Hesse "Pellegrinaggio d'Autunno"


I racconti di "Pellegrinaggio d'Autunno" tutti scritti intorno ai primi anni del '900 appartengono alla produzione giovanile di Hesse e sono accomunati dalla scelta di temi e aspetti cosiddetti "minori" del vivere e della natura: un'attenzione e un gusto quasi crepuscolari che con tacita discrezione vogliono sottrarsi alle grida di meraviglia e alle esaltazioni estatiche, dirigendosi verso sentimenti e particolari intimi, delicati, che acquistano significato nella liricità di una prosa dolcemente evocativa. I protagonisti sono sempre giovani che si ribellano alle false e vuote imposizioni di una società borghese in cui non vogliono riconoscersi, ma la loro protesta si fa interiore, sommessa, anche quando sfocia nel gesto disperato del suicidio o nella solitudine voluta.


Le pagine più belle da "Pellegrinaggio d'autunno"

"Ero sceso dalla montagna giù per uno stradellino ripido, in parte argilloso e incassato tra due pareti, e adesso mi trovavo, da solo, sulla riva del lago, tremando dal freddo. Da oltre i colli giungevano fumi di nebbia, la pioggia si era esaurita e, ormai cadevano soltanto poche gocce, deboli e scacciate dal vento."

"Mi fece bene camminare in quell'aria fresca e sibilante. Ascoltavo il vento impetuoso e, mentre procedevo sul sentiero di cresta, vedevo con crescente piacere che il paesaggio si faceva più vasto e possente. [...] Man mano che salivo, il vento aumentava. Cantava una melodia autunnale, con gemiti e risa, accennando a passioni favolose accanto alle quali le nostre non erano altro che bambinate. Mi gridava all'orecchio parole mai udite, di un mondo primigenio, come nome di Dei antichi. […] Poco dopo mezzogiorno mi fermai a riposare nel punto più alto di quel sentiero d'altura, mentre il mio sguardo volava sull'immenso paesaggio che si estendeva intorno a me, perlustrandolo commosso. C'erano montagne verdi e, più lontano, montagne azzurre coperte di boschi e gialle montagne rocciose, colline dalle mille pieghe e, dietro ancora, il monte più alto, con pinnacoli scoscesi e pallide piramidi di neve."

"Due ore dopo, a sera, dopo aver vagato a lungo e spensieratamente, mi ero perso in un dedalo di sentieri stretti e bui, in mezzo al bosco, e cercavo una via d'uscita, tanto più impazientemente quanto più scendevano il buio e il freddo. Avventurarsi a diritto in mezzo alla foresta era impossibile, perché era molto fitta e il terreno, in certi punti, paludoso; inoltre le tenebre erano sempre più impenetrabili. Esausto, procedevo a tentoni, in preda a quella strana eccitazione che colpisce chi si è smarrito nella notte. (...) Mi dava gioia il pensare che mi stavo avventurando in una foresta, di notte, in quelle lande ormai straniere, per poter rivedere una donna amata e quasi dimenticata."

Mi vennero in mente alcuni versi che recitai piano, continuando a camminare:

è strano, vagare nella nebbia!

Isolata è ogni pietra, ogni cespuglio;

non c'è albero che l'altro veda, 

tutti sono soli.

Pieno di amici era il mio mondo

quando chiara era la vita mia;

adesso, che calata è la nebbia

non ne vedo più nemmeno uno.

Certamente non può esser saggio

chi non conosca le tenebre

che, ineluttabili e lievi,

da tutto lo separano.

è strano vagare nella nebbia!

La vita è solitudine.

Non c'è uomo che l'altro conosca,

tutti sono soli.


da "La casa dei sogni"

Il croco era sfiorito, la campanula scomparsa e, in quella primavera carica di trepidante attesa, solo la vecchia magnolia era in fiore.

Dalle grandi foglie di quell'albero tondeggiante, che mandavano deboli bagliori argentei, sgorgava il canto del merlo, e i suoi fiori bianchi e puri occhieggiavano miti e stupiti, come dei bambini malaticci. Rotonda e solenne, la magnolia fioriva nel piccolo prato ovale (...) profumavano di resina pigne spuntate l'anno passato e dove, nell'ombra maculata, sui robusti tronchi rossi si aggiravano piccoli rampichini alpestri e picchi muratori, ora ombreggiati di grigio, ora brillanti come gemme.

Il prato con la magnolia, il ginepro e i cespugli di rose si trovava tra casa, olmo, pini silvestri e l'intricatissima macchia di alti cespugli di lillà, protetto dalla polvere e dal vento del mondo e profondamente adagiato nel suo scrigno verde. Era aperto unicamente verso sud: là il giardino digradava con piccole terrazze, andando incontro al sole.

Dietro si estendeva, ampia e verde, l'ondulata brughiera, e sul suo aperto tavoliere spiccava una linea capricciosamente curva di querce frondute, il confine con la proprietà del vicino.

La campagna verde era delimitata da una invisibile valle fluviale, al di là della quale si vedeva una lunga catena di verdi montagne coperte di boschi e, dietro, un'altra catena di cime verdi, già velate di azzurrognolo; un po' più in là, turchina, una ripida catena pedemontana, dalle pareti rocciose nude e scintillanti. E soltanto al di là di quella terza catena azzurra, infinitamente lontane e alte tra l'alternarsi delle nubi, fluttuavano le montagne innevate, dai colori di sogno, trasfigurate in una realtà molteplice, attutita ed esaltata: un mondo pallido e spettrale, privo di memoria, ma più vero e reale di tutto ciò che era vicino.



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