Le Poesie di Lovecraft

Dal 1908 al 1917 Lovecraft si dedicò alla poesia.

Lovecraft fu sempre molto critico nei confronti dei suoi versi, ma confessò: "La poesia, per me, significa solo il mezzo più efficace per manifestare la mia passione per ciò che è antico"

Da "Psychopompos" (1919), una narrazione in versi

Io son colui che urla nella notte,

io son colui che geme nella neve,

io son colui che mai vide la luce,

io son colui che ascende dall'abisso.

E il mio cocchio è il cocchio della Morte.

Le mie ali sono ali di paura,

il mio respiro è il soffio del maestrale

e le mie prede sono i freddi morti.

[…] Ma se una fama dubbia avea il Signore, 

più temuta ed odiata era la Dama;

come lui bruna, cupa ed orgogliosa,

ma d'una grazia sovrannaturale, 

e piena di disprezzo per coloro

che si chiedevan da dove venisse.

[…] E così nel villaggio si diceva

che la Dama avea il dono del malocchio,

e più furtivamente si parlava 

dei suoi poteri di Stregoneria.

La vecchia Allard (lei stessa mezza strega)

diceva che lo sguardo della Dama

avea sui morti un certo effetto strano.

[…] Quando nel sole della primavera

zeffiri dolci sciolsero la neve,

un cupo orrore venne rivelato

in un campo bagnato del disgelo.

Là serbata nel letto dell'inverno,

stava la bruna Dama assassinata;

uccisa orrendamente con un colpo

che in due la fronte le aveva spaccato.

[…] Venne la notte, a venne in forma orrenda

sopra le ali di quella tempesta.

Murmuri strani riempivano il vento,

e i viandanti temevan di voltarsi.

[...]


Dalla raccolta "Funghi da Yuggoth"


"Il Libro"

Il posto era scuro, polveroso e perso

negli intrichi di Antichi vicoli intorno al porto,

odorosi di strane cose portate dagli oceani

e annebbiati da volute di foschia spinte dai venti occidentali,

piccoli vetri a losanghe, oscurati dal fumo e dal ghiaccio,

mostravano solo i libri, ammassati come alberi contorti.

Marcivano dal pavimento al soffitto: congerie

di antico e decaduto sapere a basso costo.

Entrai incantato, e da un mucchio coperto di ragnatele

presi il libro più vicino e lo sfogliai, 

tremando alle strane parole che sembravano celare

un segreto mostruoso, se solo le si capiva.

Poi, cercai un vecchio bottegaio esperto nell'inganno, 

e non trovai null'altro che una voce che rideva.

Misi il libro sotto la giacca […] nessuno mi aveva visto prendere l'oggetto, eppure una vacua risata echeggiava nella testa che mi girava,

e intuii quali oscuri mondi di malvagità

si celassero in quel volume che avevo voluto.

La strada divenne strana, le mura si distolsero

e dietro di me, lontani, risuonarono passi invisibili.

[...]


Avevo il libro che parlava della strada nascosta

per attraversare il vuoto, e gli schemi appesi nello spazio

che tengono a basa i mondi senza dimensione,

e trattengono gli eoni perduti nei loro dominii.

Finalmente era mia la chiave per quelle vaghe visioni

di spire di tramonto e di boschi di penombra che meditano

oscuri negli abissi al di là dei confini della Terra,

nascondendosi come Memorie dell'Infinito.

La chiave era mia ma, mentre sedevo a mormorare,

la finestra della soffitta fu scossa da un goffo armeggiare.


Il giorno era tornato, quando da bambino

vidi - solo una volta - quella conca di vecchie querce,

grigie di una nebbia che avvolge e soffoca

le forme, contaminate dalla follia, che sgattaiolavano furtive.

Era lo stesso: erba rigogliosa e selvaggia

si abbarbica intorno ad un altare il cui segno scolpito invoca

quell'Innominabile verso cui mille fumi

si innalzavano, eoni fa, dalle empie torri.

Vidi il corpo steso su quella pietra umida,

e capii che quelle cose che banchettavano non erano uomini;

capii che quello strano mondo grigio non era il mio,

ma Yuggoth, oltre i vuoti astrali, e allora

il corpo urlò verso di me con un grido muto,

e troppo tardi capii che ero io!


"Fantasmi"

Era l'ora innominabile della notte

in cui le illusioni in un nembo delirante

intorno al silenzioso dormiente, ondeggiano

e si muovono furtive nelle sue visioni inconsce,

quando il corpo sul suo letto terreno

si stende come un cadavere disabitato,

privo dell'anima, che vola libera 

in mondi ignoti agli occhi della veglia.

La falce di luna strisciava

con grazia spettrale al di sopra della guglia,

e ai pallidi raggi sofferenti

ghignavano ricordi di Antichi sogni.

In alto, nel cielo, ogni stella

guizzava fantastica e maligna,

mentre voci dagli abissi

mi invitavano a lenire i miei dolori nel sonno.

Questa scena di una notte di un gelido novembre

la ricorderò per molti anni.

Sotto un'altra luna spiavo

una distesa brulla e sterile,

su cui strisciavano oscure ombre spettrali,

sui tumuli della brughiera dove cose morte dormivano.

La luna invitante giocava esangue

su forme insolite e malfatte,

forme aeree di strani dominii,

portate qui e lì su ali

che svolazzavano alla febbrile ricerca

di una terra lontana di luce e pace.

In quella oscura calca, il mio sguardo

distinse esseri di tutti gli spazi eterei;

un caos senziente si era raccolto

da tutte le sfere immemorabili,

ma con un solo fine, un solo ardore:

trovare il fantasma chiamato VITA.

La luce tenebrosa, occhio di demone,

ebbra ammiccava nel cielo

e volava sulla pianura,

trascinando il mio spirito nella sua scia.

Vidi una montagna, coronata di città popolose e grandi,

i cui abitanti innumerevoli

si nascondevano nelle profondità del sonno notturno

cosicché la luna per lunghe ore oscure

sogguardava strade solitarie e torri silenziose.

Indicibilmente bella la montagna si ergeva,

con ai suoi piedi un bosco;

su un fianco un ruscello scintillante

scorreva danzando nella luce spettrale.

Ciascuna città che ne adornava la cima

pareva ansiosa di superare le altre,

colonne, cupole e templi

splendevano ricchi e belli sull'altipiano

e ora la luna era immobile nel cielo

come se non avesse più cattivi presagi,

perché le folle aeree sapevano 

che la VITA era finalmente visibile

che la bella montagna ciascuno vedeva:

era la VITA, il Fantasma da lungo cercato!

Ma guarda! Quali raggi illuminano la scena

quando l'alba si insinua nell'oscurità?

Ad Oriente c'è un orribile chiarore

di luce sanguigna - un bagliore accecante -

mentre grigia e spettrale la montagna si erge,

e il terrore che la circonda tocca la terra.

Il bosco maledetto di alberi contorti

protende orrendi artigli al vento,

e lungo il pendio lo stillante ruscello

riflette il giorno con splendore abbagliante.

In cima, la luce della conoscenza striscia,

macchiando le mura sgretolate delle città

tra le quali si contorcono masse laide

di fetide lucertole e vermi.

Mentre il marmo lebbroso alla luce 

mostra sculture che disgustano e spaventano,

e molti templi alludono al peccato

e all'empietà che regnano all'interno.

O poteri della luce e dello spazio,

la VITA è carica di simili immondi orrori?

Non celare più il mirabile disegno,

ma rivela la gloria vivente, Uomo!

Ora per le strade le case vomitano

una disgustosa pestilenza, una folla

di cose a cui non posso, non oso dare un nome,

così abietta è la loro forma, così nera la loro vergogna!

E nel cielo il sole maligno

ride della rovina che ha creato,

e non ha pietà delle vaghe forme che fuggono

verso la notte eterna.

O landa della MORTE,

segnata dai tumuli e illuminata dalla luna,

riprendi il tuo dominio! Il tuo respiro letale

è un balsamo elisio per l'anima

che vede la luce e sa tutto.

Io cercavo di raggiungere il corteo alato

che ritornava nell'oscurità,

ma l'orrore, corrodendomi la mente,

trattenne i miei passi vacillanti.

In sogno sarei volentieri sfuggito al giorno…

Troppo tardi: avevo ormai perso la strada!

 

Ricreo virtualmente la Cappella Campestre di Castellanza!

Adoro Castellanza 💜😍, una delle mie città del cuore, anche se studiandone la storia, purtroppo, sono venuta a conoscenza di stravolgimenti (in peggio) di alcuni quartieri, la demolizione di chiesette antiche, di un mulino, persino di un castrum a confine con Legnano ed, infine, "la cementificazione selvaggia" di una zona periferica che un tempo era aperta campagna, con tanto di bosco, e oggigiorno è tutto cemento (con palazzone). Non c'era solo un bosco, e quindi un'area verde che andava preservata, ma proprio in quella zona sorgeva (e sorge ancora, per fortuna) una cappella del 1800.

com'era quella zona di Castellanza, fino agli anni '90

Com'è diventata... 😭💔



Sì, la cappella è stata "inglobata" in quel palazzone (tra l'altro mi hanno detto che in origine volevano persino demolire la cappella e solo la resistenza tenace di alcuni abitanti del quartiere ha impedito lo scempio)

Ci sono ancora persone anziane che si ricordano com'era bello quel quartiere di Castellanza... 😢

Io, da vaghi ricordi che ho, devo esserci passata una volta sola, in bicicletta, verso il 1995, con mia zia, ma non ne sono sicura al 100%, ho davvero un vago ricordo... ad ogni modo, su un vecchio foglietto, sono riuscita a reperire l'ultima, probabilmente, fotografia scattata prima che tutta quella zona fosse cementificata.

L'altra fotografia esistente che è stata caricata sul web è questa:


poco nitida, come vedete, e che mostra la cappelletta ormai "già inglobata in una striscia di cemento e siepe"

Il dipinto posto all'interno, durante il giorno, risulta opaco:


ma ho scoperto di recente che verso sera la illuminano con delle luce interne, ed è possibile vedere il quadro, che risale al 1800:



La storia che sta dietro a questa cappella è questa: 

"Questa minuscola cappella è posta sulla via omonima sul lato destro della vecchia strada per Nizzolina. Si narra che a metà del XIX secolo: Un giorno la figlia del barone Cantoni [Giulia], galoppava con il suo cavallo verso le tenute signorili nei pressi di Rescaldina. Attraversando il sentiero di questo bosco, il destriero, bruscamente impennatosi, sbalzò nel vuoto la nobile signora che fortunatamente nella caduta rimase incolume. Costei attribuì la grazia della sua incolumità alla Vergine SS. Poiché aveva invocato la Madonna, ritenne di aver ricevuto una grazia e fece appendere su un albero un quadro con un'Addolorata. In seguito lì venne costruita una cappellina e il quadro trovò posto sopra un altarino La Cappellina e la tela, originale, furono restaurate dopo il 1970; nella cappella trovano posto anche un Bambino Gesù di Praga e i piccoli quadri di san Giovanni Bosco e Maria Ausiliatrice."

Insomma, quella cappella, luogo storico, andava preservata in quel bosco, senza sradicare gli alberi e costruire quel palazzone ed una rotonda poco prima (!) 

Ogni volta che ci passo davanti non posso non sentire un'amarezza di fondo, a pensare che un angolo verde è stato falciato via in modo così cruento (nei ricordi di mia madre, mi ha raccontato che da piccola andava a giocare in quella zona, ed era tanto verde da ricordare "un bosco di montagna")... e se dipendesse da me, "teletrasporterei quella cappella" in qualche zona di bosco, per ridarle finalmente "il suo habitat naturale"... e farmi immortalare proprio lì davanti (in un bel bosco verde farebbe effetto "Dusk and Her Embrace")


Non si può fare (sono Ipostatica Lunaria ma questo genere di prodigi ancora non posso farli... 😅) e allora mi sono detta "Facciamolo con paint!" E così, ho modificato la fotografia originale, inserendomi proprio seduta lì, sulla panchina:


Lo so che come fotomontaggio è pessimo, ma non siate troppo puntigliosi... 😅 l'importante, per me, era "esserci". Anche perché dal vivo la scenografia è questa qui:



Non proprio "Dusk and Her Embrace"... 😕

E io la rivoglio ancora dentro il verde, quella cappella:


Tutta mia, con sottofondo di "Dusk and Her Embrace" 💚💀😍

I Trattati sui Fantasmi

Info tratte da


Da una parte l'uomo, l'essere raziocinante, prodotto finale (per ora) dell'evoluzione naturale, creatore della tecnica applicata alla già preesistente scienza; dall'altra, lo spettro, il fantasma, il parto dell'irrazionalità, figlio degenere del conflitto preternaturale fra il caos del processo immanentistico in atto, e l'ordine della creazione solipsistica in predicato.

Per ovviare alle proprie inquietudini, l'uomo ha creato il fantasma, doppio eterico, alterico, misterico e morboso delle supponenze all'episteme di un'intera civiltà dominata dal senso del peccato e dalla conseguente paura della morte. Il lenzuolo che il fantasma agita per suscitare paura, è il Velo di Maya che abbiamo paura di sollevare per scoprire una volta per tutte il niente che c'è dietro alle nostre miserie, è la caricatura macabra e sarcastica della placenta materna che custodì le origini delle vite di tutti, è il segnale della nuova carne promessa per il giorno della resurrezione, è il monito della morte del senso, del sudario del verbo che s'incarno per dare una qualche giustificazione allo scenario primevo che sollo dopo abbiamo cominciato a chiamare "storia dell'umanità" (...) Sono quindi fantasmi quelli che amiamo tanto, pallide imitazioni del reale, vacui spettri dell'effimero elevato ad Arte, cupi simulacri dell'effetto macchina che il potere costruisce sull'alveo sanguinante della nostra sensibilità.

Noi siamo fantasmi che ci nutriamo di fantasmi.

Lo spettro non è altro che un'apparizione fantastica di un qualche cosa che un tempo era reale, e che oggi non lo è più. (...)

L'etimo ovvio è dal greco "Phantasma, Phantasmata", ovvero "apparizione, apparizioni": termine usato per indicare delle presenze NON terrifiche, anche se perturbanti, angosciose, inquiete.

Dal termine greco, per filiazioni latine e gemmazioni neolinguistiche, vennero poi a coniarsi il francese "Fantome", l'italiano "Fantasma"; diversa invece l'origine del termine inglese "Ghost", derivato da numeroso passaggi nella terminologia di culture limitrofe: il termine Ghost deriva dalla vecchia parola dell'inglese aulico Gast, e il termine Gast fu mediato dall'antico linguaggio delle genti Frisone, e i Frisoni a loro volta avevano trasbordato il termine dell'antico svedese Gest, che ci porta al germanico Geist, "spirito". (...) Accanto al fantasma è da porsi lo spettro, dal latino "Spectrum", altro termine per indicare l'apparizione, ma questa volta con tendenze più diaboliche.

Anche se i due termini ormai si equivalgono, è bene tenere a mente questa sostanziale differenza terminologica tra le proprietà del fantasma e quelle dello spettro.

Il fantasma può apportare turbamento, inquietudine, ma quasi mai il terrore, il terrore vero e proprio che è foriero anche di un pericolo di morte; simbolo della morte, è vero, ma allo stesso tempo simbolo, per quanto distorto, della vita e di ciò che non vuole morire e che si ostina a sopravvivere, a ritornare eternamente; il fantasma è quindi un'apparizione ma non una presenza, e sul palcoscenico delle tenebre, salvo rare eccezioni, non è un primo attore, ma solamente una comparsa.

Lo spettro, invece, quasi sempre non solo è un simbolo di morte ma è anche apportatore della stessa; la sua esistenza è una caricatura di quello che può intendersi come vita, è l'antitesi del concetto stesso del doppio (...) I fantasmi possono quindi infestare case e castelli, tombe e foreste e ogni altro posto dove un tempo brillava un residuo di fertilità, d'amore, di odio, di vita insomma.

Infine, una lista dei trattati sui fantasmi. Prima fonte di importanti notizie fu il "De Spectris, Lemuribus et magnis atque insolitis fragoribus" (1570), scritto da Louis Lavater, libro tradotto anche in inglese e poi francese, ma non in italiano.

Fu poi la volta del "IV Livres des Spectres" (1586) di Pierre Le Loyer, dove del discernimento del vero e del falso circa le apparizioni si dava un panorama più esaustivo e teologicamente ortodosso (i poteri civili ed ecclesiastici a quel tempo coincidevano in un'unica espressione)

Visto il successo, Le Loyer ampliò il tema in "Discours et Histoire des Spectres, visions et apparitions des Esprits en VIII livres. Esquels est manifestée  certitude des spectres et visions de esprits" (1605)

Nel frattempo uscirono anche altre opere, come il "De Apparictionibus et Terrificationibus Nocturnis" di Peter Thyraeus (1594), più volte ristampata e il "The Terrors of the Night; or, A Discourse of Apparitions" (1594) di Thomas Nashe, dove venivano raccolte testimonianze di apparizioni che l'autore giudicava attendibili.


Nota di Lunaria: aggiungo uno stralcio tratto da "Le Storie del Castello di Trezza", l'unico racconto gotico scritto da Giovanni Verga.

"Il silenzio era profondo; il vento cacciava le nuvole rapidamente, e di tanto in tanto faceva stormire gli alberi del giardino; il cielo era inargentato a strappi; le ombre sembravano inseguirsi sulla terra illuminata dalla luna, e il mormorio del mare e quel sussurrio delle foglie, sommesso, ad intervalli, a quell'ora aveano un non so che di misterioso. La signora Matilde volse gli occhi di qua e là, in aria distratta, e li posò sulla mole nera e gigantesca del castello che disegnavasi con profili fantastici su quel fondo cangiante ad ogni momento. La luce e le ombre si alternavano rapidamente sulle rovine, e un arbusto che avea messo radici sul più alto rivellino, agitavasi di tanto in tanto, come un grottesco fantasma che si inchinasse verso l'abisso. "Vede?", diss'ella con quel sorriso incerto e colla voce mal ferma. "C'è qualche cosa che vive e si agita lassù!" "Gli spettri della leggenda." "Chissà!"

"La notte s'era fatta tempestosa, il vento sembrava assumere voci e gemiti umani, e le onde flagellavano la rocca con un rumore come di un tonfo che soffocasse un gemito d'agonia. Il barone dormiva. Ella lo vedeva dormire, immobile, sfinita, moribonda d'angoscia, sentiva la tempesta dentro di sé, e non osava muoversi per timor di destarlo. Avea gli occhi foschi, le labbra semiaperte, il cuore le si rompeva nel petto, e sembravale che il sangue le si travolgesse nelle vene. Provava bagliori, sfinimenti, impeti inesplicabili, vertigini che la soffocavano, tentazioni furibonde, grida che le salivano alla gola, fascini che l'agghiacciavano, terrori che la spingevano alla follia. Sembravale di momento in momento che la vòlta dell'alcova si abassasse a soffocarla, o che l'onda salisse e traboccasse dalla finestra, o che le imposte fossero scosse con impeto disperato da una mano che si afferrasse a qualcosa, o che il muggito del mare soverchiasse un urlo delirante d'agonia: il gemito del vento le penetrava sin nelle ossa, con parole arcane ch'ella intendeva, che le dicevano arcane cose, e le facevano drizzare i capelli sul capo, e teneva sempre gli occhi intenti e affascinanti nelle orbite incavate ed oscure di quel marito dormente, il quale sembrava la guardasse attraverso le palpebre chiuse, e leggesse chiaramente tutti i terrori che sconvolgevano la sua ragione. Di tanto in tanto si asciugava il freddo sudore che le bagnava la fronte, e ravviava macchinalmente i capelli che sentiva formicolarsi sul capo, come fossero venuti cose animate anch'essi. Quando l'uragano taceva, provava un terrore più arcano, e con un movimento macchinale nascondeva il capo sotto le coltri, per non udire qualcosa di terribile. Ad un tratto quel suono che parevale avere udito in mezzo agli urli della tempesta, quel gemito d'agonia, visione o realtà, s'udì più chiaro e distinto. Allora mise uno strido che non aveva più nulla d'umano, e si slanciò fuori ddal letto. Il barone, svegliato di soprassalto, la scorse come un bianco fantasma fuggire dalla finestra, si precipitò ad inseguirla, saltò sul ballatoio e non vide più nulla. La tempesta ruggiva come prima. Sul precipizio fu trovato il fazzoletto che avea asciugato quel sudore d'angoscia sovrumana."


Castiglione Olona, le foto più belle

Reportage fatto per merito di Mary, una grande fan dei Cradle of Filth e della musica Punk\Post Punk, che mi ha accompagnato a vedere Castiglione Olona. Una cittadina che ho adorato fin da subito, col suo fascino medievale 💜 Qui potete vedere il cimitero: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2025/05/cimitero-di-castiglione-olona.html qui le nicchie: https://nicchiecappelleinlombardia.blogspot.com/2023/11/gorla-maggiore.html





N.B: Mentre scendevamo per quella scalinata, abbiamo messo i Satyricon di "Nemesis Divina" 😁