Origgio: via Crucis
Analisi a due dipinti di John Waterhouse
Che ho visto in mostra a Milano il 13 Luglio 2019.
Info prese dai cartelli
Waterhouse fu un pittore di grande successo. Il poemetto di Tennyson "The Lady of Shalott" (1833) racconta di una fanciulla chiusa in una torre, che una maledizione ha condannato a morire se smetterà di ricamare le scene che vede riflesse in uno specchio. Quando vede Lancillotto, decide di tentare la fuga: esce e in punto di morte, sale su una barca e si mette alla ricerca di Lancillotto. Le rondini volano basso mentre il vento le scompiglia i capelli e spegne le candele.
I Preraffaeliti (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/11/i-preraffaeliti.html) si ispirarono molto ai miti e al repertorio di storie d'amore e di mistero. Le campagne per i diritti delle donne suscitavano timore: si pensava che le norme morali, domestiche, religiose ne sarebbero state sconvolte. Questo timore trova conferma in alcuni dipinti dei Preraffaeliti, che rappresentarono le donne come forze potenti, misteriosi, distruttive: Dee, incantatrici, fatali a se stesse o agli altri.
In "Il Cerchio Magico" di Waterhouse si vede una strega che disegna un cerchio di fuoco attorno ad un calderone. La sua alta figura domina il passaggio roccioso, e dietro il cerchio vediamo dei corvi e sullo sfondo una città e alcune figure che osservano la scena dall'alto di un dirupo e da una grotta.
Le sedute spiritiche erano in voga a quel tempo: è stato ipotizzato che il fumo che sale dal calderone stia per condensarsi in una forma spettrale.
Camus (in edizione aggiornata 2025)
Info tratte da
Mai forse prima di Albert Camus era accaduto che uno scrittore interpretasse così a fondo i sentimenti di una generazione.
Ma come e dove Camus ha imparato a identificarsi fino a tal punto nel destino degli altri?
La risposta a queste domande ci porta lontano, in una città di sole e di vento, di miseria e di ricchezze: Algeri. Qui si compì l'educazione dello scrittore.
Camus nacque a Mondovì d'Algeria, il 7 Novembre 1913. Suo padre era un modesto artigiano, sua madre un'analfabeta.
Appena un anno dopo scoppiò la Prima Guerra Mondiale e il padre di Camus morì sulla Marna, ucciso in battaglia.
Alla vedova non rimase che ritirarsi ad Algeri, presso la propria madre.
Camus cresce, si appassiona alla filosofia, a Sant'Agostino.
Ad un certo punto deve fare i conti con la tubercolosi, ma quando le forze gli ritornano, si dedica al teatro e alla scrittura.
Compone "Il Rovescio e il Diritto", nel quale mette tutto il suo cuore e disperazione.
Inquieto, tormentato, Camus comincia a sentire troppo angusto l'orizzonte in cui è costretto a muoversi e ad agire.
Sogna l'evasione, i viaggi in terre lontane, visita l'Italia, la Cecoslovacchia, le Baleari.
Il mondo, intanto, precipita nella guerra. Camus si offre volontario: la possibilità di lottare per un ideale di giustizia lo esalta. Ma viene scartato alla visita medica perché cagionevole di salute.
Conoscerà la miseria, a Parigi, abitando in una soffitta buia sotto i tetti.
Qui comincia a scrivere "Lo Straniero". Tornato in Algeria, scriverà "La Peste".
"Lo Straniero" e il successivo "Il Mito di Sisifo" diventeranno il "nuovo vangelo" dei giovani bruciati dalla guerra: Camus diventa l'interprete delle generazioni che si affacciano alla ribalta.
E invece l'assurdo, il destino, lo attende in agguato pronto a ghermirlo: il 4 gennaio 1960 mentre tornava dalla Provenza a Parigi, la macchina su cui viaggia si schianta contro un albero e Camus muore sul colpo a 46 anni.
Infine, riportiamo due brani tratti dalla prefazione che Camus scrisse per la riedizione di "Il Rovescio e il Diritto", che si era rifiutato di far ristampare.
"Conosco il mio disordine, la violenza di certi istinti, l'abbandono senza grazia in cui posso gettarmi. Per essere edificata, l'opera d'arte deve servirsi prima di tutto di queste forze oscure dell'anima. Ma non senza canalizzarle, circondarle di dighe, perché il loro fiotto salga anche. Le mie dighe, anche oggi, sono forse troppo alte. Quindi una certa rigidezza, a volte... semplicemente, il giorno in cui si stabilirà l'equilibrio fra quel che sono e quel che dico, quel giorno forse, e oso appena scriverlo, potrò costruire l'opera che sogno..."
"Nel sogno della vita, ecco l'uomo che trova le proprie verità e le perde, sulla terra della morte, per tornare attraverso le guerre, le grida, la follia di giustizia e d'amore, e finalmente attraverso il dolore, verso quella patria tranquilla in cui anche la morte è un silenzio felice. Ecco ancora... Sì, nulla impedisce di sognare, anche nel tempo dell'esilio, poiché questo almeno so, di scienza certa, che un'opera umana non è nient'altro che questo luogo cammino per ritrovare, con i sotterfugi dell'arte, le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali una prima volta il cuore si è aperto. Ecco perché, forse, dopo vent'anni di lavoro e di attività, io continuo a vivere con l'idea che la mia opera non sia nemmeno cominciata."
Artista incontentabile e cosciente del valore della parola, Camus era giunto alla conclusione che le idee, in un libro contano sì per quello che sono, ma anche, anzi soprattutto, per il modo in cui sono espresse.
Spirito inquieto e tormentato, Camus inseguiva attraverso l'arte il "sogno" di ritrovare l'incanto e la felicità della fanciullezza lontana.
L'arte veramente classica di Camus e il suo tormento d'uomo noi li ritroviamo nei due brani che abbiamo riportato e che egli scrisse a breve distanza dalla morte improvvisa e tragica.
Altri approfondimenti
Da "Scritti Giovanili: "Deliri"" (1932)
Non posso dimenticare la mia intelligenza se non restando me
stesso. E allora perché analizzare, perchè rivoltarsi?
Vivere non è già una rivolta sufficiente?
"Le barche" (1934)
La solitudine che era venuto a cercare, adesso gli dava
fastidio... il bambino corre, si ferma, ascolta. Adesso cade la
pioggia, sottile sulle cime degli alberi, nel bosco sciabordante
le foglie parlano. Ombre, vento, passano tra le maglie della notte.
... Dolori, silenzi, pallori, è tutto già morto.
... Adesso costeggia il lago di cui conosce la cintura di fiori nel
giorno e, in fondo, le ombre verdi, lenzuolo funebre d'Ofelia.
Da "La Caduta"
"Per qualche tempo in apparenza, la mia vita continuò come se nulla fosse mutato... In quel momento il pensiero della morte irruppe nella mia vita di tutti i giorni... per essere franco, quello che facevo metteva conto di essere continuato? Ero perseguitato da un ridicolo timore: che non si potesse morire senza aver confessato tutte le proprie menzogne. Non a Dio, o a uno dei suoi rappresentanti.
Ero superiore a questo... Non possiamo affermare l'innocenza di nessuno mentre possiamo affermare con sicurezza che tutti sono colpevoli... Chi avrebbe creduto che il delitto non consiste tanto nel far morire altri quanto nel morire noi stessi... Per desiderio di vita eterna, andavo a letto con le puttane e bevevo notti intere. Certo, al mattino avevo in bocca il sapore amaro della condizione mortale... Vivevo in una sorta di nebbia... Morivo quietamente della mia guarigione... Visto che non si potevano condannare gli altri senza giudicare immediatamente se stessi, bisognava incolpare se stessi per avere diritto di giudicare gli altri... da un po' di tempo a Mexico-City la mia utile professione consiste prima di tutto nel praticare il più possibile la confessione pubblica. Mi accuso per lungo e per largo... Più mi accuso più ho il diritto di giudicare... Bevendo l'assenzio del giorno che nasce finalmente ebbro di parole cattive, io sono felice.Avrei concluso la mia anonima carriera di falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne."
Da "Lo Straniero" , 1942, pagina 129
Durante tutto il giorno avevo la domanda di grazia. Credo di aver sfruttato il massimo possibile quest'idea. Calcolavo gli effetti e ottenevo dalle mie riflessioni il miglior rendimento. Partivo sempre dalla supposizione peggiore: la domanda era respinta. "Ebbene, allora morrò". Più presto che molti altri, evidentemente. Ma tutti sanno che la vita non val la pena di essere vissuta, e in fondo non ignoravo che importa poco morire a trent'anni oppure a settanta quando si sa bene che in tutt'e due i casi altri uomini e altre donne vivranno, e questo per migliaia di anni. Tutto era molto chiaro, insomma: ero sempre io a morire, sia che morissi subito, sia che morissi fra vent'anni. A questo punto quel che mi turbava un po' nel mio ragionamento era il vuoto terribile che sentivo in me al pensiero di vent'anni di vita non ancora vissuta. Ma non avevo che da soffocarlo immaginando quali sarebbero stati i miei pensieri dopo vent'anni, quando mi sarei dovuto trovare in ogni modo a quel punto. Dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente. Dunque (e il difficile era di non perdere di vista tutto il filo dei ragionamenti che quel "dunque" rappresentava), dunque dovevo accettare che il mio ricorso fosse respinto.
Dai "Taccuini":
La rinuncia alla giovinezza: non sono io che rinuncio alle persone e alle cose (non lo potrei) sono le cose e le persone che rinunciano a me. La mia giovinezza mi sfugge: essere malati è questo. La malattia è un convento con la sua regola, la sua ascesi, i suoi silenzi e le sue ispirazioni.
In autunno quel paesaggio s'infiora di foglie, i ciliegi diventano rossi, gli aceri gialli... i faggi si coprono di bronzo... Al mattino tutto è coperto di brina, il cielo risplende dietro le ghirlande... piccoli crepitii come sospiri dell'albero, brina che cade al suolo con un rumore d'insetti bianchi gettati gli uni sugli altri... intorno le vali e le colline svaniscono in vapori...
La sensazione della morte che mi è familiare: senza il sostegno del dolore. Il dolore aggrappa al presente, esige la lotta che occupa. Ma sentire la morte alla semplice vista di un fazzoletto inzuppato di sangue, significa piombare senza sforzo nel tempo in modo vertiginoso: è il terrore del divenire.
Dicembre: questo cuore pieno di lacrime e di notte...La fine di un giorno freddo, i crepuscoli di ombre e di ghiaccio... più di quanto io possa sopportare...
Simone Weil dice: non si arriva alla verità senza essere passati per il proprio annientamento: senza aver soggiornato a lungo in uno stato di totale ed estrema umiliazione.
Quei momenti in cui ci si abbandona alla sofferenza come si fa con il dolore fisico: stesi, immobili,senza volontà, né avvenire, ad ascoltare soltanto le lunghe fitte del male....Prigioniero della caverna, eccomi solo di fronte all'ombra del mondo.
Pomeriggio di gennaio, ma il freddo rimane dietro,
nell'aria... chi sono e cosa posso fare, se non entrare in quel gioco di fronde e di luci. Essere questo raggio di sole in cui si consuma la mia sigaretta, questa dolcezza, questa passione discreta che respira nell'aria.
La vita è breve e perdere il proprio tempo è peccato.
Io il mio lo perdo continuamente e gli altri mi credono estremamente attivo... Se ancora mi soffoca un senso di angoscia, esso consiste nel sentire che quest'attimo impalpabile mi scivola fra le dita come le perle del mercurio... Di questo mondo è il mio regno: una nube che passa e un istante che si spegne: la morte di me per me stesso.
Questa sofferenza mi inebria perché è questo sole e queste ombre, questo caldo e questo freddo che si sente in lontananza nel fondo stesso dell'aria.
Non bisogna perdere la speranza di essere ancora vivi nella propria giovinezza. Il giorno in cui i fiori rinasceranno finalmente dalle rovine.
La vertigine di perdersi e negare tutto, di non assomigliare a niente, di spezzare per sempre ciò che ci definisce, di offrire al presente la solitudine e il nulla, di ritrovare la piattaforma unica da cui i destini possono ad ogni istante ricominciare.
Al mattino aspettavo all'angolo di un prato sotto i grandi noccioli, nel freddo vento d'autunno, ronzio senza calore delle vespe, il vento tra le foglie... tra il cielo bruno di settembre e la terra umida...
L'acqua gelata dei bagni primaverili, le meduse morte sulla spiaggia. Una gelatina assorbita a poco a poco dalla sabbia. Le immense dune di sabbia pallida, il mare e la sabbia, questi due deserti.
Nel solleone, sulle dune immense, il mondo si rinserra e si chiude. è una gabbia di calore e di sangue. Non si estende oltre il mio corpo... le dune il deserto il cielo ritrovano la loro distanza, che è infinita.
Dal "Caligola" (1941) Atto II
"La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? Sì,
quella dei poeti e degli impotenti.
La solitudine? Quale solitudine?
Ma lo sai che non si è mai soli?
E che dovunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato
e anche quello del nostro futuro?
Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi.
E fossero solo loro, poco male.
Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che
abbiamo amato e che ci hanno amato.
Il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane
e la banda degli dei!...
La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti
perduti... Se soltanto potessi godere la vera solitudine, non
questa mia solitudine infestata dai fantasmi, ma quella vera,
fatta di silenzio e tremore d'alberi."
Atto IV
"Te che odio - te che sei per me come una ferita che vorrei
strapparmi di dosso con le unghie perché il sangue infetto
possa sgorgare con la vita a fiumi.
Per approfondimenti: https://intervistemetal.blogspot.com/2024/09/sartre-in-edizione-aggiornata-2024.html
Aspetti Sciamanici e Terapeutici della Danza
Info tratte da
Personaggi abbracciati che danzano rimandano alla simbologia della spirale.
Nella mitologia giapponese, il dio Izanagi e sua sorella Izanami camminano ruotando attorno al pilastro cosmico prima di creare isole giapponesi.
"Allora Izanagi disse: "Mettiamoci a camminare, tu ed io, intorno a questo pilastro celeste, incontriamoci e abbiamo poi rapporti coniugali." Dopo aver acconsentito Izanami rispose: "Tu devi camminare da destra mentre io comincerò da sinistra e ti incontrerò."
Nel sufismo islamico, i Dervisci sono danzanti, in un'azione rotatoria spiraliforme che è mistica.
Nella mitologia indù, Shiva è un dio danzante.
IL LISCIO
In Emilia Romagna il valzer, la polca e la mazurka, balli di derivazione straniera giunti in Italia nell'Ottocento, sono diventati parte del patrimonio folcloristico locale. Il liscio (il nome con cui vengono designati) ha assunto un'importanza di primo piano durante le feste tradizionali e le sagre. Il liscio è caratterizzato dalla presenza della fisarmonica, e vengono svolte delle competizioni per le diverse fasce d'età.
Polka https://www.youtube.com/watch?v=Nhwuzr9GUnA
Come si balla: https://www.youtube.com/watch?v=bXAvTMWNTjw
Mazurka https://www.youtube.com/watch?v=x08A6Ss5dsE
Come si balla: https://www.youtube.com/watch?v=Hfd3pFSrpcU
Casadei "Mazurka di periferia": https://www.youtube.com/watch?v=wSsHMycyOtU
"Romagna mia": https://www.youtube.com/watch?v=GZ_3DBCO6tE
"Ciao Mare" https://www.youtube.com/watch?v=Q5PCE4r-pMc
Non so bene se c'entri o meno, comunque qui c'è un video di un trio femminile "Le Mondine" che canta in mezzo ai prati! https://www.youtube.com/watch?v=75C-mLrzROg
TARANTELLA E ARGIA
Info tratte da
"In Italia esistono due esempi di pratica rituale catartica associati alla musica, alla trance e a cerimonie di indubbio sapore sciamanico che servivano a curare il disagio che si esprimeva attraverso varie patologie: la tarantella del Salento (https://www.youtube.com/watch?v=PTi_hAdwsR0) e l'argia oristanese; la tarantella veniva condotta sul sagrato delle chiese, l'argia è scomparsa. (https://www.youtube.com/watch?v=0M5rTW3NBZA)
La tarantella serviva a curare le tarantolate, le donne isteriche che si pensava fossero state morse dalla tarantola, per non ammettere la causa sociale del male, si incolpava il ragno.
Vi erano dodici melodie, usate come farmaci. Fino a che non si trovava la taranta giusta, cioè quella che suscitava la reazione dell'ammalata, si andava avanti a provare. Poi si faceva andare avanti a ballare la donna per ore e ore, anche per giorni, durante il quale tutto era permesso, inclusi i comportamenti che avrebbero suscitato riprovazione sociale.
In questo modo si offriva alla donna di comportarsi pubblicamente da isterica, per farle raggiungere uno stato di trance.
L'argia, praticata in Sardegna, era fortemente sessualizzata e prevedeva una pantomima nuziale e un parto simbolico.
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