Nota di Lunaria: utilizzo il termine "Inuit", perché il termine "eschimese" è ritenuto offensivo, significando "mangiatori di carne cruda" e ha un rimando dispregiativo ormai dal 1970, essendo caricato di clichè presenti nell'immaginario europeo. è meglio perciò usare il termine "Inuit" per il plurale e "Inuk" per il singolo individuo. Tali termini significano "gli uomini". Curiosamente, quando gli Inuit entrarono in contatto con i bianchi, li considerarono molto poco perché erano incapaci di vivere come loro! Li chiamarono "Kablunak" che significa "dalle grandi sopracciglia" o anche "ayortòk", "buoni a nulla". Fisicamente, gli Inuit sono affini ai Mongoli per l'apertura palpebrale stretta e colore della pelle; hanno capelli folti e abbondanti, scarsa peluria e la statura è bassa: gli uomini raggiungono 1,63. Inoltre è utile sapere che non esiste "un singolo gruppo di Inuit", ma almeno 29 tribù ripartite in 7 gruppi (Inuit Polari, Inuit Netsilik, Inuit dell'Alaska, Inuit del Labrador, Inuit del Caribù, Inuit del Rame, Inuit del Mackenzie)
Info tratte da
Una probabile migrazione attraverso il Mare di Bering, iniziata in epoche molte remote, ha condotto la popolazione degli Inuit, generalmente ritenuta asiatica, fino alle regioni settentrionali dell'America. L'Alaska, le coste del Canada (https://intervistemetal.blogspot.com/2022/01/i-totem-in-canada.html) e della Groenlandia sono divenute così la seconda patria di questa misteriosa popolazione che vi ha lasciato tracce di cultura a partire già dal V e IV secolo a.c. A quest'epoca infatti risale il periodo di Okuik, il più antico della fase culturale detta del Mare di Bering. [Nota di Lunaria: è possibile parlare addirittura di periodo proto-inuit compreso tra il 6500-5700, noto come "Cultura di Anangula", probabile derivazione di culture asiatiche paleo-mesolitiche]
Le fasi successive di Ipiutak, di Birnik, di Pununk giungono fino al XIII secolo e per tutto questo lungo lasso di tempo è possibile rintracciare nelle attività artigianali e artistiche degli Inuit delle caratteristiche costanti. Di abitudini nomadi, questo popolo non ha lasciato opere monumentali e la sua produzione è limitata ad oggetti d'uso quotidiano oltre alle maschere e ai giocattoli. Si spiegano così le dimensioni ridotte degli oggetti ritrovati, eseguiti in osso, in legno, avorio, ornati da una decorazione minuta e calligrafica. Colpisce in tutta questa produzione l'eleganza della forma, rigorosamente sintetica e al contempo raffinata, esaltata talvolta dai motivi decorativi a curve e a cerchi (cultura del Mare di Bering), a volte applicata a vere e proprie piccole sculture, prevalentemente zoomorfe (Fase di Ipiutak). Nella fase di Pununk, sviluppatasi nelle isole Saint Lawrence e Diomede, probabili influssi della cultura siberiana, insieme con l'introduzione di utensili in ferro, modificano le caratteristiche della decorazione degli oggetti, che si fa più rigida e schematica. Da questo stile si ritiene che abbia origine l'arte Inuit moderna, che però si avvale anche di elementi europei, in particolare la ricerca di effetti realistici opposti alle tendenze locali tipicamente astratti. Caratteristiche dell'età moderna sono certe sculture decorate, oggetti ornati di una sottile incisione, arricchita dal colore che narra in maniera quasi stenografica avvenimenti della vita quotidiana. Una considerazione a parte meritano le maschere, solitamente lignee che venivano impiegate sia nei riti sacri che nella rappresentazione teatrale di drammi e farse: per la difficoltà di procurarsi il legno (lo si ricavava solo dai resti fluviali e marini), gli Inuit le eseguivano in dimensioni modeste, rendendole più imponenti con l'aggiunta di elementi accessori, piume, cerchi e piccoli oggetti simbolici.
La funzione delle maschere inuit spaziava dall'ambito rituale a quello delle cerimonie funebri e rappresentazioni drammatiche;
anche le figurine nascondono significati rituali. Qui aggiungo altri esempi, cominciando dagli amuleti:
La musica e il canto Inuit sono davvero particolari... potrebbero risultare ostici e persino cacofonici ad orecchie occidentali, specie ai primi ascolti.
Per quanto riguarda la lingua inuit, è di una complessità grammaticale impressionante!
Eppure, molto affascinante. Su youtube comunque è possibile sentire qualche video esplicativo che spiega le regole principali e la pronuncia. Sintetizzando, vi basti sapere che ogni parola, con le sue varie declinazioni e coniugazioni, può avere mille desinenze diverse: duecento come sostantivo, ottocento come verbo! Senza contare che gli Inuit esprimono un'intera frase condensata in un'unica parola!!!!
Si veda questo esempio:
"Pissukpok" significa "egli cammina"
"Pissualayok" significa "egli cammina svelto"
"Pissuinnarpok" significa "egli passeggia"
Pensate poi che spesso un concetto astratto viene espresso con un insieme di concetti che "rendono l'idea"! Per esempio, "Ningasuinerk", che significa "dolcezza", letteralmente è un composto di parole che andrebbero tradotte come "il fatto di non adirarsi mai". Senza contare che per ciascun gruppo di Inuit esistono variazioni per la stessa parola. La lingua inuit, è, quindi, una lingua unica al mondo che non ha alcuna parentela con i ceppi linguistici più noti; anche se qualche studioso ha ipotizzato che alcune parole possano avere una certa affinità col giapponese.
Infine, segnalo la Dea Inuit più famosa: Sedna
è una Dea sirenoide, probabilmente una donna-antenata divinizzata, ed è "la Madre" di tutti gli animali marini, nati dalle sue dita amputate
quando Sedna è rappresentata mentre allatta i bambini, ricorda la Lupa che allattò Romolo e Remo.
C'è anche un bel video musicale dedicato agli Inuit: i Blick Van Glory hanno girato un video che ha rielaborato l'immaginario Inuit
Altre info le trovate qui:
Qui riporto un mio vecchio scritto dedicato agli Inuit, con altre info. Lo stralcio è tratto da
SCHEMINO RIASSUNTIVO-CRONOLOGICO
Già nel 6500-5700 a.C troviamo tracce di culture proto-inuit nelle isole Aleutine ("Cultura di Anangula").
Dall'800-600 a.C inizia la Cultura Neo-Inuit; nel 900 d.C ha inizio la cultura di Thule che sarà la grande unificatrice di tutte le culture eschimesi.
Nel 983 d.C Erik il Rosso con un gruppo dei suoi vichinghi raggiunge la Groenlandia e ne comincia la colonizzazione. I Normanni (o Vichinghi) abbandonano le colonie groenlandesi nel 1500 d.C a causa di un notevole abbassamento della temperatura; gli Inuit tornano ad occupare tutte le coste dell'isola. Intorno al 1800 d.C iniziano a scrivere; nel 1955 ha inizio lo snaturamento del mondo inuit, a causa dei grandi impianti strategico-militari fatti nell'Artide e per l'opera di evangelizzazione cristiana.
Nell'Artide sono presenti tre tipi di culture:
1) Cultura Artica: abbraccia il territorio che va dalla costa occidentale della Groenlandia a nord del circolo polare artico, alla parte settentrionale dell'Alaska. Usano la slitta e praticano la caccia alla foca, balena bianca, caribu.
2) Cultura Subartica: si è affermata nell'Alaska meridionale e nelle isole Aleutine. Qui non si usa la slitta perché i ghiacci non si saldano.
3) Cultura Artica Superiore: la temperatura bassissima concede che le acque non siano ricoperte dai ghiacci soltanto per un mese all'anno.
Le caratteristiche etniche non sono state ancora perfettamente definite (Nota di Lunaria: il libro è stato scritto nel 1977. Può essere che oggigiorno si sappia di più, al riguardo)
Alcune particolarità li avvicinano alle genti mongoliche della Siberia, altre agli Indiani d'America.
Purtroppo, l'arrivo dei bianchi ha distrutto l'equilibrio che caratterizzava gli Inuit: i bianchi spinsero gli Inuit a sterminare gli animali da pelliccia, più di quanto occorresse al loro sostentamento, dando loro in cambio oggetti di poco valore o cibo che si rivelò non compatibile con il fabbisogno degli Inuit, abituati per secoli ad altri regimi alimentari. Inoltre, si diffuse la tubercolosi, che fece strage di Inuit. Poi si creò una dipendenza psicologica dell'Inuit nei confronti dell'uomo bianco: smise di fabbricarsi da sé armi e trappole e tutto attese dall'uomo bianco, mettendosi di fatto in una condizione di sottomissione.
La situazione è andata peggiorando per i figli degli Inuit, che "vogliono essere come i bianchi", ne imitano gli usi e le mode, spesso si vergognano della loro origine etnica.
Per quanto riguarda la vita sociale, tutta la tribù è molto unita, e soltanto nel caso che un membro di essa avesse atteggiamenti violenti, veniva condannato all'esilio. Nelle tribù dove il numero delle donne è superiore a quello degli uomini si pratica a volte la poligamia. Le donne vivono più degli uomini, e una vedova con molti figli trova subito chi la risposi e si assuma la paternità dei piccoli. Durante alcune carestie si sono verificati casi di necrofagia (mangiare i corpi dei morti, per esempio dei bambini), ma questa pratica non può essere ricondotta al cannibalismo (nel quale si mangia, "a scopo magico" carne umana per appropriarsi delle virtù del morto) perché nel gruppo Inuit mancava totalmente questa valenza, e lo si faceva solo per necessità. era diffuso inoltre, in alcune tribù, il suicidio per necessità sociale: vecchi e invalidi, o chiunque dovesse vivere alle spalle degli altri, preferivano uccidersi, specialmente quando incombeva lo spettro della carestia.
LA RELIGIONE
Gli Inuit, pur avendo un profondo sentimento religioso, non hanno nessuna pretesa di possedere una religione rivelata. L'idea di una creazione dal nulla è estranea alla maggior parte di loro: preferiscono credere che sempre è stata, e sempre sarà.
L'uomo, secondo le tribù Inuit delle regioni orientali, nacque dalle colline: uno di questi esseri si mutò in femmina, e da questo derivò il genere umano.
L'idea di un Dio supremo è molto vaga, e come avviene per i popoli siberiani, si accenna a un "Grande Corvo", considerato una specie di demiurgo conservatore del mondo.
Grande importanza assume la figura dello sciamano che è l'unico a conoscere l'arte di entrare in comunicazione con gli spiriti, i soli che ricevono una forma di culto (lo spirito più importante è Tornarsuk).
L'orso bianco è Nanook, il Signore dei ghiacci |
Gli spiriti assistono lo sciamano e gli Inuit debbono rivolgersi ad essi per poter entrare in rapporto con le deità superiori, delle quali le più importanti sono quelle marine (Imap Inua) (Nota di Lunaria: aggiungo anche la Dea Aulanerk, Dea delle onde del mare), la Luna (lo spirito della Luna, Aningat, è considerato maschio e fratello del Sole, Malina, femmina)
e l'Aria (Silap Inua o Tlam-shua o Pinga (*) e mette in guardia contro le leggi che stavano per essere violate).
Adorata da tutti è la grande Dea del Mare, che abita il fondo degli oceani e manda alla superficie gli animali marini che saranno cacciati.
Le denominazioni di questa Dea sono molteplici, la più comune è Talluliyuk, raffigurata come una sirena. Altri suoi nomi sono Nuljajuk ("la moglie cara"), Sedna ("Colei che sta giù"), Arnarquagssaq ("la vecchia donna" o "la maestosa, gloriosa donna"), Imap-ukua ("Madre del mare").
è strano che sia presso i Greci che presso gli Inuit ci sia la stessa figura, quella della sirena
(Nota di Lunaria: anche Erzulie, Dea afro, ha forma di sirena...)
e persino del maschio-sirena, il tritone
Gli Inuit credono anche a dei giganti sotterranei (gli Ingnerssuit) e agli gnomi (Erkigdlit) di cui i più pericolosi hanno musi di cane.
Come tutti gli animisti e gli sciamani, anche gli Inuit credono che gli animali abbiano anime (tarneq, yutir), così osservano alcuni riti: per esempio, si crede che l'anima della foca resti attaccata sulla punta della fiocina e perciò il cacciatore una volta tornato alla capanna, avvicina l'arma vicino alla lampada perché l'anima della foca non abbia freddo, oppure chiedono scusa all'orso prima di ucciderlo, assicurandogli che lo fa solo per necessità e che si occuperà di tutti i riti funebri per dare la pace alla sua anima. La mancata osservazione di una norma farebbe infuriare la Dea della caccia; è necessario celebrare una funzione propiziatoria (tornadek) durante la quale lo sciamano/angakok entra in trance e accompagnato dal rullo dei tamburi, va a trovare la Dea. Quando si sveglia rivela il suo volere.
Di tutti gli spiriti, il più importante è Sila, di cui non si conosce nulla ma che è onnipresente e che si esprime, per usare le parole di un angakok, "per mezzo della tempesta, della neve, della pioggia e della furia del mare, con la luce del sole e i piccoli bambini che giocano con innocenza odono la sua voce, quasi come quella di una donna, giungere a loro in modo misterioso"
Una potenza simile, chiamata Mana (**), si trova tra i polinesiani.
Praticano un culto, gli Inuit? Nel senso tradizionale, la risposta è negativa. Non credono a un Dio al quale innalzare le preghiere, ma hanno una serie di miti epici che sono l'eredità di tempi lontanissimi.
Queste le parole di un angakok: "Ho cercato nell'oscurità, essere silente, nella grande solitaria quiete delle tenebre. Così divenni un angakok, attraverso visioni e sogni e incontri con gli spiriti volanti."
(*) Secondo alcune fonti, Pinga sarebbe una Dea
(**) Nota di Lunaria: sì, ne parla a lungo Mircea Eliade in "Trattato di Storia delle religioni"
L'insolito e lo straordinario sono epifanie conturbanti: indicano la presenza di una COSA DIVERSA da quella che sarebbe naturale; la presenza, o almeno il richiamo, in senso predestinato, di questa COSA DIVERSA. Un animale sagace, un oggetto nuovo o un fatto mostruoso, spiccano così nettamente come spicca un individuo bruttissimo, assai nervoso o isolato dal resto della comunità per una stimmata qualsiasi (naturale o acquisita in cerimonie religiose, compiute per designare l'‘eletto’). Alcuni esempi ci aiuteranno a capire il concetto melanesiano del "mana", dal quale certi autori hanno creduto di poter derivare tutti i fenomeni religiosi. "Mana" è per i melanesiani la forza misteriosa e attiva posseduta da certe persone e, in generale, dalle anime dei morti e da tutti gli spiriti. L'atto grandioso della creazione cosmica è stato possibile soltanto grazie al mana della divinità; il capo del
clan possiede anch'egli il mana; gli Inglesi hanno soggiogato i Maori perché il loro mana era più forte; il ministerio del missionario cristiano ha un mana superiore al mana dei riti autoctoni. Del resto anche le latrine hanno il loro mana, dato che i corpi umani sono ‘ricettacoli di forza’, e così pure i loro escrementi.
Ma oggetti e uomini hanno il mana perché l'hanno ricevuto da certi esseri superiori, in altre parole PERCHE' partecipano misticamente al sacro, e NELLA MISURA IN CUI vi partecipano. ‘Se osserviamo che un sasso possiede una forza eccezionale, questo avviene perché uno spirito qualsiasi è associato a quel sasso. L'osso di un morto ha il mana perché vi si trova l'anima del morto; un individuo qualsiasi può essere in intima relazione con uno spirito ("spirit") o con l'anima di un morto ("ghost"), al punto da possederne il mana in sé stesso e servirsene a suo talento’. E' una forza diversa dalle forze fisiche, qualitativamente parlando, e si esercita perciò in modo arbitrario. Un guerriero valoroso deve la sua qualità non alle proprie forze e capacità, ma alla forza che gli concede il mana di un guerriero morto; questo mana si trova nel piccolo amuleto di pietra appeso al suo collo, in alcune foglie infilate alla sua cintura, nella formula che pronuncia. Che i porci di un tale si moltiplichino, o il suo giardino prosperi, dipende da certi sassi da lui posseduti, dotati dello speciale mana dei porci e degli alberi. Una barca è veloce soltanto se possiede il mana, e così il falco che prende i pesci e la freccia che uccide. Tutto quel che ‘è’ in misura estrema, possiede il mana; vale a dire tutto quel che appare all'uomo in aspetto efficace, dinamico, creatore, perfetto.
Reagendo contro le teorie di Tylor e della sua scuola, i quali ritengono che la prima fase della religione può essere soltanto l'animismo, l'antropologo inglese Marett ha creduto di poter riconoscere, in questa credenza a una forza impersonale, una fase preanimistica della religione. Eviteremo di precisare fin da ora in che misura si possa parlare di una ‘prima fase’ della
religione; parimenti, non indagheremo se identificare una siffatta fase primordiale equivalga a scoprire le ‘origini’ delle religioni. Abbiamo citato qualche esempio del mana soltanto per chiarire la dialettica delle cratofanie e delle ierofanie sul piano più elementare (è bene precisare che ‘il più elementare’ non significa affatto ‘il più primitivo’ in senso psicologico, né ‘il più antico’ in senso cronologico: il livello elementare rappresenta una modalità semplice, trasparente, della ierofania). Gli esempi citati illustrano molto bene questo fatto: che una cratofania o una ierofania SINGOLARIZZA un oggetto rispetto agli altri oggetti, come fa lo straordinario, l'insolito, il nuovo. Notiamo tuttavia:
1) che la nozione di mana, quantunque si ritrovi anche nelle religioni estranee al ciclo melanesiano, non è una nozione universale, e di conseguenza è difficile per noi considerarla prima fase di qualsiasi religione;
2) che non è esatto considerare il mana una forza impersonale.
Vi sono, in realtà, popoli diversi dai Melanesiani che conoscono una forza di questo genere, capace di rendere le cose potenti, REALI nel pieno senso della parola. I Sioux chiamano "wakan" questa forza, che circola per tutto il cosmo ma si manifesta soltanto nei fenomeni straordinari (sole, luna, tuono, vento, eccetera) e nelle personalità forti (stregone, missionario cristiano, esseri mitici e leggendari, eccetera).
Gli Irochesi si servono della parola "orenda" per designare la stessa nozione; una tempesta contiene "orenda", l'"orenda" di un uccello che difficilmente si lascia colpire è molto sottile; un
energumeno è in preda al proprio "orenda", eccetera. "Oki" presso gli Uroni, "zemi" per le popolazioni delle Antille, "megbe" fra i Pigmei africani (Bambuti), tutte queste parole esprimono la stessa nozione di mana. Ma, ripetiamolo, l'"oki", lo "zemi", il "megbe", l'"orenda", eccetera non appartengono a chicchessia; li possiedono soltanto le divinità, gli eroi, le anime dei morti o gli uomini e gli oggetti che hanno una certa relazione col sacro, cioè gli stregoni, i feticci, gli idoli, eccetera. Per citare soltanto uno degli ultimi etnografi che hanno descritto questi fenomeni magico-religiosi e, ciò che più conta, presso una popolazione arcaica ove l'esistenza del mana era piuttosto controversa, lo Schebesta scrive: ‘Il "megbe" è diffuso dappertutto, ma la sua potenza non si manifesta dappertutto con la stessa intensità, né con lo stesso aspetto. Certi animali ne sono largamente forniti; gli esseri umani possiedono il "megbe" chi più chi meno. Gli uomini capaci si distinguono appunto per l'abbondanza di "megbe" da loro accumulata. Anche gli stregoni sono ricchi di "megbe". Questa forza parrebbe legata all'anima-ombra, e destinata a scomparire insieme a lei con la morte, sia che emigri in un'altra persona, sia che si trasformi nel Totem’.
Benché certi studiosi abbiano aggiunto a questa lista qualche altro termine ("ngai" dei Masai, "andriamanitha" dei Malgasci, "petara" dei Dayak, eccetera), e nonostante i tentativi di interpretare nello stesso senso il "brahman" indiano, lo "xvarenah" iraniano, l'"imperium" romano, il "hamingia" nordico, la nozione di mana non è universale. Il mana non compare in tutte le religioni, e anche dove appare non è la forma religiosa unica e neppure la più antica. ‘Il mana... non è affatto universale, e di conseguenza basare sul mana una teoria generale della religione primitiva non è soltanto erroneo, è anche fallace’. Diremo di più, fra le varie formule ("mana", "wakan", "orenda", eccetera) vi sono, se non differenze spiccate, almeno sfumature, troppo spesso trascurate nei primi studi. Così, l'americanista Paul Radin, analizzando le conclusioni che W. Jones, la Fletcher e Hewitt hanno tratto dalle loro ricerche sul "wakanda" e sul "manito" dei Sioux e degli Algonchini, osserva che questi termini significano ‘sacro’, ‘importante’, ‘strano’, ‘meraviglioso’, ‘straordinario’, ‘forte’, ma senza implicare la minima idea di ‘forza inerente’. Ora Marrett - e del resto anche altri - ha creduto che il mana rappresentasse una ‘forza universale’, quantunque Codrington avesse già richiamato l'attenzione sul fatto che ‘questa forza, quantunque impersonale in sé, è sempre attaccata a una persona che la dirige... Nessun uomo ha questa forza di per sé stesso; tutto quel che fa, è fatto con l'aiuto di esseri personali, spiriti della natura o antenati’. Ricerche recenti (Hocart, Hogbin, Capell) hanno precisato queste distinzioni stabilite da Codrington. ‘Come potrebbe essere impersonale, se è sempre legata a esseri personali?’ si domandava Hocart ironicamente. A Guadacanal e Malaita, per esempio, possiedono il "nanama" esclusivamente gli spiriti e le anime dei morti, quantunque possano utilizzare questa forza a vantaggio dell'uomo. ‘Un uomo può lavorare d'impegno, ma se non ottiene l'approvazione degli spiriti, che esercitano il loro potere a suo vantaggio, non sarà mai ricco’. ‘Tutti gli sforzi sono compiuti per assicurarsi il favore degli spiriti, in modo che il mana sia sempre disponibile. I sacrifici sono il mezzo più usato per ottenere la loro benevolenza, ma certe altre cerimonie sono parimenti credute di loro gradimento’.
Radin notava a sua volta che gli Indiani non contrappongono PERSONALE a IMPERSONALE, CORPOREO a INCORPOREO. ‘Quel che sembra attirare la loro attenzione è, anzitutto, la questione dell'esistenza reale; tutto quel che può essere percepito dai sensi, tutto quel che è pensabile, esiste’. Bisogna dunque porre il problema in termini ontologici: quel che ESISTE, quel che è REALE, quel che NON ESISTE, e non in termini di PERSONALE-IMPERSONALE, CORPOREO-INCORPOREO; concetti che, nella coscienza dei ‘primitivi’, non hanno la precisione acquisita nelle culture storiche. Ciò che è fornito di mana esiste sul piano ontologico, e di conseguenza è efficace, fecondo, fertile.
Non si potrebbe perciò affermare l'‘impersonalità’ del mana, dato che questa nozione non ha senso sull'orizzonte mentale arcaico. D'altra parte non si trova in nessun luogo il mana ipostasiato, staccato dagli oggetti, dagli avvenimenti cosmici, dagli esseri o dagli uomini. Meglio ancora, l'analisi approfondita dimostra che un oggetto, un fenomeno cosmico, un essere qualsiasi eccetera, possiedono il mana grazie all'intervento di uno spirito o alla confusione con l'epifania di un qualsiasi essere divino.
Ne consegue che la teoria del mana come forza magica impersonale non è affatto giustificata. Immaginare, su questo fondamento, un periodo prereligioso (dominato unicamente dalla magìa) è implicitamente errato. Tale teoria, del resto, è intaccata dal fatto che non tutti i popoli (specie i più primitivi) conoscono il mana, e anche dal fatto che la magìa, quantunque si ritrovi un po' dappertutto, non compare mai scompagnata dalla religione. Ancor più: la magìa non domina dappertutto la vita spirituale delle società ‘primitive’; anzi si sviluppa in modo predominante nelle società più evolute (ad esempio: la pratica della magìa è debolissima presso i Kurnai australiani e presso i Fuegini; in certe società di Eschimesi e di Koryak, è meno praticata che non presso gli Ainu e Samoiedi loro vicini, a loro superiori come civiltà, eccetera).
Per quanto riguarda l'aldilà, gli Inuit credono a tre regni post mortem:
1) Angelartarfik, luogo di felicità dove tutti ballano e cacciano; alcuni diventano stelle che vivono con lo spirito della Luna e continuano a guidare i viventi con la loro lucentezza.
In questo luogo vi entrano i bravi cacciatori e le donne che hanno sofferto per farsi tatuaggi e diventare più belle.
2) Norqumiut: una specie di inferno, posto sotto terra. Questo luogo accoglie i cattivi cacciatori e le donne che non vollero soffrire neanche un poco per farsi belle. Vi è sempre fame e l'unico cibo sono le farfalle che i condannati devono prendere con la bocca perché hanno le mani legate.
3) Agleqrmiut: è un luogo caldo e piacevole e vi si continua la vita terrena in condizioni simili a quelle passate in vita.
Alcuni Inuit credono alla reincarnazione e danno il nome di un parente morto ai bambini.
Anche gli amuleti e le formule magiche hanno grande importanza perché servono a scongiurare il male e aiutano nella caccia:
"Perché non sono abile di più? Perché non posso uccidere? Che cosa mi ostacola? Che cosa mi ostacola? Qui, mia preda! Qui, mia preda! Aja, aja."
Generalmente le parole sono tenute segrete perché se conosciute da molti perderebbero efficacia.
LETTERATURA INUIT
La Poesia Inuit è una prosa ritmica che deve accompagnare i movimenti della danza e il suono, uguale e ossessionante, del tamburo. Motivi di ispirazione sono la tundra ridente nel verde dei suoi muschi o bianca sotto la coltre di neve che il vento rabbioso alza continuamente in mulinelli paurosi, la fuga del caribu, gli uccellini che le raffiche di vento trasportano qua e là come fiocchi di lana, l'orso (Nanook), le foche, la caccia, i bambini. In genere le poesie sono cantate a bassa voce dalle donne e accompagnate dal tamburo soltanto in particolari cerimonie.
Questa poesia per esempio serve a spiegare perché il cielo diventi rosso:
Un giovane è morto e sale al cielo.
E Il Grande Spirito colora la terra
e il cielo con un rosso gioioso
per ricevere la sua anima.
Ada Negri nel 1936 aveva espresso un concetto simile:
Forse in quest'ora un'anima
a pena sciolta dal suo vel di carne
lassù si trasfigura;
e le vampe ch'io scorgo angeli sono
dall'ali fiammeggianti,
che le scortano, a schiere, in paradiso.
Questa è dedicata alla morte del figlio:
Un uomo partiva,
partiva solo,
camminava nel freddo,
camminava nel vento,
andava alla Grande Montagna.
Nella neve egli vide qualcosa,
non era una lepre,
non era una pernice,
qualche cosa di freddo.
Delle mani che uscivano dalla neve,
dei piedi che uscivano dalla neve,
le mani erano rosicchiate dalle volpi,
i piedi erano rosicchiati dai lupi.
Il padre guardò,
guardò senza parlare.
Spazzò la neve dai vestiti,
soffiò sugli occhi,
soffiò sulla bocca,
appoggiò il suo cuore,
il suo cuore contro all'altro cuore.
Ma il figlio rimase freddo,
rimase duro come una pietra,
immobile come il ghiaccio,
e per tre notti,
il padre non pensò più,
perdette il cammino,
dimenticò la strada,
non aveva più luce,
più luce nella testa.
Ora il padre canta,
canta sotto la tenda,
canta con gli inuit,
e tutti insieme cantano,
cantano per il figlio.
Questa è una poesia per la caccia all'orso:
Vidi un orso
sul ghiaccio di deriva,
sembrava un cane innocuo,
che festante mi corresse incontro.
Era così desideroso di mangiarmi sul posto,
che dondolò irato
quando io, a un tratto, spuntai sul suo cammino.
E giocammo a cacciarci
dalla mattina fino a tardi.
Ma poi era così stanco
che non ne poteva più,
e io piantai la mia lancia nel suo fianco.
Queste, dedicate ai caribu, una varietà di renna artica che a differenza della renna lappone non si è lasciato addomesticare:
è magnifico vedere
i caribu inoltrarsi fuor dalle foreste
e cominciare
il loro errare verso il settentrione.
Timidamente spiano
le trappole dell'uomo.
è magnifico vedere
il grande branco fuori dalle foreste
che dilaga sulle bianche piane.
Magnifico a vedere.
è magnifico vedere
al principio dell'estate i caribu dal pelo corto
cominciare a marciare.
Magnifico vederli trottare
avanti e indietro
attraverso i promontori,
cercando un luogo per attraversare.
è magnifico
vedere i caribu col lungo pelo d'inverno
ritornare alle foreste.
Ansiosamente cercano
i piccoli
mentre il branco segue il reflusso del mare
con una tempesta di zoccoli scalpitanti.
è magnifico
quando il tempo della marcia è giunto.
Inatteso io venni e presi di sorpresa
il disattento abitante delle piane,
inatteso io venni e presi di sorpresa
il disattento abitante delle piane,
e io dispersi il branco
in una corsa incauta.
Avanzai cauto sopra l'acquitrino
con l'arco e frecce in bocca.
L'acquitrino era vasto e l'acqua gelida,
e non vi era riparo in vista.
Lentamente avanzai,
bagnandomi, ma strisciando non visto
fino a tiro.
I caribu pascolavano il muschio succolento,
fin quando la mia freccia si fermò tremolante, profonda,
nel petto del maschio.
Allora il terrore prese i disattenti abitanti del piano.
Il branco si disperse velocemente,
e trottando forte, sparì alla vista
dietro le colline che nascondono.
Queste invece sono celebrazioni dell'ambiente:
O calore estivo che passa sul paese!
Non c'è soffio di vento,
non c'è nube alcuna.
Lontano, tra i monti,
la renna che pascola
sull'orizzonte azzurro.
O incanto!
O gioia!
Mi distendo sulla terra e piango...
Mi alzo con movimenti rapidi,
come il battito d'ali del corvo,
mi alzo
per incontrare il giorno.
Il mio viso si volge dal nero della notte
a fissare l'aurora
che ora biancheggia in cielo.
Camminerò coi muscoli delle gambe
che sono forti
come i nervi dei garretti dei piccoli caribu.
Camminerò coi muscoli delle gambe
che sono forti
come i nervi dei garretti del leprotto.
Non andrò verso il buio.
Andrò verso la luce.
Quando ero giovane,
ogni giorno era come l'inizio
di qualche cosa nuova,
e ogni sera finiva
con lo splendore dell'alba del nuovo giorno.
Questo è un canto composto dall'Inuit Markusi nel 1942, quando era diventato cieco.
è freddo stasera col vento di nord-est
ayaiyayaya
Dalla scala d'entrata, sento la gente che passa
ayaiyayaya
Quando entro, è per salire soltanto al piano della grande casa
ayaiyayaya
Quando esco, è per andare nel corridoio d'entrata
ayaiyayaya
Bisogna invidiare i cacciatori: come mi fanno
desiderare la caccia, qui a Chesterfield
ayaiyayaya
Andare a letto presto, non è una cosa molto
piacevole mentre gli altri vegliano,
mentre qui, dalle Suore...
ayaiyayaya
Molto spesso mi metto a sognare: come
potrei vedere anch'io qui
ayaiyayaya
E penso che non debbo cantare, quando gli altri cantano...
ayaiyayaya
Una poesia scritta da un'anziana Inuit che vorrebbe, per un attimo, ornarsi come una giovane donna:
Il grande mare
mi ha mandato alla deriva,
mi spinge come l'erba in un gran fiume,
la terra e il grande tempo
mi spingono,
mi hanno portato via
e mi commuovono.
Portate qui il vostro ornamento di legno,
me ne coprirò
per farmi guardare come una donna vera.
I bambini Inuit sono portati dalla madre, per i primi mesi di vita, nell'amaut, un cappuccio che pende sulle spalle della donna. Il bimbo spesso è a contatto con la nuda pelle della donna perché stia più al caldo.
è il mio piccino pienotto
che sento nel cappuccio.
Ma quanto pesa!
Ya, Ya! Ya, Ya!
Quando mi volto,
mi sorride, il mio piccino
ben nascosto nel cappuccio.
Ma quanto pesa!
Ya, Ya! Ya, Ya!
Come è bello quando sorride
con due dentini come un tricheco infante!
Ah, preferisco che il mio piccino pesi.
Ma che il cappuccio sia pieno!
Questa è una poesia di Villads Villadsen
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
che fiorisci fra la sabbia e i sassi!
Vivi nei luoghi che nessuno calpesta
ma di bellezza è pieno il fiore tuo sbocciato.
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
nel giallo vivo della tua corolla
hai scelto il segno della felicità,
e lo porti ogni giorno con orgoglio.
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
hai sempre gioia, perché sei felice
anche se cresci fra la sabbia e i sassi
dove non sembra che la linfa scorra.
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
sei l'unico ornamento della sabbia:
dimmi, perché la morte non ti sfiora mai?
dimmi, chi ti protegge per l'eternità?
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
dillo a quest'oscuro indifferente,
chi ti fornisce il succo della vita?
chi ti dà la forza e la bellezza?
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
lo so, tu, forse, mi risponderai
che incerto ondeggia il segno della gioia.
Quanto è infinita la stoltezza mia:
m'acceca tanta gioia e io l'ignoro!
Piccolo ranuncolo, fiore dell'estate,
adesso ascolto la tua dolce voce.
Ora so che dove affonda la radice mia
lì c'è la linfa che mi dà la vita
e lì trascorreranno i giorni miei!
ARTE INUIT
La scultura costituisce la maggior parte della produzione artistica e i soggetti prediletti sono gli animali e le donne.
I materiali usati vanno dalla steatite all'avorio.
La pittura ha una data di nascita abbastanza recente, e risale all'epoca in cui vennero intensificati i rapporti con i bianchi, dopo la Seconda Guerra Mondiale. In genere sono le donne a dedicarsi al disegno. Inoltre le calzuture (kamik) vengono decorate con scene di caccia, motivi geometrici, sovraesposizione di pelli di altri colori.
MUSICA E DANZA
I canti e la danza hanno una grande importanza socio-culturale presso tutti gli Inuit; le riunioni di danza avvengono alla sera, durante il giorno si canta.
Vi sono canti personali, canti di caccia, canti di lutto, canti comuni che vengono salmodiati (simili a preghiere) per impetrare il benessere su tutti.
Le riunioni di danza hanno luogo nella tenda di colui che è considerato il capo del villaggio. Le donne siedono a semicerchio, gli uomini dietro di esse, i bambini ovunque c'è posto.
Un uomo comincia il suo canto, abbozzando motivi di danza, e le donne accompagnano il canto dondolandosi avanti e indietro, con gli occhi fissi al suolo. Alcune volte il danzatore cade in trance.
P.s qui trovate un paio di band Metal e Rock che parlano del folklore Inuit utilizzandone anche un certo immaginario: Northern Torment e Northern Haze
Sarebbe fantastico se più band originarie del Canada-Alaska decidessero di creare... l'Inuit Metal!!!
APPROFONDIMENTO: L'ALASKA E GLI ALEUTI
Info tratte da
Introduzione
Secondo gli storici i primi abitanti dell'Alaska giunsero dall'Asia nel Nord America fra 15.000 e 30.000 anni fa, nel corso di un'era glaciale che fece abbassare il livello del mare e creò una lingua di terra lunga 900 miglia che collegava la Siberia all'Alaska.
La prima importante invasione dall'Asia attraverso tale lingua di terra fu messa in atto dai Tlingit e dagli Haida, che si stabilirono nel Southeast e nella British Columbia, e dagli Atabaschi che si insediarono nell'Interior.
Gli altri gruppi erano gli Iñupiat che si fermarono nella costa settentrionale dell'Alaska e del Canada (dove sono noti come Inuit) e gli Yupik, che si stabilirono nell'Alaska sud-occidentale. Gli Aleuti occuparono le Aleutian Islands.
La cultura dei Tlingit e degli Haida era relativamente avanzata; questi popoli eccellevano nell'arte di intagliare il legno, soprattutto i totem votivi che sono ancora visibili nel Totem Heritage Center di Ketchikan.
BREVE STORIA DELL'ARRIVO DEGLI EUROPEI IN ALASKA
Più di ogni altra regione dello stato, il Southwest Alaska ha vissuto una storia turbolenta, segnata da massacri, eruzioni vulcaniche violente e massicci bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Quando il navigatore russo Stepan Glotov e il suo seguito di marinai e commercianti di pellicce approdarono nell'odierna Dutch Harbor, nel 1759
a Unalaska e sulle Amaknak Islands vivevano più di 30.000 Aleuti. Nel 1763, però, i nativi distrussero quattro navi della flotta di Glotov e uccisero 175 cacciatori di pellicce; questo provocò la reazione violenta dei Russi che diedero inizio ad un'eliminazione sistematica degli Aleuti, massacrandoli o riducendoli in schavitù. Secondo le stime, nel 1830 a Unalaska erano rimasti solo 200-400 nativi.
I Russi approdarono a Kodiak Island nel 1763 ma vi tornarono dopo vent'anni quando il commerciante di pellicce siberiano Gregorii Shelikof istituì un insediamento nella Three Saints Bay.
I tentativi di Shelikof di soggiogare i nativi ebbero come risultato un altro bagno di sangue, in cui più di 10000 Alutiiq furono massacrati o annegarono in mare nel tentativo di fuggire.
Penso sia meglio mettere due prove... non vorrei che qualcuno dicesse che "non è vero niente" e che sono io "che ho i miei deliri e mi invento le cose"....
ARTIGIANATO
I primi artisti dell'Alaska furono i nativi, che ancora oggi creano le opere più incredibili che il paese possa vantare e sono famosi in tutto il mondo per l'uso ingegnoso dei materiali naturali, dalle radici alle zanne di animale, dalla corteccia di betulla alle erbe.
Nei villaggi del Southwest Alaska gli Aleuti decorano i loro cesti con budella di foca.
Tradizionalmente, gli artigiani indigeni raccoglievano i materiali in autunno e iniziavano a intagliarli e intrecciarli in dicembre, quando il clima rigido li costringeva a rimanere all'interno delle loro abitazioni.
Avendo a disposizione una minor quantità di risorse con cui operare, gli Iñupiat e gli Iupik realizzavano oggetti con parti di mammiferi marini.
Il loro lavoro di intaglio si presenta incredibilmente dettagliato e spesso ha come soggetto scene di vita quotidiana raffigurate con dovizia di particolari su ossi di balena o zanne di tricheco.
Gli stessi popoli producevano anche "mukluks", degli stivali alti fino al ginocchio, con pelli di foca e parka con pelli di caribù o di scoiattolo di terra artico.
Nel XIX secolo, i mercanti russi, cacciatori di balene e i funzionari della Hudson Bay Company cominciarono a usare le perline colorate come merce di scambio con le popolazioni indigene dell'Alaska.
Gli Atabaschi da sempre maestri nell'arte della tessitura e del ricamo con aculei di porcospino, adottarono questi luccicanti e colorati ornamenti
per decorare vestiti e calzature, e oggi sono famosi in tutto il mondo per il loro elaborato lavoro di ricamo con le perline.
Tuttavia, forse nessuna arte indigena è più rappresentativa di questi popoli dell'abilità nell'intrecciare ceste e panieri.
Ogni tribù produce stupendi cesti in stili molto particolari, realizzati unicamente con i materiali che la natura mette loro a disposizione.
Gli Atabaschi intrecciano cesti con radici di ontano e
salice e corteccia di betulla, i Tlingit usano corteccia di cedro e radici di abete, gli Iñupiat erbe e fanoni, le lamine lucide e dure che pendono dalle mascelle superiori delle balene, mentre gli Yupik spesso decorano i loro cesti con baffi di leoni marini e piume di uccello.
Gli Aleuti sono forse gli intrecciatori più abili. Sono capaci di trasformare il loglio, un materiale pieghevole ma molto resistente che cresce abbondante nelle Aleutian Islands, in cesti minuscoli, intrecciati in modo molto
elaborato.
Nota di Lunaria: per quanto riguarda la mitologia sono riuscita a trovare questa Dea: Chuginadak, la Dea Aleut del fuoco, che si pensa viva in un vulcano
è interessante, perché anche alle Hawaii il vulcano era associato ad una Dea: Pele https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/antiche-hawaii-storia-pele-danza-e.html
APPROFONDIMENTO
tratto da
GLI AMULETI INUIT PER LA CACCIA
La religione degli Inuit è caratterizzata dallo sviluppo dello sciamanesimo, che ha assorbito tutti gli altri elementi e aspetti delle credenze religiose. Gli sciamani (anghekok, angakok) sono coloro che dirigono il culto. Non si occupano soltanto della guarigione delle malattie: nelle loro mani è concentrato anche il culto venatorio, che per un popolo prevalentemente cacciatore come quello inuit ha importanza particolarmente notevole.
Le condizioni materiali dell'esistenza degli Inuit (la rigida natura polare, l'enorme fatica che si deve dedicare alla lotta per la vita, le continue carestie dovute all'insufficienza dei frutti della caccia e della pesca, che minacciano l'esistenza stessa della gente) hanno predeterminato l'orientamento di tutta la loro religione. Il loro culto venatorio e le loro credenze legate all'attività economica sono per gli Inuit questioni di primaria, vitale importanza. Non essendo sicuri del domani, della buona riuscita della caccia, trovandosi sotto la costante minaccia della fame, consapevoli della propria impotenza di fronte alla natura, gli Inuit ripongono grandi speranze nella proprie credenze e nei propri riti.
E. Weyer, che ha studiato la vita degli Inuit, riferisce alcuni aspetti caratteristici. Uno degli abitanti locali dell'isola Diomede gli aveva mostrato una piccola perlina di vetro che fungeva da amuleto per la caccia. In cambio di questa perlina egli aveva dato al precedente proprietario una grossa imbarcazione di pelle, di enorme valore per qualsiasi Inuit. Un altro Inuit della tribù degli Iglulik aveva comprato una formula magica di scongiuro (trasmessa di solito in eredità) impegnandosi a fornire di cibo e indumenti per tutta la vita l'ex possessore. Gli esempi citati indicano quale valore gli Inuit attribuiscano a oggetti religiosi di questo genere.
Amuleti Inuit