Piccoli Brividi: "Metamorfosi Totale"


Ricky decide di vendicarsi di Tasha, visto che lei si ostina a non considerare il suo lavoro per il giornale della scuola, e scrive un finto annuncio: "Messaggio per tutti gli esseri striscianti. Messaggio per tutti gli esseri striscianti. Se siete esseri striscianti, chiamate Tasha dopo la mezzanotte"; Tasha, però, se ne rende conto, e sostituisce il suo nome con quello di Ricky. E così, quando strani esseri cominciano a chiamare Ricky a casa, proponendogli di trasformare tutti gli studenti della scuola in esseri striscianti, Ricky capisce che purtroppo il suo scherzo ha attratto dei veri mostri...



Poesie d'amore tragiche


Ludwig Tieck (1773-1853, Germania) "Suono del corno del postiglione"


Lontano, lontano da ogni dolore lontano, vorrei

affrettarmi tra i boschi, su, giù, al di là degli abissi, e 

strepitar giù dai ripidi monti in profonde valli per trovar pace.


Vento sibilante, conduci rapido, celere e più celere

ancora i cavalli dentro nel folto; fa', fa' che scompariscano

in fretta le tristi ore; senza tregua; ma sia un arresto.


Dove devo cercare? Sull'alto dei mondi? All'ombra

dei faggi? Dove la vedrò?


Le ore fuggono, il giorno si alterna con la notte,

i dolori vincono, le gioie cedono all'assalente forza.


Ah! avanti, avanti senza arresto là dove la corrente

rumoreggia, dove giù da ripide, muschiose pareti di roccia

onda e vento precipitano.


Dove il folto del bosco ombreggia, dove si inseguono 

le nubi, dove notte e paurosa timidezza s'accoppiano con

neri sogni.


Giù per le valli, su per i monti l'eco parla e saluta a

questa volta, ah! invece di questo agire finisci, finisci, finisci

piuttosto questa torbida corsa.


Arrivassi io soltanto nel paese lontano, in una terra 

meravigliosa che nessun occhio ha mai conosciuta, ma

cambiando io qua e là, conosco già la solitudine che esse,

perfide, mi preparano, conosco già il triste soffrire, soffrire,

soffrire.



Percy B.Shelley (1792-1822, Inghilterra)  "La serenata indiana"


I


Io mi levo da sognar di te nel primo dolce sonno della notte,

quando i venti alitano piano, e le stelle splendon scintillanti;

io mi levo da sognar di te - ed uno spirito, entrato in me, m'ha

guidato - chi sa come? - verso la tua finestra, Amore!


II


Le brezze erranti languono sul fiume silenzioso e nero

vien meno l'odor del ciampak come in sogno pensier soavi:

sul cuor dell'usignolo muore il suo lamento: com'io dovrò

sul tuo, o mio adorato Amore!


III


Sollevami dall'erba, io muoio! languo! svengo! Piova il 

tuo amore in baci sulle mie pallide labbra e sulle ciglia. Bianca

ho la gota, e fredda, ahimè, e il cuore batte forte e rapido:

oh, stringilo ancora al tuo proprio cuore - dove dovrà spezzarsi finalmente!



August von Platen (1796-1835, Germania)  "Tristano"


Chi ha lo sguardo alla bellezza affiso,

è già in preda, pur vivendo, a morte;

da ogni umano oprare erra diviso

e pur trema all'appressar di morte,

chi ha lo sguardo alla bellezza affiso.


Sente eterna in cuor pena d'amore,

ché su questa terra arduo è sperare

del disio placar divino ardore;

chi della bellezza colpì strale,

sente eterna in cuor pena d'amore!


Come un fonte anch'egli dissecare,

trar veleno d'ogni aereo riso

e nei fior vorrebbe dileguare;

chi ha con gli occhi la bellezza affiso

qual fonte vorrebbe disseccare!



Vasìlij Tumanskij (1800-1861, Russia) "Odessa"


Nel paese, glorificato dalla fama di giorni guerreschi,

dove a lungo il cielo è delizia degli occhi,

dove i pioppi mormorano, e sono azzurre le acque tempestose,

il figlio del gelo è sbalordito dallo splendore della natura.

Sotto la leggera ombra delle nuvole della sera,

è inebriante qui il respiro dei giardini,

qui le notti sono tiepide, piene di luna e di voluttà,

sulle lussureggianti rive, sulle onde argentee,

si radunano i giovani in allegre schiere...

e schiumeggiando per il mare si spargono le barchette.

Qui, speranza e godimento del placido autunno,

i colli sono incoronati da filari di vite.

E le fanciulle, languide confidenti di svaghi,

abbassando il rapido sguardo o sollevando gli occhi,

egualmente bellissime, si struggono di godimento

e fanno languire di perplessità l'anima del viandante.


 

Henry Wadsworth Longfellow (USA, 1807-1882)  "La croce di neve"


Nelle lunghe insonni veglie della notte,

un volto gentile - il volto di qualcuno morto da lungo tempo -

riguarda a me dalla parete, dove attorno al suo capo

la lampada notturna getta un alone di pallida luce.

Qui, in questa camera, essa è morta; e mai una più pura anima

attraverso il martirio del fuoco fu guidata

al suo riposo; né si può leggere nei libri

la storia d'una vita che più della sua sia stata benedetta.

C'è una montagna nel lontano Occidente,

che, priva di sole, nelle sue gole profonde

spiega sul suo fianco una croce di neve.

Tale è la croce ch'io reco nel mio seno

da diciotto anni, pur attraverso i mutamenti di luogo

e di stagione, immutabile dal dì della sua morte.



Gottfried Keller,  (Svizzera, 1819-1890) "Notte d'inverno" 


Non scorrea battito d'ala il mondo,

quieta ed abbagliante era la neve,

non s'udia nel ghiaccio del lago onda,

non velava stelle nube lieve.


Su dal fondo l'albero emergendo

contro il ghiaccio il vertice aggelò

e un'ondina i rami agil salendo

per il verde ghiaccio riguardò.


Ma dal gorgo oscuro separava

diafana dal ventro esiguità;

proprio sotto i piedi ella mi stava

fulgida di candida beltà.


Ella in soffocato duol tastò

il coperchio duro qua e là.

Mai quel triste aspetto oblierò,

nella mente fisso, eterno sta.



 Théodore de Banville (Francia, 1823-1891) "Medea"


Medea - ricolmo il cuore d'un empito indomato -

canta coi flutti oscuri del fiume che delira.

Gli occhi di lei, nell'onda in cui nuda si mira,

guardano i cieli ridere del riso lor, stellato.


Pallida e bella, in riva al Fasi inebriato,

la Maga canta. Il vento, ch'ella seduce e attira,

unendosi alla voce con un tinnir di lira,

le porta via la chioma come un flauto incantato.


Fisa con gli occhi ardenti al cielo cupo, dove

guizzan sanguigni lampi, canta: ed i passi muove.

Tra l'erbe, le sue gambe han nivei baleni.


Va raccogliendo intorno, per la montagna bruna,

le piante da' cui succhi distillerà veleni:

e il seno le risplende, con un chiaror di luna.



Jànos Vajda (Ungheria, 1827-1897) "Vent'anni dopo"


Come del Montebianco sulla cima

il gelo che non scioglie il vento o il sole,

così freddo è il mio cuore né lo accende

nessun palpito nuovo di passione.


D'intorno a me, miriadi di stelle

sorgono ancora, ricche di splendore:

ma il lor fervido raggio non discioglie

il gelo che s'addensa nel mio cuore.


Eppure, in qualche notte di tristezza,

tornano i sogni al cuor del solitario:

torna, candido cigno, il tuo ricordo

sull'acque della morta giovinezza.


E il cuore allora m'arde nuovamente:

sì come dopo notte dell'inverno

sul monte rifiammeggiano le nevi

quando il sole si leva all'orizzonte.



Domenico Gnoli (1838-1915) "Nel viale"


Sedemmo nel bruno viale.

Ell'era velata d'affanno,

come avesse una notte ferale

dimenticato una nube

sulla sua fronte. Nel core

ci singhiozzavano i giorni

dell'amore. La sua mano

leggera con un brulichio

di moti tremanti d'addio,

come sulla tastiera

d'un cembalo muto, parlava

un linguaggio strano

nella mia mano.


Su' tronchi de' neri cipressi,

fra i rami dell'ilici nere

spargeva il tramonto riflessi

di soli morti; nel fondo

era disteso un parato

di porpora logora; in terra

era un silenzio di foglie

gialle. Ad un soffio di vento

si rianimarono, come 

scosse dallo sgomento

della morte, e il volo

tentarono lungo il viale,

ansiose di ricomporsi

in nuova forma vitale.

Parevano un nuvolo d'ale

le povere foglie cadute,

ma stanche ricaddero al suolo

immobili, mute.


Attorno era una lontananza

di tempi, di luoghi d'amore.

Era disciolta la danza

lieve dell'ore, le cose

eran fra loro ritrose.

Tutto disgiunto, tutto

lontano, perfino la mano

che mi palpava; e nel vano

d'un'ampiezza infinita

ricercavano invano

la mia vita.

 


Alcune poesie di Neruda: "Ah vastità di pini..."


Ah vastità di pini, rumore d'onde che si frangono,

lento gioco di luci, campana solitaria,

crepuscolo che cade nei tuoi occhi, bambola,

chiocciola terrestre, in te la terra canta!


[...]


Intorno a me sto osservando la tua cintura di nebbia

e il tuo silenzio incalza le mie ore inseguite,

e sei tu con le tue braccia di pietra trasparente

dove i miei baci si ancorano e la mia umida ansia s'annida.


Ah la tua voce misteriosa che l'amore tinge e piega

nel crepuscolo risonante e morente!

Così in ore profonde sopra i campi ho visto

piegarsi le spighe sulla bocca del vento.


"Qui ti amo"


Qui ti amo.

Negli oscuri pini si districa il vento.

Brilla la luna sulle acque erranti.

Trascorrono giorni uguali che s'inseguono.


Le nebbia si scioglie in figure danzanti.

Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.

A volte una vela. Alte, alte stelle.


[...]


La mia noia combatte con i lenti crepuscoli.

Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.

La luna fa girare la sua pellicola di sogno.


[...]


***


Non solo per le terre deserte dove la pietra salina

è come l'unica rosa, il fiore del mare sotterrato,

andai, ma per la riva di fiumi che tagliano la neve.

Le amare brezze delle cordigliere conoscono i miei passi.

Intricata, sibilante regione della mia patria selvaggia,

liane il cui bacio mortale s'incatena nella selva,

lamento bagnato dell'uccello che s'alza lanciando i suoi brividi,

oh regione di perduti dolori e di pianto inclemente!

[...]




Dinosaurini

 














Piccoli Brividi: Il Mostro delle Nevi a Pasadena


Jordan vive in California, a Pasadena, e non ha mai visto la neve, visto che nella sua città c'è il sole tutto l'anno! Ma è proprio accompagnando il padre, esploratore e fotografo, in Alaska, alla ricerca dell'abominevole Uomo delle Nevi, che rimpiangerà il caldo della California, specialmente quando si renderà conto che è stata una pessima idea intrappolare il Mostro delle Nevi e portarlo a Pasadena!



Introduzione a Beckett

Lessi Beckett nel 2004 o 2005 o giù di lì, quando (SENZA LAUREA) mi sono studiata una Storia della Filosofia; approfondii un po' tutto quello che era etichettato come "Esistenzialismo" o "Proto Esistenzialismo" e così da qualche parte trovai menzionato anche Beckett.

L'ho riletto giorni fa e l'ho trovato ancora più "profetico" nell'aver preannunciato al meglio l'assoluta NULLITà della nostra epoca. Se già l'esistenza faceva pena e non aveva granché senso ai suoi tempi, figuriamoci oggigiorno, l'epoca dei selfie e dei mentecatti aggregorati.

Così, ri-pubblico un commento a Beckett che avevo fatto uscire per pdf ma non avevo postato qui.

Samuel Beckett non è solo il padre di una delle più geniali opere teatrali, quell'"Aspettando Godot" che ben si presta a metafora del vuoto esistenziale, un aspettare privo di azioni, una sfibrante attesa perenne del Niente (i due protagonisti dell'opera teatrale, Vladimiro ed Estragone, aspettano un misterioso personaggio, Godot, che incarna le aspettative deluse riguardo allo scopo, al fine, al progetto esistenziale, quell'attesa dell'"aspettando-che-qualcosa-accada-o-che-qualcuno-giunga", nervosa, sfibrante, angosciante, per dare un senso alla vita, tematica presente anche in Dino Buzzati nel "Deserto dei Tartari"... Riporto qualche frase tratta dal commento di Ambra Garancini Costanzo: "La vicenda del romanzo può essere intesa come un'unica ampia metafora della vita umana: la vita intesa come attesa costantemente delusa, come speranza costantemente negata, come viaggio verso una meta sempre oscura e sfuggente...")

La vita vista come un aspettare un qualcosa, un qualcuno, un aspettare continuo... che non serve a niente, che non sfocia a niente.

Perché non c'è trama, non c'è scopo nell'opera teatrale, metafora dell'Esistenza...che cosa vale la pena fare per Vladimiro ed Estragone?'

Aspettare.

Chi?

Non si sa bene.

E non stupisce che si parli di un Beckett Esistenzialista.

Parafrasando Sartre, si potrebbe affermare: "Non siamo liberi di non aspettare... tutti aspettiamo comunque."

Estragone: E adesso che facciamo?

Vladimiro: Non lo so.

Estragone: Andiamo via.

Vladimiro: Non si può.

Estragone: Perchè?

Vladimiro: Aspettiamo Godot.

Estragone: Già, è vero.

Pozzo: (con ira improvvisa) Ma la volete finire con le vostre storie di tempo? è grottesco! Quando! Quando! Un giorno non vi basta, un giorno come tutti gli altri, è diventato muto, un giorno io sono diventato cieco, un giorno diventeremo sordi, un giorno siamo nati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stesso istante, non vi basta? (calmandosi) Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, e poi è di nuovo notte.

Ma Beckett non ha scritto solo opere teatrali; è Autore anche di diverse poesie, tra non senso, umorismo grottesco e senso di nulla.

Qualche verso:

Vorrei che il mio amore morisse

che piovesse sul cimitero

e sui viottoli per cui vado

piangendo quella che credette di amarmi.


"L'avvoltoio"

Trascinando la fame lungo il cielo

del mio cranio che serra cielo e terra

piombando su quei proni che dovranno

presto riprendersi la vita e andare

irriso da un inutile tessuto

se fame terra e cielo sono resti.


"Da Tagte es"

A questi surrogati addii adempia

il foglio rifluente nella mano

che nulla abbia di più per questo piano

e sui tuoi occhi lo specchio che snebbia.


"Ossa d'Eco"

Dentro la mia andatura rifugio tutto il giorno

con gazzarre smorzate se la carne decade

senza tema erompendo o favore di vento

vada il guanto di sfida del senso e del non senso

preso dalle sue fisime per quello che mai sono.


"Saint-Lo"

Il vire serpeggerà in diverse ombre

non nato tremerà per le vie lucide

e la vecchia disanimata mente

sprofonderà dentro la sua rovina.


"PSS"

Su

la vita tardi trascorsa

laggiù

finita inespressa

di nuovo scomparsa

con quanto da dire

avanti

ancora ridilla

testa oh mani

tenetemi

disgiungete

tenetemi


"Ritornotorno"

Lungo tutta la spiaggia

alla fine del giorno

i passi unico suono

unico lungo suono

fin quando non richiesti

si fermano

allora nessun suono

lungo tutta la spiaggia

a lungo nessun suono

fin quando non richiesti

riprendono

i passi unico suono

unico lungo suono

lungo tutta la spiaggia

alla fine del giorno.


Da "Poesie in francese 1937-1939"

Vengono

diverse e le stesse

con ciascuna è diverso e lo stesso

con ciascuna l'assenza d'amore è diversa

con ciascuna l'assenza d'amore è la stessa.


Musica dell'indifferenza

cuore tempo aria fuoco sabbia

del silenzio crollo d'amori

copri le loro voci dacché

io non mi senta più

tacere


"Dieppe"

Ancora l'ultimo riflusso

la morta ghiaia

l'inversione poi i passi

verso le solite luci


"Rue de Vaugirard"

A mezza altezza

debraglio e sbalordito di candore

la targa espongo alle luci e alle ombre

poi riparto rinvigorito

da un irrecusabile negativo.


Polvere spirale d'istanti che cos'è lo stesso

la quiete l'amore l'odio la quiete la quiete


"Morte di A.D"

(Arthur Darley, amico di Beckett)

La colpa irremissibile del tempo

aggrappato al vecchio leno

testimone delle partenze

testimone dei ritorni.


Viva morta la sola mia stagione

gigli bianchi crisantemi

nidi vivi abbandonati

fango di foglie d'aprile

bei giorni grigi di brina


Scorro quel corso di sabbia che

frana fra i ciottoli e la duna

piove sulla mia vita pioggia estiva

su me la vita che mi sfugge e insegue

e finirà nel giorno del suo inizio.

Caro istante ti vedo

nella cortina di bruma che arretra

dove più non dovrò calcare queste

lunghe mobili soglie

e vivrò il tempo d'una porta

che s'apre e si richiude.


da "Filastroccate"

Ascoltali

congiungersi

le parole

alle parole

senza una parola

i passi

ai passi

uno a

uno


Ciascun giorno invidia

d'essere un giorno in vita

non certo senza scorno

d'essere nato un giorno.


Notte che tanto fai

implorare l'alba

notte di grazia

cala


Niente nessuno

sarà stato

per niente

tanto stato

niente

nessuno


Sogno

senza requie

né tregue

a niente.


Morto nel mezzo

delle sue morte mosche

l'alito di uno spiffero

dondola il ragno.


Ricordi non più

a lungo dell'età

d'aprile un giorno

d'un giorno.



Da "Pseudo Chamfort"

Chiedi al pensiero che tutto condona

qualche sollievo del male che dona.


O fin quando non giunga morte sonno

risana spiana rendici più vana

questa vita d'insania


Io amo l'ordine.

è il mio sogno.

Un mondo in cui tutto sia silenzioso e immobile

e ogni cosa al suo posto estremo,

sotto la sua polvere estrema.



CASCANDO

I (1936)


Perché non meramente l'occasione

senza speranze e distillare

parole

meglio non è abortire che essere sterili.

Plumbee dopo che tu vai via le ore

cominceranno sempre troppo presto

uncinando alla cieca

a dragare il letto del desiderio

recuperando le ossa i vecchi amori

orbite un tempo riempite di occhi come i tuoi

forse che tutto è sempre meglio troppo presto che mai

coi volti bruttati, dal nero desiderio

nuovamente dicendo in nove giorni mi riemerse l'amato

né in nove mesi

né in nove vite.


ASCENSIONE

... Schizzò il suo sangue abbondantemente

sulle lenzuola sui grani odorosi sul suo moroso

che con dita disgustose chiuse le palpebre

sui grandi occhi verdi attoniti

lei s'aggira leggera

sulla mia tomba d'aria.


Fin dentro la caverna cielo e suono

e una ad una le vecchie voci

d'oltretomba

e lentamente quella stessa luce

che sulle piane di Enna in lunghi stupri

poc'anzi macerava le cedracche

e quelle stesse leggi

di poc'anzi

e lentamente nella lontananza che estingue

Proserpina e Atropo

Adorabile d'esistente vuoto

lo sbocco ancora d'ombra.


TREMIMACCHè

... Subitanea in

cinerea liscia

inorridita

scintillante scissura

finché subitanea

di nuovo liscia

fremito così trascorso

che mai stato

al raggio

nel latibolo

a lungo buio

fremito di tremore

fino a quando irrompa

a lungo sigillato

di nuovo il buio

di nuovo quiete.


N.B: Suggerisco anche di leggersi "Filumena Marturano" (anche se l'uso del dialetto napoletano può essere uno scoglio insormontabile per chi non è nato a Napoli) per lo meno, leggersi un'introduzione all'opera e al suo significato 




Saronno: Villa Gianetti e Palazzo Visconti Rubino

Info tratte da cartelli in loco

VILLA GIANETTI, a Saronno, storica dimora di inizio '900 in stile Neorinascimentale Lombardo, ospita una piccola raccolta d'arte moderna dedicata al Chiarismo, corrente pittorica che si è definita a Milano verso il 1930, con una pittura chiara e bianca. Si tratta di un movimento neo-romantico che risale alle radici della pittura lombarda moderna, per poi sviluppare l'influsso dell'Impressionismo, del Postimpressionismo e della Scuola di Parigi.


Per gli artisti chiaristi la pittura si presenta con toni chiari e luminosi, senza chiaroscuro, con ombre dipinte direttamente col colore. Una pittura vibrata di luminosità tonali chiare, sospesa tra realtà, senso di fragilità e sogno.


PALAZZO VISCONTI RUBINO

Casa aristocratica del XVI secolo, appartenuta in origine ad un ramo della nota famiglia Visconti, passata poi alle famiglie Rubino, Schenardi e Morandi. Dal 1888 è di proprietà del Comune di Saronno, venendo usato come edificio scolastico, poi sede comunale e sede della pretura cittadina.

Si presenta con la tipica pianta a "U" di molte dimore lombarde del tempo, con un corpo centrale e due ali laterali che chiudono il cortile d'onore.


Altre foto di Saronno