Le Tematiche di Carducci nei Giambi ed Epodi


 "Agli amici della Valle Tiberina"

Ispirazione di questa lirica fu una gita nell'agosto del 1867, a Pieve Santo in Val Tiberina. In quel paesaggio, dove il gran fiume dell'Urbe fluisce ancor modesto e limpido, prossimo alla sorgente del monte Fumajolo, il poeta trova le immagini più animose dei suoi ideali: il sogno delle antiche glorie, l'orrore di un fosco e tirannico Medioevo, l'idilliaco vagheggiamento dell'operosa vita quotidiana. Ma prevede, infine, la polemica contro la Roma pontificia.


"Meminisse Horret"

Scritto a Firenze nell'autunno del 1867, quando giunse notizia della fallita impresa garibaldina contro Roma pontificia, della morte dei fratelli Cairoli a Villa Glori, e del trionfo a Mentana delle armi papaline e francesi. Il poeta riecheggia nel titolo un'espressione virgiliana: "Animus meminisse horret", "l'animo inorridisce nel ricordare" e si abbandona ad un'allucinante visione in cui le glorie più solenni del nostro passato vengono travolte in abiezione. Gli eroi diventano campioni di viltà, i nobili ingegni maestri di ripugnante malizia. E la patria, da nume venerato ed austero, si trasforma in femmina indecorosa.


"Per Eduardo Corazzini"

Eduardo Corazzini aveva partecipato alla sventurata impresa garibaldina del 1867 contro la Roma pontificia difesa dalle armi francesi, morendo l'anno successivo in conseguenza delle ferite riportate in battaglia. Il poeta ne commemora la scomparsa con feroce indignazione: prima scagliandosi contro la Francia, sostenitrice del dispotismo papalino, poi bersagliando Pio IX di furibonde ingiurie.


"Nel Vigesismo anniversario dell'VIII Agosto MDCCCXLVIII"

Nell'Agosto del 1848, vinto Carlo Alberto a Custoza, gli Austriaci si diressero su Bologna minacciando feroci rappresaglie al minimo tentativo di resistenza. I popolani insorsero, affrontando il nemico e riuscendo a respingerlo mentre i bolognesi "benpensanti" vi si erano sottomessi. Il Carducci, ricordando l'episodio vent'anni dopo, esalta l'entusiasmo della "santa canaglia" capace di difendere i più nobili ideali.


I versi più belli:

"Nel Vigesismo anniversario dell'VIII Agosto MDCCCXLVIII"

"Dura virago ell'è, dure domanda

di perigli e d'amor pruove famose:

in mezzo al sangue de la sua ghirlanda 

crescon rose"


"Il Cesarismo"

Nemico e nemico implacabile in quegli anni, di ogni passata e presente tirannia, in questi sonetti del 1868 Carducci fu ispirato dalla "Vita di Giulio Cesare" scritta da Napoleone III: l'esaltazione di un tiranno di ieri compiuta da un tiranno di oggi.


"Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, martiri del diritto italiano"

Nel 1867, mentre i garibaldini dei Fratelli Cairoli stavano marciando su Roma vennero sconfitti a Villa Glori, Monti e Tognetti compirono un attentato contro una caserma dell'esercito pontificio. Catturati, condannati a morte, furono decapitati un mese dopo. Da qui l'indignazione di Carducci che, accusando Pio IX di crudelissima ferocia, prima lo dichiara indegno successore di Cristo, poi sembra invocarne la clemenza, infine esalta il sacrificio dei due martiri come utile e palese esempio di un'infamia che sicuramente provocherà nel mondo civile una vendicatrice reazione.


"Le nozze del mare, allora e ora"

Era tradizione, nella Serenissima Repubblica Veneta, che il giorno dell'Ascensione il Doge celebrasse le "nozze col mare" gettandovi un anello e ciò per ribadire simbolicamente il predominio di quella potenza sull'Adriatico. Nel 1869 il governo italiano pensò di rinnovare l'usanza con un rito fra mondano e militaresco. Di qui il sarcasmo del poeta: tre anni prima, nella battaglia di Lissa, la nostra flotta era stata vergognosamente sconfitta dalla flotta austriaca!


"La consulta araldica"

Contro l'istituzione della Consulta Araldica fondata nel 1869 per controllare l'autenticità dei titoli nobiliari: un'autenticità, secondo il Carducci, non da accertare e difendere, ma da relegare fra gli emblemi di un passato inglorioso, disumano, privo di autentica dignità.


"In morte di Giovanni Cairoli"

Nel 1867 la sfortunata impresa garibaldina contro Roma pontificia venne assecondata da Enrico e Giovanni Cairoli che capeggiarono nell'Urbe l'insurrezione di una settantina di volontari. Ma il generoso tentativo finì drammaticamente nella battaglia di Villa Glori. Enrico Cadde sul campo e Giovanni riportò gravissime ferite che lo condussero a morte nella natia Groppello (Pavia)


I versi più belli:

Groppello, a te co 'l solitario canto

nel mesto giorno io vegno,

e m'accompagna de l'Italia il pianto

e nube atra, lo sdegno (...)

De le sue stanze pe 'l deserto strano

s'incontran due viventi:

tristi echi rende il sepolcreto vano

sotto i lor passi lenti"


"Avanti! Avanti"

Intitolata anche "Ripresa" questa lunga lirica vuole annunciare una "ripresa" dell'attività poetica all'ombra di nuove ispirazioni.

Fin qui il Carducci ha seguito grandi ambizioni, e ha sperato di risvegliare negli italiani la magnanima fierezza dei tempi più gloriosi, ma invano.

Ed ecco allora non la rinuncia, ma la consolazione, in un diverso mondo ideale: il mondo degli effetti e dei ricordi personali.

Un'evasione dall'epica e dalla polemica all'idillica nostalgia.

Né è un caso che prima tappa di questa evasione sia il ricordo della Maremma toscana: dell'ambiente, cioè, dove il poeta visse fanciullo e giovinetto, e le cui immagini torneranno a commuoverlo nei momenti di più nostalgica ispirazione.

"[...] La torre feudal

con lunga ombra di tedio da i colli arsicci e foschi

veglia de le rasenie (= etrusche) cittadi in mezzo a' boschi

il sonno sepolcral [...]"


"Per il LXXVIII Anniversario della Proclamazione della Repubblica Francese"

Nel 1792 la Francia divenne repubblica e fu un avvenimento capitale nelle vicende della grande Rivoluzione. Ora, 78 anni dopo, la Francia imperiale di Napoleone III è stata sconfitta a Sedan e patisce l'invasione dei nemici prussiani. Da qui l'amarezza rabbiosa del poeta e la sua nostalgia per le maggiori figure della Rivoluzione, la cui opera, purtroppo, rimase incompiuta e venne in breve soffocata dagli eventi.


I versi più belli:

Tutto ei sentia presente: il sanguinoso

occhio rotava in quel vivente orror,

e chiedea con funebre urlo angoscioso

mille vendette ed un vendicator.


"Giuseppe Mazzini": rampogna dell'Italia contemporanea; ed esaltazione in Giuseppe Mazzini di uno dei pochi magnanimi che vivono in solitaria grandezza. Motivo, dunque, fin troppo ripetuto dal Carducci di questi anni, ma ora ripreso con asciutta eloquenza.


"A Messer Canta Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze nel MCCCI": Cante Gabrielli, podestà di Firenze, condannò l'esule Dante come ladro e "barattiere": infondatissima miserabile accusa. Ma perché, dice qui il poeta, non erigergli ora un monumento? E l'ironica proposta ha un pronto bersaglio: i letterati cortigiani di vocazione monarchica o clericale che illustrando la Commedia come profetica esaltazione dell'Italia d'oggi, insultano l'Alighieri più vergognosamente del suo persecutore.

 

"La Sacra di Enrico Quinto"

Nel 1871 sembrò che la Francia dovesse tornare sotto la vecchia monarchia offrendo il trono al conte di Chambord, già salutato come Enrico V. Il disegno poi andò in fumo. Ma ne bastò la notizia per suggerire al Carducci questa visione: di una sacra - di una incoronazione - vista come danza macabra, come allucinante tregenda.


I versi più belli:

Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli

e fiorite a' cimiteri son le pietre de gli avelli,

Monta in sella Enrico Quinto il delfin da' capei grigi,

e cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.

[...]


"A proposito del Processo Fadda"

Molte dame della buona società capitolina assistettero nel 1878 al processo per l'uccisione del capitano Fadda, contro sua moglie e il di lei amante responsabili del crimine. E la curiosità, in sé morbosa, più che mai indignò il poeta per l'ipocrisia di quel pubblico femminile, disposto ai falsi moralismi, ma intimamente corrotto.


"Il Canto dell'Amore"

Versi scritti a Perugia, contemplando lo spiazzo festosamente popolato dove un tempo sorgeva la minacciosa fortezza, fatta costruire nel '500 da papa Paolo III e distrutta a furor di popolo nel 1860. Il popolo ha una sua forza: è capace di abbattere la tirannide. Di qui l'ottimistica commozione del poeta, (*) culminante in una virile offerta di riconciliazione al già tanto aborrito pontefice Pio IX 

(*) Nota di Lunaria: che se fosse stato vivo nel 2021, avrebbe rinnegato non solo la poesia in questione ma pure "la sua idea di Italia"


COMMENTO A "INNO A SATANA", tratto da

Carducci è pienamente nel suo tempo quando si propone quale corifeo di una parte della pubblica opinione, quella che crede nel progresso civile e nella scienza: mazziniani, garibaldini, anticlericali, uomini del Partito d'Azione, progressisti, eredi del Risorgimento laico, si riconoscono nell'Inno a Satana (che è pure una canzone degli Emperor https://www.youtube.com/watch?v=6PvYoCVAgFg&t=3s Nota di Lunaria) che, nato come un brindisi, convoglia l'esaltazione della gioia della vita e della natura, l'opposizione al dogmatismo, all'oscurantismo, all'ipocrisia. Nell'inno, alimentato dalla cultura massonica e positivistica, convergono la reazione alla mediocre politica filoclericale, il sentimento rivoluzionario antitirannico, la fede nel naturalismo e nella illuministica cultura borghese antiascetica e liberale. C'è anche la polemica per il riconoscimento della libertà né mancano i toni profetici che danno i colori della lirica europea del tempo.

Nell'apertura dell'Inno è annunziato il principio del monismo e del panteismo che avrà in seguito, in più disteso linguaggio lirico, espressioni indicative di vitalismo, di naturalismo come forza primordiale a cui l'uomo si abbandona partecipando alla perennità della vita cosmica e che si trasfonde nel sentimento facendo intuire la poesia come amore di vita piena, come balenare di passioni e di ideali. La materia è esaltata nella sua vitalità e nelle sue corrispondenze di ottimismo cosmico (il Sole e la Terra che si sorridono, si ricambiano parole d'amore), nei suoi fenomeni essa è animata da Satana principio dell'esistenza ed esso stesso libertà.

Tale libertà è stata demonizzata dai preti, da Dio e dagli angeli i quali ultimi ormai cadono come spenti pianeti dai firmamenti.

Le divinità cadute sono invenzioni di malvagi pontefici e re sanguinari, le persecuzioni cristiane non vinsero Satana il quale visse animatore di ricerche scientifiche e razionali, di umanesimo e di bellezza che si contrapponevano ai salmi davidici, alla tristezza degli anacoreti. 

Satana, liberatore del dogma e dalla superstizione, si incarna nella scienza moderna di cui è simbolo la macchina a vapore.



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