"Faccende di casa" (racconto horror)

Un racconto di intenso horror psicologico, che mi è molto piaciuto, anche perché il lettore è libero di interpretare come vuole l'intera vicenda: sono deliri e allucinazioni della donna protagonista? Oppure, la casa è realmente infestata?


Vi trascrivo l'incipit... e un breve commento introduttivo:

In una storia horror che evoca agghiaccianti memorie sia di "The Haunting of Hill House", capolavoro di Shirley Jackson, sia "La carta gialla", classico in cui Charlotte Perkins Gilman descrive la discesa di una donna nella spirale della follia, (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/le-scrittrici-della-narrativa-horror-la.html)
"Faccende di casa" ci trascina in una escalation d'orrore insieme alla sua eroina senza nome.
Eppure, mentre la osserviamo intrappolata in una lotta sempre più solitaria contro le insinuanti forze giunte a reclamarla, in preda ad attacchi lascivi e ossessionata da riti purificatori, intuiamo tutta l'impotenza di questa donna e capiamo che il suo disturbo deve avere un'origine diversa dalle temute emanazioni malefiche provenienti dall'edificio adiacente.

Scriveva Shirley Jackson: "L'occhio umano non può isolare l'infelice coincidenza geografica che suggerisce la presenza del male nascosto dietro la facciata di una casa..."

A tema "casa infestata", vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/recensione-ad-orrore-ad-amityville-il.html
Sui Poltergeist: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/poltergeist.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/01/fantasmi-alcune-celebri-apparizioni.html
Per chi volesse approfondire dal punto di vista "sociologico" il binomio "donna-casa": "La Mistica della Femminilità" fu uno dei primi libri ad analizzare l'inquietudine e il disagio che era diffuso tra le casalinghe americane anni '40-'50-'60, ovverossia come le donne americane educate a diventare "casalinghe perfette" (sempre belle, devote e sottomesse, ottime cuoche, interessate solo allo shopping e perennemente intente a lucidare ogni millimetro della loro "villetta americana", 
perché la Società, i loro genitori, i loro mariti, i loro figli, i loro vicini... si aspettava questo, e solo questo, da loro) diventassero delle alienate frustrate, autodistruttive ed infelici. https://intervistemetal.blogspot.com/2020/03/la-donna-moglie-e-madre.html
L'ipocrisia e il marcio nascosto dietro la sceneggiata delle "famiglie americane perfette" è stato raccontato anche in questo romanzo:
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/06/recensione-preda-di-c-terry-cline-jr.html
Altro romanzo-capolavoro del genere "Horror psicologico": https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/recensione-dolce-cara-audrina-racconto.html


***
Sono qui, sola. Curtis se n'è andato la settimana scorsa, o forse dovrei dire che è stato spinto ad andarsene. Non ho rimpianti, tranne quello di avere aspettato così a lungo. Se devo conservare ciò che abbiamo, questo distacco mi è necessario. Devo potermi concentrare. Ora più che mai devo concentrare tutta la mia volontà.
Quando penso a come sono cominciate le cose, il ricordo della nostra ingenuità mi fa ridere. Stavamo cercando casa e il nostro agente immobiliare ci portò in un isolato dove ce n'erano due in vendita, una di fianco all'altra. Erano state costruite insieme alla fine del secolo, ed erano pressoché identiche.
Entrambe a due piani e rivestite in legno, con grandi finestre a bovindo esposte a oriente.
La casa a nord era in condizioni peggiori, e quando chiesi informazioni ad alcuni vicini mi risposero che si trovava in quello stato da anni. Sembrava che la pittura si consumasse e il rivestimento in legno si scheggiasse più in fretta che nella casa gemella, così come il tratto di marciapiede antistante appariva solcato da crepe e invaso dalle erbacce.
Curtis mi fece notare che, fra le due, era quella nettamente più a buon mercato, e con la differenza di prezzo non sarebbe stato un problema riparare le carenze strutturali e risistemare la facciata. Gli ricordai che, in qualità di assistente alla facoltà di leggere classiche, percepivo un consistente stipendio; sottoporci al calvario di un'opera di ristrutturazione mi sembrava assurdo e inutile, vista la disponibilità della casa accanto, imbiancata di fresco, pulita e pronta ad accogliere nuovi inquilini.
Senza contare che avevo già avvertito un senso di antipatia istintiva e, per quanto vaga, la cosa era bastata a dissuadermi.
Curtis protestò, sostenendo che la mia decisione era basata su considerazioni superstiziose, illazione cui non mi degnai di rispondere.
Poco dopo comprammo la casa che preferivo.
Giunta a quel punto, posso supporre che nessuno di noi avesse ragione e che in assoluto avremmo fatto meglio a tenerci alla larga dalla zona.
La casa accanto esercita un'influenza negativa su tutto il vicinato, sulla nostra in particolare. I suoi muri confinano con i nostri, un contatto intimo cui è impossibile sottrarsi. Come due gemelli siamesi, condividiamo un unico apparato circolatorio e gli invisibili percorsi di topi e formiche; la nostra prossimità offre riparo a termiti e scarafaggi. Non che mi trastulli con queste fantasie, poiché spesso mi sono trovata davanti alle zampe mozzate e alle smorfie di agonia dei topi caduti nelle nostre trappole.
Certi giorni sedevo per ore alla mia scrivania, in attesa di qualche invasione, in altri ero addirittura certa che l'incessante sgocciolio nelle tubature non fosse che il prodromo di una vile e perniciosa ondata di liquami in procinto di abbattersi su di noi dalla casa accanto.
Nel periodo delle piogge, l'anno scorso, cominciai a notare alcune scie luccicanti e sottili sulla moquette della stanza di nostra figlia.
Quando, una notte, fui svegliata dal suo pianto ed entrai in camera, i miei piedi sfiorarono qualcosa di freddo e carnoso.
Mi sentii soffocare dal ribrezzo e in quel preciso istante scorsi due lucidi occhi spiarmi attraverso le sbarre della culla.
Tastai freneticamente il muro in cerca dell'interruttore, in preda a mostruose fantasie.
Quando finalmente riuscii ad accendere la luce ricacciando indietro la notte, mi accorsi subito di quanto in là si fosse spinta la mia immaginazione.
Mia figlia era nella culla: si era già addormentata.
Accanto a lei l'orsacchiotto di peluche con i suoi occhietti brillanti, e sul pavimento due macchie scure.
Le toccai, rabbrividendo di disgusto. Lumache.
Appiccicata sotto il piede, nella sua bava verdastra, il brandello di una terza.
Riuscii ad arrivare in bagno, dove vomitai, mi spogliai e mi lavai con sapone e acqua calda.
Nelle settimane immediatamente successive sognai spesso di lottare con creature mutilate dalle cui carni trafitte stillavano gocce di umori. Battaglie da cui non uscivo mai del tutto sconfitta, ma nemmeno vittoriosa, e che duravano sempre l'eternità degli incubi.
Curtis mi suggerì allora di agire alla fonte dei sogni, intendendo - così compresi io - che dovevo disinfestare la camera di nostra figlia da quelle lumache. Accettai il consiglio e sigillai un grosso pertugio che avevo trovato alla base del muro, nel punto in cui avrebbe dovuto unirsi perpendicolarmente al pavimento.
Era una parete rivolta a nord, e mentre la stuccavo sentii che la spaccatura si sarebbe riaperta, essendo frutto della pressione esercitata dalla casa accanto.
In quel momento mi resi conto che la casa si affacciava sulla stanza di Tanya - vale a dire sul membro più vulnerabile della famiglia - ma scacciai istantaneamente il pensiero.
I sogni mi avevano turbata e mi stavo sforzando di ragionare con la mente di un uomo come Curtis, uno convinto che gli incubi si possano fermare tappando un buco.
Mio marito è tanto pragmatico quanto determinato.
Il classico uomo cui una donna può aggrapparsi se non riesce più a fidarsi di se stessa.
Verso metà marzo ci dedicammo alla semina del giardino, e quando nel giro di poche settimane la lattuga forò il terreno venendo alla luce, inaugurammo le nostre incursioni notturne contro chiocciole e lumache. Armati di torce e badile, Curtis e io ci aggiravamo schiacciando le viscide creature. Non era mai un compito gradevole, ma con l'aumentare del numero delle vittime - centinaia - il senso di nausea iniziò a placarsi. Nel giro di breve tempo, gli incubi cessarono.
A metà maggio Tanya compì tre anni. Esuberante e chiacchierona, era una bimba deliziosa e vivace, ansiosa di misurarsi con i limiti, sempre in cerca di una maniera per rovesciare il mondo intero.
Nonostante le erbacce e gli intricati cespugli di more che traboccavano dalla proprietà accanto, il giardino fioriva rigoglioso.
Accettai un incarico estivo da parte dell'università, comprensivo di sistemazione e cura della piccola Tanya, e in quel modo riuscii a starmene lontana dalla casa. 
Devo dire che, mentre giugno si avvicinava, mi sentivo benone.
Rinfrancata dalle mie nuove responsabilità, da una figlia che percorreva il corridoio dell'infanzia ridendo e mostrando grande energia, da un marito che finalmente cominciava a trovare qualche soddisfazione sul lavoro, anch'io mi sentivo allegra e di buon umore.
Riacquistai fiducia in me stessa e nella mia capacità di superare gli ostacoli, e come primo passo decisi di misurarmi con la casa accanto.
Inizialmente le permisi di restare dov'era, usando la mia volontà solo per trasformarla in un'entità priva di importanza. Quando ogni mattina le passavo davanti sfocavo deliberatamente la visione, immaginando la casa come qualcosa di ancora più inconsistente di una nuvola, di meno reale di un sogno. Trasformavo il tetto nel dorso piumato di un piccolo uccello, le assi di rivestimento nella sua morbida pancia, e quando tirava vento non era poi così difficile fingere che l'intero edificio avesse spiccato il volo.
In seguito misi a punto una tecnica ancora più potente. Fusi mentalmente un muro con un altro, eliminando il normale effetto di prospettiva. Smembrai tutto ciò che era solido, fondendo ogni geometria complessa in forme e dimensioni elementari. A poco a poco la casa si ridusse in un unico piano composto da due linee che si intersecavano. Quindi le fusi in una sola, e rimpicciolii quest'ultima fino a restringerla in un punto. Lottai con quel punto per circa una settimana, prima di riuscire, con uno sforzo immane, a farlo sparire.
La casa non c'era più. Avevo eliminato il mio nemico numero uno. Adesso, passando lì davanti, non vedevo nulla, non notavo nemmeno un'assenza.
Finalmente mi sentivo al sicuro dalle aggressioni che, fino a qualche tempo prima, mi avevano gettato nel panico, facendomi persino dubitare della mia salute mentale.
E finalmente tornai a pensare alla mia casa provando solo un gran senso di sollievo.
Nonostante la felicità di quell'estate, sapevo che mi restava ancora qualcosa da dare. Libera da quelle innaturali preoccupazioni interiori, giurai a me stessa di mostrare a Curtis tutto l'amore di cui mi sapevo capace.
Cominciai prestando maggiori attenzioni al nostro appartamento: dopo il lavoro mi dedicavo alle pulizie e mi sforzavo di tenerlo in ordine. Inaugurai un programma d'igiene quotidiana dei bagni e della cucina, mentre ogni due o tre giorni passavo l'aspirapolvere sui tappeti delle altre stanze.
Piatti e bicchieri sporchi, da sempre fonte di fastidio, si trasformavano addirittura in prove tangibili della mia inefficienza. Le esigenze del lavoro, di una figlia, della vita coniugale e il nuovo regime in cui mi ero imbarcata mi intrappolavano in una specie di ritardo incolmabile.
Urgeva un cambiamento, e dopo settimane di tormentata riflessione decisi: uscii e, con i soldi messi da parte per le vacanze, andai a comprare una lavastoviglie.
Naturalmente mi dispiaceva dover fare a meno della vacanza, ma la delusione fu largamente ricompensata da altre soddisfazioni: i bicchieri erano finalmente lucenti, i ripiani sgombri e io avevo di nuovo in pugno la situazione.
Dopo qualche settimana di questa routine cominciai a notare particolari della casa che prima di allora non mi erano mai saltati all'occhio. Un esempio: sebbene a nord e a sud fossimo contigui ad altri edifici, e le nostre finestre fossero dunque esposte solo a est e ovest, in tutte le stanze la luce indugiava chiaramente sulle pareti a meridione.
Non intendo la luce naturale, che in autunno avanzato e in inverno - quando il sole è a sud - batte verso nord, bensì una strana sorta di radiosità, l'intrinseca luminosità dell'aria stessa.
Sembrava quasi che ci fosse un bagliore, un incantesimo che avvolgeva le pareti australi, e non riuscivo a trovare una spiegazione imputabile e una differenza nella qualità d'intonaco o nel colore di vernice usati.
Di contro, il lato settentrionale dei locali sembrava in eterna penombra, quasi fosse schermato da una sostanza capace di assorbire tutta la luce, intrappolandola nell'oscurità. Il fatto era tanto evidente di mattina quanto di pomeriggio. Poi, con una certa costernazione, scoprii che lo stesso accadeva di sera, quando le stanze erano illuminate artificialmente.
Tolsi i quadri e i manifesti dalle pareti oscurate e trasferii quanto più mi fu possibile sui muri a sud.
Per alcuni giorni spostai e rispostai mentalmente tutti i mobili, cercando di farli stare al di qua del confine d'ombra che opprimeva il lato nord della casa.
Alla fine decisi di mantenere una distanza di alcune decine di centimetri dalle pareti interessate, distribuendo l'arredamento in un'area adeguatamente illuminata e che al contempo rispettasse la simmetria delle stanze.
La nuova sistemazione lasciò Curtis un po' dubbioso, ma alla fine accettò di fare almeno un tentativo, restituendomi sicurezza in me stessa e fiducia nella nostra relazione.
Ricordo che in quel momento fui percorsa da un'ondata di gratitudine, e decisi di festeggiare con qualcosa di speciale.
Il giorno seguente, dopo aver lasciato Tanya al centro di babysitting diurno, andai a far compere.
Avevo in mente un paio di pantaloni che Curtis aveva recentemente mostrato di apprezzare indosso a una comune amica. Li trovai esposti nella vetrina di un negozio del centro, e quando la commessa mi ebbe assicurato che non erano stati provati da nessun'altra cliente, entrai nel camerino e li indossai.
Erano rosa e di taglio aderente, mi fasciavano come una seconda pelle e per chiuderli dovetti trattenere il respiro.
Davanti allo specchio rimasi esterrefatta dalla trasformazione: era come se il tessuto fosse impregnato di una vitalità propria.
Timida, la commessa non disse nulla, anche se sono certa che sapesse. Sull'autobus che mi riportava a casa mi strinsi i pantaloni in grembo, in preda a una crescente eccitazione.
Riuscii a mettere Tanya a letto presto, quindi ripassai la casa pulendo e riordinando.
C'erano dei quadri che mi sembravano leggermente storti, e mentre li raddrizzavo notai che le finestre avevano bisogno di essere lavate. Decisi di farlo il giorno successivo, andai in bagno e aprii l'acqua della vasca.
Nell'attesa che si riempisse, mi infilai l'accappatoio e controllai la camere da letto, raccogliendo i batuffoli di polvere che si erano accumulati durante la giornata.
In genere non amo fare il bagno, ma prima dell'atto sessuale mi pare una cosa appropriata. Il contatto con l'acqua, trasparente e informe, in un certo senso mi prepara per ciò che deve venire.
Questa volta, però, l'acqua non mi parve esattamente pulita.
Sulla sua superficie individuai alcune tracce oleose e qualche capello che galleggiava, mentre al di sotto di essi sentii agitarsi correnti malsane.
Ebbi la chiara percezione che immergendomi sarei stata ricoperta da uno strato di sporcizia e di colpo mi raddrizzai, tolsi il tappo e rimasi a controllare che l'acqua defluisse completamente dallo scarico. Solo quando fu perfettamente vuota osai rimettere piede nella vasca e aprii i rubinetti della doccia. Mi sentii istantaneamente sollevata da quel fardello di sporco, e presi a sfregare con vigore, fino ad arrossarmi la pelle.
Una volta asciutta andai in camera per vestirmi. I pantaloni erano ripiegati sul letto. Lanciai loro diverse occhiate, frivola ed eccitata.
Poi li infilai, sigillando con cura la chiusura lampo contro la pancia e lisciando il tessuto lungo le cosce. Estrassi dall'armadio lo specchio grande, lo appoggiai alla parete e arretrai di un passo.
Alle mie spalle colsi un guizzo. Mi girai di scatto, ma non in tempo per vedere che cos'era.
Tornai all'immagine di fronte a me, incapace di staccare gli occhi dai pantaloni. Il rosa si era scurito in un rosso porpora, e ciò che in un primo momento mi era parso attraente, ora sembrava osceno. Qualcosa guizzò di nuovo sullo sfondo, e quando mi voltai credetti di scorgere per un attimo una sagoma serpentina, che sparì prima che potessi individuarne la provenienza.
In camera da letto era calata la penombra, così accesi una lampada.
Adesso i pantaloni apparivano di un rosso ancora più scuro, e sulla superficie del tessuto mi sembrava di intravedere minuscoli peli.
Un secondo dopo i peli presero a pulsare al ritmo del mio cuore.
Mi chiesi se non si trattava di un semplice gioco di luci, tuttavia, benché la lampada fosse accesa, la stanza sembrava farsi inesorabilmente più buia e l'aria viziata; ben presto mi ritrovai a inspirare affannosamente.
Nello specchio la mia faccia si faceva via via più indistinta, i singoli lineamenti prosciugati della loro vitalità da una tenebra di cui ancora dovevo scoprire l'origine.
L'oscurità crebbe fino a che nella stanza tutto parve sul punto di svanire nel nulla.
Mi separai a forza dallo specchio, in cerca di  una via di fuga dall'opacità della camera e dei suoi muri opprimenti. Ma il buio regnava ormai ovunque, e all'improvviso ne compresi la fonte.
Avevo appoggiato lo specchio contro la parete nord, creando inavvertitamente una finestra attraverso cui la minaccia proveniente dalla casa accanto trovava libero accesso.
Distratta dai pantaloni, avevo dimenticato, ed ero ora in grave pericolo.
Mi sforzai di ridere, ma ciò che echeggiò nella stanza fu piuttosto un grido di panico.
Animali notturni se ne stavano in agguato negli angoli, e cominciai ad avvertire la presenza di dita filiformi che mi sfioravano le carni.
Il tessuto che indossavo sulla pelle era vivo, i peli baluginavano nel buio; sopraffatta dal terrore, balzai verso lo specchio - il ponte di collegamento - colpendolo con il tacco di una scarpa che mi ero levata.
Vi fu un sibilo, un istante di pura violenza, quindi il vetro scricchiolò e andò in frantumi. Schegge di occhi volarono nell'aria, ricomponendosi in pericolosi mosaici sul pavimento. La stanza parve per un attimo schiarirsi, ma poi l'oscurità si fece totale e io stramazzai a terra.
Gran parte di ciò che accadde dopo l'ho dimenticato, tranne che quanto Curtis arrivò a casa avevo ormai già eliminato i cocci dello specchio, così come la cornice. Indossavo un altro paio di pantaloni, e ancora adesso non sono certa di che fine fecero quelli rosa.
Cercai di spiegare quanto era successo, ma le mie parole suonavano incoerenti: intere parti di quel pomeriggio erano in quale modo svanite dalla mia memoria.
Mi sentivo lucida e per nulla imbarazzata.
Curtis era di cattivo umore per via della giornata di lavoro, e alla fine non fu difficile dimenticare l'accaduto.
Consumammo una cena veloce e andammo a letto presto.
Quella notte, gli incubi ricominciarono.

Nel corso delle settimane successive la situazione domestica andò deteriorandosi. Il lavoro di Curtis si fece sempre più pressante, e spesso mi capitava di cenare da sola.
Tanya reagì con un maggiore attaccamento nei miei confronti, sebbene non possa affermare con certezza che ciò dipendesse da altre crescenti tensioni piuttosto che dall'assenza di Curtis. In ogni caso, quella sua nuova insicurezza arrivò in un periodo in cui avevo poche energie extra da dedicarle.
Ero troppo impegnata nella mia battaglia personale.
Poco dopo l'episodio dello specchio rinunciai al lavoro estivo per l'università.
Concentrarmi anche solo su piccolezze era uno sforzo troppo grande, ora che in gioco c'era la sicurezza della mia casa e della mia stessa famiglia. Decisi di fare tutto quanto era necessario per eliminare la minaccia.
Non appena comincia a trascorrere più tempo in casa, mi resi conto di quanto tempestiva era stata la mia risoluzione.
Ogni giorni si verificavano nuove intrusioni da parte dell'edificio accanto, e dovevo fare del mio meglio per neutralizzarle.
Dopo aver eliminato tutti gli specchi e i vetri che producevano effetti di riflessione, sfregai energicamente le pareti con l'aiuto di detersivi. Anche così, però, restavano aree scolorite e spaccature attraverso cui, anche nei giorni meno ventosi, filtravano spifferi gelidi.
Per terra, i tappeti apparivano in molte zone innaturalmente usurati, e la cucitura sul bordo di uno di essi aveva inspiegabilmente ceduto. Polvere e sporcizia sembravano accumularsi ancora più velocemente, e dovetti cominciare a passare l'aspirapolvere due volte al giorno.
Credo fosse ormai ottobre. Poi, due settimane fa, è arrivato l'odore.
è partito dal seminterrato, ma nel giro di un paio di giorni ha impregnato tutta la casa.
Sulle prime ho pensato a un'ostruzione particolarmente voluminosa in uno dei tubi di scarico, ma i servizi igienici e i lavandini della casa funzionavano perfettamente.
Allora mi sono detta che forse si era rotta una fossa settica, un modello di nuova invenzione, probabilmente per colpa di qualche roditore.
Supposizione assurda, ma all'epoca ero ancora disposta a credere qualunque cosa pur di ingannarmi, anche se in realtà immagino di aver sempre saputo.
Il puzzo era costante, sebbene l'area colpita variasse di volta in volta.
Nella nostra camera da letto aleggiava una sorta di enorme nuvola solforosa, indescrivibilmente ributtante, e non potevo metterci piede senza che le convulsioni mi attanagliassero lo stomaco.
In sala, un odore acre indugiava invece lungo il perimetro della stanza e prima di assalirmi aspettava che mi fossi comodamente sistemata.
Al piano inferiore della casa l'aria era fetida e umida, un terreno di coltura ideale per muffe e funghi maleodoranti.
Il tanfo non diminuiva nemmeno di notte, mi aggrediva e inquinava l'atmosfera. Ma questa volta non avevo più dubbi circa la sua origine, e la grinta con cui ho preparato il nuovo attacco è stata una specie di prova cruciale della mia determinazione: ho raddoppiato le operazioni di pulizia quotidiana, quindi le ho quadruplicate.
I pavimenti puliti non bastavano più; anche le pareti andavano lavate, così come i soffitti, gli armadi e le finestre. Ho comprato deodoranti per ogni stanza, e ogni giorno ho irrorato ripetutamente la casa con gli spray più intensi.
Ho cominciato anche a cambiarmi spesso i vestiti, impedendo ai tessuti di impregnarsi di odore, e io stessa mi lavavo una volta al mattino, una al pomeriggio e una alla sera. La mia risolutezza ha dato i suoi risultati, perché alla fine sono riuscita a eliminare il tanfo, sebbene il successo dipendesse solo dalla mia costante e severa vigilanza. Consideravo quegli sforzi un prezzo più che accettabile, e in breve ho sentito rinascere la speranza: stavo riconquistando il mio potere, e presto la situazione sarebbe stata sotto controllo.
La sola prospettiva bastava a farmi sentire meglio, e per qualche giorno ho addirittura creduto di avere risolto il problema. Col senno di poi mi rendo contro di quanto la speranza fosse più debole della realtà delle cose, ma certo non mi si può biasimare per aver desiderato un po' di respiro dallo strazio di quei giorni.
Non solo stavo combattendo la battaglia per la nostra casa, ma anche con Tanya e Curtis i conflitti si facevano più pesanti e frequenti.
Nessuno sembrava condividere le mie preoccupazioni. Al contrario, entrambi parevano ritirarsi da me, isolandomi sempre più, e questo proprio nel momento in cui avevo maggior bisogno di sostegno.
Sulle prime ho cercato di essere comprensiva, ho pensato che Curtis era sotto pressione per via del lavoro e non poteva farsi carico di altri problemi,
E Tanya era solo una bimba: come potevo ritenerla responsabile del deterioramento della situazione?
Tuttavia, la mia diffidenza ha continuato a crescere, e in un gesto quasi disperato ho deciso di affrontarli in maniera diretta, a partire da mia figlia.
Un giorno, invece di consegnarla alla baby sitter, l'ho tenuta a casa e l'ho obbligata a stare in piedi contro la parete nord della sua cameretta. La mattina non avevo passato la spray e ho aspettato che il tanfo aumentasse fino a diventare insopportabile. Poi le ho chiesto se sentiva il cattivo odore.
Ha scosso la testa, un'espressione di falsa innocenza dipinta in viso.
"Non mi dire bugie", ho detto, afferrandola e premendole il naso contro il muro. "Annusa"
Allora è scoppiata in un pianto deliberato, e io le ho dato uno schiaffo.
Lei ha gridato più forte, io non ho retto e sono uscita di corsa dalla stanza. Quella sera Curtis mi ha detto che sono malata.
Immagino che avrei dovuto aspettarmelo, vista la sfiducia con cui ormai sembravamo trattarci a vicenda, ma lo stesso ne sono rimasta colpita come da un'allusione maligna, crudele e fuori luogo.
Lui si era dato da fare quanto me, lottando senza tregua per conservare un'apparenza di ordine domestico; avrei potuto liquidare il suo commento come qualcosa di rude ma inevitabile.
Invece non è stato così, e naturalmente alla fine ha sortito l'effetto desiderato e siamo passati dalla lotta verbale a quella fisica, in un crescendo di violenza.
Sono volati colpi energici, e in un lampo ho riconosciuto in lui il vero volto del nemico.
Piangendo, strappandomi le unghie, l'ho trascinato fuori e lontano dalla casa.

Ma questo accadeva giorni fa. Adesso sono qui, sola. Certe volte mi sembra che Tanya sia con me, altre no. Nel suo lettino c'è una sagoma che si muove appena. Forse sta cercando di parlare. Di notte emette un leggero bagliore... Di fatto, è l'unica fonte di luce in questa ombra sempre più scura. Le porto da mangiare e i resti li tengo per me. è diventata una brava bambina, ha anche smesso di piangere. Forse sono stati i vermi, a insegnarlo alla sua lingua.
La casa accanto è tornata, e ora capisco quanto poco profonda sia stata la mia intuizione. Legno, intonaco, chiodi, vetro: nulla di tutto ciò costituisce una vera minaccia per me.
Né la casa in se stessa, che in verità è solo un agente. Ciò che mi è ostile è il regno da cui è nata, il suo passato, presente e futuro.
La cosa viva sta nella terra, nei semi deformati dell'erba e delle piante, ramifica e allunga le sue radici contro di me, maligni virgulti che come lombrichi scavano nel suolo per penetrare le mie pareti e contaminarmi.
Ho oscurato le finestre con fogli di linoleum. Cerco di tenera la mia casa pulita.
Ieri ho escogitato un modo per sconfiggere gli odori. Con i fiammiferi lunghi che Curtis tiene vicino al caminetto mi sono cauterizzata le narici.
Ho provato una breve fitta di dolore, ma adesso sono immune da qualunque sfida olfattiva.
La mia determinazione aumenta.
Ogni giorno divento più potente.
Stamattina ho ritrovato i pantaloni rosa. Erano nell'armadio, sotto le lenzuola sporche. Il colore è stranamente sbiadito, lungo le gambe corrono delle scie traslucide e sulle cuciture le macchie di muffa disegnano chiari arabeschi.
Un barlume di intuizione. Li infilo, stringendomeli in vita. Spengo tutte le luci. Il tessuto aderisce come una tela di ragno alla mia pelle, mentre mi stendo nell'armadio. In una tenebra tenace come la mia determinazione strappo gli ultimi vestiti di Curtis dagli appendini e mi adagio in mezzo a essi senza paura.
Così sistemata - un richiamo, ormai, un'esca - mi offrirò in sacrificio.


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