"Le Ali Spezzate" e "Gli Dei della Terra" di Gibran

è è questo il primo e unico romanzo d'amore di Gibran che non esitò a definirlo una sorta di autobiografia spirituale, sebbene non abbia mai voluto riconoscersi esplicitamente nel protagonista della sua storia.

Il giovane perdutamente innamorato della bellissima Selma grazie alla quale apprende i segreti dell'amore. La passione che lega i due amanti è intensa e dolcissima, fatta di immensa gioia ma anche di infinito dolore: una passione impossibile, che si scontra disperatamente con i tabù della tradizione orientale e con le rigide convenzioni sociali che costringeranno Selma a sposare un altro uomo. 

Nel descrivere il tormentato percorso di questo sentimento, il poeta libanese lascia affondare con grazia la sua prosa magica e solenne tra le profondità e i misteri dell'esistenza umana trascinandoci nella sua incantata spiritualità.

***

Avevo diciotto anni quando l'amore mi aprì gli occhi con i suoi magici raggi e toccò il mio spirito per la prima volta con le sue dita infuocate, e Selma fu la prima donna che risvegliò il mio spirito con la sua bellezza e mi condusse nel giardino del nobile affetto, dove i giorni passano come sogni e le notti come cerimonie nuziali.

[...] Oggi, a distanza di molti anni, non mi è rimasto niente di quello splendido sogno eccetto ricordi dolorosi che mi frullano intorno come ali invisibili, colmano di dispiacere il profondo del mio cuore, e mi fanno venire le lacrime agli occhi; e la mia amata, splendida Selma, è morta, e niente rimane per commemorarla eccetto il mio cuore infranto e una tomba circondata di cipressi. Quella tomba e questo cuore sono tutto ciò che rimane a testimonianza di Selma.

Il silenzio che protegge le tombe non rivela il segreto di Dio nell'oscurità della bara, e il fruscìo dei rami le cui radici suggono gli elementi del corpo non racconta i misteri del sepolcro, ma i disperati sospiri del mio cuore annunciano ai viventi il dramma che rappresentarono l'amore, la bellezza e la morte.

O amici della mia giovinezza sparsi nella città di Beirut, quando passate per quel cimitero accanto alla foresta di pini, entratevi in silenzio e camminate lentamente, così che il calpestìo dei vostri piedi non disturbi il sonno dei morti; fermatevi con umiltà presso la tomba di Selma, salutate la terra che racchiude il suo corpo, pronunciate il mio nome con un profondo sospiro e dite a voi stessi: "Qui furono sepolte tutte le speranze di Gibran, che vive prigioniero dell'amore al di là del mare. In questo luogo egli perse la sua felicità, versò tutte le sue lacrime, e dimenticò il suo sorriso."

Presso quella tomba cresce il dolore di Gibran insieme ai cipressi, e su quella tomba ogni notte aleggia il suo spirito a commemorare Selma, unendosi ai rami degli alberi in doloroso lamento, compiangendo la dipartita di Selma, che ieri era una splendida armonia sulle labbra della vita e oggi è un muto segreto nel seno della terra.

O compagni della mia giovinezza! Vi supplico, nel nome di quelle vergini che i vostri cuori hanno amato, di deporre una corona di fiori sulla tomba abbandonata della mia amata, poiché i fiori che deponete sulla tomba di Selma sono come gocce di rugiada che cadono dagli occhi dell'alba sui petali di una rosa appassita.

 

La solitudine ha morbide mani di seta, ma con forti dita afferra il cuore e lo fa soffrire. La solitudine è l'alleata del dolore come pure una compagna di esaltazione spirituale.

L'anima del ragazzo sottoposta ai colpi del dolore è come un giglio bianco appena in boccio.

Trema di fronte alla brezza, apre il cuore allo spuntare del giorno e richiude i petali al giungere delle ombre notturne.

[...] Quel dolore era causato da una sofferenza interiore che mi fece amare la solitudine. Uccise in me l'inclinazione ai giochi e al divertimento. Mi tolse dalle spalle le ali della giovinezza e mi rese simile a uno stagno tra i monti che riflette sulla sua calma superficie le ombre dei fantasmi e i colori delle nubi e degli alberi, ma non trova uno sbocco per passare, cantando, nel mare.


Il profumo dei fiori si confondeva con la brezza quando entrammo nel giardino e ci sedemmo in silenzio su una panca accanto a un albero di gelsomino, ad ascoltare il respiro della natura addormentata, mentre nel cielo azzurro gli occhi di lassù assistevano al nostro dramma.

La luna spuntò dal Monte Sunnin e rischiarò la costa, le colline e i monti; e i villaggi che orlavano la valle sembrarono apparizioni improvvisamente evocate dal nulla. Si vedeva la bellezza di tutto il Libano sotto i raggi argentei della luna. [...] Quella notte vidi un Libano da sogno con gli occhi di un poeta.

Selma, con i raggi della luna che le splendevano sul volto, sul collo, e sulle braccia, sembrava una statua d'avorio scolpita dalle dita di un adoratore di Ishtar, dea della bellezza e dell'amore.


Quella notte, in cui ero rinato, ebbi l'impressione di vedere la morte in viso per la prima volta. Così il sole dà vita ai campi e li uccide col suo calore.


Selma si asciugò le lacrime e disse: "Vedi come il tempo ci ha cambiati! Vedi come il tempo ha cambiato il corso della nostra vita e ci ha abbandonati tra queste rovine. In questo luogo la primavera ci unì in un vincolo d'amore, e in questo luogo ci ha riuniti dinanzi al trono della morte. Come fu bella la primavera, e com'è terribile quest'inverno."




Quando cadde la notte della dodicesima èra,

e il silenzio, alta marea della notte, inghiottì le alture,

i tre Dei nati dalla terra, i Titani signori della vita,

apparvero sui monti.


[…]


Primo Dio: stanco è il mio spirito di tutto quanto esiste.

Non alzerei la mano né per creare un mondo 

né per distruggerlo.


Vorrei non vivere se solo potessi morire

giacché grava su di me il peso di tutte le ère,

e il gemito incessante dei mari mi toglie il sonno.

[…] Se solo potessi strappare la mia divinità dal suo intento

ed esalare la mia immortalità nell'immenso spazio,

e più non essere


[...]


Terzo Dio: Fratelli, miei augusti fratelli,

laggiù, nel boschetto di mirti,

una fanciulla danza alla luna;

ha mille stelle di rugiada tra i suoi capelli

e ha mille ali intorno ai suoi piedi


[…]


Primo Dio: oh, questa pena dell'incessante prescienza,

questa vigile cura del guidare il giorno al crepuscolo

e la notte all'aurora;

questa marea eterna del ricordare e dimenticare;

questo eterno seminar destini e non raccogliere che speranze;

quest'immutabile sollevarsi dell'io alla polvere a un confuso alone,

solo per desiderar la polvere e ricadere col desiderio nella polvere,

e poi con desiderio ancora più grande ricercare ancora quell'alone.


Vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2021/05/il-profeta-di-kahlil-gibran.html

 

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