive, non facevano che concentrare, esasperare, approfondire l'esperienza religiosa rivelata durante la loro iniziazione. Proprio come gli sciamani, le streghe erano segnate da una vocazione mistica che le spingeva a vivere la rivelazione dei misteri più profondamente delle altre donne.

BERTRAND RUSSELL: STRALCI SULLA LUNA, DONNA E MATRIMONIO

Per definire una società, antica o moderna che sia, abbiano due elementi importanti e connessi tra loro: l'uno è il sistema economico, l'altro il sistema familiare. Due scuole, oggi, orientano il pensiero moderno: l'una ha un'origine economica, l'altra fa risalre tutto alla famiglia e al sesso; Marx e Freud. Personalmente, io non aderisco a nessuna delle due scuole, poiché economia e sesso non mi paiono avere alcuna precedenza l'uno sull'altra come causa determinante. Senza dubbio la rivoluzione industriale ha avuto e avrà una profonda influenza sui costumi sessuali, ma, per converso, la virtù sessuale dei puritani fu psicologicamente necessaria come causa parziale della rivoluzione industriale.

Non vi è paese al mondo in cui l'etica e le norme sessuali siano state determinate da considerazioni logiche, eccettuato nella Russia sovietica. Non voglio dire che le norme in Russia Sovietica siano perfette; dico soltanto che esse non sono il portato di una superstizione e di una tradizione come, almeno in parte, le istituzioni di tutti gli altri paesi in ogni epoca. Il problema di stabilire quale sia l'etica sessuale migliore dal punto di vista della felicità e del benessere generale è arduo e la risposta varia secondo le circostanze: sarà assai diversa per una società industrialmente progredita da quella che potrebbe essere in un regime agricolo primitivo; sarà diversa per i paesi dove scienza medica e igiene hanno portato un reale abbassamento dell'indice di mortalità e per i paesi dove malattie e pestilenze distruggono una larga parte della popolazione in giovane età. 

Una morale sessuale determina effetti di specie svariatissime: personale, coniugale, famigliare, nazionale, internazionale.  

L'origine prima di certi costumi sessuali esistenti nelle civiltà occidentali sin dalle epoche precristiane, fu quella di assicurare quel grado di virtù femminile senza il quale la famiglia patriarcale diventa impossibile, poiché la paternità è incerta. 

I costumi matrimoniali sono sempre stati una mescolanza di tre fattori che chiameremo, tanto per intenderci, istintivo, economico, religioso. 
Dato che tutte le civiltà moderne sono basate sulla famiglia patriarcale e che l'intero concetto della virtù femminile è stato costruito in funzione di questa famiglia, è importante esaminare da quali istinti naturali nasca il sentimento della paternità. 
Il sentimento della madre verso il figlio è facilmente comprensibile, giacché esiste qui uno stretto vincolo fisico, almeno sino al momento dello svezzamento. Ma il rapporto tra il padre e il figlio è indiretto, ipotetico e desunto: è legato alla fiducia nella virtù della moglie (...) se supponiamo che l'istinto paterno debba volgersi soltanto verso i propri figli.
Appena il fatto psicologico della paternità viene riconosciuto, un nuovo elemento entra a far parte del sentimento paterno, un elemento che ha portato quasi dappertutto alla formazione di società patriarcali. Appena un padre riconosce che il figlio è, come dice la bibbia, il suo "seme", il suo sentimento viene rafforzato da due fattori: l'amore del potere e il desiderio della sopravvivenza.
L'ambizione non ha più nella tomba il suo limite naturale, ma può essere estesa all'infinito attraverso la linea dei discendenti: pensate ad esempio alla soddisfazione di Abramo quando seppe che il suo "seme" avrebbe posseduto la terra di Canaan. Nella società matriarcale, le ambizioni familiari erano limitate alle donne e poiché le donne non combattono, certe ambizioni femminili hanno effetti più modesti di quelle maschili. Si può supporre perciò che la scoperta della paternità abbia reso la società umana più pronta alla competizione, più energica, più dinamica e irrequieta che non nel periodo del matriarcato. Di conseguenza la scoperta della paternità porta alla schiavitù delle donne come unico mezzo per difendere la loro virtù: una schiavitù prima fisica e poi mentale, la quale raggiunge il suo maximum nell'epoca vittoriana. A causa di tale schiavitù in molte società non vi fu mai l'unione completa tra marito e moglie: il loro rapporto era di condiscenza da una parte e di dovere dall'altra.
Sembrerebbe che soltanto con l'avvento del sistema patriarcale, gli uomini abbiano cominciato a desiderare la verginità nelle spose. 
I padri, dopo aver scoperto la propria esistenza, cercarono di sfruttarla al massimo. Nel Genesi vediamo come gli uomini desiderino una numerosa progenie; la moltiplicazione dei greggi e degli armenti. Per questo Geova comandava agli uomini di crescere e moltiplicarsi.  
Da quando fu scoperta la paternità, la religione si è interessata moltissimo al problema sessuale; ed era da aspettarselo, visto che la religione si interessa a ogni questione misteriosa e importante. La fertilità della terra, delle greggi e delle donne, all'inizio dell'epoca agricola e pastorale, rappresentò per gli uomini la cosa di maggiore importanza. Religione e magia venivano entrambe invocate per essere sicuri del risultato desiderato.
Secondo le idee correnti di "magia simpatica", si credeva che facilitare la fertilità umana aiutasse la fertilità del suolo (Nota di Lunaria: Mircea Eliade lo spiega alla perfezione in "Trattato di storia delle religioni", quindi suggerisco di approfondire l'argomento leggendolo lì) e la stessa fertilità umana veniva invocata con cerimonie varie, religiose e magiche. Nell'antico Egitto, dove l'agricoltura pare sia apparsa prima della fine dell'epoca materlineare, l'elemento sessuale religioso da principio non fu fallico, ma volto ai genitali femminili, la cui forma si credeva derivata dalla famosa conchiglia cauri, alla quale erano attribuiti poteri magici e che veniva usata come moneta. (Nota di Lunaria: anche in India, il culto della Dea Vaginale Lajja Gauri è antichissimo). 
Quest'epoca tuttavia ebbe presto termine e quindi in Egitto, come in molte altre antiche civiltà, l'elemento sessuale nella religione si trasformò in culto fallico.
In molti posti del mondo si crede che la luna (considerata di sesso maschile) sia il vero padre di tutti gli esseri umani. (Nota di Lunaria: anche Neumann ne parla a lungo)
Nelle terre dei Maori "la luna è il marito permanente o il vero sposo di tutte le donne. Secondo la credenza dei loro antichi, l'unione tra l'uomo e la donna non ha importanza: la luna è il vero sposo. Opinioni simili sono esistite in molti luoghi del mondo e senza alcun dubbio significano il periodo di transizione dall'epoca in cui la paternità era sconosciuta, sino a quella del riconoscimento della sua importanza." (Briffault)
Questa credenza è naturalmente legata al culto lunare (...) Sia il culto solare sia quello lunare hanno lasciato traccia nel cristianesimo: la nascita di cristo, infatti, avvenne nel solstizio d'inverno, e la resurrezione con la Pasqua. 
Notevoli elementi di culto fallico esistevano in tutte le religioni pagane dell'antichità, e fornirono ai Padri della Chiesa moltissime armi polemiche. Nonostante però tutte le argomentazioni, tracce di culto fallico rimasero nel medioevo e soltanto il protestantesimo riuscì ad estirparne ogni vestigia.
Nelle Fiandre e in Francia, santi con attributi ittio-fallici sono abbastanza comuni: san Giles in Bretagna, san René nell'Anjou, san Greluchon a Bourges, san Regnaud, sant'Arnaud. Il santo più popolare della Francia meridionale, san Foutin, si dice sia stato il primo vescovo di Lione.  
Quando ad Embrun il suo reliquiario fu distrutto dagli ugonotti, il fallo fenomenale del santo personaggio fu tratto fuori dalle rovine, tinto di rosso per le abbondanti libazioni di vino che i fedeli solevano spandere su di lui e berlo poi come un rimedio infallibile contro la sterilità e l'impotenza.

ALTRO APPROFONDIMENTO, tratto da


''Theòs e Theà'': Come si può dare a "dio" un genere femminile?
Malgrado i tentativi femministi di chiamare Dio al femminile, sulla questione del sesso divino i monoteismi sembrano proprio aver deciso in favore del maschile (1), e le Dee esisterebbero dunque in rapporto ai politeismi. Ma basta che si chiarisca la tentazione di unificare il divino in un solo principio, e il sospetto compare. è così che gli stoici s'interrogano sul sesso degli Dei come su un problema mal posto: dal momento che Zeus è tutto non ci sono più divinità maschili o femminili, soltanto nomi, segnati da un genere grammaticale.
"Gli stoici affermano che esiste un solo Dio, i cui nomi variano secondo gli atti e le funzioni. Di qui si può anche dire che le potenze hanno due sessi - maschili quando sono in azione, femminili quando sono naturalmente passive" (Nota di Lunaria: nell'Induismo invece è il contrario: "Uno degli aspetti in cui si manifesta il multiforme pantheon induista è quello della Divinità Femminile, noto come Devi, la forma femminile di Deva, Potenza Celeste, Dio. La Dea Madre è venerata fin dal periodo pre-ario, come Divinità connessa alla fertilità e alla terra oppure come ancella e amorosa danzatrice. In quanto potenza generante, Shiva - dio maschile - non può nulla senza Parvati, la Sua Divina consorte chiamata anche Uma o Sati. Essa rappresenta l'aspetto femminile della Divinità, una delle personificazioni del potere, Shakti, quella benevola e feconda, con cui Shiva agisce nel mondo. Figlia dell'Hymalaya - è chiamata "La Montanina"-, Parvati rappresenta uno dei principali aspetti di Devi, la Dea Madre della tradizione vedica. Il sostantivo femminile "Shakti", "Forza, Potenza", indica la manifestazione femminile del Dio supremo, l'Energia Creativa della Divinità. Il Dio, Principio Maschile, agisce nel mondo attraverso la sua sposa, Principio Femminile, e nel culto della Shakti si realizza il superamento della dicotomia fra trascendenza divina e immanenza terrena. Senza la sua Shakti, il Dio è impotente, inattivo al pari di un morto" ) 
Così, il sesso degli Dei dipende da un'operazione di pensiero che assortisce le potenze e gli elementi al maschile o al femminile 
Un problema di genere
L'entrata in argomento potrebbe essere grammaticale: non è inutile ricordare che se "Dio" si dice theòs, ci sono in greco due modi egualmente corretti per indicare una Dea: ricorrendo al termine theà, forma femminile di theòs o usando il termine theòs stesso, maschile, ma preceduto dall'articolo femminile. è così che nelle iscrizioni ufficiali Atena è "he theòs", cosa che non manca di ispirare ad Aristofane battute sulla città "in cui un Dio nato donna (theòs gynè gegonùia) si erge, armata di tutto punto". Nondimeno, "he theòs" designa in primo luogo un essere divino che si trova per di più affetto da un segno femminile.
"Theài", dunque, le Dee. Se si dimenticasse per un istante che "theà" può sempre essere sostituita da "theòs", la tentazione forse sarebbe di cercare in ogni Dea l'incarnazione di un tipo femminile, con la speranza di costituire finalmente il gruppo delle "theài" in un sistema simbolico della femminilità.
Rimane l'essenziale: il femminile è, presso gli Dei, indubbiamente meno omogeneo di quanto non si creda a proposito delle donne mortali, sfaldato come è tra le forti personalità olimpiche e i cori più o meno evanescenti che vivono all'unisono.

(1) Nota di Lunaria: Mary Daly in "Al di là di dio padre"  osservava che:
 

"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."
"L'ideologia cristiana presenta una distorsione prodotta dalla gerarchia sessuale e che la convalida, palese non solo nelle dottrine relative a Dio e alla Caduta ma anche in quelle relative a Gesù [...] Una logica conseguenza della liberazione della donna sarà la perdita di credibilità delle formule cristologiche che riflettono ed incoraggiano l'idolatria verso la persona di Gesù [...] Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva  degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile. Venendo meno il consenso delle donne alla supremazia maschile, questi tradizionali presupposti cominciano a traballare. (Nota di Lunaria: si vedano Sprenger e Kramer nel "Malleus Maleficarum": "E sia benedetto l'Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello [la stregoneria]. Egli ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato") 
"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio [...] La premessa basilare di questo tipo di ortodossia è che "Dio venne" nell'uomo (maschio) Gesù, e solo in Gesù - donde l'ostacolo che viene descritto dai suoi difensori come lo "scandalo della particolarità".
"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina." 
"Io ritengo che un altro ribaltamento sia l'idea dell'incarnazione redentrice unica nella forma di un salvatore maschio perché questo è precisamente impossibile. Una divinità patriarcale, o suo figlio, non è in grado di salvarci dagli orrori di un mondo patriarcale."
E mi pare significativo concludere con questi commenti:
"è ovvio che tutte queste ideologie hanno non solo la funzione di conciliare le donne con il loro ruolo subordinato sostenendo che è inalterabile, ma anche di far credere che esso rappresenti l'appagamento dei loro desideri o un ideale che è lodevole cercare di raggiungere" (Horney)
"L'essere considerata corpo per altri (per l'uomo e per la procreazione), è ciò che ha impedito alla donna di essere un soggetto storico-sociale in quanto tutta la sua soggettività è stata ridotta e imprigionata in una sessualità essenzialmente per altri e in funzione della riproduzione" (Franca Ongaro Basaglia)