Introduzione alla Teologia della Morte di Dio

Un tipico argomento da Lunaria!





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Per prima cosa, una definizione per capire cosa si intende con "Kenotismo": "Una forma di cristologia che pone grande importanza sul fatto che Cristo, al momento dell'incarnazione, ha "messo da parte" alcuni attributi divini, oppure si è "svuotato" almeno di alcuni attributi divini, in particolare quelli dell'onniscienza e dell'onnipotenza."

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Nel corso della prima parte del Seicento, si sviluppò una controversia fra teologi luterani incentrata nelle Università di Giessen e d Tubinga. Secondo i vangeli, Cristo non utilizzerebbe mai tutti i suoi attributi divini (come, per esempio, l'onniscienza) nel corso del suo ministero terreno. Come si può spiegare un fatto del genere? O Cristo utilizzava i suoi poteri divini in segreto, oppure si era astenuto del tutto dall'utilizzarli. La prima opzione, conosciuta come Krypsis (Nascondimento) fu sostenuta con decisione a Tubinga; la seconda, conosciuta come Kenosis (Svuotamento), venne difesa con vigore a Giessen. [...] Nel suo libro "Person una Werk Christi" ("La persona e l'opera di Cristo" 1852-61) Gottfried Thomasius sostiene che l'incarnazione implica la Kenosis, il deliberato abbandono di tutti gli attributi divini, così che, in uno stato di umiliazione, Cristo ha abbandonato volontariamente tutti i privilegi della divinità. è quindi del tutto corretto sottolineare la sua umanità [o meglio: virilità, visto che non era femmina], specialmente l'importanza delle sue sofferenze come essere umano [esclusivamente maschile].
L'approccio di Thomasius alla cristologia fu molto più radicale di quello dei precedenti kenoticisti. L'incarnazione implica l'abbandono da parte di Cristo degli attributi della divinità. Essi sono accantonati per tutto il periodo che va dalla nascita di Cristo alla sua risurrezione. Basandosi su Filippesi 2,6-8, Thomasius sosteneva che nell'incarnazione, la seconda persona della Trinità riducesse totalmente se stessa al livello dell'umanità [nella condizione maschile].
Una sottolineatura teologica e spirituale dell'umanità di Cristo era dunque del tutto giustificata.
Questo approccio alla cristologia venne criticato da Isaak August Dorner (1809-1884), in base alla considerazione che introduceva un cambiamento in Dio stesso.
La dottrina dell'immutabilità di Dio -così sosteneva Dorner- era compromessa dall'approccio di Thomasius. è interessante notare che questa intuizione ha molto di vero, e può essere considerata un'anticipazione del dibattito del Novecento sul problema della "sofferenza di Dio", cui abbiamo già accennato. Questo approccio venne accolto con grande interesse anche in Inghilterra. Charles Gore, nelle sue "Bampton Lectures" all'Università di Oxford del 1889, sostenne che Cristo nell'incarnazione si era svuotato degli attributi divini, in particolare dell'onniscienza. Questo provocò la reazione di un leader dei tradizionalisti, Darwell Stone, il quale accusò Gore di contraddire "l'insegnamento praticamente unanime dei padri" (non oso immaginare cosa avrebbe detto Darwell Stone di fronte ad un approccio "femminista" alla cristologia... nota di Lunaria) e di essere "in contraddizione con l'immutabilità della natura divina".
Ancora una volta, commenti di questo genere dimostrano lo stretto rapporto esistente fra cristologia e  teologia, e indicano l'importanza delle considerazioni cristologiche per lo sviluppo della dottrina di un "Dio sofferente".


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La Morte di Dio?

Se Dio può soffrire, può anche morire? Oppure, ora Dio è morto? Queste domande esigono di essere prese in considerazione come parte di ogni discussione sulla sofferenza di Dio in Cristo. Gli inni, come gran parte dei libri di testo teologici, rendono testimonianza a ciò che il cristianesimo crede. Un certo numero di inni significativi della chiesa cristiana fanno riferimento alla morte di Dio, esultando nel paradosso che il Dio immortale debba morire in croce. Forse l'esempio più celebre è l'inno settecentesco di Charles Wesley "Come può essere?", che dice queste parole:
"Amore, che mi riempie di stupore! Come può essere che tu, mio Dio, hai dovuto morire per me?"
Queste parole esprimono l'idea del Dio immortale che viene consegnato alla morte come espressione d'amore e d'impegno. Questo pensiero viene anche espresso altrove nello stesso inno, con le parole:
"è un mistero assoluto! Muore l'immortale! Chi può investigare il suo disegno singolare?"
Ma, ci si chiede, come si può parlare di un Dio
che "muore"? (*)
Per qualche settimana, nel 1965, la teologia occupò i titoli di prima pagina dei giornali più importanti negli Stati Uniti. Il settimanale "Time" aprì un numero con la notizia che Dio era morto. Slogan del tipo "Dio è morto" e "La morte di Dio" suscitarono un vasto interesse. Il numero del 16 febbraio 1966 del più seguito settimanale religioso americano "Christian Century", con una trovata spiritosa, metteva a disposizione dei lettori una scheda di iscrizione per il "Club della Morte di Dio". Nei settimanali più qualificati cominciarono ad apparire nuove espressioni: "Teotanasia", "Teotanatologia" e "Teotanatopsia" (niente male come termini!!! Nota di Lunaria :D ) diventarono parole dal ronzio fastidioso, prima di cadere fortunatamente nell'oscurità totale pienamente meritata.
Si possono individuare due diverse linee di interpretazione dietro la frase "Dio è morto":

1) La convinzione, espressa in particolare dal filosofo tedesco del XIX Nietzsche, che la civiltà umana abbia raggiunto un punto tale da poter fare a meno della nozione di Dio. La crisi della fede dell'Ottocento, specialmente in Europa, è giunta finalmente a maturazione. La dichiarazione di Nietzsche  (in "La Gaia Scienza" 1882)  (e prima di lui, nel '700, da Jean Paul, nota di Lunaria) che, "Dio è morto! E noi l'abbiamo ucciso!" esprime perciò l'atmosfera culturale generale che non trova spazio per Dio. Questa impostazione secolare viene ben analizzata da Gabriel Vahanian in "Death of God: The Culture of our Post Christian Era" ("La Morte di Dio: la cultura della nostra era post cristiana, 1961). William Hamilton esprime questo sentimento con le seguenti parole:
"Non stiamo parlando dell'assenza dell'esperienza di Dio, ma dell'esperienza dell'assenza di Dio [...] La morte di Dio deve essere affermata; la fiducia con la quale pensavamo di poter parlare di Dio è perduta" [...] Rimane un senso di non avere, di non credere, di aver perduto, non soltanto gli idoli o gli dèi della religione, ma Dio stesso. E questa è un'esperienza che non è peculiare ai pochi nevrotici, nemmeno è privata o interiore. La morte di Dio è un avvenimento pubblico nella nostra storia."
(Nota di Lunaria: Hamilton ha senz'altro colto il problema, ma la domanda, a mio parere, non è "Gli uomini del '900 hanno ucciso Dio?" ma "Gli uomini del '900 quale Dio hanno ucciso?" è questo il punto. Abbiamo ucciso la vecchia concezione di Dio - un dio padre padrone, adirato, punitore, sanguinario, castigatore, sessista, intollerante, trasceso impassibile nell'alto dei cieli - e la vecchia concezione di "popolo di questo Dio", ovvero una chiesa piena di privilegi, dispensatrice di ingiustizie, fallocentrismo, iniquità?)
Questa evoluzione ha avuto importanti conseguenze per quei teologi cristiani che hanno trattato la loro ispirazione dagli sviluppi culturali. Nel suo "Secular Meaning of the Gospel" ("Il Significato secolare dell'evangelo", 1963), Paul van Buren, sostenendo che la parola "Dio" aveva cessato di avere qualunque significato, cercò di accertare se fosse possibile presentare l'evangelo in termini puramente ateologici.   
La fede in un Dio trascendente fu sostituita da un impegno verso un' "etica di Gesù" che ha il suo centro nel rispetto dello stile di vita di Gesù. Thomas J.J Altizer, con il suo libro "Gospel of Christian Atheism" ("L'evangelo dell'ateismo cristiano", 1966 https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/breve-commento-al-vangelo-dellateismo.html) mise meglio a fuoco il problema sostenendo che, mentre non sarebbe stato più accettabile parlare di Gesù come se fosse Dio, si sarebbe ancora potuto parlare di Dio come se fosse Gesù - dando quindi un'autorità morale alle parole e all'opera di Gesù, pur non essendo più possibile mantenere una fede in Dio.

2) Una seconda linea di interpretazione del tutto diversa sostiene che Gesù Cristo abbia un livello di identificazione con Dio così elevato da rendere possibile parlare di un Dio "che muore" in Cristo. Come Dio soffre in Cristo, così si può parlare di Dio che sperimenta la morte o la deteriorabilità (Eberhard Jungel). [sì, lo sappiamo, cos'altro ha sperimentato il vostro dio cristiano...]
Questo approccio è molto meno interessante, dal punto di vista culturale, per quanto sia probabilmente molto più significativo teologicamente. In parte come reazione agli sviluppi negli Stati d'Uniti, specialmente per la grande diffusione data allo slogan "Dio è morto", Eberhard Jungel scrisse un saggio dal titolo "Vom Tod des lebendigen Gottes" ("La morte del Dio vivente", contenuto nel suo libro "Unterwegs zur Sache" 1972), in cui  sostenne che, mediante la morte di Cristo, Dio è stato coinvolto nella Vergan-glichkeit una parola tedesca spesso tradotta con "deteriorabilità" (in inglese: "perishability"), ma che forse viene resa meglio con "caducità" o "transitorietà". Jungel, che elaborò queste idee molto approfonditamente in "Gott als Geheimnis der Welt" ("Dio Mistero del mondo", 1977), vede così il tema della "morte di Dio" come un'importante affermazione dell'autoidentificazione di Dio con il mondo transeunte della sofferenza.
Sviluppando idee parallele nel suo "Il Dio Crocifisso", Jurgen Moltamann parla della "Morte di Dio" (con un linguaggio un po' enigmatico, in verità). Dio si identifica con tutti coloro che soffrono e muoiono, e così partecipa alla sofferenza e alla morte umane. Questi aspetti della storia umana sono con ciò inglobati nella storia di Dio.
"Riconoscere Dio nella croce di Cristo [...] significa riconoscere in Dio la croce, l'inestricabile sofferenza, la morte e il rifiuto senza speranza". Moltmann conferma questa tesi rievocando un drammatico episodio tratto da una famosa pagina del racconto di Elie Wiesel "Night", che descrive un'esecuzione ad Auschwitz. Mentre una piccola folla stava assistendo all'impiccagione di tre persone, qualcuno chiese "Dov'è Dio"? Moltmann utilizza questo episodio per precisare il suo pensiero: mediante la croce di Cristo, Dio conosce la morte e ne è colpito. Dio sa cos'è la morte.


(*) Concetto non solo cristiano. Anche Tiamat, Odino o Osiride sono Dei sacrificati o morti.

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A tal proposito, sul perché Dio permetta il male, riporto la curiosa spiegazione dei testimoni di geova.
Da "Cosa insegna realmente la Bibbia?", pagina 137 in poi:

"Per scoprire perché Dio permette le sofferenze, dobbiamo riandare al momento in cui ebbero inizio. Quando Satana indusse Adamo ed Eva a disubbidire a Geova, fu sollevata una questione importante. Satana non mise in discussione la potenza di Geova. Anche lui sa che la potenza di Geova non ha limiti. Piuttosto, mise in dubbio il Suo diritto di governare. Dicendo che Dio è bugiardo e priva i suoi sudditi di ciò che è buono, Satana lo accusò di essere un cattivo governante. (Genesi 3:2-5) Insinuò che l’umanità se la sarebbe cavata meglio senza il governo di Dio. Era un attacco alla sovranità di Geova, al suo diritto di governare. Adamo ed Eva si ribellarono a Geova. è come se avessero detto: “Non abbiamo bisogno che Geova ci governi. Possiamo decidere noi cosa è giusto e cosa è sbagliato”. In che modo Geova poteva risolvere la questione? Come poteva insegnare a tutte le creature intelligenti che i ribelli avevano torto e che il suo modo di governare era il migliore? Qualcuno dirà che avrebbe potuto semplicemente distruggere i ribelli e ricominciare da capo. Ma Geova aveva dichiarato il suo proposito di riempire la terra dei discendenti di Adamo ed Eva e di farli vivere in un ambiente paradisiaco. (Genesi 1:28) Geova realizza sempre i suoi propositi. (Isaia 55:10, 11) Inoltre se si fosse sbarazzato dei ribelli non avrebbe risolto la questione che era stata sollevata riguardo al suo diritto di governare. Facciamo un esempio. Immaginate che un professore spieghi alla classe come risolvere un problema difficile. Uno studente capace ma ribelle sostiene che la soluzione indicata dal professore è sbagliata. Insinuando che il professore non sia qualificato, quel ribelle insiste di conoscere un modo migliore per risolvere il problema. Alcuni studenti pensano che abbia ragione, e si ribellano anche loro. Cosa dovrebbe fare il professore? Se scacciasse i ribelli dalla classe, cosa penserebbero gli altri studenti? Non crederebbero che il loro compagno e quelli che si sono uniti a lui abbiano ragione? L’intera classe potrebbe perdere ogni rispetto per il professore, pensando che abbia paura di essere colto in fallo. Ma supponiamo che il professore permetta al ribelle di dimostrare alla classe come lui risolverebbe il problema.Geova ha agito più o meno come quel professore. Ricordate che i ribelli in Eden non erano i soli a essere coinvolti. Milioni di angeli stavano a guardare.(Giobbe 38:7; Daniele 7:10) Il modo in cui Geova avrebbe risolto la cosa avrebbe influito molto su tutti quegli angeli e in definitiva su tutte le creature intelligenti. Cosa ha dunque fatto Geova Dio? Ha permesso a Satana di dimostrare come avrebbe governato l’umanità. Ha permesso anche all’uomo di governarsi da sé sotto la guida di Satana. Il professore del nostro esempio sa che il ribelle e gli studenti che parteggiano per lui si sbagliano, ma sa pure che dando loro l’opportunità di sostenere la propria tesi tutta la classe imparerà qualcosa. Quando i ribelli sbaglieranno, tutti gli studenti onesti si renderanno conto che il professore è l’unico idoneo a guidare la classe. Capiranno perchè in seguito tutti i ribelli saranno espulsi. Similmente Geova sa che per tutti gli angeli e gli esseri umani onesti sarà un bene vedere che Satana e gli altri ribelli hanno fallito in pieno e che l’uomo non è in grado di governarsi da sé."
"In migliaia di anni di storia, l’uomo ha sperimentato ogni forma di autogoverno. L’umanità ha fatto dei progressi nella scienza e in altri campi, ma in quanto a ingiustizie, miseria, criminalità e guerre è andata di male in peggio. Il governo umano si è dimostrato un fallimento. Secondo, Geova non ha aiutato Satana a governare il mondo. Se per esempio avesse impedito che si commettessero orribili delitti, non avrebbe in effetti aiutato i ribelli a sostenere la loro tesi? Non avrebbe fatto pensare che forse l’uomo può governarsi da sé senza risultati disastrosi? Se Geova avesse agito in questo modo si sarebbe reso complice di una menzogna. Invece “è impossibile che Dio menta”. — Ebrei 6:18."
Infine, il significato mistico dello Smembramento.
Lo smembramento, dal punto di vista mitologico, indica il simbolismo iniziatico della morte e della rinascita; la necessità della morte del Sé prima della reintegrazione e della rinascita; le due fasi complementari della disintegrazione e della reintegrazione. Simboleggia anche il subentrare della frammentazione all'unità, della molteplicità e disintegrazione nella creazione, i molti che emergono nell'Unico. è strettamente correlato al sacrificio. Lo smembramento e la reintegrazione di Dèi quale Osiride, Zagreo (Dio nato con la testa taurina, da Zeus e Persefone. I Titani, per impedire che Zagreo regni, fanno scempio del corpo di Zagreo, risparmiando il cuore, che viene divorato da Zeus, per custodire in sé il seme del figlio morto. Anche Zagreo resusciterà come figlio di Semele, una fanciulla mortale, amata da Zeus. Era, per gelosia, le tese un tranello; cascando nella trappola, Semele chiese a Zeus di mostrarle tutto il suo splendore, che però, folgorò Semele, che venne annoverata tra gli Dèi dell'Olimpo) e Dioniso rappresentano la molteplicità del mondo manifesto nella creazione e il ritorno finale all'unità primordiale. Lo smembramento mistico può essere una caratteristica dell'iniziazione di uno sciamano.
Due figure famose di Dèi smembrati sono Osiride e Tiamat. Osiride era il Dio Egizio Patrono dei Morti; ebbe un regno terrestre durante il quale iniziò i suoi sudditi nell'esercizio dell'agricoltura; venne ucciso dal fratello Seth accecato dall'invidia. Ebbe per figlio Horo e il suo corpo, smembrato da Seth in 14 parti, venne ritrovato e ricomposto da Iside, meno il fallo, che era stato divorato da un pesce. Osiride risorse e divenne quindi il patrono della resurrezione.
Tiamat invece era il Principio Femminile del Caos, nella mitologia mesopotamica. Fu vinta da Marduk durante un combattimento cosmico; Marduk tagliò in due Tiamat: con metà corpo formò il cielo, con l'altra metà creò la terra; infine creò l'essere umano impastando la terra col sangue di Kingu, figlio di Tiamat.


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Le frasi più belle dai Teologi della Morte di Dio. Altizer sarà trattato in un prossimo post...

Harvey Cox "Non lasciatelo al Serpente"

La sindrome della "Morte di Dio" è segno del crollo delle regole statiche e delle categorie fisse con cui gli uomini hanno compreso se stessi in passato.
Non si deve mai piangere per un dio morto. Un dio che può morire non merita lacrime. Dobbiamo invece rallegrarci perché, liberati da un altro incubo, possiamo accingerci al compito di modellare un futuro reso possibile non da qualcosa che è, ma da "Colui che viene".


"Il cristiano come ribelle"

"Nel diciannovesimo secolo l'identificazione di fede e docilità era diventata così assiomatica, che Kierkegaard, Marx e Nietzsche dovettero tutti diventare nemici della cristianità per farsi sentire. Ognuno di loro fu condannato dalla chiesa, ma ognuno a suo modo era nel giusto. Kierkegaard insegnò che l'unico vero peccato era "il disperato rifiuto di essere se stessi"; Marx si scagliò giustamente contro coloro che vedevano la società come un "dato" eterno piuttosto che come qualcosa di cui l'uomo stesso era responsabile; Nietzsche vide giustamente che un Dio vampiro che non permette all'uomo di essere creatore, deve essere ucciso, e disinvoltamente commise egli stesso il deicidio."

William Hamilton "Dio è morto?" (1968)

Che cosa significa, in sostanza, questa espressione, sulle labbra dei teologi della "Morte di Dio"e dei teologi radicali?
Può significare che Dio non esiste o che non è mai esistito.
Può significare che è esistito in altri tempi un Dio meritevole di essere lodato e adorato, ma che oggi non esiste più. è accaduto qualcosa, e questo qualcosa è appunto ciò che viene indicato come "Morte di Dio". è questo il punto di vista assunto dai teologi radicali o della Morte di Dio. Per "Morte" intendono una scomparsa definitiva, senza attesa di un ritorno, e per "Dio" intendono il Dio Cristiano.
Può significare, come sembra sia il caso in alcuni brani delle lettere di Bonhoeffer dal carcere, che Dio c'insegna a vivere senza di lui; che il nostro tempo è il tempo dell'assenza, dell'oscuramento, del silenzio di Dio.
Ognuno deve rispondere per conto proprio a questa domanda: in che modo avete sperimentato la Morte di Dio?
Se, come diciamo noi, Dio è morto, che cosa gli sostituiamo?.... è l'uomo abbastanza forte per perdere non soltanto la pura dell'Inferno e la consolazione della vita futura, ma al tempo stesso la realtà di Dio?

Gabriel Vahanian

tratto da


Tra i teologi della Morte di Dio, Gabriel Vahanian è uno dei più rappresentativi.
La sua fama è legata a "The Death of God. The Culture of our post-christian Era" ("La Morte di Dio. La cultura della nostra epoca postcristiana", 1961): per Vahanian la nostra epoca è quella che maggiormente fa avvertire quanto sia diffusa l'esperienza della morte di Dio.
(Veramente ciò che è diffusa da più di 2000 anni è la Morte della Dea, ma vabbhè. Nota di Lunaria)
Non si può non avvertire tutto questo quando si tocca con mano lo smarrimento della dimensione del trascendente e Vahanian fa collegamenti con le opere di Beckett "Aspettando Godot" o di MacLeish ("J.B") che hanno descritto la desolazione del mondo degli uomini moderni, la sua assurdità.
Come eliminare questa assurdità? Facendo rivivere Dio in questo mondo?
è un fatto che "la mondanizzazione di Dio" ne mette in questione la trascendenza (mai la virilità. Quella è rimasta proclamata intatta e piena in saecula saeculorum, amen. Nota di Lunaria) 
Il cristianesimo ateo (di un autore come Altizer. Nota di Lunaria) o il cristianesimo antitrascendentistico segna un'epoca post-cristiana. 
Un Dio immanente è veramente "morto".
Scrive Vahanian:

"Servendosi di un tema e di un simbolismo cristiani Beckett punta il dito verso un cristianesimo in cui Dio è diventato per i cristiani un puro sfogo emotivo e nient'altro. I cristiani nei riguardi del loro Dio non si comportano meglio di quanto si comportino Gogo e Didi nei riguardi del loro Godot. Agli occhi di Beckett, i cristiani hanno trasformato il loro Dio in un Godot.
Se dunque da un punto di vista biblico, il Godot di Beckett ha tutti gli attributi di un idolo, è tempo che i cristiani si chiedano se siano colpevoli di idolatria o no. In realtà Gogo e Didi rappresentano il cristiano medio che assiste al dramma. Ma Beckett magistralmente gli impedisce di compiere una simile sostituzione: lo costringe a porsi di fronte all'inattualità del cristianesimo."
"Aspettando Godot" e "J.B" sono opere drammaturgiche che ben danno l'idea di un uomo che, in un mondo desolato e deserto, come quello moderno, aspetta, ma invano, sempre qualcuno o qualcosa che dia un senso al mondo e all'uomo.


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Un brano di Nicola Abbagnano relativo al movimento filosofico dei Teologi dell' Anti-Dio:



"Il mondo non è ordine e razionalità, ma irrazionalità e disordine. Il suo principio non è quindi Dio o la ragione o la materia retta da leggi inflessibili ma una forza o potenza che agisce senza scopo ed a caso. Il suo divenire non è evoluzione o progresso, ma l'eterno ripetersi di una vicenda che muove dal caos e al caos ritorna. L'uomo non è l'essere privilegiato che può giungere a comprendere il mondo e a dominarlo, ma un'ombra o un fantasma della potenza cosmica, dominato da essa e destinato ad esserne travolto. Non ha quindi libertà né dignità propria e la stessa intuizione che può avere della natura autentica del mondo è solo un'esperienza sconvolgente di cui egli non è l'autore e che lo fa giudicare pazzo dai suoi simili"

Per approfondire, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/i-teologi-dellanti-dio-e-il-caos.html

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Al rifiuto della fissità della concezione cosmologica, l'affermazione della storicità e profanità del mondo, come pure la rivendicazione della "maggior età" dell'uomo, le ascendenze filosofiche del marxismo, dell'umanesimo escatologico, dell'Esistenzialismo: è quanto viene tematizzato dai teologi della secolarizzazione (Bonhoeffer, Robinson, Cox) e radicalizzato dai teologi della Morte di Dio
Per gli uni e per gli altri, la secolarizzazione è un fatto culturale e teologico al tempo stesso, connotazione fenomenologica di un processo storico e processo realizzatore di valore. Ma se i primi approdano ad una nuova forma di trascendenza come "essere-per-gli-altri", il cui senso è la cristologia, l'esito dei teologi della Morte di Dio è la trascrizione degli asserti teologici in termini etici e politici, il cui senso è una soteriologia secolarizzata.
L'itinerario teologico che corre da Lutero sino a Bultmann e ai teologi della Morte di Dio, passando attraverso Kierkegaard, trova appunto una sua piena pertinenza di senso come caduta dell'oggettivismo di un'ontologia dell'in sé divino.
In Lutero il riferimento polemico è la logica "scolastica" che produce una deità in sé, non il Dio-per-noi e della grazia.
Lo scacco è d'eccezione: il Deus absconditus il cui principio di conoscenza è la croce, l'inaccessibilità divina di ascendenza scotista e occamista, la soggettività della fede.
In Kierkegaard la critica dell'oggettività si precisa, in opposizione ad Hegel, come critica della storicità esterna, della speculazione logica, dell'immanenza dell'identità. Ne deriva un'alterità assoluta che configura Dio come eccedenza del dato, speranza più che evidenza, tensione più che possesso.
Nella certezza del paradosso, nell'insicurezza dell'oggettivo, nell'istante del salto, l'eternità di Dio incontra la singolarità dell'uomo.
Una ripresa fedele di questa tematica si verifica nel Barth dell'Epistola ai Romani. Il Totalmente-Altro esprime l'urgenza di un teocentrismo assoluto che sfugge all'oggettività della teologia naturale e del possesso sacramentale propri del cattolicesimo, all'esperienza religiosa del neoprotestantesimo schleiermacheriano, alla lettera biblica dell'ortodossia luterana e calvinista.
è la svolta barthiana da Kierkegaard verso Hegel: Dio si fa carne e storia. Se per Barth Dio non è soltanto soggetto, ma oggetto gratuitamente rivelato che fonda il soggetto umano come colui che risponde alla fede, per Bultmann l'interpellazione di Dio coincide con una nuova interpretazione della nostra esistenza. Entrambi intendono superare l'oggettivismo della teologia metafisica, ma per Bultmann non cè alcun essere di Dio, alcuna oggettività al di fuori dell'atto di fede. "Dio non è fuori di me che nella misura in cui mi incontra e mi trasforma della mia esistenza".
Barth ammonisce nel saggio su Feuerbach: "La teologia è diventata antropologia già da tempo, dopo che il protestantesimo e prima di tutti Lutero, ha spostato energicamente il suo interesse da ciò che Dio è in sé a ciò che Dio è per l'uomo".
Su questa linea si trovano i teologi della Morte di Dio.
C'è un percorso filosofico da Hegel a Nietzsche e Heidegger, nel quale deperisce l'ontologia del divino. La riflessione teologica di Barth e Bonhoeffer annulla, a sua volta, lo spazio di un apriori religioso. Queste due mancanze sono rivissute positivamente della "Teologia della Morte di Dio" come fedeltà alla terra, concentrazione cristologica, responsabilità politica. Una teologia trasgressiva dunque, agita da un evento culturale e teologico al tempo stesso, connotazione fenomenologica di un processo realizzatore di valore: la secolarizzazione. L'esito è il ritrovamento di una figura di trascendenza inedita e dinamica, l'essere-per-gli-altri. Certamente su questa linea agisce la riduzione kantiana della religione a "speranza di vita morale". Ma questo limite non pregiudica la urgenza e la serietà della teologia della Morte di Dio, che svela la tentazione sempre latente nella religione epifanica, di privatizzare e di ecclesiasticizzarre il cristianesimo con il il rischio di una riduzione a stabilizzatore sociale. Un tormentato ritorno alla radicale scommessa cristiana.


Infine, se mai questo post verrà letto da qualche donna (?) qui riporto le confutazioni di Mary Daly 



"Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni.
Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile."


"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."

"Gli aspiranti pacificatori delle donne amano molto citare il testo paolino che proclama "in Cristo non c'è né maschio né femmina". Viene spontaneo rispondere che anche se fosse vero, di fatto altrove maschio e femmina sicuramente ci sono. Per di più, i fatti concreti della realtà sociale e dato il fatto che l'immagine di Cristo è maschile, ci si deve chiedere quale significato-contenuto questa frase possa mai avere"

"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."

"Diviene sempre più evidente che i simboli esclusivamente mascolini per l'ideale della "incarnazione" o per quello della realizzazione umana non vanno bene [...] Una logica conseguenza della liberazione della donna sarà la perdita di credibilità delle formule cristologiche che riflettono ed incoraggiano l'idolatria verso la persona di Gesù."

"Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo."



Approfondimento: WILLIAM HAMILTON



è con William Hamilton che si assiste a un radicale capovolgimento antropologico della teologia.

E questo attraverso un "pensare a frammenti" che, rinunciando all'unità strutturale e alla coerenza sistematica, trova un proprio spazio sulla linea di confine tra il rigore speculativo e il candore della confessione autobiografica.
Il movimento è duplice: Morte di Dio nel senso forte di una perdita reale e definitiva, da un lato; rovesciamento della teologia nell'etica, mediante la sostituzione dell'oggetto teologico con la comunità umana dall'altro.

L'ateismo di Hamilton è progressivo: all'esperienza di un'assenza inquietante che evoca la tradizione classica della dialettica fra presenza e assenza di Dio, succede l'aperta confessione di incredulità, mitigata dalla componente mistica altizeriana dell'attesa che si attenua sempre più fino alla consumazione di ogni speranza.
"La morte di Dio è "qualcosa di irrecuperabile. Vi fu un momento in cui pensavo che era possibile parlare contemporaneamente di morte e attesa di Dio. Il punto è che l'attesa di Dio è una descrizione troppo religiosa."
Dunque morte definitiva, reale e non soltanto semantica (van Buren) o dialettica (Altizer). Ciò che rimane sotteso nel discorso "a frammenti" di Hamilton è la genesi della morte o ciò che è lo stesso, della nascita di Dio. Soltanto pochi passi permettono di darne conto: "Si tratta di un avvenimento emotivo: ci fu un tempo in cui era necessario avere un Dio, ora non più" (*).
Appare chiaro che il luogo in cui l'evento accade è lo spazio interiore della soggettività, la coscienza, colta nella formazione inconscia del proprio oggetto religioso. Così al carattere emozionale dello slancio teogonico, corrisponde un processo di a-teizzazione come ritorno dal derivato - il teologico all'originario - l'antropologico.
Ciò che si impone non è tanto la demitizzazione dei simboli religiosi tradizionali (Bultmann, Bonhoeffer, Tillich) quanto lo smascheramento del simbolizzato nell'individuazione della sua genesi.

Se questa è l'esperienza cristiana della Morte di Dio, Hamilton non fa che reiterare implicitamente il nodo feuerbachiano: o la terapia antropologica o l'esasperazione deuteroscopica della teologia.
Il ribaltamento della teologia nell'antropologia comporta la "sostituzione" di Dio con la comunità umana e quindi l'impegno etico come responsabilità temporale. "La spiritualità del cristiano radicale è la politica" la cui valenza cristiana è giustificata dalla centralità della figura storica di Gesù Cristo, non già oggetto o fondamento di fede, ma paradigma supremo di un'esistenza autenticamente umana (sì, nel solo sesso maschile, si intende. Che dell'autentico umano al FEMMINILE questo dio ne ha fatto a meno... esiste da sempre eppure neanche per 5 minuti gli è balenato di farsi anche femmina, non dico per 33 anni, ci si poteva accontentare anche di un minuto di femminilità, da tutta l'eternità... Nota di Lunaria)
L'esito è problematico. La figura che più chiaramente si è delineata è l'antropologia di tipo feuerbachiano. "La teologia radicale è umanesimo, se umanesimo significa credere che non c'è alcun oggetto reale al di là dell'uomo, dei suoi valori, della sua vita."
Il tentativo poi di una fondazione etico-politica, già intaccata da un alone idealistico in Feuerbach, appare del tutto arbitrario quando si connota, in un contesto ateo, della dimensione cristologica, e certamente non giustifica il "nuovo ottimismo, causa e al tempo stesso conseguenza di quell'esperienza essenziale che è la Morte di Dio"


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Non c'è dubbio che l'espressione "Dio è morto" è l'espressione retorica che fa colpo e che scandalizza. I teologi del "Dio è morto" non si chiamano però così per dare scandalo. Essi intendono realmente "morto". Il pensiero religioso tradizionale accennava allo scomparire all'essere assente, oppure "oscurato", al "tacere" di Dio.
Con ciò si intende che gli uomini non sentono ininterrottamente la fede o la presenza di Dio. Di tanto in tanto la sua presenza ci viene sottratta e non possiamo stabilire quando e come Dio ritornerà.
In generale, così si parla oggi, ma non si tratta di ciò che intendono coloro che sostengono la "Morte di Dio".
Essi parlano di una vera e propria perdita, di un vero e proprio "ne facciamo a meno" e, qualunque cosa si aspettino dal futuro, non si aspettano comunque che il Dio cristiano ritorni apertamente o velatamente.

"Morte di Dio" non è soltanto espressione scandalosa (1), ma espressione che suona piena di arroganza. Sembra non voler soltanto dare a intendere che noi sentiamo così, ma che tutti hanno sentito o, a rigore, così avrebbero dovuto sentire.
"Morto" sembra offrire una norma alla vostra situazione come pure sembra alleggerire la mia. Non si tratta, in sostanza, di quel gran problema che sembra a prima vista. I teologi della "Morte di Dio" accettano oggi incondizionatamente, insieme a molte altre persone, il tipo di pensiero relativistico e il clima spirituale del nostro tempo. Forse ci battiamo accanitamente per il nostro punto di vista.

Ma non crediamo più che i cristiani posseggano qualcosa che rende la nostra opinione inevitabile o necessaria o per definizione migliore di altre alternative.
Noi rappresentiamo soltanto uno dei molti modi di vedere, che fanno parte delle possibilità attuali. (Nota di Lunaria: ovviamente un cristiano integralista fanatico avrebbe messo a morte William Hamilton per questa sua frase così "tollerante" nei confronti delle idee altrui...)

Ci aspettiamo di venir ascoltati se diciamo cose sincere e chiare, e speriamo di sapere ascoltare. Su questo sfondo di relativismo, la dichiarazione "Dio è morto" suonerà molto meno arrogante...
Ma spingiamoci oltre le osservazioni introduttive. Che cosa significa, in sostanza, questa espressione, sulle labbra dei teologi della Morte di Dio e dei teologi radicali? E qual è il rapporto con un uso possibilmente diverso di questa espressione nel corso della storia?
Il modo migliore per arrivare alla risposta è quello di cominciare col dire, oggi, che l'espressione "Morte di Dio" viene usata con diversi significati.
Delineandoli rapidamente, avremo subito un quadro d'insieme di questo problema della Morte di Dio che sta appassionando larga parte del pensiero attuale.

Può significare che Dio non esiste e che non è mai esistito.
Si tratta di un punto di vista ateo, tradizionale, antiquato, e non è facile immaginare che possa venire accordato, se non molto instabilmente, col cristianesimo o una qualsiasi delle religioni occidentali.
Può significare che è esistito in altri tempi un Dio meritevole di essere lodato e adorato, ma che oggi non esiste più.
è accaduto qualcosa, e questo qualcosa è appunto ciò che viene indicato come Morte di Dio.
è questo il punto di vista assunto dai teologi radicali o della Morte di Dio. Per "morte" intendono una scomparsa definitiva, senza attesa di un ritorno, e per Dio intendono il Dio cristiano.
Può significare che gli Dei vanno riscoperti come fattori psichici, che gli uomini vanno sbarazzati da qualsiasi attaccamento alle rappresentazioni esistenti di Dio, per poi crearsi rappresentazioni nuove, più conformi al loro intimo, oppure, per esprimerci meno nel linguaggio di Jung, la realtà indicata dalla parola di Dio è rimasta quella che era, ma la parola "Dio" non indica adeguatamente questa realtà (già. Visto che è una parola solo al maschile, e l'umanità è formata anche dalle donne... Nota di Lunaria)
Può significare che determinati elementi della dottrina classica concernente Dio, debbono essere esclusi e, necessariamente, andrà quindi escluso il più importante di tutti, che è la potestà assoluta, quella che risolve i problemi e provvede ai bisogni.
Può significare, come sembra sia il caso in alcuni brani delle lettere di Bonhoeffer dal carcere, che Dio ci insegna a vivere senza di lui; che il nostro tempo è il tempo dell'assenza, dell'oscuramento, del silenzio di Dio.
Può significare che siamo tutti idolatri e che le nostre parole, le nostre azioni che indicano Dio, debbono essere sistematicamente interrotte, per rinascere, nella speranza che il vero Dio sistematicamente rinasca.
Ritorniamo ora al secondo significato di qui sopra. Se mai un Dio è esistito e ora non c'è più, quando dunque ha avuto luogo il mutamento?
... Prima di tutto, con Gesù e la Croce. In secondo luogo nell'Europa e nell'America del secolo scorso. In terzo luogo, oggi, in questo momento. Che cosa sta accadendo al nostro tempo perché possiamo discernere e capire questo avvenimento?

Ognuno deve rispondere per conto proprio a questa domanda: "In che modo avete sperimentato la morte di Dio?" 
Da un lato credo che nessuno possa né debba tentare di convincere il suo simile della realtà della morte di Dio.
Parlandone o scrivendone, io non cerco di inculcare ad altri cose nuove, ma cerco di ricordargli cose che già non sa.
Se non c'è in lui né risposta né riconoscimento, io non posso significare nulla per lui, sono per lui soltanto un esempio da non seguire.

Per me la Morte di Dio non è la conseguenza di una semplice esperienza come per esempio la scoperta del metodo scientifico che esclude automaticamente Dio. In fondo, si tratta di un avvenimento emotivo. è il risultato di un certo numero di cose, una per una di poca entità, ma che tutte assieme divengono schiaccianti. Per me si tratta in parte della scomparsa dell'idea di Dio come colui che provvede ai bisogni e che risolve i problemi. Durante una gran parte della storia, il cristianesimo classico ha sentito che, mentre l'uomo era capace di risolvere una gran parte dei problemi della vita, rimaneva tuttavia sempre una dimensione di fronte alla quale l'uomo era impotente e che perciò doveva essere attribuita a Dio.
Si diceva allora che il desiderio di Dio era eguale in tutti gli uomini. Il nostro cuore è inquieto, diceva Sant'Agostino, finché non trova pace in Dio. Oggi dobbiamo dire che per certi cuori è ancora così, mentre per gli altri no. Forse gli uomini hanno poco bisogno di Dio come massima autenticità a sé stante. Bisogni e problemi esistono perché si guardino in faccia, e se il mondo non può guardarli in faccia, nessuno può farlo in sua vece. Per me è questo un motivo per il riconoscimento della Morte di Dio.
Altri sono impressionati dal problema della sofferenza. Se non trovate nulla di straordinario nella sofferenza provata nel XX secolo, allora la mia argomentazione non vi convincerà. Nel mondo c'è sempre stata sofferenza immeritata e, per il cuore come per l'intelligenza, è sempre stato un problema rimanere contemporaneamente fedeli alla realtà della sofferenza e alla bontà e alla potenza di Dio. è sempre stato difficile, dico, ma è oggi impossibile, perché l'orribile peso della sofferenza che si riscontra nel nostro tempo, può essere ascritta a Dio soltanto se la trasformiamo in un mostro. Il problema di Giobbe, di Ivan Karamazov, di Albert Camus ci è precipitato addosso.
Auschwitz è stato opera di cristiani e quando ebbero finito, il loro Dio era divenuto un'assurdità... (Nota di Lunaria: bravo, Hamilton, che lo riconosci che i lager furono creati da cristiani... aggiungo pure le dittature degli Ustascia e della Slovacchia di Tiso, un prete. E come dimenticare i cattolicissimi Francisco Franco e Salazar?)

...Se, come diciamo noi, Dio è morto, che cosa gli sostituiamo? Da che cosa viene compiuta, in questo cristianesimo ateo, l'opera che nella tradizione classica veniva compiuta da Dio? Ci siamo resi sufficientemente conto della tremenda domanda di Ivan Karamazov: "Se Dio non esiste, è allora tutto permesso?"
(Nota di Lunaria: bah, la si può rigirare anche così "Se Dio si è fatto maschio, e Dio è onnipotente, allora al maschio terreno, tutto è concesso?")
è l'uomo, veramente abbastanza forte per perdere non soltanto la paura dell'inferno e la consolazione della vita futura, ma al tempo stesso la realtà di Dio?

Due sono le risposte, o due le forme della stessa risposta, in merito alla sostituzione di Dio. Da una parte la risposta deve essere "la convivenza umana" e dall'altra "Gesù". Facciamo distinzione fra due significati o funzioni classicamente attribuite a Dio.
Se per Dio intendete i mezzi per ottenere perdono o consolazione in tempi di afflizione e disperazione, oppure i mezzi puntati sulla mia presunzione e sulla mia idolatria, diciamo allora che queste funzioni debbono divenire centrali per la convivenza umana come lo sono stati per il cristianesimo classico. Dobbiamo imparare a perdonarci a vicenda, con la grazia radicale, incondizionata, che l'uomo soleva attribuire a Dio. Dobbiamo imparare a consolarci reciprocamente, imparare a giudicarci vicendevolmente, ad esaminarci gli uni gli altri nelle comunità di vita nelle quali ci vengono inferte le ferite e nelle quali queste trovano guarigione. Se attualmente queste cose non possono essere compiute dalle comunità umane di questo mondo, esse dovranno allora venire modificate fino a che siano capaci di eseguire tali compiti, e tutto ciò che una volta veniva attribuito a Dio, dovrà aver luogo in questo nuovo contesto. In questo senso, la Morte di Dio porta a mutamenti politici e sociali, porta perfino alla follia di utopie.

Sarebbe tuttavia ingannevole assegnare a quella che chiamiamo la convivenza umana, ogni compito già attribuito a Dio.
L'idea classica di Dio ha anche un altro significato, che rende necessaria un'altra specie di sostituzione. Qualora si intenda Dio come il centro focale dell'obbedienza, l'oggetto della fiducia e della fedeltà, il significato che io attribuisco all'amore, per me centro, per me concetto per eccellenza, allora questi significati non vengono attribuiti a uomini in generale, ma a Gesù, l'uomo che praticava i suoi simili, Gesù con la sua vita e la sua morte. I teologi della Morte di Dio esigono tutto ciò perché intendono essere teologi cristiani; e ciò, di nuovo, non soltanto perché parlano della morte del Dio cristiano, ma perché al centro della fede cristiana vedono il rapporto di obbedienza a Gesù e di fede in lui (che non poteva essere una "Lei", ovviamente. Altrimenti che vergogna dover adorare un dio femmina! I cristiani maschi non potevano sentirsi superiori... che dio scadente e malriuscito, un dio femmina, vero Tommaso d'Aquino? che dio secondario, un dio femmina... vero, Von Balthasar?)



Già che ci sono, aggiungo anche lui, Cox



"Non lasciatelo al Serpente"

La sindrome della "Morte di Dio" è segno del crollo delle regole statiche e delle categorie fisse con cui gli uomini hanno compreso se stessi in passato.
Non si deve mai piangere per un dio morto. Un dio che può morire non merita lacrime. Dobbiamo invece rallegrarci perché, liberati da un altro incubo, possiamo accingerci al compito di modellare un futuro reso possibile non da qualcosa che è, ma da "Colui che viene".

"Il cristiano come ribelle"

"Nel diciannovesimo secolo l'identificazione di fede e docilità era diventata così assiomatica, che Kierkegaard, Marx e Nietzsche dovettero tutti diventare nemici della cristianità per farsi sentire. Ognuno di loro fu condannato dalla chiesa, ma ognuno a suo modo era nel giusto. Kierkegaard insegnò che l'unico vero peccato era "il disperato rifiuto di essere se stessi"; Marx si scagliò giustamente contro coloro che vedevano la società come un "dato" eterno piuttosto che come qualcosa di cui l'uomo stesso era responsabile; Nietzsche vide giustamente che un Dio vampiro che non permette all'uomo di essere creatore, deve essere ucciso, e disinvoltamente commise egli stesso il Deicidio."

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La Teologia della Morte di Dio è stato un fenomeno per lo più anglosassone; Dorothee Sölle però ne rappresenta l'espressione tedesca.


Cosa si può intendere per Morte di Dio, secondo Sölle? Può significare la sua assenza nel senso che l'uomo non può farne o non ne fa più un'esperienza diretta; oppure la Morte di Dio è soltanto una sfida e a questa si può rispondere in modi diversi; o si prende l'assenza di Dio e si cerca un sostituto oppure si prende la sua assenza come una possibilità del suo essere-per-noi.
Il ruolo di Dio non rimane scoperto in alcun modo.
Se il "ruolo di Dio" non rimane mai scoperto, vuol dire che Dio non è morto, ma solo assente. A sostituirlo, a rappresentarlo è Cristo.
Assicura la Sölle: "Nella dimensione del Cristo si assiste al fatto che Dio stesso è uscito dall'immediatezza del cielo e ha lasciato per sempre la sicurezza della sua patria"
Dio non rimane nella trascendenza, insomma; Sölle ha letto Hegel, ma ha letto anche Bonhoeffer, dal quale viene sollecitata a ritenere che Cristo, in quanto "sostituto o rappresentante di Dio" trova compagni di strada, che continuano il suo cammino, in uomini capaci di giocare il ruolo di Dio gli uni per gli altri.
"Ora è arrivato il tempo di fare noi pure qualcosa per Dio"

Nota di Lunaria: pare che la Sölle non si sia chiesta la faccenda del "genere"... un "maschio rappresentante di Dio" e "gli uomini capaci di giocare il ruolo di Dio"...

"La morte di Dio e la provvisorietà di Cristo"

Cristo non solo rappresenta noi dinanzi a Dio, ma pure egli rappresenta nella stessa maniera Dio presso di noi (Nota di Lunaria: ovviamente manco per mezzo secondo la Sölle riflette su 'sta cosa del sesso esclusivamente maschile di Dio...) 
Tale rappresentanza di Dio in Cristo è stata nel corso della tradizione tematizzata sempre in modo nuovo in una forma dogmatica, e nell'ambito teologico è stata oggetto di riflessioni che si muovono esclusivamente secondo punti di vista che prendono l'avvio da Dio.
Dio comunica se stesso in Cristo, anzi, egli si apre in Cristo.
(con tanti saluti per le donne e per la femminilità. Nota di Lunaria)
Il vero soggetto di questo avvenimento, che trova il suo luogo di tematizzazione nelle parole "rivelazione e incarnazione" è Dio: è lui che agisce; ed il pensiero che Cristo rappresenti Dio e agisca al suo posto per noi, pur venendo testimoniato nel Nuovo Testamento non ha però trovato sotto il punto di vista della rappresentanza uno sviluppo dogmatico.
La rappresentanza è rimasta limitata al Cristo che agisce e soffre al nostro posto; invece la rappresentanza che presta il Cristo che agisce e soffre al posto di Dio, non è stata considerata. Il Cristo "rappresentante" che agisce e soffre di posto di Dio apre il discorso sul dolore di Dio, fortemente umanizzato e sottratto all'assoluta alterità. Anche questo Cristo, se fa "morire" Dio, è il Dio imperturbabilmente trascendente che fa "morire". Il "dolore" è la "vita" di Dio.

Nota di Lunaria: incredibile girotondo di concetti astrusi che neanche si interrogano su ciò che dovrebbe essere la prima riflessione da fare su questo Dio SPECIALMENTE se si è donne: il fatto che FEMMINA NON HA VOLUTO NASCERCI.
Con quello che poi "ne consegue" dall'esclusione della donna dalla dimensione sacrale e psicologica.

Riporto le confutazioni di Mary Daly, che sull'argomento, ci ha posto una pietra tombale


III. Al di là della cristolatria: un mondo senza modelli

"L'ideologia cristiana presenta una distorsione prodotta dalla gerarchia sessuale e che la convalida, palese non solo nelle dottrine relative a Dio e alla Caduta ma anche in quelle relative a Gesù.
Gran parte della dottrina cristiana è docetica, cioè non accetta seriamente il fatto che Gesù fosse un limitato essere umano.
Una logica conseguenza della liberazione della donna sarà la perdita di credibilità delle formule cristologiche che riflettono ed incoraggiano l'idolatria verso la persona di Gesù."
"Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni.
Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile. Venendo meno il consenso delle donne alla supremazia maschile, questi tradizionali presupposti cominciano a traballare.
(Nota di Lunaria: si vedano Sprenger e Kramer nel "Malleus Maleficarum": "E sia benedetto l'Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello [la stregoneria]. Egli ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato")

"Io ritengo che l'idolatria cristiana nei confronti della persona Gesù non verrà probabilmente superata se non per mezzo della rivoluzione in corso nella coscienza femminile. Diviene sempre più evidente che i simboli esclusivamente mascolini per l'ideale della "incarnazione" o per quello della realizzazione umana non vanno bene (...) Forse assisteremo ad una rimitizzazione della religione. Può darsi che anche in futuro continui a rendersi necessario un qualche simbolismo per l'incarnazione del divino negli esseri umani, ma è assai improbabile che donne e uomini continuino a trovare plausibile un simbolismo epitomizzato dall'immagine della Vergine che adora in ginocchio il suo proprio figlio; forse esso verrà sostituito da un'iconografia non gerarchica" 

"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."

"Chi è ufficialmente investito dal sacerdozio condivide l'innocenza e la dignità attiva del Cristo. Le donne, benchè incoraggiate a imitare l'amore sacrificale di Gesù e quindi ad accettare di buon grado il ruolo di vittima, rimangono essenzialmente identificate con Eva e col male. La salvazione giunge esclusivamente tramite il maschio."

"Si è obiettato che oltre a non essere donna, Gesù non era nero, né anziano, né cinese, ecc. Questo sembra implicare che le donne non siano gli unici "outsiders". Il problema non sta nel fatto che il Gesù dei Vangeli era maschio, giovane e semita, bensì nell'identificazione esclusiva di questa persona con Dio in modo tale che le concezioni cristiane della divinità e dell'immagine di Dio sono tutte oggettificate in Gesù. La premessa basilare di questo tipo di ortodossia è che "Dio venne" nell'uomo (maschio) Gesù, e solo in Gesù - donde l'ostacolo che viene descritto dai suoi difensori come lo "scandalo della particolarità".

"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."

VERSETTI BIBLICI CHE SANCISCONO L'INFERIORITà FEMMINILE, DI RUOLO E "ONTOLOGICA" E CHE SONO STATI COMMENTATI PER SECOLI DA MILIARDI DI TEOLOGI CRISTIANI. In particolare, la sottomissione e inferiorità femminile, nell'ottica cristiana è data da questi elementi:

1) è considerata "derivata dall'uomo", suo capo, e così come la Chiesa (assemblea dei credenti) sta sottomessa a Cristo, anche la donna deve stare sottomessa all'uomo. è evidente il parallelismo "Cristo-uomo"
2) Il velo (come motivo di subordinazione per non mancare di rispetto "al suo capo", testa e marito, altro parallelismo, insieme a quello che già ti ho fatto notare: Cristo-uomo, ribadito anche col “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore,” Efesini 5:22 )
3) la colpa di Eva che "ricade in eterno" sulle donne tutte.
4) il fatto che la donna NON è gloria di Dio (lo è il maschio); la donna è "gloria dell'uomo". è evidente "la gerarchia della gloria", e la donna sta sotto. Ulteriore danno sono stati i commenti all'Imago Dei fatti da Agostino nel "De Trinitate" e dall'Aquino nella Summa Theologiae, questione 92.
Altri motivi scritturali addotti per giustificare una "minorità femminile": incapacità di insegnare, "vaso più debole" (1 Pietro 3:7)
Su tutto, a peggiorare roba che partiva già male in partenza, il simbolismo ESCLUSIVAMENTE maschile e paterno di Dio, e, per quanto riguarda la teologia cattolica, anche l'influsso che ebbero le idee aristoteliche sulla donna, introiettate nella Summa Theologiae dell'Aquino, questione 92, per commentare la creazione della donna. 

Ecco i versetti biblici:

“La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, nè d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Perché Adamo fu formato il primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; nondimeno sarà salvata partorendo figliuoli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia” (1 Timoteo 2:11-15)

Prima Lettera ai Corinzi 11, 3-16:
"Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata. Se dunque una donna non vuole coprirsi, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.
L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio col capo scoperto? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio."

Efesini 5, 22-33: "Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, ed egli stesso è Salvatore del corpo. Parimenti come la chiesa è sottomessa a Cristo, così le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. … Ma ciascuno di voi così ami la propria moglie come ama se stesso; e similmente la moglie rispetti il marito."


APPROFONDIMENTO tratto da


Breve introduzione all'Ateismo Cristiano

In questi ultimi anni alcuni teologi americani, di estrazione protestante, vanno ripetendo che la teologia se vuole ancora trovare spazio nella cultura contemporanea e udienza presso gli uomini di oggi (nota di Lunaria: il libro è del 1973), deve partire dal riconoscimento della "morte di Dio".
L'uomo moderno, afferma la teologia radicale, può ancora credere in Cristo ma non può più credere in Dio: "Dio è morto", "Cristiani sì, ma senza religione"

Gli esponenti più noti di questo indirizzo teologico che va sotto il nome di "Ateismo cristiano" sono Hamilton, Van Buren e soprattutto Altizer.
Loro costante preoccupazione è la ricerca di un pensiero religioso che soddisfi le esigenze intellettuali dell'uomo contemporaneo, ne chiarisca e risolva i problemi e le aspirazioni in una prospettiva concreta.

L'uomo dell'età tecnologica, della filosofia analitica, dell'umanesimo assoluto, non può più accettare l'idea del Dio trascendente elaborata dalla filosofia ellenistica sulla quale si è fondatala teologia tradizionale; oggi Dio è raggiungibile soltanto se lo si rende totalmente immanente al mondo.

"Se c'è una porta d'ingressa nel secolo ventesimo, questa è il passaggio attraverso la morte di Dio, il collasso di ogni significato o realtà posta al di là dell'immanenza radicale dell'uomo moderno recentemente scoperta, un'immanenza che fa svanire persino la memoria o l'ombra della trascendenza." (Altizer)

Se Dio è morto (1), la toelogia cristiana dovrà essere ricostruita su basi nuove, ripensata in una prospettiva nella quale Gesù Cristo non sarà più il figlio di Dio, come erroneamente aveva insegnato la teologia tradizionale, ma il paradigma, il modello esemplare a cui deve ispirarsi chi vuol chiamarsi cristiano.
Ed essere cristiano significa essenzialmente rivivere l'amore di Cristo per gli uomini, fare della propria esistenza un servizio al prossimo; significa acquistare quella libertà di spirito che permette di darsi agli altri senza riserve come ha fatto Cristo sulla croce; significa impegnarsi totalmente nella costruzione della città terrena.

è indubitabile che l'Ateismo Cristiano presenti alcune istanze valide; vere sono, ad esempio, le esigenze di riesprimere il discorso religioso e il messaggio cristiano in termini accessibili all'uomo moderno, di richiamare a una fede che illumini e vivifichi l'intera esistenza umana nella duplice dimensione personale e sociale.
Ma i presupposti sui quali l'Ateismo Cristiano pretende costruire il suo discorso sono del tutto infondate: il presupposto che per l'uomo moderno sia impossibile credere in un Dio trascendente è smentito sul piano esistenziale dalla presenza nel mondo della cultura da personalità notevoli (si pensi a Maritan, Gilson, Marcel...) (Nota di Lunaria: aggiungo anche Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Bonhoeffer, Romero, che sono stati perseguitati nelle dittature).
Il presupposto che il cristianesimo sia stato deformato dalla teologia tradizionale legata all'ellenismo è un'affermazione arbitraria: i concetti della filosofia greca, prima di venir adottati dalla teologia, sono stati sottoposti ad una severa revisione critica: si è avuto un adattamento dei concetti filosofici al dato della Rivelazione e non viceversa (Nota di Lunaria: mica tanto, considerato che la misoginia aristotelica è stata traghettata in pieno nella teologia scolastica...)

(1) Nota di Lunaria: il problema non è "l'esistenza di Dio o la sua morte" ma il fatto che questo simbolismo e rivelazione di Dio è sessista, visto che divinizza esclusivamente il sesso maschile ma non divinizza il sesso femminile. Il problema è questo: che la virilità di Cristo, considerato Dio, viene usata come "motivazione" per giustificare la supremazia maschile, la superiorità del maschio sulla femmina, visto che Dio "si è fatto maschio MA NON SI è FATTO ANCHE FEMMINA"