"Cristo si è fermato ad Eboli"

Pubblicato nel 1945, subito dopo la Liberazione, "Cristo si è fermato ad Eboli" incontrò l'immediato favore del pubblico e della critica, che videro in esso il primo libro di rottura del dopoguerra, la prima voce autentica di un rinnovato impegno civile e morale. La vicenda è autobiografica. Levi, confinato durante il fascismo in un piccolo paese della Lucania, viene a contatto con una miseria profonda di quella parte oscura e dolente d'Italia rimasta sepolta per millenni sotto il peso dell'ingiustizia sociale e dell'indifferenza politica. è l'Italia dei contadini del Mezzogiorno, di una popolazione che vive ai margini della storia e per la quale lo stesso messaggio di Cristo sembra ancora di là da venire. Nasce così, dal rapporto continuativo e vibrante tra il mondo interiore dell'artista e il mondo paziente e antichissimo di quella gente primitiva, un racconto che è come un viaggio al principio del tempo, alla scoperta di una diversa civiltà.  


"La Fossa del Brigadiere è piena di ombre, e l'ombra avvolge i monti viola e neri che stringono d'ognintorno l'orizzonte. Brillano le prime stelle, scintillano di là dall'Agri i lumi di Sant'Arcangelo, e più lontano, appena visibili, quelli di qualche altro paese ignoto, Noepoli forse, o Senise."

"Dopo l'ultima casa del paese, dove la strada, superata una selletta, comincia a scendere verso il Sauro, c'era un breve spiazzo di terra disuguale, coperta a tratti di un'erba gialla e intristita. Era il campo sportivo (...) A sinistra un sentiero saliva ancora su un poggio poco distante coperto di ulivi e terminava a un cancelletto di ferro, aperto tra due pilastri che si continuavano in un muretto basso di mattoni. Dietro il muretto spuntavano due sottili cipressi; attraverso il cancello si vedevano le tombe, bianche sotto il sole. Il cimitero era il limite estremo, in alto, del terreno che mi era concesso. (...) Le lucertole stavano immobili sul muro assolato; una, due cicale si rispondevano a tratti, come provando un canto, e poi tacevano improvvise."

"(...) Era il crepuscolo. I contadini risalivano le strade con i loro animali e rifluivano alle loro case, come ogni sera, con la monotonia di un'eterna marea, in un loro oscuro, misterioso mondo senza speranza. (...) Il cielo era rosa verde e viola, gli incantevoli colori delle terre malariche, e pareva lontanissimo. (...) L'estate splendeva nel suo ardore funesto: il sole pareva fermarsi in mezzo al cielo, le argille si spaccavano per l'arsura. Nelle fessure della terra assetata si annidavano le serpi, le vipere corte e tozze di qui, che i contadini chiamano cortopassi, dal veleno mortale."

"Di bambini ce n'era un'infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria; (...) Ho visto dei bambini seduti sull'uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi e quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. (...) Era il tracoma. Altri bambini incontravo, coi visini grinzosi come dei vecchi, e scheletriti per la fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. (...) Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. (...) Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi"

"I grandi calori andavano passando, in quel settembre avanzato, e cedevano al primo fresco precursore dell'autunno. I venti mutavano direzione, non portavano più l'arsura bruciante dei deserti ma un vago sentore marino; e i tramonti allungavano per delle ore le loro strisce di rossi fuochi, sui monti di Calabria, nell'aria piena dei voli delle cornacchie e dei pipistrelli. Sulla mia terrazza il cielo era immenso, pieno di nubi mutevoli: mi pare di essere sul tetto del mondo, o sulla tolda di una nave, ancorata su un mare pietrificato. (...) Dietro i loro tetti giallastri spuntava la costa di un monte, al di sopra del cimitero, e di là, prima del cielo, si sentiva il vuoto della valle (...) Alla mia destra, a mezzanotte, scendeva la frana sul burrone rinchiuso fra i monti, che mostravano la loro faccia spelacchiata e brulla (...) Un po' a sinistra e più in alto di Sant'Arcangelo, appariva, a mezza costa di un'altura, il biancore di una chiesa. Qui usavano convenire in pellegrinaggio le genti della valle: era un luogo di molta devozione, sede di una Madonna miracolosa. In questa chiesa erano conservate le corna di un drago che infestava, nei tempi antichi, la regione."

"Il tempo si fece freddo. Dal fondo dei burroni il vento saliva con i suoi vortici gelidi, soffiava continuo, come venisse da tutte le parti, penetrava nelle ossa, e si perdeva, ruggendo, nelle gole dei camini. (...) Il paese si coprì di nebbie biancastre che stagnavano nelle valli: le cime dei colli sorgevano da quello sfatto biancore, come isole su un informe mare di noia."


Nessun commento:

Posta un commento