"La Cornice d'Ebano" (racconto horror)

Nota di Lunaria: il merito di questo post va tutto ad Elena 

https://www.youtube.com/@ElenaM-o5v/posts

che ha reso possibile che questo racconto di un'Autrice per niente nota da noi "si salvasse dall'oblio". Per merito suo, potete leggere una bellissima ghost story a tinte romantiche.

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Essere ricchi è una sensazione molto piacevole, tanto più piacevole quando si è toccato il fondo della miseria più nera, lavorando come conducente di una carrozza a nolo in Fleet Street, come tuttofare, come reporter e come giornalista poco apprezzato. Tutte professioni assolutamente in conflitto con la sensibilità familiare, e con il fatto che si discende dai Duchi di Piccardia. Quando la zia Dorcas morì, lasciandomi settecento sterline l'anno e una casa ammobiliata a Chelsea, pensai che la vita non potesse più offrirmi nulla al di fuori dell'immediato possesso di quell'eredità. Anche Mildred Mayhew, che fino ad allora avevo considerato come la luce che illuminava la mia vita, mi sembrò che brillasse di luce meno intensa. Non ero fidanzato con Mildred, ma avevo una stanza in affitto a casa di sua madre, cantavo duetti con Mildred, e quando potevo permettermelo, e cioè raramente, le regalavo dei guanti.  Era una cara ragazza, di buon cuore, ed io intendevo sposarla un giorno. è bello sapere che una brava donnina ci sta pensando - ci aiuta nel lavoro - ed è bello sapere che lei dirà "Si", quando le si domanderà: "Vorresti?". Ma quell'eredità quasi scacciò Mildred dai miei pensieri anche perché lei era in campagna, ospite di certi suoi amici. Il mio nuovo lutto non aveva ancora perso la patina, quando mi ritrovai a sedere sulla poltrona di mia zia davanti al fuoco nel salotto di casa mia!  Casa mia! Era molto grande, ma piuttosto solitaria. Allora, effettivamente pensai a Mildred. La stanza era arredata in maniera molto confortevole, in legno rosa e damasco. Sulle pareti vi erano alcuni dipinti ad olio di buona fattura, ma lo spazio al di sopra della mensola del camino era deturpato da una stampa veramente brutta. Il Processo di Lord William Russell, incorniciato da una cornice scura.

Mi alzai in piedi per dare un'occhiata. Con doverosa regolarità ero venuto in visita da mia zia, ma non mi ricordavo di aver mai visto quella cornice. Era stata adattata alla stampa, ma in realtà era stata concepita per incorniciare un dipinto a olio. Era di ebano fine, ed era ricoperta di intagli curiosi e belli. La osservai a lungo, con interesse crescente e, quando la domestica di mia zia entrò portando la lampada - infatti non avevo licenziato i pochi domestici - le chiesi da quanto tempo quella stampa era lì. "La padrona l'ha comprata solo due giorni prima di ammalarsi", disse, "ma non la cornice - non ha voluto comprarne una nuova - e cosi ha preso questa dalla soffitta. Li sopra ci sono un sacco di vecchie cose molto curiose, signore." "Mia zia aveva questa cornice da molto tempo?" "Oh, sì, signore! è in casa mia da molto tempo prima che arrivassi io, e a Natale saranno sette anni che sono qui. Incorniciava un quadro. Anche quello è in soffitta... ma e' tanto brutto e nero che lo si potrebbe scambiare per una fodera di camino." Volli vedere quel quadro. E se fosse stato invece un dipinto senza prezzo di qualche antico maestro, che agli occhi di mia zia era parso solo robaccia? Il giorno seguente, dopo colazione, andai ad esplorare la soffitta. Era tanto zeppa di vecchi mobili da poter tranquillamente rifornire un negozio di antichità. Tutta la casa era stata ammobiliata nel solido stile vittoriano, e in quella stanza erano conservati tutti i pezzi che non si adattavano all'ideale del salotto buono. Tavoli di cartapesta e di madreperla, sedie dallo schienale rigido e le gambe ritorte, cuscini dai ricami scoloriti, paraventi per il fuoco con intagli dorati, bandiere imperlate, scrittoi in quercia dalle maniglie d'ottone, e un piccolo tavolino da lavoro attorno al quale pendevano le decorazioni in seta, ormai scolorite e mangiate dalle tarme, ridotte a brandelli. Quando spalancai le tende, la luce scese a fiotti su questi oggetti e sulla polvere che li ricopriva. Mi ripromisi di divertirmi a riportare quegli antichi lari domestici agli onori del mio salone, e di portare i mobili vittoriani in soffitta. Ma per il momento dovevo trovare quel dipinto "nero come l'interno di un camino"; e ben presto lo trovai, dietro un mucchio di alari e scatole. Jane, la domestica, lo identificò subito. Con grande cautela lo portai giù e lo esaminai attentamente. Non si distinguevano né il soggetto né il colore. Vi era una singola macchia di colore più scuro al centro, ma nessuno avrebbe potuto distinguere se si trattasse di una figura, di un albero o di una casa. Sembrava dipinto su un pannello molto spesso rivestito di cuoio. Decisi di mandarlo a una di quelle persone che riversano sui ritratti di famiglia ormai marciti e vecchi le acque dell'eterna giovinezza.  Ma, proprio mentre prendevo quella decisione, pensai: perché non provare io stesso a restaurarne almeno un angoletto? Con il mio sapone da bagno e con lo spazzolino per le unghie, strofinai energeticamente per alcuni secondi, prima di accorgermi che non esisteva alcun dipinto da pulire. Il mio pennello zelante scopri il pannello di quercia. Provai ad applicare i miei sforzi al lato opposto. Jane mi osservava con indulgenza. Ottenni lo stesso risultato. Poi ebbi un'illuminazione. Perché il pannello era tanto spesso? Strappai la copertura di cuoio, e il pannello si divise in due metà che caddero a terra in una nube di polvere. Erano due quadri, ed erano stati inchiodati l'uno all'altro.  Li appoggiai al muro ma, pochi secondi dopo, dovetti appoggiarmi io stesso alla parete della stanza. Infatti in uno dei due quadri ero rappresentato proprio io - era un ritratto perfetto - senza alcun difetto di rappresentazione né nell'espressione, né nelle fattezze del volto. Ero proprio io... e indossavo gli abiti che portavano gli uomini quando Giacomo I era Re d'Inghilterra.  Quando era stato eseguito? E come, senza che io ne sapessi nulla?  Era stato un qualche capriccio di mia zia? "Cielo, signore!", disse Jane con voce acuta e sorpresa, accanto a me. "Che bella foto! Eravate a un ballo in maschera, signore?"" Sì", balbettai. "Non... credo che avrò bisogno d'altro. Potete andare!" Si allontanò. Mi voltai, con il cuore che mi martellava nel petto, verso l'altro quadro. Era il ritratto di una donna bellissima; era veramente splendida. 

Osservai tutti i dettagli: il naso diritto, le ciglia basse, le labbra piene, le mani affusolate, e i grandi occhi luminosi. Indossava una veste di velluto nero. Era un ritratto a mezzo busto. Le braccia erano poggiate su un tavolo al suo fianco, e i suoi occhi fissavano quelli dell'osservatore, suscitando un senso di sgomento. Sul tavolo accanto a lei giacevano dei compassi e degli strumenti luccicanti di cui ignoravo l'uso, dei libri, una coppa, e un mucchio di carte e di penne. Ma vidi tutto questo solo dopo. Mi ci volle un quarto d'ora, credo, prima di riuscire a smettere di fissarla negli occhi. Non ho mai visto occhi come i suoi: attiravano, come quelli di un bambino o di un cane, ma avevano un'aria di comando, come quelli di un'imperatrice. "Vuole che spazzi via la polvere, signore?" Jane era tornata, spinta dalla curiosità. Dissi di si. Mi tenni sempre tra lei e il ritratto della donna in velluto nero. Quando rimasi finalmente solo, tirai giù il Processo di Lord William Russell e al suo posto posi il ritratto della donna nella sua massiccia cornice d'ebano. Poi scrissi al corniciaio per ordinare una nuova cornice per il mio ritratto. Era rimasto tanto a lungo faccia a faccia con quella bellissima strega, che non aveva il coraggio di bandirlo dalla sua presenza. Suppongo di essere un sentimentale in realtà... ammesso che sia sentimentale pensare a una cosa del genere.

Quando arrivò la nuova cornice, la sistemai di fronte al camino. Una ricerca accurata tra le carte di mia zia non ebbe alcun esito riguardo al mio ritratto, e nessuna notizia emerse circa il ritratto della donna dagli occhi meravigliosi. Appresi solo che tutti quei vecchi mobili erano divenuti proprietà di mia zia alla morte del mio prozio, il capofamiglia. Avrei dovuto concludere che la somiglianza era dovuta a ragioni familiari, ma tutti coloro che entravano nella stanza esclamavano che si trattava di un "ritratto identico". Adottai la spiegazione di Jane, quella del "ballo in maschera". A quel punto, si poteva supporre che la faccenda dei ritratti si fosse conclusa.  E infatti cosi si penserebbe, se non fosse evidente che invece qui è stato scritto ancora molto sull'argomento. Tuttavia, a me pareva che la faccenda fosse conclusa.

Andai a trovare Mildred. La invitai insieme alla madre a venire a stare a casa mia. Evitavo di guardare il quadro nella cornice d'ebano. Non potevo dimenticare, né ricordare senza una certa emozione, lo sguardo di quella donna la prima volta che l'avevo vista. Non volevo incrociare nuovamente quello sguardo. Riorganizzai un po' la casa, per predisporre tutto in vista dell'arrivo di Mildred. Portai giù molti dei mobili antichi, e passai una lunga giornata a disporli e a ridisporli.  Poi mi sedetti di fronte al camino in preda a un piacevole languore, mi allungai sulla poltrona, e sollevai gli occhi per caso verso il ritratto della donna. Trovai i suoi scuri occhi profondi color grigio-verde che mi fissavano, e nuovamente mi trovai a fissarla come sotto l'influsso di un profondo incantesimo... come accade quando per interi minuti si rimane affascinati a fissare i propri occhi in uno specchio. La fissai negli occhi, e avvertii che le mie pupille si dilatavano sempre di più, poi li sentii stimolati da un impulso simile a quello del pianto.

"Vorrei", dissi, "oh, quanto vorrei, che tu fossi una donna, e non un dipinto! Vieni giù! Oh, ti prego, vieni giù da li!" Risi di me stesso a quelle parole ma, nello stesso momento in cui ridevo, allungai le braccia verso di lei. Non sognavo. Non ero ubriaco. Ero ben sveglio, e sobrio quanto chiunque. Eppure, spalancando le braccia, vidi i suoi occhi dilatarsi, e le labbra le tremarono: che possa essere impiccato se non dico la verità! Le sue mani si mossero leggermente. L'ombra di un sorriso le illuminò il viso. Mi alzai in piedi. "Così non va!", dissi ad alta voce  "Il bagliore delle fiamme gioca strani scherzi. Mi serve una lampada." Mi avvicinai al campanello. Lo toccavo quasi con la mano, ma in quell'istante udii un suono alle mie spalle, e mi voltai... senza aver suonato. Il fuoco era ormai debole, e gli angoli della stanza erano immersi nell'ombra, ma ero sicuro che li, dietro una sedia dall'alto schienale, vi fosse qualcosa di più scuro dell'ombra. "Devo affrontare questa situazione con decisione" dissi tra me e me, "altrimenti perderò ogni stima in me stesso." Lasciai il campanello, afferrai l'attizzatoio, e presi a colpire i tizzoni finche' non ripresero a bruciare. Poi arretrai risolutamente, e guardai il dipinto. La cornice d'ebano era vuota! Dall'ombra dietro la poltrona dallo schienale alto provenne un leggero fruscio, e vidi uscire la donna del ritratto: veniva verso di me. Spero di non dover mai sperimentare un momento di terrore tanto cieco e assoluto. Non mi sarei potuto muovere né parlare, neanche per salvarmi, oppure ero impazzito. Rimasi lì a tremare, ma ricordo che almeno riuscii a rimanere fermo, mentre l'abito di velluto nero frusciava sul tappeto verso di me. Pochi secondi dopo sentii il tocco di una mano - una mano soffice e calda, umana - e una voce bassa disse: "Mi hai chiamato. Sono qui". Sentendo quel tocco e quella voce, mi sembrò che il mondo compisse una specie di mezza giravolta. Non saprei come esprimerlo, ma in quel momento non mi parve tanto terribile, né tanto insolito, che i ritratti potessero diventare carne e ossa: solo una cosa molto naturale, molto giusta, e anche un'incredibile fortuna. Posai una mano sulla sua. Guardai lei e poi il mio ritratto. Non riuscivo a scorgerlo alla luce delle fiamme. "Non siamo degli sconosciuti", dissi. "Oh, no, non siamo degli sconosciuti." Quegli occhi luminosi guardavano in alto cercando i miei, e quelle labbra rosse erano vicine alle mie. Con un grido appassionato, con la sensazione di aver ritrovato l'unico bene della vita intera, perduto per sempre, la presi fra le braccia. Non era un fantasma: era una donna, l'unica donna al mondo. "Quanto tempo è passato", dissi, "da quando ti ho perduta?" Lei si sporse indietro, lasciando che tutto il suo peso gravasse sulle mani che aveva intrecciato dietro la mia nuca. "Come faccio a saperlo? Non c'è modo di contare le ore nell'Inferno", rispose. Non era un sogno. Ah, no! Non si sognano certe cose. Vorrei tanto che fosse possibile. Quando nei sogni vedo i suoi occhi, sento la sua voce e le sue labbra sulla guancia, quando porto le sue mani alle labbra, come ho fatto quella notte, la notte suprema di tutta la mia esperienza! Dapprima non parlammo quasi. Ci pareva abbastanza

...dopo tanto lungo penare e soffrire,

sentire le braccia del mio vero amore,

attorno a me di nuovo...

è molto difficile raccontare la mia storia. Le parole non possono esprimere il senso di felicità nell'averla ritrovata: la completa realizzazione di ogni speranza e di ogni sogno della mia vita pareva giunta, mentre sedevo con le mie mani tra le sue, e la fissavo negli occhi. Come poteva essere stato un sogno? La lasciai seduta sulla sedia dallo schienale diritto, e scesi in cucina a dire alle domestiche che non avevo bisogno d'altro, che ero occupato, e non volevo essere disturbato. Poi, con le mie stesse mani presi della legna per il fuoco e, quando lo portai nella stanza, la ritrovai seduta lì: la sua piccola testa dai capelli color nocciola si voltò mentre entravo, e lessi l'amore nei suoi occhi. Mi gettai ai suoi piedi, benedicendo il giorno in cui ero nato, perché la vita mi aveva dato quello. Non pensai affatto a Mildred. Tutte le altre cose della mia vita erano un sogno: quella solo era l'unica, splendida realtà. "Mi chiedo", disse lei dopo un po' di tempo, dopo esserci rallegrati l'uno con l'altro come fanno gli amanti dopo essere stati a lungo distanti, "mi chiedo quanto ricordi del nostro passato..." "Ricordo solo che ti amo... che ti ho amato tutta la vita." "Non ricordi nulla... assolutamente nulla?" "Ricordo solo di essere completamente tuo. Che abbiamo sofferto entrambi. Che... Dimmi, mia signora carissima, tutto quello che ricordi tu. Spiegamelo. Fai in modo che io capisca. Eppure... no, non voglio capire. Siamo insieme e questo basta."

Se era veramente un sogno, perché non ho mai più fatto quel sogno? 

Lei si sporse verso di me, il suo braccio posato sul mio collo, e portò la mia testa a poggiare sulla sua spalla. "Io sono un fantasma, suppongo", disse ridendo piano; la sua risata suscitò in me delle memorie che avevo tentato di afferrare, invano. "Ma tu ed io sappiamo la verità, vero? Ci amiamo - ah! Tu non l'hai dimenticato - e quando saresti tornato dalla guerra, ci saremmo dovuti sposare. I nostri ritratti furono dipinti prima che tu partissi. Tu sai che io ero più istruita delle donne di quel tempo. Mio caro, mentre eri via, dissero che ero una strega. Mi portarono in tribunale. Dissero che dovevo morire sul rogo. Solo perché guardavo le stelle e avevo imparato più delle altre donne, essi pensavano di dovermi legare a un palo e lasciare che fossi divorata dalle fiamme. E tu eri lontano!" Il suo corpo prese a tremare e a fremere. Oh, amore, quale sogno mi avrebbe potuto dire che i miei baci avevano il potere di cancellare anche simili ricordi? "La notte della vigilia", continuò lei, "venne da me il Diavolo. Prima di allora ero innocente: lo sai vero? Ed anche allora peccai per te - per te - per il grande amore che avevo per te.  Il Diavolo venne, ed io vendetti la mia anima consacrandola alle fiamme eterne. Ma il prezzo fu buono. In cambio ebbi il diritto di tornare attraverso il mio ritratto (se qualcuno, guardandolo, mi avesse desiderata), fin quando il mio ritratto sarebbe rimasto nella sua cornice d'ebano. Quella cornice non è stata fatta da un uomo. Mi sono guadagnata il diritto di tornare da te, mio unico amore. E un'altra cosa ho avuto, della quale presto saprai tutto. Mi hanno messo al rogo come strega, mi hanno fatta soffrire l'inferno qui sulla terra. Quei volti che si accalcavano attorno, la legna che scoppiettava e l'odore soffocante del fumo..." "Oh, amore, non dire altro, non dire altro!" "Quando mia madre quella sera vegliò davanti al dipinto, lei pianse e gridò: "Torna, mia povera figlia perduta!"  E io andai da lei con il cuore in tumulto. Ebbene, mio caro, lei mi rifiutò, fuggì, urlò e gemette parlando di fantasmi. Fece ricoprire i nostri ritratti, e li rimise nella cornice d'ebano. Mi aveva promesso che il mio ritratto sarebbe rimasto qui per sempre. Ah, tutti questi anni il tuo viso è stato contro il mio." Essa fece una pausa. "Ma cosa accadde all'uomo che amavi?" "Tu sei tornato. Ma il mio dipinto era sparito. Ti hanno mentito, e tu hai sposato un'altra donna. Ma sapevo che un giorno saresti tornato su questa terra, e che io ti avrei trovato." "E l'altra cosa che hai guadagnato?", domandai. "L'altra cosa", disse piano, "è ciò per cui ho dato l'anima. Si tratta di questo. Se anche tu rinuncerai alla speranza della vita eterna, io posso rimanere una donna, posso rimanere nel tuo mondo... essere tua moglie. Oh, mio caro, dopo tutti questi anni, finalmente... finalmente!" "Se io rinuncio alla mia anima", dissi lentamente, e le parole non mi parvero frutto dell'imbecillità, "se sacrifico la mia stessa anima, ti avrò? Ma, amore, questa è una contraddizione in termini. Tu sei la mia anima." I suoi occhi mi fissarono. Qualsiasi cosa fosse accaduta, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, qualsiasi cosa fosse mai potuta accadere, in quell'istante le nostre anime s'incontrarono e divennero una. "Allora scegli liberamente di rinunciare alla speranza di guadagnarti il Paradiso, come vi ho rinunciato io per te?" "Non rinuncerò alla speranza di guadagnarmi il Paradiso a nessun costo. Dimmi quello che io e te dovremo fare per avere un Paradiso qui sulla terra, ora." "Te lo dirò domani" disse. "Fatti trovare solo, qui, domani sera: è la mezzanotte l'ora dei fantasmi, vero? Allora uscirò dal quadro, e non vi farò più ritorno. Vivrò con te, morirò e verrò seppellita, e quella sarà la mia fine. Ma prima vivremo insieme, cuore del mio stesso cuore." Posai la testa sulle sue ginocchia, poi caddi preda di uno strano torpore. Tenendo la sua mano contro la mia guancia, persi conoscenza. Quando mi svegliai, una grigia alba di novembre cominciava a spuntare, diafana come un fantasma, attraverso la finestra, dove le tende non erano state tirate. Avevo la testa posata su un braccio, che tenevo - alzai di scatto la testa - ah! non sulle ginocchia della mia donna, ma sul cuscino ricamato della sedia dall'alto schienale. Balzai in piedi. Ero intirizzito e scombussolato dal sogno, ma mi voltai verso il ritratto. Lei era lì seduta: la mia signora, il mio amore! Spalancai le braccia, ma il grido appassionato mi morì sulle labbra. Lei aveva detto mezzanotte. Ogni sua parola era per me un ordine. Così rimasi fermo davanti al quadro, e fissai quegli occhi grigio-verdi finché non mi spuntarono lacrime di felicità appassionata. "Oh, mia cara, mia cara, come trascorrerò le ore prima di poterti stringere di nuovo tra le mie braccia?" Non mi passò allora per la mente che il completamento e la consumazione di tutta la mia vita potesse essere solo un sogno. Con passo malfermo salii in camera mia, caddi di traverso sul letto, e dormii profondamente senza fare sogni. Quando mi svegliai era mezzogiorno: Mildred e sua madre sarebbero arrivate all'ora di pranzo. All'una finalmente mi ricordai di Mildred, del suo arrivo e della sua esistenza.  

Ora iniziava veramente il sogno.

Avvertendo tutta la futilità di una mia azione separata dalla sua, diedi gli ordini necessari per ricevere le mie ospiti. Quando Mildred e sua madre arrivarono, le ricevetti cordialmente. Ma le mie frasi gentili parvero essere pronunciate da un altro. La mia voce mi giungeva come un' eco. Il mio cuore era altrove. Eppure, la situazione non divenne intollerabile, fino all'ora in cui il te del pomeriggio non venne servito nel salotto. Mildred e sua madre tennero viva la conversazione con una grande profusione di luoghi comuni, ed io sopportai la cosa come una persona giunta in vista del Paradiso sopporterebbe un leggero Purgatorio. Sollevai lo sguardo verso la mia amata nella sua cornice d'ebano, ed ebbi la sensazione che, qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi irresponsabile imbecillità, qualsiasi attacco di noia, erano nulla al pensiero che, dopo tutto quello, lei sarebbe tornata da me. Eppure, quando anche Mildred alzò lo sguardo verso il ritratto, e disse: "Si crede proprio una gran dama, vero? Un'attrice di teatro, vero? Una delle vostre fiamme, signor Devigne?", caddi in preda a un nauseante senso di irritazione e d'impotenza, che si tramutò in una vera e propria tortura nel momento in cui Mildred - come avevo mai potuto ammirare le sue attrattive da camerierina, il suo stile "scatola di cioccolatini"? - a un certo punto si lasciò cadere nella sedia dall'alto schienale, coprendo i ricami con i suoi ridicoli falpala', e disse: "Chi tace acconsente! Di chi si tratta, signor Devigne? Raccontateci tutto; sono sicura che è una storia avvincente". Povera piccola Mildred, seduta a sorridere, serena, sicura che ogni sua parola mi avrebbe incantato, seduta con il suo vitino di vespa, i suoi stivaletti un po' stretti, la sua vocina un po' volgare, seduta nella sedia nella quale la mia amata signora si era seduta a raccontarmi la sua storia! Non lo potevo tollerare. "Non state seduta lì, dissi, "è una sedia scomoda!" Ma la ragazza non colse quell'avvertimento. Con una risata che mi fece vibrare tutti i nervi in corpo per la stizza, disse: "Oh, povera me!  Non mi posso nemmeno sedere nella stessa sedia in cui si è seduta la vostra signora in velluto nero?". Lanciai uno sguardo alla sedia del dipinto. Era proprio la stessa, e Mildred ora vi era seduta. Poi avvertii tutta la tremenda realtà dell'esistenza di Mildred. Era quella allora la realtà? Se non fosse stato per una felice coincidenza, Mildred avrebbe forse occupato, invece che la sua sedia, il suo posto nella mia vita? Mi alzai. "Spero che non mi giudicherete maleducato", dissi, "ma ora devo uscire."

Ormai ho dimenticato quale scusa inventai. La bugia mi venne spontanea. Affrontai il muso lungo di Mildred sperando che lei e sua madre non si aspettassero un invito a cena. Fuggii. In un minuto mi trovai al sicuro, solo, sotto il freddo cielo autunnale pieno di nubi... libero di pensare, pensare, pensare, solo alla mia cara signora. Camminai per ore per le strade e nelle piazze; avevo rivissuto ogni sguardo, ogni parola, ogni tocco della mano... ogni bacio. Ero completamente, indicibilmente felice. Mildred era stata completamente dimenticata. La mia signora della cornice d'ebano mi riempiva il cuore, l'anima, lo spirito! Quando udii il rintocco delle undici attraverso la nebbia, mi voltai e tornai verso casa. Quando svoltai ed entrai nella strada in cui sorgeva casa mia, mi accorsi che la via era piena di gente e che una forte luce rossastra riempiva l'aria. Una casa bruciava. La mia! 

A gomitate mi aprii un varco attraverso la folla. Il ritratto della mia amata signora... quello, almeno, potevo salvarlo. Salii le scale a grandi balzi, e come in un sogno vidi - sì questo mi parve veramente un sogno - vidi Mildred sporgersi da una finestra del primo piano, torcendosi le mani. "Tornate indietro, signore", gridò un vigile del fuoco, "la salveremo noi la donna, non abbia paura." Ma cosa ne sarebbe stato della mia donna? Le scale scricchiolavano, ed usciva del fumo, e c'era un caldo infernale. Salii nella stanza in cui era appeso il suo ritratto. Strano a dirsi, sentivo che quel quadro sarebbe stata l'unica cosa che avremmo desiderato tenere con noi durante i lunghi anni felici di matrimonio che ci attendevano. Non mi era affatto venuto in mente che il quadro e la mia amata fossero una cosa sola. Giunto al primo piano sentii delle braccia circondarmi il collo. Il fumo era troppo denso, e non riuscii a distinguere le fattezze. "Salvami", bisbigliò una voce. Presi tra le braccia quel corpo e con una certa inquietudine lo portai lungo le scale pericolanti, verso la salvezza. Era Mildred. Me ne accorsi non appena l'abbracciai. "Indietro", gridò la folla. "Sono tutti in salvo", gridò il vigile del fuoco. Le fiamme si sprigionavano da ogni finestra. Il cielo divenne sempre più infuocato. Mi liberai delle mani che mi avrebbero voluto trattenere e con un balzo salii i gradini. A carponi cominciai a salire le scale. Improvvisamente venni assalito da un impeto d'orrore. "Finché il mio quadro rimarrà nella sua cornice d'ebano." Cosa sarebbe accaduto se il quadro e la cornice fossero andati distrutti insieme tra le fiamme? Lottai contro le fiamme e contro la mia impotenza davanti all'incendio che avanzava. Mi spinsi ancora più avanti.  Dovevo salvare quel quadro. Finalmente raggiunsi il salotto. Mi lanciai all'interno, e vidi la mia signora, lo giuro, attraverso una cortina di fiamme e di fumo, ed essa spalancò le braccia verso di me... ma ero giunto troppo tardi per poterla salvare, per salvare la gioia della mia vita. Non la rividi mai più. Prima che potessi salvarla, o chiamarla, avvertii il pavimento sprofondarmi sotto i piedi, e caddi nelle fiamme sottostanti. 

Come riuscirono a salvarmi? Cosa importa? In qualche modo vi riuscirono… maledetti! Tutto il mobilio di mia zia andò distrutto. I miei amici osservarono che, dal momento che i mobili erano assicurati per una somma notevole, la negligenza di qualche domestica che studiava di notte non mi aveva procurato poi un grande danno. Non mi aveva procurato un grande danno!

Ecco come ho trovato e perso il mio unico amore. Nego con tutta l'anima che si fosse trattato di un sogno. Non esistono sogni del genere. Esistono i sogni pieni di dolore e di desiderio. Ma sogni di tale completa, indicibile felicità... ah, no, è il resto della vita che è sogno. Ma, allora, perché ho sposato Mildred, diventando grasso, noioso, e prospero? Vi dico che questo è sogno; la mia cara signora è l'unica cosa vera. E cosa importa cosa si fa durante i sogni?


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