La Disperazione e L'Io


"L'inferno non è stato creato da nessuno. Il fuoco di uno spirito che si abbandona alla collera produce il fuoco dell'inferno e consuma chi ne è preso. Quando un uomo fa il male, accende il fuoco dell'inferno e si brucia al suo proprio fuoco"

Le filosofie dell'esistenza hanno variamente sviluppato il tema di quella che Kierkegaard chiama la disperazione silenziosa, ed è il fondo opaco, il peso o la colpa di colui che, rifiutando la partecipazione con i suoi simili in quella comunità della vita che è insieme la natura e la storia, non sa accettare, anzi rifiuta e reprime se stesso. è una "malattia mortale", un eterno morire senza tuttavia morire, un'autodistruzione impotente.


Nota di Lunaria: questo concetto è tratto da qui



un libro che mi fu molto utile, decenni fa, per rielaborare certe problematiche, esattamente come questo autore: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/cioran-i-miei-stralci-preferiti.html



Questa dialettica dell'"anima feroce", come potremmo chiamarla con Dante, è una specie di suicidio differito, i cui segni sono fin troppo palesi in alcune vaste aree delle nuove generazioni. Di questo IO, preso e imprigionato nella vertigine della sua possibilità di essere quello che non è e di non essere quello che è, dice Wahl, commentando Kierkegaard: "Talvolta vuole essere così pienamente se stesso, che fa di sé un orribile Dio. (*) In un furore demoniaco, l'uomo vuole, in odio all'esistenza, in odio a sé medesimo, essere se stesso in tutto il proprio orrore e protestare con questo tormento contro l'essere. Talvolta egli esce da sé medesimo e va verso l'estrema distrazione e non vuol più riconoscersi. In entrambi i casi, sia che si cerchi, sia che si fugga, egli non si possiede: le due forme della disperazione spesso non possono essere distinte l'una dall'altra, o più esattamente, esse non sono se non due aspetti dello stesso malinteso dell'io con se stesso. La debolezza e la sfida, il rifiuto di sé e la dilettazione volontaria in sé stesso si mescolano a vicenda. E attraverso la disperazione l'individuo si perde nel sistema o nella fantasia, nella solitudine di tutti i giorni o nella massa. Ogni uomo è disperato, anche - e forse  nel più alto grado -  colui che non sente di esserlo." Non sono notazioni d'analisi dello spleen romantico, sono il quadro nosografico di chi è o si sente emarginato dal sistema, da una società che si chiude a lui e lo esclude da sé o che comunque egli si rifiuta di accettare, senza avere la forza o la voglia di cambiarla. In questo mondo dell'emarginazione di senso, che può coincidere oppure no con quello dell'emarginazione reale - del disoccupato cronico, del senza patria, del represso etnico o razziale, del "diverso" - l'alternativa al terrorismo è l'evasione narcisistica nell'immaginario, in un rifiuto perpetuamente alienante, o in maniera più vistosamente tragica, l'auto-disfacimento nei paradisi artificiali della droga, la violenza disarmata che uccide.
Ciò che le utopie, quelle della liberazione dal bisogno e quelle della liberazione dal desiderio, non tengono conto è che l'essenza indigenziale ed edonica dell'uomo è tale - così da distinguerla da ogni altro essere vivente sulla terra - perché l'uomo ha scelto e sceglie di essere piuttosto che di non essere, ha optato e opta per l'esistenza e dunque  per le leggi che la sostengono nell'ordine dell'essere. Nessuno desidera niente se non gli piace esistere, ma il piacere di esistere comporta in sé, coerentemente, la volontà di esistere, e il riconoscimento delle leggi e dell'essere in cui l'esistenza si realizza e si esprime.


(*) Nota di Lunaria: solo un autore che per un qualche motivo abbia in orrore l'individualismo e sia psicologicamente soggetto e dipendente "dal concetto di dio monoteista", può definire il dare importanza a se stessi come "che fa di sé un orribile Dio." Al contrario, dare importanza a se stessi, porre il proprio Sé come Dio, come base su cui edifichiamo noi stessi, significa incrementare la propria autostima. Fare di se stessi un Dio non significa "fare del male agli altri" o "perdere il senno in deliri di megalomania", ma significa dare importanza al proprio io, evitando tutte quei meccanismi nocivi e dannosi di dipendenza dall'altro ("L'inferno sono gli Altri", diceva Sartre, e in effetti "stare appresso e soddisfare" le esigenze e le aspettative altrui, anteponendole sempre e comunque ai propri bisogni e desideri, è controproducente e lesivo). Parlare di IO citando tutti quei pensatori in Filosofia che ne hanno parlato ci porterebbe via parecchio spazio, mi limito quindi a citare giusto tre nomi molto importanti che hanno scritto riflessioni molto interessanti sull'Io.

Il primo nome da fare è Max Stirner, che avevo già trattato più di una volta. Stirner è l'autore di "L'Unico e la sua proprietà" (1844)


un libro che ebbe un'enorme influenza anche su Nietzsche (sebbene Nietzsche non lo abbia mai ammesso esplicitamente...); riporto un passo fondamentale preso dall'"Unico", che sintetizza tutto il pensiero di Stirner:


"Io sono Il Proprietario della  Mia Potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell'Unico il Possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualsiasi essere superiore a Me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della Mia Unicità, e impallidire al sole di questa Mia Coscienza. Se Io ripongo La Mia Causa in Me Stesso, L'Unico, essa riposa sul suo Creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; sicché, potrò veramente dire: IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU NULLA. " 


Riporto anche un breve commento su Stirner, tratto da


"La sua opera capitale,"L'Unico e La Sua Proprietà" (1844), è l'espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra nato come reazione allo Hegelismo. Sostenendo le ragioni di una rivolta anarchico-libertaria spinta all'estremo, Stirner si scaglia contro ogni tentativo di assegnare alla vita dell'individuo un senso che la trascende e che pretende di rappresentarne le esigenze, i bisogni, i diritti e perfino l'immagine. E chiama l'indefinibile entità che io stesso sono "L'Unico", così come in quei medesimi anni Kierkegaard - anch'egli contro Hegel - lo chiama il "Singolo". Principe degli iconoclasti moderni, Stirner intende smontare ogni sistema filosofico, ogni astrazione, ogni idea, - Dio, ma anche lo Spirito di Hegel o l'Uomo di Feuerbach - che arroghi a sé l'impossibile compito di esprimere "l'indicibilità" dell'Unico: "Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo IO fondo allora la Mia Causa su Me Stesso, Io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il Mio Tutto, Io che sono l'Unico. Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale Io Stesso, in quanto creatore, creo tutto."
Il tenore blasfemo del rifiuto stirneriano di ogni fondamento risulta chiaro se si considera che l'espressione "Io ho fondato la mia causa su nulla" fu introdotto da Goethe nella poesia "Vanitas! Vanitatum Vanitas!", rovesciando il titolo di un canto ecclesiastico di Johannes Pappus (1549-1610) che recita: "Io ho affidato la mia causa a Dio".


Nel Novecento, citiamo Anton Lavey, il fondatore della Chiesa di Satana.


Trattare a fondo il Satanismo ci porterebbe via molto spazio, per cui anche qui, lo riporto in sintesi. Secondo Lavey, ciascun uomo (e donna) è il Dio di se stesso; Satana è solo un archetipo, una metafora del Sé che si ribella al tiranno (il dio monoteista) e fa di se stesso l'unico vero Dio, adorando se stesso, gratificando se stesso, compiacendosi. Abbiamo solo questa vita: perché viverla in maniera triste, rinnegando noi stessi e i nostri desideri? Perché non vivere questa vita al massimo (che riusciamo ad ottenere, impegnandoci per ottenerlo)?
Lavey ha il merito di aver pensato questa idolatria dell'Ego anche per le donne (contrariamente ai misogini monoteisti, che idolatrano la virilità come il sesso di Dio, ma non idolatrano la femminilità come "il sesso della Dea") e quindi il Satanismo Razionalista è una forma di emancipazione anche per le donne, sebbene una purista del Ginocentrismo come me potrebbe far notare che il Satana laveyano è comunque un simbolo maschile non inclusivo del femminile e quindi sarebbe meglio che una donna si rifacesse all'archetipo di una qualche Dea (Kali, Astarte, Afrodite ecc.) piuttosto che non a simboli e linguaggi androcentrici.
Di Lavey suggerisco di leggersi tutto il suo libro "La Bibbia Satanica", qui riporto una sua riflessione sul compleanno:
"La più importante di tutte le festività, nella religione Satanica, è la data del proprio compleanno. Questo è in diretta contraddizione con il più sacro dei sacri giorni delle altre religioni, che divinizzano un particolare dio che è stato creato in forma antropomorfa a loro stessa immagine, mostrando in tal modo che l’ego non è realmente sepolto. Il Satanista prova: “Perché non essere realmente onesti, e se stai creando un dio a immagine umana, perché non crearlo come te stesso”. Ogni uomo è un dio, se sceglie di riconoscersi come tale. Così, il Satanista celebra il proprio compleanno come la più importante festività dell’anno. Dopotutto, non sei più felice per il fatto che sei nato tu, anziché esserlo per la nascita di qualcuno che non hai mai incontrato o conosciuto? O a questo proposito, tralasciando le festività religiose, perché celebrare di più il compleanno di un presidente o una data storica, piuttosto che il giorno in cui sei stato portato in questo grande mondo? Nonostante il fatto che alcuni di noi possono non essere stati desiderati, o perlomeno non erano stati pianificati, noi siamo felici, anche se nessun altro lo è, perché siamo qui! Dovresti darti una pacca sulla spalla, comprarti qualsiasi cosa vuoi, considerarti come un re (o un dio) quale tu sei, e celebrare di conseguenza il tuo compleanno con il miglior fasto e cerimoniale possibile"
Come si vede, il Satanismo Razionalista è un ottimo punto di partenza per migliorare la propria autostima nonché il proprio atteggiamento esistenziale.


Infine, parlando di IO al Femminile e Ginocentrismo, citiamo Mary Daly, autrice fondamentale.



Anche qui, riportare tutti i suoi concetti più utili ci porterebbe via molto spazio, per cui in sintesi diciamo solo che per Mary Daly: "Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo."
Per cui, l'Individualista Ginocentrica non solo rifiuta le ideologie misogine che fomentano un discorso di supremazia maschile e di inferiorità femminile (cristianesimo, islam, confucianesimo ecc.) ma rifiuta anche di farsi definire (colonizzare) da concetti, metafore, simbolismi, allegorie, linguaggi maschili, CHE HANNO LA PRETESA DI DEFINIRE LE DONNE, rifiuta di farsi rappresentare da "mediatori maschili" (gesù cristo, confucio, maometto, san paolo, dio, allah, budda...) che "rappresentino le donne" e\o "dicano alle donne cosa le donne sono o devono fare da sole e\o in rapporto all'uomo." In effetti, il Ginocentrismo, per come lo intendo io, è molto simile al Satanismo Laveyano; l'unica cosa che cambia è che io per definire me stessa non uso "Satana" ma archetipi femminili divini che vado a prendere dal politeismo.
Si badi bene che con Ginocentrismo non intendiamo "dire agli uomini cosa gli uomini dovrebbero dire o fare o essere" rispetto alle donne o definire gli uomini: il Ginocentrismo non è di certo "un cristianesimo al contrario" con "sante paole" che dicano agli uomini cosa gli uomini "devono fare" perché "la spiritessa santa" ha rivelato così! (*), ma piuttosto si sostiene che ciascuno di noi (maschio, femmina, omosessuale, eterosessuale ecc.) con la sua propria SPECIFICITà ED UNICITà (la propria virilità, la propria femminilità, la propria sessualità) debba andare ORGOGLIOSO di se stesso, dei suoi pregi e, per quanto possibile e fattibile, accettare i suoi difetti o migliorarsi.
Peraltro, lo stesso concetto si può rivedere anche parlando di orientamenti sessuali: un gay dovrebbe essere orgoglioso di essere gay rifiutando tutte quelle ideologie che lo denigrano e lo stigmatizzano (cristianesimo, islam ecc.) e piuttosto dovrebbe crearsi un'ideologia e un simbolismo nuovi che magnifichino il suo essere omosessuale (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/omosessualita-ed-omofobia-riflessioni.html); ma idem dicasi se qualcuno volesse magnificare il proprio aspetto fisico: una persona che non corrisponde "all'ideale estetico più diffuso" dai mass media, dovrebbe cercare di superare le sue paure (paura di non piacere agli altri, paura di essere preso in giro ecc.) e iniziare a stimarsi, accettarsi, essere fiero della propria unicità in tutto e per tutto e renderla il suo punto di forza (se effettivamente è fattibile farlo) o piuttosto potenziare altri lati di sé senza snaturarsi; vedi per esempio donne orgogliose delle proprie rotondità (BBW, modelle Curvy) che prendendo atto che "non vogliono dimagrire per piacere agli altri" (o non è possibile farlo del tutto) accettano se stesse e magnificano se stesse senza snaturarsi o pretendere l'impossibile; ma potremmo citare persino persone mutilate o con caratteristiche fisiche particolari che riescono ad accettarsi e a piacere agli appassionati di fetish (perché le fantasie sessuali a tema fetish sono decisamente infinite!)


(*) Anche perché pretendere che gli altri siano "come vorremmo noi" è una spaventosa violazione della libertà personale e del libero arbitrio, ed è proprio un pensiero di matrice monoteista. In quanto Ginocentrica, io non ho la pretesa e la spocchia di definire gli altri, voglio solo essere io a definire la mia Unicità e Specificità Femminile mia personale, e solo mia (visto che la mia prossima ha un altro tipo di femminilità). Peraltro, definire se stessi da se stessi e rifiutare ingerenze e colonialismi altrui è un atteggiamento anche anti-psichiatrico, visto che è la psichiatria a pretendere di definire ed etichettare tutti, esattamente come la religione androcentrica.

Per una riflessione sul Caos, vedi:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/i-teologi-dellanti-dio-e-il-caos.html

Riflessione sulla violenza (2) Hobbes, Stato, Anarcocapitalismo


Una riflessione sulla natura della violenza e sulle sue cause - nella considerazione che l'analisi alla violenza è una questione di fondo nella sociologia, nella psicologia e nella filosofia - esige alcune distinzioni semantiche precise: la violenza contro la natura, la violenza contro gli altri, la violenza contro se stesso.

Violenza contro gli altri


Ma l'uomo stesso è, certamente, e in maniera più continua e vistosa, l'oggetto diretto della violenza umana. Aldrey ha riproposto, qualche anno fa, il mito etologico dell'uomo erede della scimmia assassina. Secondo Hobbes "non si può negare che lo stato naturale degli uomini, prima che si costruisse la società, fosse uno stato di guerra, e non di guerra semplicemente, ma di guerra di ciascuno contro tutti gli altri altri". La violenza è per Hobbes una specie di trascendentale della prassi allo stato di natura: "La volontà di nuocere è insita in tutti" e nasce da un preteso "diritto di tutti a tutto, in virtù del quale uno ha il diritto di invadere la sfera altrui e l'altro ha un ugual diritto di opporsi."
è evidente il carattere paradossale, anzi contraddittorio, di questa "naturale tendenza degli uomini a nuocersi a vicenda." L'illimitatezza del preteso diritto che "la natura ha dato a ciascuno su ogni cosa" comporta infine la soppressione della vita stessa, cioè a dire della motivazione ultima di quella pretesa. Comunque avvenga il salto dello stato di natura alla "società civile" o "persona civile" che è lo Stato, di cui parla l'autore del "Leviathan", non c'è altra via per risolvere questa contraddizione. Lo Stato impone la forza delle sue leggi e delle sue istituzioni alla violenza dei singoli, anche se troppo spesso nella storia di quella forza si tramuta in violenza a sua volta e lo Stato si identifica via via nella infinita schiera dei "tiranni\che dier nel sangue e nell'aver di piglio" (Inferno, XII, 99/100)


Nota di Lunaria: per una critica radicale allo Stato, vedi il movimento Anarco-capitalista;


in sintesi gli Anarco Capitalisti si concentrano sulla Libertà Economica e rifiutano le ingerenze dello Stato nell'economia; sono a favore del Capitalismo, che, dal loro punto di vista offre più vantaggi rispetto allo Stato. Alcuni Anarco-Capitalisti moderati ("MiniArchici") ammettono che lo Stato possa gestire qualche funzione collettiva come la Difesa o la Sanità, altri negano qualunque tipo di influenza e interferenza statale. Per gli AnarcoCapitalisti lo tasse da pagare allo Stato sono una forma di abuso e di violazione della libertà individuale: lo Stato esercita coercizione (e quindi violenza) estorcendo le tasse; alcuni di loro sono a favore della tassazione volontaria; molto spesso sono anche federalisti o secessionisti, prediligendo piccoli staterelli piuttosto che grandi nazioni. In sintesi, l'AnarcoCapitalismo propone l'abolizione dello Stato, del dirigismo statale nella vita degli individui, l'abolizione delle tasse (sono considerate un furto legalizzato) ed è a favore della Sovranità individuale sotto il libero mercato. I padri fondatori di questa ideologia sono stati Murray Rothbard, Hans Hoppe, e altri, ma un posto importante ce l'ha anche la filosofa Ayn Rand (che purtroppo non ho letto per integrale)
Personalmente pur non avendo letto tutto lo scibile in campo economico, le critiche che l'AnarcoCapitalismo fa contro lo Stato o il monopolio sono condivisibili e sensate; inoltre si può persino fare un parallelo tra l'AnarcoCapitalismo (che vede lo Stato come un qualcosa che viola la libertà e il consenso degli individui) e il movimento Antipsichiatrico (che vede la psichiatria come un qualcosa che viola la libertà e il consenso degli individui https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/i-crimini-della-psichiatria-raccolta-di.html)



Riflessione sulla violenza (1) Violenza contro la Natura


Una riflessione sulla natura della violenza e sulle sue cause - nella considerazione che l'analisi alla violenza è una questione di fondo nella sociologia, nella psicologia e nella filosofia - esige alcune distinzioni semantiche precise: la violenza contro la natura, la violenza contro gli altri, la violenza contro se stesso.

Violenza contro la natura

Di fronte alla natura sottoposta agli imponenti interventi trasformativi e distruttivi della civiltà industriale, rinasce oggi con tutte le sue implicazioni emotive e pratiche l'avversione dell'uomo contro la natura selvaggia, intesa come un groviglio di forze da dominare. Non appartiene a noi moderni l'idea della natura come si svelava alla meraviglia dei pensatori presocratici: il cielo stellato, il corso delle stagioni, il brulicare degli animali (Nota di Lunaria: in primis, anche perché noi siamo figli - che ci piaccia o meno - di 2000 anni di monoteismo che, rispetto ai politeismi, è una forma di ideologia che non ammette un dio o più divinità "immanenti alla Natura" e manifestazioni della Natura stessa; per molte civiltà pagane, elementi come il fuoco, l'acqua o fenomeni naturali come il vento, le eruzioni vulcaniche, i maremoti ecc., erano divinizzate e\o manifestazioni delle divinità.

Due esempi di Dee legate alla Natura, che personificavano fenomeni naturali (vulcani e ciclo stagionale\agricoltura)




Per il monoteismo, dio non è "fenomeno della natura", il loro dio non si identifica con l'acqua, il vento, la pioggia, l'arrivo della primavera ecc., ma è un dio trascendente, distante, "nel regno dei cieli"; per il cristianesimo, un dio che fosse "acqua" o "fuoco" sarebbe tanto orrendo quanto un dio che fosse "Dea della fecondità"). L'uomo pretende di inventare se stesso, rifiutando la propria natura ed alienandosi nell'arbitrarietà delle proprie produzioni innaturali o antinaturali. In realtà, la sua violenza contro la natura si ribalta contro di lui. La tecnosfera, progettata come una liberazione dai vincoli originari della biosfera, imprigiona via via l'uomo in un mondo svitalizzato, contaminato, rapidamente impoverito nel patrimonio delle sue risorse primitive. La constazione che non si conosce un limite alle possibilità di aumentare l'effetto distruttore delle armi atomiche, ha messo l'umanità davanti al problema più radicale della sua storia: l'umanità stessa detiene oggi il potere della propria distruzione. Non appartiene più ad un'immaginazione di tipo kafkiano l'idea di una macchina infernale capace di annientare tutti i segni dell'uomo sulla terra. è certo che per la violenza dell'uomo contro la natura, insieme con la natura, si logora, si consuma e si avvia alla propria distruzione l'uomo stesso con le sue proprie mani.

Nota di Lunaria: Per approfondimenti sull'animalismo, vedi questo libro:



https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/animalismo-antianimalismo-ed.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/introduzione-allecologia.html

Invece, uno dei miei libri preferiti parlando di piante è questo:



Questo libro lo adoravo fin da bambina, insieme a questo




 Chi invece volesse approfondire l'argomento "esoterismo\mitologia e piante":





Inoltre, voglio ricordare che anche lo stesso ecologismo può degenerare in terrorismo: l'ecoterrorismo infatti è una forma di terrorismo messo in atto da animalisti e\o ecologisti e in genere si basa su avvelenamenti o attentati dinamitardi. Gruppi che hanno commesso degli attentati (o comunque azioni alquanto di dubbio gusto) sono l'ELF e l'ALF.
Insomma, commettere pestaggi su cacciatori o sulle mogli dei cacciatori o su donne che indossano la pelliccia, avvelenare le uova, la carne o il latte per "farla pagare" a chi questi prodotti se li vuole consumare, mettere ordigni esplosivi o commettere vandalismo nei negozi o nei laboratori, sono tutte azioni che non servono ad aiutare gli animali e aggiungono violenza alla violenza.


APPROFONDIMENTI tratti da "Trattato di Storia delle Religioni" di Mircea Eliade

La Terra-Madre.


‘... La Terra (Gaia), essa in principio partorì un essere eguale a sé, capace di coprirla tutta intera, Cielo (Ouranos) stellato, che doveva offrire agli dèi beati una base sicura per sempre’. Questa coppia primordiale diede origine all'innumerevole famiglia degli dèi, dei ciclopi e degli altri esseri mitici (Cottos, Briareo, Gige, ‘figli pieni d'orgoglio’, con cento braccia e cinquanta teste ciascuno). Il matrimonio del Cielo e della Terra è la prima ierogamia; gli dèi si affretteranno a ripeterla e gli uomini, alla loro volta, la imiteranno con quella stessa gravità sacra che mettono nell'imitazione di ogni gesto compiuto all'aurora dei tempi. Gaia o Ge ha goduto in Grecia un culto piuttosto esteso, ma col tempo altre divinità della Terra l'hanno sostituita. L'etimologia dimostrerebbe in lei l'elemento tellurico nella sua forma più immediata. Omero la ricorda appena; una divinità ctonia, appartenente per eccellenza al substrato pre-ellenico, difficilmente troverebbe posto nel suo Olimpo. Ma uno degli inni omerici è dedicato a lei: ‘La terra canterò, madre universale dalle solide fondamenta, antenata venerabile che nutre sul proprio suolo tutto quel che esiste... A te appartiene dare ai mortali la vita, e ritoglierla loro... Felice colui che tu onori della tua benevolenza! Per lui la gleba della vita è carica di raccolti; nei campi le sue greggi prosperano e la sua casa si riempie di ricchezze’. Anche Eschilo la glorifica, perché è la Terra che ‘partorisce tutti gli esseri, li nutre e ne riceve poi nuovamente il germe fecondo’. Vedremo fra poco quanto sia vera e arcaica questa formula di Eschilo. E ricordiamo anche un inno antichissimo, cantato, secondo Pausania, dai Peleiadi di Dodona: ‘Zeus fu, è e sarà, o Grande Zeus; con il tuo aiuto la Terra ci dà i suoi frutti. Giustamente noi la chiamiamo madre nostra’. E' giunto fino a noi un numero rilevante di credenze, miti e rituali attinenti alla terra, alle sue divinità, alla ‘Grande Madre’. Formando, in un certo senso, il fondamento stesso del Cosmo, la terra è dotata di multivalenze religiose. Fu adorata perché ‘era’, perché si mostrava e mostrava, perché rendeva, fruttificava e riceveva. Studiando la storia di una sola religione, si riuscirebbe forse a circoscrivere con precisione sufficiente la funzione e lo svolgimento delle credenze relative alle epifanie telluriche. Ma occupandoci esclusivamente di morfologia religiosa, la cosa non è più possibile; anche qui, come negli altri capitoli, abbiamo a che fare con gesti, credenze e teorie che appartengono a cicli di civiltà diversi, di età e di struttura differenti. Cerchiamo in ogni modo di vedere quali siano le linee fondamentali in questo complesso di fatti che gli indici delle grandi monografie distribuiscono sotto i titoli: ‘terra’, Terra Madre, divinità della terra, spiriti tellurici eccetera.

La coppia primordiale Cielo-Terra.

La coppia divina Cielo-Terra, evocata da Esiodo, è uno dei temi fondamentali della mitologia universale. In molte mitologie dove il Cielo ha rappresentato o rappresenta la parte di divinità suprema, la Terra è raffigurata come sua compagna, e abbiamo già visto (paragrafi 12 e seguenti) che nella vita religiosa primitiva si incontra il Cielo un po' dappertutto. I Maori chiamano Rangi il Cielo e Papa la Terra; in principio (simili in questo a Ouranos e Gaia) erano uniti in uno stretto abbraccio. I figli nati da tale accoppiamento senza fine  -  Tumatanenga, Tane-mahuta e altri ancora  -  che assetati di luce brancolavano nelle tenebre, si decisero a separare i genitori, e un giorno tagliarono i tendini che legavano il Cielo alla Terra e spinsero il padre sempre più in alto, finché Rangi fu proiettato per aria, e la luce comparve nel mondo. Il motivo cosmogonico della coppia primordiale Cielo-Terra è presente in tutte le civiltà oceaniche, dall'Indonesia alla Micronesia. Si ritrova a Borneo, a Minahassa, nelle isole Celebes settentrionali (ove Luminuut, Dea della terra, è la divinità principale), presso i Toradja delle Celebes centrali (Ilai e I-ndora), e in altre innumerevoli isole dell'Indonesia, eccetera. Talvolta si trova ancora il motivo della separazione violenta del Cielo dalla Terra; a Tahiti, per esempio, si crede che quest'operazione sia stata compiuta da una pianta che, crescendo, sollevò il Cielo. Del resto questo motivo è molto diffuso anche in altre zone di civiltà. Si trova la coppia primordiale in Africa; per esempio Nzambi e Nzambi-Mpungu della tribù Bawili nel Gabon, Olorum e Oduna (‘la nera’) presso i Yoruba, la coppia divina presso gli Ewe, gli Akwapim eccetera. Per i Kumama, popolazione agricola dell'Africa Australe, le nozze del Cielo e della Terra hanno lo stesso senso di fecondità cosmica che si trova nei canti dei Peleiadi di Dodona: ‘La Terra è nostra madre, il Cielo è nostro padre. Il Cielo feconda la Terra con la pioggia, la Terra produce i cereali e l'erba’. Formula che, come vedremo, potrebbe riassumere buona parte delle credenze agricole. La coppia divina figura anche nelle mitologie delle due Americhe. Nella California meridionale il Cielo è chiamato Tukmit e la Terra Tamaiovit, presso i Navaho s'incontra Yadilqil hasitqin (‘Cielo uomo’) e sua moglie Nihosdzan esdza (‘Terra donna’); presso i Pawni, nell'America del nord; presso i Sioux, gli Uroni (una delle principali tribù degli Irochesi), gli Hopi, gli Zuni; nelle Antille eccetera, si trova lo stesso binomio cosmico. Nelle mitologie dell'Oriente classico ha una parte cosmogonica altrettanto importante. La ‘regina dei paesi’ (la Dea di Arinua/Arinna) e il suo sposo U o Im, dio dell'uragano presso gli Hittiti eccetera. Per i popoli germanici Frigg, moglie di Tyr, e più tardi di Odino, è una Dea di struttura tellurica. Soltanto un caso di natura grammaticale (la parola ‘cielo’ è femminile) ha fatto sì che il cielo fosse rappresentato, per gli Egiziani, da una Dea, Nut, e la terra da un dio, Gebb.

Struttura delle ierofanie telluriche.

Si potrebbero facilmente moltiplicare gli esempi, senza nessun vantaggio: le liste di coppie cosmologiche non sarebbero capaci di rivelarci la struttura delle divinità telluriche, né il loro valore religioso. Nel mito cosmogonico la Terra rappresenta una parte passiva, anche se primordiale. Prima di qualsiasi affabulazione mitica circa la terra, si ebbe la PRESENZA stessa del suolo, valorizzata sul piano religioso. La Terra, per una coscienza religiosa primitiva, è un dato immediato; la sua estensione, la sua solidità, la varietà dei suoi rilievi e della vegetazione che produce formano una unità cosmica, viva e attiva per la sua stessa ‘forma’, popolata di forza e satura di sacro. La prima valorizzazione religiosa della Terra fu ‘indistinta’, vale a dire che non localizzava il sacro nello strato tellurico propriamente detto, ma confondeva in una sola unità tutte le ierofanie compiute nell'ambiente cosmico circostante: terra, pietre, alberi, acque, ombre, eccetera. L'intuizione primaria della terra come ‘forma’ religiosa si può ridurre alla formula ‘Cosmo-ricettacolo di forze sacre diffuse’. Se nelle valorizzazioni religiose, magiche o mitiche delle Acque sono implicite le idee di germi, latenza e rigenerazione, l'intuizione primordiale della Terra ce la mostra come FONDAMENTO di tutte le manifestazioni. Tutto quel che ‘è’ sulla terra è INSIEME, e forma una grande unità.
La struttura cosmica di queste intuizioni primarie ci vieta quasi di individuarvi l'elemento propriamente tellurico. Poiché l'ambiente circostante era vissuto come unità, sarebbe difficile distinguere, in queste intuizioni primarie, quel che appartiene alla terra propriamente detta da quel che è soltanto MANIFESTATO  per suo mezzo: monti, foreste, acque, vegetazione. Una cosa sola possiamo affermare con certezza circa queste intuizioni primarie (la cui struttura religiosa sarebbe inutile dimostrare ancora una volta): che esse si manifestano come FORME, rivelano delle realtà, si sono imposte come necessità, ‘colpendo’ la coscienza dell'uomo. La Terra, con tutto quel che sostiene e abbraccia, fu fin da principio fonte inesauribile di ESISTENZE, che si rivelavano all'uomo in modo immediato.
Che la struttura cosmica della ierofania della terra abbia preceduto la sua struttura propriamente tellurica (impostasi in modo definitivo soltanto con la comparsa dell'agricoltura), ce lo dimostra la storia delle credenze sull'origine dei bambini. Prima che fossero note le cause fisiologiche del concepimento, si credeva che la maternità risultasse dall'inserzione diretta del figlio nel ventre materno. Se poi quel che vi penetra sia già un feto  -  che ha già vissuto una sua vita prenatale nelle grotte, nei crepacci, nei pozzi, negli alberi, eccetera  -  o sia soltanto un germe, oppure l'‘anima dell'antenato’ eccetera sono questioni di nessun interesse ai fini di questo capitolo. Di primaria importanza è l'idea che i figli non sono generati dal padre, ma che, a uno stadio più o meno avanzato del loro sviluppo, vengono a collocarsi nel ventre materno in seguito al contatto della donna con un oggetto o un animale dell'ambiente cosmico circostante.
Quantunque il problema appartenga piuttosto all'etnologia che alla storia delle religioni propriamente detta, lo trattiamo qui perché serve a precisare il nostro argomento. L'uomo non interviene nella generazione. Il padre è padre dei propri figli soltanto in senso giuridico, non nel senso biologico; gli uomini sono legati l'uno all'altro unicamente attraverso le madri, e anche questo vincolo è precario. D'altra parte gli uomini sono legati all'ambiente cosmico circostante in modo assai più stretto di quanto possa immaginare una mentalità moderna, profana: sono, in senso concreto e non in senso allegorico, ‘gente del paese’. Furono portati dagli animali acquatici (pesci, rane, coccodrilli, cigni), sono spuntati nelle rocce, negli abissi e nelle grotte, prima di venir proiettati, per mezzo di un contatto magico, nel ventre materno. Hanno cominciato la vita prenatale nelle acque, nei cristalli, nei sassi, negli alberi; hanno vissuto  -  in forma preumana, oscura,
come ‘anime’ di ‘figli-antenati’  -  in una delle più vicine zone cosmiche. Così, per ricordare soltanto qualche esempio, gli Armeni credono che la terra sia a il ventre materno dal quale sono usciti tutti gli uomini’. I Peruviani si credono discendenti delle montagne e dei sassi. Altri popoli localizzano l'origine dei bambini nelle grotte, nei crepacci, nelle sorgenti eccetera. Ancor oggi sopravvive in Europa la credenza che i bambini ‘vengono’ dalle paludi, dalle sorgenti, dai fiumi, dagli alberi eccetera. In queste superstizioni il punto significativo è la struttura cosmica della ‘Terra’, la quale può essere identificata in tutto quanto l'ambiente circostante, nel microcosmo, e non soltanto nella regione tellurica propriamente detta. Qui ‘la Terra’ significa tutto quanto circonda l'uomo, tutto il ‘luogo’, con le sue montagne, le sue acque, e la sua vegetazione.
Il padre umano altro non fa che LEGITTIMARE questi figli per mezzo di un rituale che ha tutte le caratteristiche dell'adozione. I figli appartengono in primissimo luogo, al ‘posto’, cioè al microcosmo circostante. La madre non ha fatto altro che riceverli; li ha ‘raccolti’, tutt'al più ha condotto a compimento la loro forma umana. Si capisce allora senza difficoltà che il sentimento di solidarietà col microcosmo circostante, col ‘luogo’, sia stato un sentimento predominante per l'uomo che si trovava in quello stadio della sua evoluzione mentale, o più esattamente, che considerava la vita umana in quella maniera. Si può dire in un certo senso che l'uomo non era ancora nato, non aveva ancora preso coscienza di appartenere totalmente alla specie biologica da lui rappresentata. La sua vita in quello stadio si potrebbe piuttosto considerare una fase prenatale: l'uomo seguitava ancora a partecipare in modo immediato a una vita diversa dalla sua, una vita ‘cosmicomaterna’. Aveva, diremmo noi, un'esperienza ‘onto-filogenetica’ oscura e frammentaria; sentiva di uscire da due, perfino da tre ‘ matrici’ contemporaneamente.
Non è difficile capire che una simile esperienza fondamentale implicava per l'uomo un certo numero di atteggiamenti specifici di fronte al Cosmo e ai suoi simili. La precarietà della paternità umana era compensata dalla solidarietà esistente fra l'uomo e certe forze o sostanze cosmiche protettrici. Ma, d'altra parte, questa solidarietà col ‘luogo’ non poteva suscitare nell'uomo il senso DI ESSERE UN CREATORE NELL'ORDINE BIOLOGICO. Il padre, nel legittimare i propri figli, usciti da un qualsiasi ambiente cosmico, o anche dalle ‘anime degli antenati’, non aveva realmente figli, ma soltanto nuovi membri della famiglia, nuovi collaboratori nel suo lavoro e nella sua difesa. Il vincolo che lo univa alla sua progenie era in ogni caso "per proximi". La sua vita biologica finiva con lui, senza nessuna possibilità di continuazione attraverso altri esseri, come avverrà più tardi con l'interpretazione che daranno gli IndoEuropei del sentimento di continuità familiare, interpretazione fondata sopra un fatto doppio: la discendenza biologica diretta (i genitori creano il corpo, la ‘sostanza’, del figlio), e la discendenza avita indiretta (le anime degli antenati si incarnano nei neonati)
La ‘Terra’ dunque era, nelle prime esperienze religiose o intuizioni mitiche, ‘il luogo tutto intero’ intorno all'uomo. Numerose parole che designano la ‘Terra’ hanno etimologie spiegabili con impressioni spaziali: ‘luogo’, ‘largo’, ‘provincia’ (confronta Prthvi, ‘la larga’); o con impressioni sensorie primarie: ‘salda’, ‘quel che resta’, ‘nera’, eccetera. La valorizzazione religiosa della terra da un punto di vista strettamente tellurico è potuta avvenire soltanto più tardi, nel ciclo pastorale e soprattutto nel ciclo agricolo, per usare termini etnologici. Fino allora, tutte quelle che si potrebbero chiamare ‘divinità della terra’ erano piuttosto DIVINITA' DEL LUOGO, nel senso di ambiente cosmico circostante.


Maternità ctonia.

Una delle prime teofanie della terra in quanto tale, specialmente in quanto strato tellurico e profondità ctonia, fu la sua ‘maternità’, la sua capacità inesauribile di dare frutti. Prima di essere considerata una Dea madre, una divinità della fecondità, la terra si è imposta direttamente come Madre, Tellus Mater. L'ulteriore evoluzione dei culti agricoli, mettendo in chiaro con precisione sempre maggiore la figura di una Grande Dea della vegetazione e dei raccolti, finì col cancellare le tracce della Terra Madre. In Grecia Demeter si sostituì a Ge. Nondimeno i resti dell'antichissimo culto della Terra Madre affiorano nei documenti arcaici ed etnografici. Un profeta indiano Smohalla, della tribù umasilla (Stati Uniti), vietava ai suoi discepoli di zappare la terra perché, diceva, ‘è un peccato ferire, tagliare, lacerare o graffiare la nostra comune madre con lavori agricoli’ E giustificava così il suo atteggiamento contrario all'agricoltura: ‘Mi domandate di lavorare la terra? Prenderò dunque un coltello per immergerlo nel petto di mia madre? Mi domandate di zappare e di togliere i sassi? Debbo dunque mutilare la sua carne per arrivare fino alle sue ossa? Mi domandate di tagliare l'erba e il fieno, venderlo e arricchirmi come fanno i bianchi? Ma come oserei tagliare i capelli di mia madre?’. Questa devozione mistica per la madre tellurica non è un fatto isolato. I membri di una tribù dravidica primitiva dell'India centrale, i Baiga, praticano l'agricoltura migratoria, contentandosi di seminare unicamente sulla cenere che rimane quando certi tratti della giungla sono stati incendiati. E fanno tutta questa fatica perché ritengono peccato ‘lacerare il seno della madre-terra con l'aratro’. Anche i popoli altaici credono che sia grave peccato strappare l'erba, perché la Terra ne soffre, precisamente come soffrirebbe un uomo se gli strappassero i capelli o la barba. I Votiak, che sono avvezzi a deporre le loro offerte in un fosso, hanno cura di non ripetere quest'operazione in autunno, perché in quel periodo dell'anno la terra dorme. I Ceremissi credono spesso che la Terra sia ammalata, e allora evitano di sedersi per terra. Si potrebbero moltiplicare le prove della persistenza di tali credenze circa la Terra-Madre presso i popoli non agrari, o agrari solo sporadicamente. La religione della terra, anche se non è la più antica religione umana, come credono alcuni studiosi, è fra le più dure a morire. Una volta consolidata nelle strutture agricole, i millenni le passano sopra senza cambiarla. Talvolta non presenta soluzioni di continuità, dalla preistoria ai giorni nostri. Per esempio, la ‘torta dei morti’ (in romeno "coliva") era conosciuta con lo stesso nome nell'antichità greca, che l'aveva ricevuta in eredità, con lo stesso nome, dalle civiltà preistoriche pre-elleniche. Altri esempi di continuità, nell'àmbito dello stesso complesso formato dalle religioni telluriche agrarie, saranno ricordati più oltre. Dieterich pubblicò nel 1905 un libro che è subito diventato un'opera classica. Emil Goldmann e altri dopo di lui, e  -  più prossimo a noi  -  Nilsson, hanno mosso obiezioni di ogni specie alla teoria di Dieterich, senza riuscire a infirmarla nella sua totalità. Dieterich inizia il suo studio ricordando tre costumanze dell'antichità  -  deposizione del neonato sulla terra, inumazione dei bambini (in contrasto con l'incinerazione degli adulti), malati e agonizzanti distesi per terra  -  onde ricostruire la fisonomia della Deaterra arcaica della ‘Terra-Madre-di-tutto’ ("pammétor Ge") ricordata da Eschilo, della Gaia che Esiodo aveva cantato. Intorno alle tre pratiche arcaiche si sono accumulati documenti in numero impressionante, e sono avvenute controversie che qui non possiamo riferire. Cerchiamo di vedere che cosa ci insegnano i fatti e in quale complesso religioso si inquadrano.

Discendenza tellurica.

Sant'Agostino ricorda, citando Varrone, il nome di una divinità latina, Levana, che sollevava i bambini da terra: "levat de terra". Dieterich cita, in relazione con questo fatto, l'usanza ancora praticata negli Abruzzi di posare per terra il neonato, appena lavato e fasciato. Lo stesso rituale è praticato da Scandinavi, Tedeschi, Parsi, Giapponesi, eccetera. Il bambino è sollevato dal padre ("de terra tollere"), che manifesta così il suo riconoscimento. Questo rito fu interpretato da Dieterich come un modo di consacrare il bambino alla terra, a Tellus Mater, che è la sua vera madre. Goldmann obietta che il neonato (o l'ammalato o l'agonizzante) si depone per terra non necessariamente a causa della sua discendenza tellurica, o per consacrarlo alla Terra-Madre, ma anzitutto soltanto perché prenda contatto con la forza magica del suolo. Altri pensano che questo rito avesse lo scopo di procurare al bambino un'anima che gli venisse dalla Tellus Mater.
E' evidente che qui ci troviamo di fronte a interpretazioni diverse, e solo apparentemente contraddittorie, di una concezione primordiale unica: la terra considerata come fonte di forza, d'‘anima’ e di fecondità contemporaneamente, la Terra-Madre. Il parto a terra ("humi positio") è uso molto frequente di numerosi popoli; presso i Gurion del Caucaso, come in alcune parti della Cina, le donne si pongono per terra appena sono prese dalle doglie, volendo partorire direttamente sulla terra; nella Nuova Zelanda le donne Maori partoriscono sulla sponda di un ruscello, in mezzo ai cespugli; in molte tribù africane usa che le donne partoriscano nella foresta, sedute per terra; si trova lo stesso costume in Australia, nell'India del nord, fra gli aborigeni dell'America del nord, nel Paraguay, nel Brasile. Samter osserva che quest'uso era scomparso in tempi storici fra i Greci e i Romani, ma non c'è dubbio che sia esistito; certe statue di Dee del parto (Eileithyia, Damia, Auxeia) le rappresentano in ginocchio, appunto nella posizione della donna che partorisce direttamente sulla terra. Nella Germania medievale, in Giappone, in certe comunità ebraiche, nel Caucaso, in Ungheria, in
Romania, in Scandinavia, in Islanda eccetera, si trova lo stesso rito. Nei testi demotici egiziani, l'espressione ‘sedersi per terra’ significava ‘partorire’.
Indubbiamente il senso originario di questo rito universalmente diffuso era la maternità della terra. Abbiamo visto che in molti luoghi si credeva che i bambini provenissero dai pozzi, dall'acqua, dalle rocce, dagli alberi eccetera; evidentemente in certe regioni i neonati si consideravano ‘venuti dalla terra’. Il bastardo era chiamato "terrae filius". Quando i Mordvi desiderano adottare un bambino, lo pongono in un fosso del giardino, dove si crede che abiti la Dea protettrice, la Terra-Madre. Questo significa che il bambino, per essere adottato, deve rinascere, cosa che si ottiene non imitando il parto sulle ginocchia della madre adottiva (come facevano, per esempio, i Romani), ma ponendo la creatura sul seno della sua vera madre, la Terra.
E' naturale che più tardi questo senso della discendenza tellurica fosse sostituito da un'idea più generosa, cioè che la terra è la protettrice dei bambini, la fonte di ogni forza, e che a lei (allo spirito materno che abita in lei) si consacrano i neonati. Così si spiega la frequenza della culla ctonia: i lattanti si depongono addormentati, o si fanno riposare, nei fossi a diretto contatto con la terra o con uno strato di cenere, di paglia e foglie preparato dalla madre sul fondo del fosso. La culla ctonia è nota tanto nelle società primitive (Australiani e alcune popolazioni turcoaltaiche) quanto nelle civiltà superiori (ad esempio nell'impero degli Incas). I bambini abbandonati non vengono uccisi, ma lasciati per terra, ad esempio fra i Greci. La Terra-Madre penserà a loro e deciderà se debbono morire o sopravvivere.
Un bambino ‘esposto’, abbandonato in balìa degli elementi cosmici  -  acque, vento, terra  -  è sempre una sfida scagliata in faccia al destino. Affidato alla terra o alle acque, il bambino che ormai ha la posizione sociale di un orfano, rischia di morire, ma ha contemporaneamente la possibilità di acquisire una condizione diversa da quella umana. Protetto dagli elementi cosmici, il bambino abbandonato diventa molto spesso eroe, re o santo. La sua biografia leggendaria altro non fa che imitare il mito degli dèi abbandonati subito dopo la nascita. Ricordiamo che Zeus, Poseidone, Attis e altri innumerevoli dèi hanno diviso anche loro la sorte di Perseo, di Ion, Atalante, Anfione, Zethos, Edipo, Romolo e Remo, eccetera. Anche Mosè fu abbandonato alle acque, come l'eroe maori Massi, che fu gettato nell'Oceano, come il protagonista del Kalevala, Va‹nämöinen, che ‘galleggiava sopra i flutti tenebrosi’. Il dramma del bambino abbandonato e compensato dalla grandezza mitica dell'‘orfano’, il bambino primordiale, nella sua assoluta e invulnerabile solitudine cosmica, nella sua unicità. La comparsa di un simile fanciullo coincide con un momento aurorale: creazione del Cosmo, creazione di un mondo nuovo, di una nuova epoca storica ("Jam redit et virgo..."), una ‘vita nuova’ a qualsiasi livello della realtà. Il bambino abbandonato alla Terra-Madre, salvato e allevato da Lei, non può più dividere il destino comune degli uomini, perché ripete il momento cosmologico dei primordi e sorge in mezzo agli elementi, non entro la famiglia. Appunto per questo gli eroi e i santi si reclutano fra i bambini abbandonati; col semplice fatto di averli protetti e preservati dalla morte, la Terra-Madre (o le Acque-Madri) l'ha consacrato a un grandioso destino, inaccessibile ai mortali di specie comune.


Rigenerazione.

L'inumazione dei bambini morti è un rituale spiegabile con questa stessa credenza nella Terra-Madre. Gli adulti erano bruciati, i bambini invece sepolti, perché tornassero nel seno materno e potessero più tardi rinascere. "Terra clauditur infans". Le leggi di Manu prescrivono l'inumazione dei bambini inferiori a due anni e vietano di bruciarli. Gli Uroni dell'America del Nord seppelliscono sotto le strade i bambini morti, perché possano rinascere insinuandosi nelle viscere delle donne che vi passano. Fra gli Andamani i bambini sono sepolti sotto il focolare della capanna. Va ricordato anche il seppellimento ‘in posizione embrionale’, frequente presso molti popoli, su cui torneremo esaminando la mitologia della morte. Viene data al cadavere una forma embrionale affinché la Terra-Madre possa metterlo al mondo per la seconda volta. In certi luoghi si fa alla dea tellurica l'offerta di bambini seppelliti vivi; così in Groenlandia, se il padre è gravemente ammalato, si seppellisce il bambino; in Svezia furono sepolti vivi due bambini durante un'epidemia di peste; presso i Maya si facevano questi sacrifici quando imperversava la siccità. Come si posa in terra il neonato subito dopo il parto, perché la sua vera madre lo legittimi e gli assicuri una protezione divina, così si posano per terra  -  a meno che non si seppelliscano  -  bambini e adulti in caso di malattia. Questo rito equivale a una nuova nascita; il seppellimento simbolico, parziale o totale, ha lo stesso valore magico-religioso dell'immersione nell'acqua, il battesimo. L'ammalato è rigenerato: rinasce. Non si tratta per lui di un semplice contatto con le forze della terra, ma realmente di una rigenerazione totale. Quest'operazione conserva la stessa efficacia quando si tratta di cancellare una grave colpa o di guarire un morbo dello spirito (quest'ultimo è pericoloso per la collettività non meno del reato o della malattia fisica). Il peccatore è introdotto in una botte o in una fossa scavata per terra, e quando ne esce ‘è nato per la seconda volta dal seno materno’. Per questo gli Scandinavi credono che una strega si possa salvare dall'eterna dannazione seppellendola viva, seminando poi del grano sopra di lei e mietendo il raccolto così ottenuto. Si fa la stessa cosa per i bambini gravemente ammalati; se fosse possibile seppellirli e seminare sopra di loro sementi che avessero il tempo di germinare e spuntare, i bambini potrebbero guarire. Si intende chiaramente il senso di tale credenza: l'uomo (lo stregone, l'ammalato) ha in questo modo la possibilità di rinascere insieme alla vegetazione. Un altro rito affine consiste nel far passare il bambino ammalato attraverso una fessura della terra, o una roccia forata, o la cavità di un albero. Qui si tratta di una credenza alquanto più complessa: da una parte, lo scopo è d trasferire la ‘malattia’ del bambino sopra un qualsiasi oggetto (albero, roccia, terra); d'altra parte, si imita l'atto stesso del parto (passaggio attraverso un foro). E' anche probabile che elementi del culto solare (ruota = sole) abbiano contribuito a questo rito, almeno in certe regioni (ad esempio l'India). Ma l'idea fondamentale è quella della guarigione per mezzo di una nuova nascita; e abbiamo visto che, nella maggior parte delle loro credenze, le popolazioni agricole stabiliscono una relazione molto stretta fra questa nuova nascita e la presa di contatto con la TerraMadre. Soltanto in questo modo si spiega tutta una serie di credenze e costumi relativi alle purificazioni e all'uso della terra come mezzo terapeutico. La terra è realmente imbevuta di forza, come crede Goldmann, ma deve la sua forza appunto alla propria capacità di fruttificare e alla propria maternità. Abbiamo visto che si seppelliscono i bambini, anche dove gli altri morti vengono bruciati, nella speranza che le viscere della terra doneranno loro una vita nuova. Per i Maori la parola "whenna" significa ‘terra’ e ‘placenta’. (Nota: anche nella mitologia mongola il concetto è lo stesso: Etughen, la Madre Terra e Yen Tanri, la Placenta.) Del resto anche la sepoltura dei morti giunti all'età adulta  -  o delle loro ceneri, presso i popoli che praticano l'incinerazione  -  è fatta con lo stesso scopo. ‘Striscia verso la terra, tua madre!’, dice il "Rgveda" (10, 18, 10). ‘Tu che sei terra, ti pongo nella terra!’, è scritto nell'"Atharva-Veda" (18, 4, 48). ‘La Terra è una madre; sono figlio della Terra, mio padre è Parjanya... Nati da te, in te ritornano i mortali...’ è scritto ancora nell'"Atharva-Veda" (12, 1, 11; 14). Nel seppellire le ceneri e le ossa incenerite, vi si mescolano dei semi e si spande ogni cosa sopra un campo arato di fresco, dicendo ‘Savitri sparge la tua carne nel seno di nostra madre, la Terra’. Ma queste credenze induistiche non sono sempre semplici come sembrano nei testi che abbiamo citato. L'idea del ritorno alla Terra-Madre è stata completata da un'idea ulteriore: quella di reintegrare l'uomo nel Cosmo tutto intero, una "restitutio ab integro" delle facoltà psichiche e degli organi umani nell'antropocosmo originale (ad esempio: ‘il tuo respiro va verso il vento, il tuo orecchio, cioè il tuo udito, verso i punti cardinali, le tue ossa tornano nella Terra’). La credenza che i morti abitino sottoterra fino al momento in cui torneranno alla luce del giorno, a una nuova esistenza, spiega l'identificazione del regno dei morti col luogo da cui provengono i bambini; ad esempio i Messicani credono di trarre origine da un luogo chiamato Chicomoztoc, il luogo delle sette grotte. Sia perché si credeva che i morti conoscessero l'avvenire, sia perché la terra, riassorbendo periodicamente tutti gli esseri viventi, era considerata in possesso di poteri oracolari, alcuni oracoli arcaici della Grecia sorgevano accanto a crepacci o grotte telluriche. Sappiamo che tali oracoli ctoni esistettero a Olimpia e a Delfo, e Pausania (7, 25, 13) ricorda un oracolo ad Aigai, in Achea, ove le Sacerdotesse di Ge predicevano l'avvenire sull'orlo di un crepaccio. Ed è inutile ricordare il grandissimo numero di ‘incubazioni’ compiute dormendo per terra.

Homo - Humus.

Da tutte le credenze passate in rassegna fin qui, risulta che la Terra è madre, cioè che genera le forme viventi traendole dalla propria sostanza. La Terra è ‘viva’ anzitutto perché è fertile. Tutto quel che esce dalla terra è dotato di vita, e tutto quel che torna alla terra è nuovamente fornito di vita. Il binomio "homo-humus" non dev'essere inteso nel senso che l'uomo è terra in quanto è mortale, ma in
quest'altro senso: che se l'uomo poté esser vivo, fu perché veniva dalla terra, perché dalla Terra Mater nacque e in essa ritorna. Recentemente Solmsen spiegò "materies" con "mater"; anche se quest'etimologia non è vera (il senso primitivo di materia sembra fosse ‘il cuore del legno’), può essere valida entro una rappresentazione mitico-religiosa del mondo: la ‘materia’ ha la sorte di una madre, perché genera incessantemente. Quelle che chiamiamo vita e morte sono soltanto due momenti diversi nel destino totale della Terra-Madre; la vita altro non è che il distacco dalle sue viscere, la morte si riduce a un ritorno ‘alla propria casa’. Il desiderio, tanto frequente, di essere sepolti nel suolo della patria, è soltanto una forma profana dell'autoctonismo mistico, del bisogno di rientrare in casa propria. Le iscrizioni sepolcrali romane di epoca imperiale insistono sulla gioia di essere sepolti nel suolo della patria: "hic natus, hic situs est" (CIL, 5, 5595); "hic situs est patriae" (8, 2885); "hic quo natus fuerat optans erat illo reverti" (5, 1703), eccetera. E altri non nascondono il rimpianto di non avere questa consolazione: "altera contexit tellus dedit altera nasci" (13, 6429) eccetera. Finalmente si rifiutava la sepoltura ai traditori perché, secondo la spiegazione data da Filostrato, erano indegni ‘di essere santificati dalla terra’.
L'acqua è portatrice di germi; anche la terra porta germi, ma nella terra tutto giunge rapidamente a produrre i suoi frutti. Le latenze e i germi restano talvolta nelle Acque per parecchi cicli prima di arrivare a manifestarsi, ma della terra si può dire che quasi non conosce riposo; il suo destino è di generare senza posa, di dare forma e vita a tutto quel che torna a lei sterile e inerte. Le Acque stanno all'inizio e alla fine di ogni avvenimento cosmico; la terra è al principio e alla fine di ogni vita. Ogni manifestazione si attua AL DISOPRA delle Acque, e si reintegra nel caos primordiale attraverso un cataclisma storico (il diluvio) o cosmico ("mahapralaya"). Ogni manifestazione biologica avviene grazie alla fecondità della terra; ogni forma nasce da lei, viva, e a lei ritorna quando è esaurita la parte di vita che le era stata assegnata. Vi torna per rinascere, ma prima di rinascere per riposare, purificarsi, rigenerarsi. Le acque PRECEDONO ogni creazione e ogni forma: la Terra PRODUCE FORME VIVENTI. Mentre il destino mitico delle acque è quello di aprire e chiudere i cicli cosmici o eonici che durano millenni, il destino della Terra è di stare al principio e al termine di qualsiasi forma biologica, o appartenente alla storia locale (‘gli uomini del posto’). Il tempo  -  che, si potrebbe dire, è sonnolento nei riguardi delle Acque è attivo e instancabile quando la terra genera; le forme viventi appaiono e scompaiono con rapidità fulminea. Ma nessuna scomparsa è decisiva: la morte delle forme viventi è soltanto un modo latente e provvisorio di esistenza; la forma vivente, in quanto tipo o specie, non scompare mai, entro il termine che le Acque concedono alla Terra.


Solidarietà cosmobiologica.

A cominciare dal momento in cui una forma si è staccata dalle Acque, ogni legame organico con loro è rotto; tra il preformale e la forma esiste uno iato. Simile frattura non avviene per le forme generate dalla terra, le quali rimangono solidali con la loro matrice; del resto se ne sono separate solo provvisoriamente, e a essa tornano per riposare, fortificarsi e alla fine ricomparire alla luce del giorno. Per questo fra la terra e le forme organiche da essa generate c'è un magico legame di simpatia. Tutte insieme, formano un sistema. I fili invisibili che collegano la vegetazione, il regno animale e gli uomini di una certa regione al suolo che li produsse, li porta e li nutre, furono intessuti dalla vita, che palpita tanto nella Madre come nelle sue creature. La solidarietà fra il tellurico da una parte, il vegetale, l'animale e l'umano dall'altra, si deve alla VITA, dappertutto la stessa. La loro unità è di carattere biologico. E quando uno qualsiasi dei modi di questa vita è contaminato o sterilizzato da una colpa contro la vita, tutti gli altri suoi modi vengono colpiti, grazie alla loro solidarietà organica.
Il delitto è un sacrilegio, che può avere conseguenze gravissime a tutti i livelli della vita, semplicemente perché il sangue versato AVVELENA la terra. E la calamità si manifesta colpendo di sterilità campi, bestie e uomini egualmente. Nel prologo dell'"Edipo Re" (25 e seguenti), il sacerdote si lamenta delle sventure piombate su Tebe: ‘La città perisce nei germi fruttiferi della terra, nelle mandre di buoi al pascolo, nei parti delle donne, che terminano tutti senza nascite’. Un re saggio, un regno fondato sulla giustizia, garantiscono invece la fertilità della terra, degli animali e delle donne. Ulisse dichiara a Penelope che, grazie alla fama di un re buono, la terra porta le messi, gli alberi piegano sotto il peso dei frutti, le pecore partoriscono regolarmente, il mare formicola di pesci. Esiodo così formula questo concetto rustico dell'armonia e della fertilità antropocosmiche: ‘Coloro che, per lo straniero e per il cittadino dànno sentenze giuste e non divergono mai dalla giustizia, vedono la loro città espandersi ed entro le sue mura farsi florida la popolazione. Sul loro paese si diffonde la pace nutrice di giovani, e Zeus dal vasto sguardo non destina loro la guerra dolorosa. Questi retti giustizieri non sono mai seguìti da carestia e calamità... La terra offre loro una vita abbondante; sui loro monti le querce portano ghiande in cima e api nel tronco; le loro lanose pecore hanno velli pesanti; le mogli partoriscono loro figli simili ai padri; si espandono in prosperità senza fine e non se ne vanno per mare, poiché il fertile suolo offre loro le sue messi’.


Gleba e Donna.

Il riconoscimento della solidarietà fra la fecondità della gleba e quella della donna, è uno dei tratti caratteristici delle società agricole. Per moltissimo tempo i Greci e i Romani hanno parificato gleba e matrice, atto generatore e lavoro agricolo. Questa parificazione si ritrova, del resto, in molte civiltà, e ha dato origine a buon numero di credenze e di riti. Eschilo, ad esempio, dice che Edipo ‘osò seminare il sacro solco ove si era formato e piantarvi un fusto cruento’. Abbondanti allusioni in Sofocle: ‘i solchi paterni’, ‘l'agricoltore, padrone di un campo lontano, che visita una volta sola, al tempo della semina’. Dieterich, che aggiunge a queste citazioni classiche altri riferimenti innumerevoli, studia anche la frequenza del motivo "arat-amat" nei poeti latini. Ma, come era da prevedere, l'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa. Occorre distinguere nella sintesi mitica-rituale vari elementi: identificazione della donna e della terra arabile; identificazione del fallo e del vomero; identificazione del lavoro agricolo con l'atto generatore.
Bisogna dire fin da principio che la Terra-Madre e la sua rappresentante umana, la donna, quantunque abbiano una parte preponderante nel complesso rituale, non vi hanno più una parte esclusiva. C'è posto non soltanto per la donna o per la terra, ma anche per l'uomo e per il dio. La fertilità è preceduta da una ierogamia. Un antico incantesimo anglosassone contro la sterilità dei campi riflette mirabilmente le speranze che le società agrarie ponevano nella ierogamia: ‘Salve Terra madre degli uomini, sii fertile nell'amplesso del dio e riempiti di frutti per uso dell'uomo’. A Eleusi, il miste pronunciava la formula agricola arcaica: ‘Fa' piovere!  -  Che tu possa portar frutti!’ guardando prima il cielo poi la terra.
E' assai probabile che questa ierogamia fra Cielo e Terra sia stata il modello primordiale sia della fecondità dei campi che del matrimonio umano. Un testo dell'"Atharva-Veda" (14, 2, 71), ad esempio, paragona lo sposo e la sposa al Cielo e alla Terra.


La donna e l'agricoltura.

Si ammette volentieri che l'agricoltura fu una scoperta femminile. L'uomo occupato a cacciare la selvaggina o a pascere le mandre, era quasi sempre lontano da casa. La donna invece, col suo spirito di osservazione ristretto ma acuto, aveva occasione di osservare i fenomeni naturali della semina e della germinazione e poteva tentare di riprodurli artificialmente. D'altra parte, essendo solidale con gli altri centri di fecondità cosmica  -  la Terra, la Luna  -  la donna acquistava anch'essa il prestigio di influire sulla fertilità e il potere di distribuirla. Così si spiega la parte preponderante rappresentata dalla donna all'inizio dell'agricoltura  -  specialmente nel periodo in cui la sua tecnica era ancora patrimonio femminile  -  parte che le donne svolgono tuttora in alcune civiltà. Così nell'Uganda la donna sterile è considerata pericolosa per l'orto, e il marito può domandare il divorzio per questo solo motivo di carattere economico. Si trova la stessa credenza, che la sterilità femminile sia pericolosa per l'agricoltura, nella tribù Bantu, in India. A Nicobar si dice che il raccolto sarà più abbondante se ha seminato una donna gravida. Nell'Italia meridionale si crede che tutto quel che fa la donna gravida riesce, e che quel che semina crescerà, come cresce il feto. A Borneo, ‘le donne hanno la parte principale nelle cerimonie e nei lavori per la coltivazione del riso; gli uomini sono chiamati soltanto per liberare il terreno dai cespugli e per aiutare in qualche lavoro finale. Tocca alle donne scegliere e conservare le sementi... Sembra che sia sentita in loro un'affinità naturale con i semi, che dicono gravidi. Qualche volta le donne vanno a passare la notte nei campi di paddy, nella stagione in cui spunta. La loro idea, probabilmente, è di accrescere la propria fecondità, o quella del paddy, ma su questo punto sono molto reticenti’.
Gli Indiani dell'Orenoco lasciano alle donne l'incarico di seminare il granturco e piantare i tuberi, perché ‘come le donne sanno concepire e mettere al mondo i figli, così i semi e i tuberi piantati da loro dànno frutti assai più abbondanti che se li avessero piantati gli uomini’. A Nias, una palma da vino piantata da una donna dà linfa in maggior quantità della palma piantata da un uomo. Le stesse idee si trovano in Africa, presso gli Ewe. Nell'America del Sud, per esempio fra i Jibaros, si crede ‘che le donne abbiano un'influenza speciale e misteriosa sulla crescita delle piante coltivate’. Questa solidarietà fra la donna e il solco fertile si conservò anche quando l'agricoltura divenne una tecnica maschile e l'aratro sostituì la primitiva zappa, e spiega moltissimi riti e credenze che esamineremo insieme ai complessi drammatici agrari.


Donna e solco.

L'assimilazione della donna alla terra coltivata si incontra in molte civiltà, ed è stata conservata nelle tradizioni popolari europee. ‘Io sono la terra’, dice l'amata in una canzone d'amore egiziana. Il "Videvdat" paragona la terra incolta a donna senza figli, e nei racconti la regina sterile si lamenta: ‘Sono simile a un campo dove non spunta nulla!’. Invece in un inno del dodicesimo secolo, Maria Vergine è glorificata come "terra non arabilis quae fructum parturiit". Ba'al era chiamato ‘il marito dei campi’. L'identificazione della donna con la gleba era frequente presso tutti i popoli semitici. Nei testi mussulmani la donna è chiamata ‘campo’, ‘vigna’, eccetera. Così il "Corano" (2, 223): ‘Le vostre mogli sono per voi come dei campi’. Gli Indu assimilavano solco e vulva ("yoni"), grano e sperma. ‘Questa donna è venuta come un terreno vivo: seminate in essa la semenza, o uomini!’. Anche le leggi di Manu insegnano che ‘la donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme’ (9, 33). Narada così commenta: ‘La donna è il campo e il maschio è il dispensatore della sementa’. Un proverbio finlandese dice che ‘le ragazze hanno il campo nel loro corpo’. Evidentemente l'assimilazione della donna al solco implica quella del fallo alla vanga, e del lavoro agricolo all'atto generatore. Queste simmetrie antropotelluriche sono state possibili soltanto in civiltà che conoscevano tanto l'agricoltura quanto le vere cause del concepimento. In alcune lingue dell'Asia orientale, la parola "lak" indica tanto il fallo come la vanga. Przyluski ha suggerito che un vocabolo simile, dell'Asia orientale, è all'origine delle parole sanscrite "langula" (coda, vanga) e "linga" (organo generatore maschile). L'identità fallo-vomero è stata perfino rappresentata plasticamente. L'origine di questa rappresentazione è molto più antica: sopra un disegno dell'epoca cassita, che rappresenta un vomero, sono segnati  i simboli accoppiati dell'atto generatore. Simili intuizioni arcaiche scompaiono difficilmente, non soltanto dalla lingua popolare corrente, ma anche dal vocabolario degli scrittori di vaglia. Rabelais ha conservato l'espressione ‘membro che viene chiamato l'agricoltore della natura’. Finalmente, per dare qualche esempio di identificazione del lavoro agricolo con l'atto generatore, ricordiamo il mito della nascita di Sita, la protagonista del "Ramayana". Suo padre Janaka (nome che significa ‘progenitore’) la trovò nel suo campo mentre arava e la chiamò Sita, ‘solco’. Un testo assiro ci ha conservato la preghiera diretta a un dio ‘il cui vomero ha fecondato la terra’.  Molti popoli primitivi si servono ancor oggi, per rendere feconda la terra, di amuleti magici rappresentanti i genitali. Gli Australiani praticano un curiosissimo rituale di fecondazione; armati di frecce, che portano a mo' di falli, ballano intorno a una fossa simile all'organo generatore femminile; alla fine piantano bastoni in terra. Bisogna ricordare anche la relazione molto stretta esistente fra donna ed erotismo da una parte, aratura e fertilità della terra dall'altra. E' nota l'usanza di far tracciare da giovanette nude i primi solchi con l'aratro; usanza che ricorda l'unione esemplare della Dea Demeter con Giasone, al principio della primavera, sul solco allora seminato.
Sintesi.
Nei complessi mitici e rituali che abbiamo passato in rassegna, la terra è valorizzata in primissimo luogo per la sua infinita capacità di portare frutti. Per questo, con l'andar del tempo, la Terra-Madre si trasforma insensibilmente in Madre dei Cereali. Ma le tracce della teofania tellurica non scompaiono mai dalla fisionomia delle ‘Madri’, delle divinità telluriche. Per citare un solo esempio, nelle figure femminili della religione greca  - Nemesi, le Erinni, Temi  -  si riconoscono gli attributi originari della Terra-Madre. Ed Eschilo prega anzitutto la Terra, quindi Temi. E' vero che Ge o Gaia fu alla fine sostituita da Demeter, ma la coscienza della solidarietà fra la Dea dei cereali e la
Terra-Madre non andò perduta per gli Elleni. Euripide dice parlando di Demeter: ‘Essa è la Terra... Chiamala come vuoi!’.
Le divinità agrarie si sostituiscono alle arcaiche divinità telluriche, ma senza che la sostituzione implichi abolizione di tutti i riti primordiali. Attraverso la ‘forma’ delle Grandi Dee agricole, si può riconoscere la presenza della ‘padrona del luogo’, la Terra-Madre. Ma le nuove divinità precisano sempre più il loro profilo, la loro struttura religiosa si fa più dinamica. Cominciano ad avere una storia patetica, a vivere il dramma della nascita, della fecondità e della morte. Il passaggio dalla TerraMadre alla Grande Dea agricola è passaggio dalla semplicità al dramma. Dalla ierogamia cosmica del Cielo e della Terra fino alla più modesta pratica attestante la santità tellurica, dappertutto si incontra la stessa intuizione centrale, che torna come un tema dominante: la terra produce le forme viventi, è una matrice che procrea instancabilmente. Quale che sia la struttura del fenomeno religioso suscitato dall'epifania tellurica  -  ‘presenza sacra’, divinità ancora amorfa, fisonomia divina ben definita, o infine ‘costume’ risultante dal torbido ricordo delle forze sotterranee  -  vi si riconosce sempre il destino della maternità, dell'inesauribile potenza creativa. Questa creazione è talvolta mostruosa, come nel mito di Gaia evocato da Esiodo. Ma i mostri della "Teogonia" sono soltanto una dimostrazione delle infinite forze creatrici della Terra. Qualche volta non occorre neppure precisare il sesso della divinità tellurica, procreatrice universale. La divinità cumula allora tutte le forze della creazione; questa forma di bipolarità, di coincidenza dei contrari, sarà ripresa dalla più elevata speculazione posteriore. Ogni divinità tende, nella coscienza dei suoi fedeli, a diventare TUTTO, a sostituirsi a tutte le altre figure religiose, a regnare su tutte le regioni cosmiche. E poche divinità ebbero, come la Terra, il diritto e la capacità di diventare TUTTO. Ma l'ascesa della Terra-Madre al rango di divinità suprema, se non unica, è stata decisa tanto dalla sua ierogamia col Cielo come dall'apparire delle divinità agrarie. Vi sono tracce di questa grandiosa storia nella bisessualità delle divinità telluriche. Ma la TerraMadre non ha mai perduto i suoi privilegi arcaici di ‘padrona del luogo’, fonte di tutte le forme viventi, custode dei figli e matrice nella quale si seppellivano i morti perché vi riposassero, vi si rigenerassero e tornassero finalmente alla vita, grazie alla santità della Madre.


ALTRO APPROFONDIMENTO

"Salve a Te, O Terra, Madre degli uomini, cresci nell'abbraccio del Dio, colmati di frutti, a beneficio degli uomini" (Eschilo)

Nell'antichità la Sacra Dea Tellus, Colei che genera i fenomeni naturali, veniva rappresentata anche con un corno dell'abbondanza in mano e nel testo Medicina Antiqua, in seguito più volte copiato - Ella veniva supplicata di produrre erbe medicinali, particolarmente corroboranti per l'umanità sofferente. Nel medioevo questo testo "pagano" che inizia con l'invocazione "Dea Sancta Tellus" venne corretto in "deo sancto" senza ulteriori cambiamenti.
Nota di Lunaria: Non è un caso che per tutto l'antico testamento sia approvato e consentito lo stupro e la riduzione in schiavitù sessuale delle donne politeiste (cananee ecc). Chi odia la donna, odia la Terra. Chi sfrutta la Terra, sfrutta la donna. Chi vuole fare una guerra e conquistare territori, stupra anche le donne di questi territori. Si capisce perché il malvagio javè consentisse lo stupro e la riduzione in schiavitù (come concubine) delle prigioniere di guerra ai suoi malvagi soldati assetati di conquiste territoriali; vedi tutta la vicenda biblica riportata a Numeri 31, quando mosè dà ordine di uccidere donne non vergini e bambini, e portarsi via le donne vergini come schiave sessuali.
E si capisce anche molto bene perché il malvagio dio monoteista NON voglia essere associato al panteismo, all'adorazione di Madre Natura, non voglia avere come suoi attributi i laghi, il mare, il vento, i sassi, le montagne, il fuoco, l'acqua... si capisce..

Introduzione alla Mitologia Sumera-Babilonese-Assira

Info tratte da







Qualche notizia sugli Dèi Mesopotamici :D Non tutti sanno che alcune cose della Bibbia sono ispirate a miti mesopotamici e che la Bibbia, ovviamente, non dipinge molto bene gli Assiri e Babilonia.
è un peccato che la tradizione mesopotamica, in Occidente, sia relegata un po' nell'angolino (su quella greca invece si sono versati fiumi di inchiostro)... dal punto di vista mitologico e artistico ha parecchi spunti di interesse; in Occidente l'interesse vero per la Mesopotamia cominciò a sorgere verso il 1700, quando alcuni nobili-viaggiatori si recarono in Persia.
Nell'800, con il diffondersi dell'interesse per l'archeologia, bassorilievi e statue cominciarono ad arrivare nei musei inglesi:   tutto ciò scatenò una vera assiro-mania nel pubblico: furono realizzati gioielli in stile assiro, e venivano riprodotti elementi di arredamento ispirati alle opere artistiche mesopotamiche.




In effetti, lo studio della civiltà mesopotamica, in quel periodo del'800 (George Smith, Eberhard Schrader e Friedrih Delitzsch ne sono stati i massimi studiosi ottocenteschi) suscitò scandalo e si cercò di boicottarlo, perché si temeva che la letteratura mesopotamica potesse ledere l'immagine della Bibbia, all'epoca considerata il più antico libro del mondo. Delitzsch si vide persino costretto a chiedere ai teologi di "assumere un atteggiamento più conciliante nei confonti di ciò che essi consideravano un attacco ai testi biblici"!

Questi sono gli Dèi più importanti e famosi nel pantheon mesopotamico:

- Anu, il Dio Cielo. La sua consorte era la Dea Antum e nella città di Uruk il suo culto era molto vivido. Veniva considerato il padre della Dea Ishtar, che dai Sumeri era chiamata Inanna.
- Ishtar era la Dea dell'amore, del sesso e della guerra; divenne la Dea più amata di tutta l'Asia occidentale. Il suo animale sacro era il leone. Aveva come amante Dumuzi (Tammuz) un Dio pastorale. Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/ishtar.html
- Ellil, figlio di Anu, sostituì il padre e divenne il re degli Dei. A lui apparteneva la Tavoletta dei Destini, con cui si decretava il fato degli uomini. La sua sposa era Mulliltu o Mylitta (Ninlil).
- Ea (chiamato Enki dai Sumeri) era il Signore di Apsu, la distesa di acqua dolce sotto la terra. Era la fonte di tutte le conoscenze magiche e istruiva il genere umano nelle arti e nei mestieri. La sua consorte era Damkina.
- Nissaba, la Dea delle scuole.
- Marduk era figlio di Ea. Era un Dio solare amatissimo. Nabu figlio di Marduk era il protettore degli scribi e Dio della saggezza. Marduk può anche essere visto come Dio dell'alba, perché mette in fuga le tenebre del Caos: Tiamat, nella mitologia babilonese, e dio della primavera che scaccia i rigori dell'inverno (dove il sole è "morente")
Marduk divenne tanto amato che finì per oscurare Ea e Bel, e divenire il creatore dell'umanità, con l'argilla e il fango. Nell'epopea di Gilgamesh però la Dea creatrice è Aruru. Ovviamente gran parte della storiella biblica del diluvio è scopiazzata da qui.
Sua sposa è Sarpanit, "L'Argentea", che alcuni assirologi identificano con la Luna.
- Sin era il Dio Luna, contrariamente ad altri popoli, che consideravano la Luna come manifestazione di una Dea. Anche Sin in alcune fonti viene considerato il padre di Ishtar.
- Shamash (chiamato Utu dai Sumeri) invece era il Dio Sole. Era il giudice del cielo e della terra.
- Adad, era il Dio del Tempo: controllava le tempeste e le piogge. Il suo simbolo era il fulmine e il suo animale era il toro.    
- Ereshkigal era la Regina degli Inferi. Namtar era il suo visir, ed era molto temuto, perché poteva provocare 60 malattie.
- Erra o Nergal era il Dio delle pestilenze e della guerra.
- Ninhursag (Aruru o Mammi) era la Grande Dea Madre e a volte veniva considerata la consorte di Nergal.
- Ninurta era il Dio della guerra, a cui furono dedicati molti miti.
- Tiamat: il Caos Primordiale, l'Abisso dell'Acqua Salata che si univa ad Apsu (Acqua Dolce) per procreare; fu combattuta e vinta da Marduk; dal suo corpo diviso in due Marduk crea la terra e il cielo. Tiamat però era chiamata Nammu dai Sumeri ed era Lei ad aver creato l'umanità dall'argilla.
I Cananei la chiamavano Athirat Yammi.
- Esistevano poi Dèi minori, chiamati Annunaki (o Anukki), Dèi sumeri della fertilità e degli inferi; gli Igigi invece gli Dèi sumeri del cielo, ai comandi di Ellil. 






I maghi babilonesi erano noti per la loro bravura: osservavano i visceri degli animali, l'olio nell'acqua, il fumo dell'incenso, i fenomeni celesti/meteorologici per predire il futuro.
"L'Epopea di Gilgamesh" è uno dei testi più noti; Gilgamesh era un giovane re di Uruk. Si diceva che fosse il figlio della Dea Ninsun e di un alto sacerdote: era quindi un semi-dio. Agli inizi era un re molto dispotico; violentò tutte le giovani fanciulle di Uruk e costrinse i giovani a lavorare per costruire le mura della città e del tempio. Per questo, gli abitanti di Uruk invocarono la Dea Aruru, la madre degli Dèi, perché creasse un rivale per Gilgamesh:
"Aruru si bagnò le mani, prese un pezzo di argilla, lo gettò nella landa selvaggia. Essa creò un uomo primitivo, Enkidu il guerriero; figlio del silenzio, fulmine di Ninurta."
Ma Enkidu è una sorta di uomo primitivo, senza nessuna sapienza. Pascola addirittura con gli animali selvaggi! Ecco che viene affidato alla cura di Shamat, una prostituta che lo ammaestra:
"Sei diventato sapiente, Enkidu, sei simile a un dio. Perché vorresti vagare per la terra con le bestie selvatiche? Vieni con me, ti porterò a Uruk dalle forti mura, al sacro tempio, la dimora di Anu e di Ishtar, dove vive il fortissimo Gilgamesh."
Così Enkidu accetta di andare a Uruk, per sfidare Gilgamesh. Strada facendo affronta vari imprevisti, fino a combattere con Gilamesh, per poi stringere amicizia; Gilgamesh viene notato dalla Dea Ishtar, che si incapriccia di lui e cerca di sedurlo; ma Gilgamesh rifiuta e così la Dea Ishtar, offesa, ricorre al Toro del Cielo. Dopo un combattimento che porta distruzione all'intera città, Gilgamesh aiutato da Enkidu riesce ad uccidere il Toro. Tuttavia questo porta gli Dèi a intervenire, e Enkidu viene condannato a morte. Gilgamesh si mette quindi alla ricerca dell'immortalità, dopo varie peripezie.
In questo poema, compare il diluvio e anche il tema dell'arca, o meglio una barca, che viene costruita da Ut-napishtim, un amico che Gilgamesh ha modo di conoscere durante il suo viaggio; Ut-napishtim (che sta traghettando Gilgamesh al di là di un fiume) gli racconta della sua immortalità, che ha ricevuto in dono dopo il diluvio: era stato lo stesso Dio Ea ad avvisarlo della volontà degli Dèi di sterminare l'umanità col diluvio:
"Uomo di Shuruppak, figlio di Ubara-Tutu, smantella la tua casa e costruisci una nave. [...] Porta a bordo il seme di tutte le creature viventi."
La nave viene costruita:
"Vi caricai tutti i semi degli esseri viventi, proprio tutti. Caricai sulla nave tutti è miei amici e parenti. Caricai sulla nave gli animali domestici, tutti gli animali selvatici, tutti i vari tipi di artigiani."
Il diluvio arriva:
"Per sei giorni e sette notti i venti soffiarono, diluvio e tempesta devastarono la terra."
Alla fine, il diluvio si placa:
"Osservai il cielo; il silenzio regnava, perché tutta l'umanità era ritornata argilla".
Ut-napishtim fa uscire una colomba, poi una rondine, ed entrambe tornano indietro. Libera un corvo, che non torna indietro, a dimostrazione che le acque si sono ritirate, e c'è la terraferma.
Gli Dèi discutono tra loro, e decidono di rendere immortali Utnapishtim e sua moglie. Ecco perché Ut-napishtim cerca di aiutare Gilgamesh nella sua ricerca per l'immortalità. Sta per donargli la pianta della giovinezza, ma un serpente riesce a sottrarla. Il poema si conclude con Gilgamesh che si accascia e piange, consapevole di non aver trovato l'immortalità:
"Io mi rassegno."
C'è poi un finale alternativo, che vede Gilgamesh implorare gli Dèi affinchè l'amico Enkidu risorga.
Il racconto del diluvio ritorna anche nel mito accadico di Atrahasis, una sorte di "Mosè", insieme a Ut-napishtim e al sumero Ziusudra. Anche in questo mito, è una Dea, Belet-ili, a creare l'umanità: sette maschi e sette femmine, dai quali nascono figli. La terra inizia a popolarsi, ma siccome l'umanità è rumorosa e sta progredendo sempre di più, il Dio Ellil
("Egli si rivolse ai grandi dèi: il rumore dell'umanità è eccessivo, io non posso dormire a causa del loro fracasso")
manda alcune epidemie di siccità e carestie, per ridurre il numero di esseri umani. Decide infine di mandare un diluvio, ma il Dio Enki avvisa Atrahasis di costruire la nave, per salvare le creature dal diluvio.


Queste è l'elenco di alcune Divinità Infere, della Corte di Nergal:
Namtar, araldo degli Inferi. Non ha né mani né piedi. Namtaru è la sua sposa. Ha testa di sfinge, mani e piedi umani.
Alluhappu: testa di leone, quattro mani e piedi umani.
Humut-tabal: nocchiero degli Inferi. Ha testa di aquila, quattro mani e piedi.
Sulak, ha l'aspetto di un leone dritto su zampe posteriori.
Mamitu, dotato di testa di capra, mani e piedi umani.
Nedu, portinaio degli Inferi, con testa di leone, mani umane e piedi di uccello.
Muhra, dai tre piedi: due anteriori di uccello, il posteriore di toro.
Bibbu, è il Boia degli Inferi, mentre Lugalsula veglia alle porte infernali.
Isum, è il Consigliere di Nergal: ha la pelle rossa e nera, e ha in mano spada e arco.
Nergal, invece, ha una mazza con due teste, mentre dal braccio emana fulmini, circondato dagli Déi Anunna, in riverente posizione, a destra e a sinistra. 
Questo invece è uno scongiuro, una sorta di esorcismo, dove vengono invocati gli Dèi:
"Possano assisterlo Anu e Antu, possano essi liberarlo dalla malattia. Possa assisterlo Enlil, il Signore di Nippur, possa egli pronunciare la guarigione con la sua parola immutabile. Possa assisterlo Ea, Signore dell'umanità, la cui mani hanno formato l'umanità. Possa assisterlo Sin, Signore del mese, che egli annulli le sue maledizioni. Possa assisterlo Samas, Signore del Giudizio, che egli rimetta il suo peccato. Possa assisterlo Adad, Signore degli oracoli, che egli cacci via la malattia. Possa assisterlo Tispak, Signore delle truppe, che egli lo liberi dal maldicapo. Possa assisterlo Ninurta, Signore della mazza, che egli allontani la sventura. Possa assisterlo Papsukkal, Signore dello scettro, che egli tenga lontano la malattia. Possa assisterlo Marduk, il più saggio tra gli Dèi, che assicura buona salute. Possa assisterlo Asalluhi, l'esorcista tra i grandi Dèi, grazie al cui incantesimo il morto vive, il malato guarisce. Possa assisterlo Nergal, Signore del verdetto, alla cui presenza i demoni e le piaghe si rintanano nell'oscurità; possa assisterlo Ningirsu, Signore dell'agricoltura, che egli costringa la malattia a dileguarsi. Possa assisterlo Zababa, Signore dell'alto trono, che egli espella la piaga. Possa assisterlo Ennugi, Signore della diga e del canale, che egli leghi l'Asakku. Possa assisterlo Nusku, araldo dell'Ekur, che parla a favore del devoto, che egli guarisca il malato. Possa assisterlo Girru, che calma il Dio e la Dea adirati, che egli rimuova la debolezza del suo corpo. Possa assisterlo Ishtar, la Signora di tutti i paesi, che Ella interceda per lui. Possa assisterlo Ninkarrak, la Grande Guaritrice, che Essa rimuova la debolezza dal suo corpo. Posso assisterlo Baba, che Essa lo liberi dalla sua ansietà."
Esistevano poi dei Demoni molto temuti e venerati. Si temevano anche gli spiriti dei morti (Etemmu), streghe (Kassaptu) e stregoni (Kassapu). I loro malefici erano i Kispu o Arratu.
Questa è una lista di mostri:
Lahmu, Basmu e Mushussu (a forma di serpenti), Ugallu, Uridimmu (leone), Kusarikku (bisonte), Girtablullu (uomo-scorpione), Urmahlullu (uomo-leone), Kulullu (uomo-pesce), Suhurmasu (metà capra e metà carpa).
Questa è un'altra lista di Demoni, sia maschili che femminili, (tutti di origine sumera) ritenuti responsabili delle malattie:
Udug (a forma di pantera; portava il mal di nuca), Galla (a forma di mulinello di vento: portava dolori alle mani), Ala (a forma di vipera, portava dolori al petto e insonnia), Asag (si manifestava come vento, e portava il mal di testa)
In Accadico, erano chiamati Utukku, Gallu (demone maschio), Alu (demone femmina), Asakku, Lamastu (demone femmina https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/lamashtu.html), Lilu (spirito femminile del vento), Ardat Lili, Ahhazu (il Demone dell'epatite), Etimmu (demone maschio), Pazuzu (il più famoso).
Namtar era a forma di drago; portava il mal di gola.
Gidim era a forma di leone, portava il mal di pancia ed era evocato dai necromanti come Spirito dei morti senza sepoltura. Dingir, si manifestava sotto forma di uragano, e portava dolori ai piedi. Labasu portava la febbre. Era un demone femmina, come Rabitsu. Zitarrutu portava morte, Antasubba portava la perdita della conoscenza, Kadibittu della parola. Samana aveva la bocca da leone, i denti da drago, coda di scorpione e artigli d'aquila. Muttabriqu portava il fulmine. Sarabda puniva gli errori. Tirid dava la caccia. Bennu portava le convulsioni. Sidana portava le vertigini. Miqit le percorsse. Umma la febbre, Libu la scabbia. Erra era il Dio della peste.
Il Lamassu invece era il toro androcefalo, con la testa d'uomo, dotato di ali, aveva un ruolo da protettore, ecco perché era scolpito ovunque.

Questa è una breve descrizione di Lamastu (contro cui venivano realizzati moltissimi amuleti, giunti fino a noi; in uno si vede la demone che allatta un cane e un maialino, mentre le mani stringono due serpenti). (Nota di Lunaria: che vedremo prossimamente)
Scongiuro. Lamastu, "figlia di Anu", è il suo primo nome; il secondo è "sorella degli Dèi delle vie",
il terzo, "Clava che fende il cranio". Il quarto "Colei che accende il fuoco". Il quinto: "Dea dal viso orrendo". Il sesto: "Confidente e adottata da Irnina". Il settimo: "Sii scongiurata per i grandi Dèi". Vola via con gli uccelli del cielo. Scongiuro!
I Demoni erano rappresentati in varie forme (pantera, serpente, leone); si pensava che assumessero anche la forma del Vento del Sud o delle tempeste di sabbia.
Pazuzu era figlio di Hanpa; siccome il nome è di difficile etimologia, si pensa sia di origine straniera. Ha quattro ali, una faccia sovrastata dalle corna, mani con zampe di leone, gli arti inferiori come zampe di uccello (come Lilith). Pazuzu ha una coda con pungiglione di scorpione, in grado di inoculare il tifo e il pene con testa di serpente. è personificazione del "Vento violento", "Signore dei demoni del vento malefico". Era adorato e temuto; le sue statuette avevano la funzione di impedire agli altri demoni di nuocere. "Che Egli fermi il passo malvagio dei suoi fratelli" recita una didascalia. Anche Lamastu aveva questa funzione: "Colei che cattura", quindi tratteneva agli inferi, i demoni Asakku e Alu.
Su una statuetta di Pazuzu si legge:
"Io sono Pazuzu, figlio di Hanpa, re dei cattivi spiriti dell'aria, che sorge dalle montagne sferzate dalla tempesta, sono proprio io!"
e ancora:
"Colui che rivaleggia con tutti gli altri venti, colui che avanza tuonando con furia di uragano, la cui vista è terribile, colui che governa le regioni del mondo, che devasta le chiare montagne."
Dopo aver visto il mito di Gilgamesh, diamo uno sguardo anche alle figure di Absu, Tiamat e Marduk, raccontate nell'Epopea della Creazione!
L'Epopea comincia così:
"Quando i cieli in alto non erano ancora stati nominati Né la terra sotto era stata chiamata per nome..."
C'erano solo due Dei: Absu (o Apsu), che rappresenta le acque primordiali sotto la terra e Tiamat, che è la personificazione del Mare. Da notare che l'idea del cielo e della distesa delle acque è anche biblica.
Absu e Tiamat danno vita a quattro generazioni di Dei, che però "diventano molto rumorosi"; il loro chiasso diventa insopportabile:
"Gli Dei di quella generazione si riunirono e disturbarono Tiamat, e il loro chiasso rimbombava. Essi fecero rimescolare il ventre di Tiamat, la infastidivano giocando in Anduruna (la sede degli Dei) Absu non riusciva a calmare il loro rumore..."

Absu si consulta con Tiamat, la quale proclama:
"I loro modi sono diventati per me insopportabili, di giorno non posso riposare, di notte non posso dormire. Abolirò i loro giochi e li disperderò! Che la pace prevalga e noi si possa dormire."
Tuttavia, prima che Tiamat e Absu (in compagnia del suo visir, Mummu) possano intervenire, Ea scopre ogni cosa, e dopo aver fatto addormentare Absu e Mummu, li uccide. Dopo aver detronizzato Absu, Ea, glorioso, si impadronisce della dimora di Absu, e con la sposa Damkina, concepisce Marduk.
"Alto era il suo aspetto, penetrante il suo sguardo, maturo il suo comportamento, egli fu potente fin dall'inizio. E suo padre lo ammirò, e gioì raggiante; il suo cuore era colmo di felicità. Lo aveva fatto così perfetto che la sua divinità era doppia, molto al di sopra degli altri, era superiore in tutto."
e ancora:
"Quattro erano i suoi occhi, quattro le sue orecchie; quando muoveva le labbra, ne usciva il fuoco."
"Più alto fra tutti gli Dei, la sua forma dominava ogni cosa."
Ma Tiamat è addolorata e piange senza sosta la morte di Absu. Così, per vendicarsi della morte di Absu, Tiamat crea un esercito di mostri:
"Essa generò un serpente cornuto, un drago mushussu, un eroe lahmu, un demone ugallu, un cane rabbioso, un uomo-scorpione, degli aggressivi demoni umu, un uomo-pesce, e un uomo-toro"
(Come avevo scritto, questo è in sintesi l'assortimento di mostri tipici del pensiero mitologico babilonese)
Primo fra tutti i mostri è Qingu (o Kingu), che guida l'esercito.
Questa è la descrizione dei serpenti:
"Denti aguzzi e zanne spietate. Tiamat ne ha riempiti i corpi di veleno, anzichè di sangue. Ha avvolto di terribili raggi feroci e ha dato loro mantelli di luce..."
La battaglia inizia. In un primo momento, è l'esercito di Tiamat a prevalere; ma poi Marduk decide di intervenire:
"Il possente erede, il campione di suo padre, colui che corre senza paura in battaglia: Marduk l'eroe!"
Ma Marduk pone una condizione: se sconfiggerà Tiamat, vuole essere il Dio supremo.
"La mia parola decreterà il destino, non la vostra!"
Gli altri Dei accettano questa condizione, ma lo sottopongono prima a una prova:
"Posero in mezzo a loro una costellazione e poi si rivolsero al loro figlio Marduk: << Possa il tuo potere, o Signore, convincere gli Dei! Ordina di distruggere e di ricreare, e che sia così! Parla e fai svanire la costellazione! Parla di nuovo e fai ricomparire la costellazione.>> Egli parlò, e alla sua parola la costellazione sparì. Egli parlò di nuvo e la costellazione fu ricreata. Quand gli Dei, suoi genitori, videro quanto fosse potente la sua parola, gioirono e proclamarono: << Marduk è il re! >>."
Armato di arco e frecce, mazza nella mano destra, un fulmine davanti a sé e una fiamma sempre ardente nel suo corpo, costruisce una rete per catturare Tiamat, e comanda a sette venti di seguirlo. Solleva un turbine, e sale su un carro "di una tempesta spaventosa e indomabile", trainato da cavalli chiamati Assassino, Spietato, Corridore, Veloce, dai denti avvelenati.
Giunto davanti a Tiamat, inizia lo scontro:
"Tiamat e Marduk, il campione degli Dei, si fronteggiarono. Si fecero vicini e ingaggiarono battaglia. Il Signore gettò la rete sulla Dea, sulla sua faccia lanciò il vento imhullu, che gli stava dietro: Tiamat aprì la bocca per ingoiarlo, ed egli vi infilò il vento in modo che la Dea non potesse chiudere le labbra. Feroci venti le riempirono il ventre; le sue interiora si gonfiarono, ed essa spalancò la bocca. Marduk scagliò una freccia che le forò il ventre, la trapassò a metà e le trapassò il cuore. La vinse e le tolse la vita. Egli gettò a terra la carcassa e le si mise sopra."
E all'esercito di Tiamat:
"E quanto alle dozzine di creature coperte da raggi spaventosi, la truppa dei demoni che marciavano alla destra della Dea, egli li imprigionò con corde e legò loro le braccia."
Qingu viene ucciso e:
"Il Signore calpestò il corpo di Tiamat, con la sua mazza spietata le schiacciò il cranio, le tolse il sangue delle arterie..."
Quindi la divide a metà: con la prima metà costruisce il cielo, e con l'altra parte la terra. In seguito, crea le leggi dell'universo, le costellazioni, la Luna, e con la saliva di Tiamat crea le nuvole, il vento e la pioggia, mentre con il suo veleno crea la nebbia; con gli occhi della Dea, Marduk crea il Tigri e l'Eufrate.
Gli Dei si fanno incontro a Marduk, proclamandolo Signore di tutti gli Dei, e Marduk esclama:
"Quando verrete dall'Absu per un'assemblea, là potete riposare per la notte e io vi accoglierò tutti. Il suo nome sarà Babilonia, dimora di grandi Dei. Ne faremo il centro della religione."
e quindi, impastando il sangue di Qingu:
"Metterò insieme sangue e ossa, costruirò un essere primitivo: il suo nome sarà uomo."
Come nel mito di Atrahasis, l'uomo viene quindi creato per svolgere il lavoro degli Dei.   
Infine, vediamo un mito legato a Ishtar: la discesa di Ishtar agli Inferi.
Questo racconto, purtroppo incompleto, ci spiega come (ma non perché) la Dea Ishtar discenda nell'Oltretomba (Kurnugi), la terra del non ritorno, e come una volta laggiù, venga tenuta prigioniera dalla Regina degli Inferi, Ereshkigal, che è sua sorella.
"Venite guardiani, apritemi la porta, aprite la porta in modo che io possa entrare! Se non mi aprite la porta in modo che io possa entrare, fracasserò la porta e spaccherò il chiavistello, fracasserò gli stipiti e abbatterò i cancelli, farò sollevare i morti, che divoreranno i vivi: i morti saranno più numerosi dei vivi!"
I guardiani corrono da Ereshkigal,
"Quando Ereshkigal udì queste cose, la sua faccia divenne livida come il tamarisco, le sue labbra

divennero scure come l'orlo di un vaso kuninu (*) "

(*) Il vaso kuninu aveva l'orlo ricoperto di nero bitume

Ereshkigal decide di convocare Ishtar al suo cospetto, che per sette volte, varcando le sette porte, per giungere dalla Regina degli Inferi, deve spogliarsi di un monile o di un indumento:
"Guardiano, perché mi hai tolto la corona dalla testa? Entra mia Signora. Questi sono i riti della Dea della terra."
"Guardiano, perché mi hai tolto gli orecchini? Entra mia Signora Questi sono i riti della Dea della terra."
Alla terza porta le viene tolta la collana; alla quarta le spille; alla quinta la cintura di pietre preziose; alla sesta i braccialetti, alla settima, la veste. Quindi, nuda, si presenta al cospetto di Ereshkigal, che ordina che a Ishtar siano mandate 60 malattie: agli occhi, alle braccia, ai piedi, al cuore, alla testa.
Sulla terra, ogni attività sessuale viene sospesa; infatti, la Dea Ishtar è la Dea della lussuria e della procreazione. Quando gli Dei se ne accorgono, Ea trova una soluzione: crea un bel giovane, per sedurre Ereshkigal e poter liberare Ishtar. Ma Ereshkigal si accorge dell'inganno. Presa da furia, maledice il giovane, e in questo modo, la maledizione passa da Ishtar al giovane. Ishtar quindi riattraversa le sette porte, in ordine inverso, recuperando gli oggetti che era stata costretta a togliersi.
La Regina Ereshkigal è protagonista anche di un altro mito, che racconta il suo amore per Nergal, disceso negli Inferi, e del quale la Dea si innamorerà perdutamente.
Infine, vorrei fare notare che sebbene in tutta l'area mesopotamica, ci fosse comunque una discriminazione a livello legale delle donne, in realtà nella sfera religiosa, le sacerdotesse di Ishtar o Inanna erano paritarie (se non superiori) ai sacerdoti (spesso re-sacerdoti) : rispetto alle pietose condizioni che il cristianesimo porterà alle donne dal punto di vista non solo morale, ma anche religioso, le sacerdotesse di Ishtar o Inanna erano temute, venerate e rispettate, quali incarnazioni delle Dee in terra; a tal fine, vanno visti i riti di Ierogamia, nelle quali le sacerdotesse si univano al sacerdote (corrispondente del Dio).


André Parrot e sua moglie Marie Louise Girod, tra gli anni '20-'30, hanno scoperto alcuni reperti riferibili alla Dea Ishtar e alle sue Sacerdotesse, nella zona, sul medio Eufrate, di Mari, città devastata da alcune invasioni, e poi caduta nell'oblio. Riporto qui il resoconto,




"Finiamo di pulirla della terra che le è rimasta attaccata. Ormai quasi completa la statua appare in tutto il suo splendore. Si tratta di una "Dea dal vaso zampillante": alta un po' meno di un metro e cinquanta, è acconciata con un vero e proprio casco-parrucca con una sola fila di corna, il che è indice di un rango inferiore nella gerarchia delle divinità. Il naso è stato martellato, gli occhi privati della loro incastonatura, senza dubbio pietre e lapislazzuli. Ma la finezza dei tratti, sotto le sopracciglia in leggero rilievo, la bocca delicatamente orlata, le cui labbra sottili abbozzano un sorriso, fanno del suo volto uno dei più seducenti che abbia rivelato l'archeologia orientale."
"La Dea è tutta curve: i suoi capelli si spandono in onde, da ciascun lato, sulle spalle, mentre il resto è annodato sulla nuca in una grande crocchia sostenuta da un nastro. Ne escono due trecce che, riunite in una sola, stretta da un fermaglio, scendono fino all'altezza dei polpacci. Una collana di perle rotonde a sei giri si allarga sul suo petto. La lunga veste le modella strettamente le sue forme e cade fino a terra, con una sola incavatura che svela i piedi nudi."
"Ma un dettaglio inatteso, di cui non si conoscevano altri esempi, non è meno straordinario. La statua è una "statua vivente", miracolosa. Il vaso che la Dea tiene sul petto, dirigendone la bocca verso l'esterno, è cavo. Comunica attraverso un foro alla base, con un canale interno che attraversa la statua verticalmente e si apre sotto lo zoccolo. Evidentemente, l'acqua di un serbatoio esterno, nascosto in un altro vano e disposto all'altezza voluta, doveva essere convogliata nella statua e uscire dal vaso, che diveniva così, alla lettera, un "vaso zampillante". Si può immaginare l'effetto prodotto dai fedeli, che vedevano tutto a un tratto spandersi, sotto i loro occhi, l'acqua benefica. Per colmo di raffinatezza, lo scultore aveva scavato sulla veste delle scanalature orizzontali, ed inciso, verticalmente delle linee ondulate. Così l'acqua che usciva dal vaso scorreva lungo il vestito, poi ricadeva ad onde. E per meglio ricordare che si trattava di un'acqua vivificante, l'artista aveva ancora scolpito, lungo le linee incise, dei piccoli pesci che salivano o scendevano."





ALTRO APPROFONDIMENTO

Le genti semitiche si possono dividere in tre grandi gruppi:
• Babilonesi, Assiri
• Cananei, Aramei (Siria), Ebrei (Palestina), Fenici
• Arabi, Etiopi


I  nomi degli Dei presso i Semiti di Babilonia sono preceduti  dal determinativo "ilu" riduzione dell'ideogramma stellare che significa "cielo" e che esprime il concetto di Divino.
Questo "ilu" lo ritroviamo in Ebraico: El, Elohim, in Fenicio El, nell'Arabia El/Ilah: da cui Allah (Ilah + l'articolo determinativo Al davanti); il femminile è Allat.


Le fonti principali per lo studio della religione babilonese sono state trovate su vasi, recipienti in pietra, metallo, stele, obelischi, tavolette metalliche, scritti su argilla che ci permettono di parlare di una vera e propria letteratura assira con vari generi (storico, epistolare, didattico, epico, lirico, documenti giuridici e astrologici; in particolare, per il genere giuridico ricordiamo il Codice di Hammurabi, mentre per quello astrologico importantissimi sono i kudurru, pietre di confine, con rappresentazioni astrologiche di Divinità protettrici del territorio e i relativi scongiuri)
I Babilonesi, per primi, riunirono le stelle in costellazioni, determinandone le leggi di posizione lungo il corso dell'anno solare.






Nota di Lunaria: Louis Chochod nel suo "Storia della magia" (1971) parla a lungo dell'astrologia di matrice caldea (e anche ebraica); riporto giusto qualche informazione basilare:
"La Scienza dei Caldei di cui parlano gli storici della Roma Imperiale era l'astrologia [...] i Caldei distinsero i pianeti dalle stelle, determinarono la lunghezza dell'anno tropico, fissarono i 12 segni dello zodiaco, calcolarono le eclissi di Luna e inventarono il quadrante solare."
Inventarono anche la matematica e le leggi idrauliche.
Anche gli Ebrei  si dilettavano - di nascosto... - con queste cose:
"Così, possiamo vedere che l’astrologia non è affatto “male” ma una  scienza sacra, come abbondantemente riconosciuto da scrittori  biblici: difatti, come notato, gli  Ebrei e gli Israeliti politeisti adoravano una varietà di Elohim, Balim e Adonai, molti dei quali erano aspetti del sole, come El Elyon, Il Dio Altissimo. In aggiunta, in Amos 5:26 c’è un verso che riguarda il misterioso  “Kaiwan”, il “dio-stella” della casa di Israele.  Questo dio-stella è El, il Sole, o Saturno, il “sole centrale”,  che, come  affermato, gli Ebrei veneravano, come riflesso dal loro  sabbath il giorno di Sabato. Come anche notato, anche Yahvè, o Iao, era un dio sole. In aggiunta, noi abbiamo già visto che Salomone, per dirne uno, adorava nel modo delle culture pre-Yahviste, venerando, per esempio, Chemosh, il dio sole Moabita."
"Gli Ebrei erano anche “adoratori della luna” poiché molte delle  loro feste e vacanze giravano attorno ai movimenti ed alle fasi  della luna. Tale adorazione della luna si trova ripetutamente nel  Vecchio Testamento  (Ps.  8:13;  Is. 66:23), e fino ad oggi gli  Ebrei celebrano le ferie basate sul calendario lunare. In Isaia 47, questi adoratori della luna vengono equiparati con gli astrologi,  cioè, “…coloro che dividono i cieli, che osservano le stelle, che  alle lune nuove predicono che cosa ti accadrà”."
La stessa Torre di Babele, probabilmente, non era altro che un osservatorio astronomico, e il dio degli ebrei "la fece crollare" non tanto per punire "la superbia degli uomini" ma per proibire loro la conoscenza dei moti celesti, il segreto del firmamento.
Anche gli Arabi adoravano la Luna, in epoca pre-islamica. Il segno è rimasto, tanto che oggigiorno la mezzaluna indica proprio la religione islamica.
Avevo già dimostrato che la mezzaluna era un simbolo pagano: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/il-dio-sumero-della-luna-e-i.html


Accanto a queste divinità stellari i popoli della Mesopotamia, da buoni agricoltori, adoravano anche quelle potenze e forze della Natura cui più era raccomandata la loro vita e la loro speranza di lavoratori della terra; quindi il fulmine. 



Il Dio Adad sul toro, con una folgore in pugno (stele del secolo VIII a.C). Adad è l'altro aspetto di Anu, Signore del Cielo, ma Adad rappresenta i fenomeni atmosferici; assimilato anche a Ramman ("Il Fulminatore"). Sposa di Adad era Sala, "La Regina delle Campagne" (il fulmine si collegava alla pioggia, la pioggia ai campi da far prosperare) e i fenomeni atmosferici e i sacri fiumi che davano prosperità ai raccolti, ricoprendo i campi di limo, l'acqua e poi il fuoco con la Trinità Gibil, Nusku e Ishum, ovvero le personificazioni del fuoco benefico usato per l'industria, il fuoco dei sacrifici che porta al trono degli Dei il profumo delle vittime e le preghiere e il fuoco distruttore; vi erano poi gli spiriti dei morti che andavano placati con offerte di cibo e un'adeguata sepoltura; esistevano poi gli Dei assoluti: Anu, il Signore degli Dei celesti, a capo di tutto, il cui ideogramma era una stella; sua moglie era Anatu, che rappresentava la terra;  Anu regolava il corso degli astri e presiedeva ad una Trinità formata anche da Bel (Signore dei paesi, creatore del mondo, legato alle montagne; sua moglie era Nin-lil, la Signora del vento che i Babilonesi tradussero come Beli La, "Signore", appellativo usato poi anche per altre Dee) e Ea (Signore dell'Apsu, Absu, l'Acqua Primordiale che cinge la circonferenza terrestre; i sumeri lo chiamarono Enki; l'acqua aveva un valore magico altissimo, e i maghi la usavano spesso nei riti: nei templi del Dio non mancava mai un serbatoio perché dalle profondità dell'Acqua dell'Apsu derivavano tutti i segreti della terra; la moglie di Ea era Ninki/Damkina/Damgalnunna); Nergal era il Signore degli spiriti infernali, il cui regno era polvere e tenebre; attributi di Nergal erano la spada e la peste; altra Dea Infera era Ereshkigal o Allatu
Signora della Grande Terra. Nel regno delle ombre stava la sede di tutte le malattie.
Un'altra Trinità importante era quella lunare: Sin-Shamash-Ishtar.
Sin era il Dio della Luna: come Dio Lunare, aveva il crescente considerato come un paio di corna (e via via considerato anche una scimitarra o una barca).

https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/il-dio-sumero-della-luna-e-i.html

Nota di Lunaria: il simbolo del Dio Wiccan ha, come corna, la mezzaluna, esattamente come il Dio indù Shiva.




Sin era "Il Signore del Diadema": dava e toglieva la sovranità ai re. Presiedeva anche alla misurazione del tempo. Sua sposa era Ningal, la Grande Signora. Shamash era un Dio solare, figlio di Sin perché il giorno è figlio della notte, ma era più potente e più splendido di suo padre. Era rappresentato come un disco raggiante, talvolta alato o in forma alata, spesso sul carro solare. Come illuminatore era anche il Dio della giustizia, giudice degli Dei e degli uomini; lo si trova raffigurato sul codice lapideo di Hammurabi. La sposa di Shamash è Aya e i loro figli sono Kettu e Mesaru (la Giustizia e il Diritto). Ishtar (dai Sumeri chiamata Innini) è la personificazione del pianeta Venere e dei suoi due aspetti: mattutino e vespertino.
Dea del sesso, dei piaceri sensuali, la Benevola che brilla nell'azzurro del cielo della sera, figlia di Anu (ma adorata più del padre); le sue Sacerdotesse sono le Ierodule;
la Dea non ha marito, ma sceglie quando vuole i suoi amanti; come Dea del mattino e assimilabile al fratello Shamash, ha un aspetto bellicoso come "Signora delle battaglie"
Gli Assiri in particolar modo furono devoti all'aspetto bellicoso di Ishtar, e la raffiguravano spesso in compagnia dei leopardi nei templi di Ninive e Arbela, con arco e freccia e la stella sul capo.

Nota di Lunaria: i Death SS hanno dedicato ad Ishtar una bella canzone: "Lady of Babylon"
Ogni città, inoltre, aveva il suo Dio protettore: Marduk a Babilonia, Shamash a Larsa, Bel a Nippur ecc. e gli Dei presiedevano essi stessi alla fondazione della città. Il re era il vicario ("patesi", "ishshakku") del Dio e il primo sacerdote mediatore tra gli Dei e gli uomini. Sargon diceva di sé di essere nato da una Sacerdotessa e di essere stato esposto in un paniere sulle acque finché venne raccolto presso Akki e Ishtar si innamorò di lui, facendolo re.

Nota di Lunaria:  non ricorda la storiella biblica di mosè bambino affidato in un cestino al fiume, e poi trovato dalla figlia del Faraone d'Egitto??



Gli Assiri poi avevano anche un Dio Nazionale: Assur (Ashshur) anche se non oscurò la celebrità di Marduk. Assur era raffigurato all'interno di un disco alato in atto di scaricare l'arco contro i nemici.



Gli Assiri fecero "sposare" il loro dio Assur a Ishtar (chiamata "Assurit")
Altri Dei erano Ninib, figlio di Enlil/Bel e Dio della guerra e della caccia, anche se assume un aspetto agricolo, sotto il nome di Ningirsu, "Signore della piantagione"; Zamama era il Dio delle armi; entrambi erano sposati con Bau e Gula. Gli Assiri amarono molto queste divinità, innalzando grandi templi a Kalkhu.
Un altro Dio agricolo era Tammuz, Dio della vegetazione che nasceva in primavera e moriva in piena estate sotto la falce del mietitore.


Nota di Lunaria: il culto a Tammuz era un culto dove le fanciulle "piangevano" il Dio che moriva. Nel mito sumero Tammuz era noto anche come Dumuzi ed era il divino paredro della Dea Inanna. Tale pratica, il "piangere ritualmente ogni anno" è attestata nella Bibbia, anche se è camuffata sotto la storiella della "figlia di Iefte", probabilmente un mito allegorico o di Tammuz (ma qui trasformato in femmina, per "scolorire" di più l'ovvia fonte sumera dalla quale gli ebrei scopiazzavano a destra e a manca) o di una Dea minore dell'agricoltura, anche lei destinata a morire come muoiono le spighe falciate dal contadino.

Lo abbiamo visto qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/dumuzi-la-figlia-di-iefte-e-i.html
Tammuz/Dumuzi, figlio legittimo dell'Apsu (lo sviluppo della vegetazione si deve all'irrigazione) scendeva nel regno delle ombre (Arallu) ma non vi rimaneva a lungo, perché dopo un certo tempo risorgeva e tornava sulla terra, e Ishtar, sua sposa, piange su di lui la lamentazione funebre che abbiamo trovato come reperto.
Nabu, figlio di Marduk, era il Dio della scrittura, assimilabile al Thot egizio e identificato con Mercurio e sposato con Nana/Tashmit, "l'Ascoltatrice".

Nota di Lunaria: in realtà molto prima di Nabu c'era la Dea Nisaba (Nidaba, "Signora di Sab[a]"), che presiedeva alla scrittura e alle misurazioni, teneva le registrazioni (per esempio, del grano). Era patrona degli scribi.
Dee che derivano da Nisaba sono Belit-Seri, una Dea Akkadica, sposata ad Amurru e Dea delle trascrizioni delle azioni umane nell'aldilà, e Seshat, Dea della scrittura e delle scienze (architettura ed edilizia) moglie di Thot. Seshat custodiva gli "Annali reali", dove annotava gli anni di regno di un sovrano. Era anche la Dea dell'edilizia e della costruzione. Era la Dea della scrittura e della sapienza, e come signora dei costruttori preparava i modelli dei nuovi templi. Veniva considerata incarnata in terra da una sacerdotessa che compariva accanto al Faraone per svolgere alcuni riti.

Nina/Nanshe era la Dea Sumera delle acque, figlia di Ea (Enki) e Ninhursag, alla quale si dedicarono canali e fonti e dalla quale deriva il nome della città Ninive; aveva un tempio e le si offrivano pesci, per propiziarsi la pesca; più tardi fu chiamata Nana e poi assimilata a Ishtar.
Uttu era la Dea degli abiti, Ninkasi la Dea della birra, di cui ci è pervenuto un inno che insegna come i Sumeri facessero la birra.




La Dea Sumera più importante era Ninhursag, legata alla fertilità e alle montagne; un segno che ricorda l'Omega era proprio il suo simbolo... ovviamente poi scopiazzato dai cristiani per il loro gesù "alfa e omega"






Tra l'altro questa Dea "dall'aspetto alieno" ha dato adito all'idea di chi crede che l'umanità sia stata creata dagli alieni...

Anche la cantante Janet Jackson si è fatta rappresentare come una Dea Sumera...








Sullo stesso argomento, vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/arte-sumera-babilonese.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/i-capolavori-dellarcheologia.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/i-fenici.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/inni-babilonesi.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/le-pratiche-funerarie-dei-sumeri-la.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/ishtar.html

ALTRO APPROFONDIMENTO: IL MITO DELLA CREAZIONE PRESSO I SUMERI

Info tratte da


Per i Sumeri, la Terra (Ki) era un disco piano, galleggiante sopra una distesa di acqua dolce (Apsu), circondato da un grande mare, racchiuso dentro un anello formato di montagne. Tutto questo era contenuto all'interno di una sfera, la cui metà superiore era il Cielo (An), dove si muovevano gli astri, e la parte inferiore era oscura e sconosciuta: erano gli inferi (Kur). La sfera era sospesa in un mare primordiale (Nammu), una sorta di Caos originario.



Nammu era la Dea che aveva partorito An-il Cielo, e Ki-la Terra, personificazioni del principio maschile e femminile della creazione. Dalla loro unione nacquero tutti gli Dei, primogenito in assoluto fu Enlil, che separò il Cielo dalla Terra. Dal mare si originò ogni cosa esistente, anche le divinità.

Il poema Enuma Elish ne parlava in questi termini:

Quando in alto non era ancora nominato il Cielo,
quando sotto la Terra ferma non aveva un nome
Abitazioni per gli Dei non erano costruite
e le canne delle paludi non erano visibili
quando essi non portavano ancora un nome e destini
non erano stati destinati
allora furono procreati gli Dei in mezzo a essi.


Una volta che questi esseri divini vennero all'esistenza, diedero il via ad una lotta cosmica che alla fine sancì la vittoria dell'Ordine sul Caos e del Bene sul Male.
L'universo creato dagli Dei aveva il suo centro nel paese di Sumeri, e gli abitanti si consideravano i discendenti del primo essere umano (Nota di Lunaria: tanto per dimostrare che "l'idea di un Adamo" non è che ce l'avessero solo gli ebrei e poi i cristiani...)
Secondo i Sumeri, l'umanità venne creata solo quando le divinità erano stanche di lavorare la terra. Fu Ea, dio del destino, che propose di "dare forma all'uomo affinché svolgesse il duro lavoro degli Dei" e loro potessero "godere la pace". Così, gli Dei decisero di sacrificare il dio Kingu per plasmare, col suo sangue e l'argilla, il primo essere umano.





I cherubini citati nella genesi biblica sono stati ispirati dai miti mesopotamici: Dumuzi e Gizzida erano associati ai cherubini, immaginati come due sfingi alate, nei templi mesopotamici, e rappresentati accanto ad alberi sacri nell'arte cananea e fenicia; comparivano anche due serpenti intrecciati al palo (come nel Caduceo)

Nota di Lunaria: onde evitare insulti contro la sottoscritta, mettiamo la prova che testimonia che "non me lo sono inventata io che gli ebrei si sono ispirati dai miti sumero-babilonesi"








ALTRO APPROFONDIMENTO: IL DILUVIO NEI MITI SUMERI

Info tratte da

Sembra che verso il 3000 a.c si sia verificata un'inondazione che si abbatté per più di 600 chilometri e che colpì soprattutto Ur. Di questo diluvio mastodontico ne parlano tutti i testi mitologici della Mesopotamia, oltre che la bibbia.
La versione sumera del diluvio narra che "Quando gli Dei abitavano nella città di Shurupak", le divinità, in collera con gli esseri umani, vollero affogarli.
Fu Ea, uno degli dei, a rivelare questo proposito al suo essere umano favorito, Utnapishtim, ordinandogli di costruire una gigantesca barca per imbarcare tutte le specie viventi.
Dopo che Utnapishtim fu salito a bordo della barca, si scatenò un diluvio tremendo. Per sei giorni e sei notti l'acqua cadde, solo il settimo giorno la tempesta finì.
La barca si arenò sul monte Nisir.
Utnapishtim liberò una colomba, che tornò indietro; poi una rondine, che tornò indietro anch'essa. Infine, un corvo, trovò la terra emersa dove posarsi.
Allora Utnapishtim sbarcò e offrì dei sacrifici agli Dei.
Con questo racconto, i Sumeri vollero ammaestrare gli uomini sulla volontà degli Dei ma anche dare una spiegazione ai fenomeni meteorologici.

ORA METTIAMO ANCHE LE FOTOGRAFIE DELLE PAGINE COME PROVE, PRIMA CHE QUALCHE CRISTIANO MI DENIGRI DICENDO CHE "NON è VERO NIENTE! è UN TUO DELIRIO DA MENTECATTA! TE LO SEI INVENTATO TU! ANALFABETA CHE NON HA MAI LETTO UN LIBRO! è UNA TUA MENZOGNA!"



APPROFONDIMENTO: Divinita' e Regalita' presso Sumeri, Assiri e Semiti nel radicale "Mlk"

Tratto da


Con la sura LXVII "Potere Regale" inizia una serie di cantici lirici, spirituali, che si potrebbero facilmente comparare agli inni religiosi dell'area semita. Questi capitoli hanno una grandiosità, un senso mistico nascosto, una bellezza non comune. Partendo da vette altissime, scendono con la loro luce fino nei meandri più oscuri della vita, nella concretezza dei fatti quotidiani. Nel loro linguaggio incontriamo dovizia di simboli che descrivono in termini di spiritualità le umili cose di ogni giorno.

Benedetto sia colui nelle cui mani sta il potere regale: egli su ogni cosa è onnipotente!
Benedetto colui che ha creato e vita e morte per saggiare chi di voi opera meglio: egli è potente, egli è perdonante.
Benedetto colui che ha creato i sette cieli, uno sull'altro, perché tu veda che nell'opera creatrice dell'Abbondante in misericordia tutto è armonioso.


Il concetto che regge il capitolo e che ne forma la parte essenziale è quello della Regalità di Dio:
"Benedetto sia colui nelle cui mani/sta il potere regale"
L'idea tipicamente semita di dare a Dio l'appellativo di Re Assoluto (الملك) viene da lontano. C'è un processo ideologico che deve essere sottolineato: il punto di partenza è quello della Divinizzazione del Re Assoluto. In Egitto il Re era considerato l'incarnazione della Divinità, in modo particolare delle Divinità fecondatrici (il Dio che muore e risorge) diventando così apportatore di vita, perciò Salvatore. Sul piano più ordinario degli avvenimenti storici, nessuna azione importante era intrapresa dal re, specie nessuna guerra di conquista, senza un'indicazione e una ispirazione divina. Per la Babilonia si pensi al periodo neosumerico e postsumerico cui risalgono gli inni ai governatori e Re Divinizzati come Sulgi, Ismedagan, Lipitistar.


Altri inni sumerici sono diretti ad una Divinità, ma chiusi con una preghiera o un oracolo in favore del Re. In seguito, nel mondo assiro, il carattere divino del Re verrà messo in evidenza, ma ad ogni sommossa di popoli, o all'inizio di ogni campagna militare, i sacerdoti indovini saranno pronti ad assicurare al Re la vittoria a nome della Divinità (Assur, Marduk, Ishtar)





Per la Mesopotamia il carattere divino del Re non è molto documentato: esso vi è presente solo in qualche linea, in qualche periodo e in qualche ambiente.
Invece si deve al pensiero di Israele un capovolgimento radicale del concetto. Questo capovolgimento si manterrà fedelmente sia nel cristianesimo sia nell'islam.  Israele esalta la figura del Re, talvolta in modo sproporzionato, ma non gli attribuisce carattere divino. Non si tratta più, in questo transfert psicologico-religioso, di divinizzare la figura del Re, ma al contrario, la Divinità viene umanizzata: alla stessa si attribuiscono, con processo di analogia, le caratteristiche proprie del Sovrano Assoluto. Il Re, al massimo, si incontra con la Divinità, ma come rappresentante qualificato della nazione.
Il radicale semitico per indicare "regnare, Re" è identico nelle lingue semitiche: in sumero-accadico abbiamo le tre consonanti "mlk" che, vocalizzate, significano di volta in volta "Principe", "Consigliere", "Consiglio", "Ragione". Ritroviamo le tre radicali in ebraico e in arabo. Si tratta di un radicale venerando, pregnante di significati sovrani.

 


E musicalmente non possiamo non citare gli Absu



e i Melechesh!



Due band da sempre ispirate a questi temi!