Avevo già dimostrato che Torquato Tasso Mi avrebbe amato ed esaltato, esattamente come tanti altri poeti del Rinascimento che "andavano dietro alle bionde" unicamente perché Lunaria non era ancora nata (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/gli-uomini-del-rinascimento.html) Del resto non è così frequente vedere donzelle bionde del 2022 che si occupino del Tasso e dell'Ariosto, mentre invece Io l'ho fatto (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/dipinti-e-incisioni-depoca-dedicate-ai.html)(https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/lorlando-furioso-riassunto.html)(https://intervistemetal.blogspot.com/2020/11/analisi-ai-personaggi-di-la-gerusalemme.html) e questa è solo una piccola parte delle cose che ho fatto "per Torquato Tasso e tutti gli altri del Rinascimento", perciò è cosa buona e giusta che tutti i sonetti rinascimentali scritti in onore delle madonne bionde siano riscritti in Mio Onore.
Detto ciò, ecco qui un approfondimento che ho trascritto su "Erminia", tratto da "Enciclopedia dello Studente"
***
"Erminia tra i pastori" è uno degli episodi più noti per la felice suggestione che emana dal personaggio così vivo di questa tenera e schiva fanciulla innamorata e dal paesaggio riposante e distensivo della campagna, tra persone umili e semplici, come quel vecchio che tanto dolcemente parla ad Erminia della sua vita passata all'inutile ricerca di gioie fugaci tra gli uomini di mondo.
Il Tasso è sempre vivo nelle sue creature e i loro sentimenti sono pur sempre i suoi, interiormente avvertiti o intensamente sofferti: le pene d'amore di un cuore inappagato, come quello di Erminia, le vane ambizioni cortigiane e l'inseguire chimere, l'anelito ad una vita tranquilla, più semplice, a contatto con una natura più fresca e vera.
In tanto Erminia in fra l'ombrose piante
d'antica selva dal cavallo è scorta (1),
né più governa il fren la man tremante,
e mezza quasi par tra viva e morta.
Per tante strade si raggira e tante
il corridor ch'in sua balìa la porta,
ch'al fin da gli occhi altrui pur si dilegua
ed è soverchio (2) ormai ch'altri la segua.
Qual dopo lunga e faticosa caccia
tornansi mesti ed anelanti i cani,
che la fera perduta abbian di traccia,
nascosta in selva da gli aperti piani;
tal pieni d'ira e di vergogna in faccia
riedono stanchi i cavalieri cristiani.
Ella pur fugge, e timida e smarrita
non si volge a mira s'anco è seguita.
Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno
errò senza consiglio (3) e senza guida,
non udendo o vedendo altro intorno,
che le lagrime sue, che le sue strida.
Ma ne l'ora che'l sol dal carro adorno
scioglie i corsieri, e in grembo al mar s'annida (4)
giunse dal bel Giordano a le chiare acque,
e scese in riva al fiume, e qui si giacque.
Cibo non prende già; chè de' suoi mali
solo si pasce, e sol di pianto ha sete:
ma 'l sonno, che de' miseri mortali
e co'l suo dolce oblio posa e quiete,
sopì co' sensi i suoi dolori, e l'ali
dispiegò sovra lei placide e chete;
né però cessa Amor con varie forme
la sua pace turbar mentre ella dorme.
Non si destò sin che garrir gli augelli
non sentì lieti e salutar gli albori (5)
e mormorar il fiume e gli arboscelli,
e con l'onda scherzar l'aura (6) e coi fiori.
Apre i languidi lumi (7) e guarda quelli
alberghi solitarii (8) de' pastori;
e parle voce udir tra l'acqua e i rami
ch'a i sospiri ed al pianto la richiami. (9)
Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti
rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene,
che sembra, ed è, di pastorali accenti
misto e di boscherecce inculte avene. (10)
Risorge, e là s'indirizza (11) a passi lenti,
e vede un uomo canuto a l'ombre amene
tesser fiscelle (12) a la sua greggia a canto,
ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
Vedendo quivi comparir repente
l'insolite arme, sbigottir costoro;
ma gli (13) saluta Erminia, e dolcemente
gli affida (14) e gli occhi scopre e i bei crin d'oro:
Seguite, dice, avventurosa gente
al Ciel diletta, il bel vostro lavoro;
chè non portano già guerra quest'armi
a l'opre vostre, a i vostri dolci carmi (15)
Soggiunse poscia: O padre, or che d'intorno
d'alto incendio di guerra arde il paese,
come qui state in placido soggiorno
senza temer le militari offese?
Figlio, (16) ei rispose, d'ogni oltraggio e scorno
la mia famiglia e la mia greggia illese
sempre qui fur; nè strepito di Marte (17)
ancor turbò questa remota parte.
O sia grazia del Ciel, che l'umilitade
d'innocente pastor salvi e sublime; (18)
o che, sì come il folgore non cade
in basso pian ma su l'eccelse cime,
così il furor di peregrine spade
sol de' gran re l'altere teste opprime;
nè gli avidi soldati a preda alletta
la nostra povertà vile e negletta.
Altrui (19) vile e negletta, a me sì cara,
che non bramo tesor nè regal verga;
nè cura o voglia ambiziosa o avara
mai nel tranquillo del mio petto alberga (20)
Spengo la sete mia ne l'acqua chiara,
che non tem'io che di venen s'asperga;
e questa greggia e l'orticel dispensa
cibi non compri a la mia parca mensa.
Chè poco è il desiderio, e poco il nostro
bisogno, onde la vita si conservi.
Son figli miei questi ch'addito e mostro
custodi de la mandra, e non ho servi.
Così men vivo in solitario chiostro (21)
saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
ed i pesci guizzar di questo fiume,
e spiegar (22) gli augelletti al ciel le piume.
Tempo già fu, quando più l'uom vaneggia
ne l'età prima (21), ch'ebbi altro desio,
e disdegnai di pasturar la greggia,
e fuggii dal paese a me natio:
e vissi in Menfi (24) un tempo, e ne la reggia
fra i ministri del re fui posto anch'io;
e, ben che fossi guardian degli orti,
vidi e conobbi pur l'inique corti (25)
Pur lusingato da speranza ardita
soffrii lunga stagion, ciò che più spiace (26)
ma poi ch'insieme con l'età fiorita
mancò la speme e la baldanza audace,
piansi i riposi di quest'umil vita
e sospirai la mia perduta pace;
e dissi: "O corte, a Dio". Così agli amici
boschi tornando, ho tratto i dì felici (27)
Mentr'ei così ragiona, Erminia pende
da la soave bocca intenta e cheta;
e quel saggio parlar, ch'al cor le scende,
de' sensi in parte le procelle acqueta (28)
Dopo molto pensar, consiglio prende (29)
in quella solitudine secreta
in sino a tanto almen farne soggiorno,
ch'agevoli fortuna (30) il suo ritorno.
Note:
1) guidata
2) del tutto superfluo
3) senza alcuna meta stabilita
4) l'ora del tramonto, quando il sole lascia il suo carro luminoso e si tuffa nel mare
5) le prime luci dell'alba
6) e la brezza scherzare con le onde del fiume e con i fiori dei prati
7) occhi
8) case isolate
9) e le sembra di sentire una voce che tra l'acqua e i rami la richiami ai sospiri e al pianto
10) voci di pastori accompagnate da rustiche zampogne (inculte avene)
11) si dirige
12) intrecciare giunchi
13) li
14) li rassicura
15) canti
16) avrebbe dovuto dire "figlia" dato che Erminia aveva appositamente mostrato i suoi "crin d'oro" per fargli comprendere che nulla aveva da temere da una fanciulla
17) l'assordante rumore della guerra, di cui Marte era il dio.
18) sublimi, innalzi
19) per altri
20) trova ospitalità nel mio cuore
21) luogo appartato
22) distendere le ali, volare
23) la giovinezza, l'età dei sogni
24) intesa come la capitale dell'Egitto, anche se da lungo tempo era già stata distrutta
25) pur essendo soltanto un giardiniere, aveva avuto modo di sperimentare l'iniquità della corte (come si sente l'amara esperienza del Tasso!)
26) quel che più dispiace è aver sofferto lungo tempo alimentando inutili speranze
27) mi sono procurato dei giorni felici
28) le tempeste del suo cuore afflitto dalle pene d'amore
29) prende la deliberazione di...
30) il momento propizio agevoli il suo ritorno
LA MORTE DI CLORINDA
La Morte di Clorinda è una pagina molto famosa del Tasso.
Ecco la sintesi: un tragico equivoco porterà Tancredi ad uccidere Clorinda, la donna che ama, pur essendogli fiera nemica.
Le tenebre notturne, la pesante armatura, che mortifica ed occulta il bel corpo della fanciulla, impediscono a Tancredi di conoscere chi gli sta di fronte, impavido ed animoso guerriero che dice di essere uno dei due che hanno appiccato il fuoco alla gran torre cristiana.
Quando s'accorge della sua vera identità, è troppo tardi: la sua spada l'ha trafitta nel delicato petto e la giovane ormai morente chiede di essere battezzata. Quindi la morte serena, "passa la bella donna, e par che dorma", dopo una vita inquieta di desideri insoddisfatti, di speranze vagheggiate.
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia; ed altrettante
da que' nodi tenaci ella si scinge, (1)
nodi di fier nemico, e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'una e l'altro il tinge (2)
con molte piaghe: e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue (3)
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue (4)
al primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sè non tanto offeso. (5)
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente, ch'ogn'aura di fortuna estolle! (6)
Misero, di che godi? oh quanto mesti
fiano (7) i trionfi, ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così facendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto. (8)
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui l'altro scoprisse (9)
Nostra sventura è ben (10) che qui s'impieghi
tanto valor, dove il silenzio il copra.
Ma, poi che sorte rea vien che (11) ci neghi
e lode e testimon degno de l'opra (12)
pregoti (se fra l'arme han loco i preghi)
che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onore. (13)
Risponde la ferocia: Indarno chiedi
quel che ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese.
Arse di sdegno a quel parlare Tancredi,
e: in mal punto (14) il dicesti, indi riprese,
il tuo dir e'l tacer di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta (15)
Torna l'ira ne' due cori, e li trasporta,
benchè deboli, in guerra. Ah, fera pugna!
U' l'arte in bando, u' già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna! (16)
Oh che sanguigna e spaziosa porta (17)
fa l'una e l'altra spada, ovunque giunga
e l'arme e ne le carni! E se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita. (18)
Qual l'altro Egeo, perché Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s'accheta ei però, ma il suono e 'l moto
ritien de l'onde anco agitate e grosse; (19)
tal, se ben manca in lor co'l sangue voto (20)
quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
serbano ancor l'impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno.
Ma ecco ormai l'ora fatale è giunta,
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta,
che vi s'immerge, e'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve (21)
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch'a lei novo un spirto ditta (22)
spirto di fe', di carità, di speme;
virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella (23)
in vita fu, la vuole in morte ancella.
Amico, hai vinto: io ti perdono... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave, (24)
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave (25)
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende, ed ogni sdegno ammorza
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza. (26)
Poco quindi da lontan nel sen del monte
scaturìa mormorando un picciol rio (27)
Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor, sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe; e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già; che sue virtuti accolse
tutte in quel punto (28) e in guardia al corpo le mise, e premendo il suo affanno, a dar si volse
vita con l'acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon dei sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: s'apre il cielo; io vado in pace.
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a' gigli sarian miste viole (29)
e gli occhi al cielo affissa; e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e 'l sole. (30)
e la man nuda (31) e fredda alzando verso
il cavaliero, in vece di parole,
gli dà pegno di pace. In questa forma (32)
passa la bella donna e par che dorma.
Note:
1) Si scioglie
2) ed entrambi lo (il ferro) tingono (di sangue) attraverso molte ferite
3) esangue
4) la luce dell'ultima stella impallidisce
5) e sè non tanto ferito
6) che ogni momento favorevole fa insuperbire
7) saranno
8) desistettero dal combattimento
9) rivelasse
10) è veramente una nostra sfortuna che qui rifulga silenziosamente tanto valore
11) capita che...
12) del nostro combattere
13) chi onori\a chi debba l'onore di...
14) nel momento meno opportuno
15) le tue parole ed il tuo silenzio m'invitano, barbaro scortese, alla vendetta
16) ah, crudele battaglia, dove (u' dal latino ubi) l'abilità è messa al bando, dove la forza viene meno, dove invece combatte il sole furore di entrambi
17) apertura, ferita
18) se la vita non esce, è lo sdegno a tenerla avvinta
19) come il profondo Egeo, benché cessino i venti (Aquilone e Noto) che dapprima lo scuotevano, non si calma per questo, ma mantiene le acque agitate, così...
20) versato
21) e la veste, trapunta di ricami dorati, che lieve e morbida stringeva il petto
22) che uno spirito nuovo detta
23) se pur ribelle (alla legge di Dio)
24) paventa, teme
25) lavi
26) invogli e costringi a...
27) ruscelletto
28) che raccoglie a tale scopo tutte le sue forze vitali
29) ha il volto soffuso di un bel pallore, come se dei gigli si fossero mescolati a delle viole
30) sembra che per la pietà il cielo e il sole siano rivolti verso di lei
31) priva del guanto
32) questo atteggiamento
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