Il Dipinto di Lalla (uno stralcio di Liala)

Nota di Lunaria: "Lalla che torna" è il secondo volume della trilogia di Lalla Acquaviva ("Dormire e Non Sognare - Lalla che torna - Il Velo sulla Fronte")

Ho anche il primo volume (mi manca il terzo) ma l'ho trovato dopo il secondo, quando avevo già iniziato a leggerlo... 

Comunque, in sintesi, ecco la trama: Lalla Acquaviva, molto amata da più uomini che per lei arrivano quasi alla disperazione, è morta cadendo durante una corsa a cavallo. Nessuno è mai riuscito a dimenticarla e pur non essendoci più, tutti i personaggi coinvolti nella vicenda vivono nel ricordo di lei, che riaffiora costantemente.

Passa qualche tempo, e il fratello di Lalla, Vasco, ha una figlia che battezzerà Lalla, perché assomiglia alla sorella defunta.  Così, la piccola Lalla nasce e viene accolta come "Lalla che è tornata di nuovo tra noi" da tutti i parenti, tanto che continuano a paragonare la bambina alla defunta Lalla; Lalla cresce così, sempre esposta al paragone con la zia, e anche se questo le fa piacere, in parte la fa sentire non amata per quello che è lei, ma solo perché fisicamente è "il clone" di  Lalla. Ad ogni modo, per cause fortuite, nella vita della giovane Lalla riappaiono gli uomini che avevano amato e fatto anche del male alla prima Lalla, che iniziano a stalkerizzare la giovane Lalla, cercando di ritrovare in lei la Lalla originaria, pazzi di gelosia e di passione... Tutto il romanzo è scritto nell'inconfondibile stile di Liala, tra il frivolo e il drammatico ed è appunto la scena del dipinto di Lalla che ha quasi toni spettrali per come Liala ha rievocato la sua impalpabile presenza che già aleggiava nelle pagine precedenti per tutto il romanzo e che mi è piaciuto moltissimo; ecco qui lo stralcio, molto alla "Dorian Gray", tra le pagine migliori del romanzo (che, al solito, è bello corposo: 374 pagine)

"Maurizio Doque fece scorrere una tenda. Apparve un armadio a muro che subito si rivelò profondo e misterioso come una piccola stanza. Una luce viva scattò. Sopra un mobile lucente, che era il piccolo bar scorrevole, sopra un gran fascio di rose rosse, odorose e freschissime, su uno sfondo nero, apparve Lalla Acquaviva, con quei suoi occhi grigi e terribili, con quel suo volto da sfinge e quelle labbra d'amore. Ella teneva lo sguardo fisso su una serpe grigia che davanti a lei si levava, e pareva, con quei suoi occhi grigi e terribili, magnetizzare il rettile. (...) Tutto pareva vivere di un proprio palpito, tutto pareva fremere di vita, di ansia, di ardore. "Com'è viva!", balbettò la fanciulla. (...) Per un corridoio buio, nel quale i passi si smorzavano per virtù di una corsia sicura, li guidò alla sua camera.  Aprì l'armadio, il ritratto di Lalla Acquaviva fu tutto nella gran luce, alto su quell'altare pagano nel quale olezzavano rose rosse sullo sfondo del velluto. (...) Immota davanti al quadro, Lalla guardava l'altra Lalla e col cuore dolente, pensava: "Vedi, zia Lalla, vedi come è triste essere morti? Neppure ti puoi difendere dagli insulti, povera zia Lalla." (...) Vide gli occhi del quadro brillare. "è la luce", pensò, "è la luce tanto viva... Ma si direbbe che zia Lalla stia per piangere... Per piangere di paura. Paura di che cosa, zia Lalla?" (...) Lalla guardava il ritratto, quel ritratto che pareva vivo, quegli occhi che piangevano, sì, piangevano. Il cuore cominciò a batterle forte, a pestarle nel petto, a farle male. Poi, qualche cosa le afferrò la nuca: una morsa, un peso grave... Si guardò attorno smarrita, guardò ancora il ritratto: "Zia Lalla", implorò ansando, "io ho paura... aiutami..." Due rose rosse, contemporaneamente, si sfogliarono. Un fruscio si udì, un fruscio che pareva fortissimo nel silenzio.  Come un automa, Lalla seguì il breve viaggio dei petali, che cadendo dallo stelo si erano in parte ammucchiati in un grosso portacenere di bronzo. Il portacenere era sul tavolino-bar, sotto il ritratto di Lalla.  Il portacenere era colmo di petali rossi. Guidata da una forza ignota, la mano di Lalla andò al portacenere, lo afferrò, si volse. E vide venirle addosso José Granada. Si sentì afferrata con violenza rabbiosa, trascinata verso l'alcova. Comprese tutto in un gran lampo sinistro che la folgorò di terrore. Alzò la mano, armata del portacenere, la lasciò cadere sul capo di José Granada. L'uomo allentò subito la stretta, si allontanò, barcollò, non cadde. Ma un rivoletto di sangue già scendeva sulla sua fronte. (...) Ella levò il portacenere. Guardò la zia... E le parve di veder brillare un sorriso su quella bocca rossa."




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