L'Anima e il Bello in S.Tommaso d'Aquino e S.Bonaventura

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Nel Medioevo i rapporti fra l'anima e il corpo appaiono tanto difficili quanto i rapporti tra domenicani e francescani. Tutto il secolo XIII fu fervido di dispute filosofiche e teologiche. E ad alimentare questo fervore non fu estranea la grande rivalità che si sviluppò fra i due grandi ordini cattolici di recente formazione, i francescani a tendenza mistica e i domenicani tendenti a conciliare l'aristotelismo col cristianesimo, e che culminò con la conquista dell'Università di Parigi da parte dei domenicani e di quella di Oxford da parte dei francescani.

Il regime di concorrenza giova sempre allo sviluppo delle idee e anche in questo caso contribuì a produrre, nello stesso XIII secolo, due fra i maggiori filosofi cristiani: il francescano San Bonaventura e il domenicano San Tommaso d'Aquino.

Tanto lontano da Averroè per la fede religiosa, San Tommaso gli è vicino in due punti essenziali: il riferirsi al pensiero di aristotele e l'interesse per il difficile problema della natura dell'anima.

Il problema si poteva porre così: se l'anima e il corpo sono due sostanze distinte, che cos'è che le tiene insieme?

Forse una terza sostanza? Ma quale?

Se invece o solo l'anima o solo il corpo è una sostanza, quella dei due che non è sostanza finirà col vanificarsi.

Averroè aveva risolto il problema distinguendo l'anima biologica dall'intelletto conoscente: l'anima fa tutt'uno col corpo, quindi esistono tante anime quanti individui; l'intelletto è invece unico come la luce del sole: serve ad illuminare di conoscenza i singoli individui ma una volta scomparsi gli individui resta unico ed indivisibile, come unica resta la luce del sole se scompaiono i corpi.

San Tommaso imbocca una via diversa: sia l'anima sia il corpo sono due sostanze autonome, ma ciò che le tiene insieme è che entrambe si individuano in singole individualità; così come il corpo di un uomo è un'individualità di tipo materiale ma indissolubile (un braccio non può venir separato dal corpo) altrettanto l'anima è un'individualità di tipo spirituale, per cui si trova tutta sia nella totalità del corpo sia in ciascuna delle sue parti (se mi duole un braccio è come se mi dolesse tutta l'anima): "L'anima è tutta in tutto il corpo e tutta nelle singole parti... Giacché se fosse invece solo forma del tutto e non delle parti, non sarebbe forma sostanziale di tale corpo; sarebbe solo come la forma della casa che, essendo forma del tutto e non delle singole parti, è forma accidentale"

Per S. Tommaso l'anima è tanto strettamente legata al corpo da essere la sua "forma"; però mantiene la sua autonomia per cui può continuare a sussistere anche dopo la morte del corpo.

Ciò è possibile per il principio che ciò che è superiore può sempre assolvere alle funzioni di quel che è inferiore, pur senza identificarsi con esso; per questo l'anima può assolvere a tutte le funzioni richieste dal corpo, pur senza essere condannata con esso.

I Francescani, più votati al misticismo, cercavano di affrontare lo stesso problema per vie meno astratte e cerebrali.

Per San Bonaventura da Bagnorea (1221-1274), il rapporto tra la forma e la materia è anzitutto inscindibile dal fatto che la forma conferisce bellezza alla materia: "ogni essere deve avere una forma; ma soprattutto ciò che ha una forma ha una sua bellezza"

Anche per S. Bonaventura l'anima e il corpo sono due sostanze distinte; però egli ritiene che la loro unione avvenga sotto la spinta del desiderio: da un lato, cioè, l'anima è spinta dall'impulso di perfezionare il corpo, dall'altro il corpo è spinto dal bisogno di esser perfezionato dall'anima.

L'incontro di questi due impulsi permette all'anima di diventare il motore del corpo, cioè la forza che gli conferisce vita e movimento.

(...) Come ogni mistico, S. Bonaventura ritiene che l'impulso fondamentale dell'uomo sia quello di elevarsi il più possibile al di sopra della sostanza corporea; per cui egli ritiene che tre siano "gli occhi dell'uomo": l'occhio della carne con cui vede le cose fuori di lui, l'occhio della ragione con cui vede le cose che sono in lui e l'occhio della ragione con cui vede le cose che sono sopra di lui.

Per S. Tommaso il bello deve avere tre caratteristiche essenziali: la perfezione, l'armonia e la chiarezza che conferisce limpidità. Per S. Bonaventura la bellezza è qualcosa che soprattutto deve emozionare, nella quale i sensi devono essere tramiti dell'anima, ma in cui la chiarezza gioca un ruolo del tutto secondario.

La controversia tra domenicani e francescani era in effetti la controversia fra due opposte maniere di intendere l'eccellenza dell'uomo: per i domenicani l'uomo migliore era il più dotato di intelletto, mentre per i francescani era il più dotato di sensibilità e di fede istintiva, anche quando tali doti fossero in contrasto con le esigenze della ragione.


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