Libagioni Funebri e Fantasmi in ''La Torcia'' di M.Z.Bradley e in Vincenzo Monti

Uno stralcio molto interessante che descrive l'usanza di celebrare la memoria del defunto tramite vino speziato; aggiungerò anche un celebre passo tratto dall'"Aristodemo" di Vincenzo Monti.



Per tutta la notte Cassandra sentì la pioggia e il vento che assalivano l'alto palazzo di Priamo, mentre le donne della casa reale piangevano Troilo. Lavarono il corpo, lo vestirono, lo coprirono di spezie preziose e bruciarono incenso per coprire l'odore di morte. Nel grigiore tra il buio e il levar del sole interruppero i pianti durati tutta la notte per bere vino e ascoltare il canto di una citareda, che esaltò il valore del giovane morto e raccontò che era caduto perché la sua bellezza era così grande che il Dio della Guerra l'aveva desiderato al punto di prendere le sembianze di Achille per portarselo via. Quando il canto finì, Ecuba chiamò a sé la donna e le diede un anello come compenso per la sua nobile elegia; poi fu invitata a riposare e a bere una coppa di vino caldo alle spezie. Elena, che aveva preso a sua volta una coppa, si portò accanto a Cassandra. «Andrò a sedermi altrove se non vuoi far vedere che parli con me»,
disse. «Sembra ch'io non sia più gradita fra le donne.» Appariva smunta, disfatta e pallida... S'era sciupata dopo la morte dei figli, e Cassandra notò le striature opache nell'oro dei suoi capelli. «No, resta qui», disse Cassandra. «Credo che tu sappia che ti sarò sempre amica.» «Tuttavia la mia offerta era sincera», disse Elena. «Tornerò da Menelao. Forse mi ucciderà, ma potrei avere la possibilità di rivedere l'unica figlia che mi resta prima di morire. Paride pensa che avremo altri figli, e anch'io l'avevo sperato... Voleva che nostro figlio regnasse su Troia dopo di noi.» Guardò Cassandra con aria interrogativa, e costei annuì, sebbene capisse che, approvando quanto aveva previsto Elena, era come se accettasse quella sorte. Negli ultimi anni s'era abituata a quella sensazione e sapeva che era assurda. Se la colpa era di qualcuno, era degli Dei, o delle forze che li facevano agire come agivano. Alzò la coppa verso Elena e bevve, e sentì la forza della bevanda; a quell'ora non era abituata a bere. Aveva mangiato pochissimo il giorno prima. Elena fece eco ai suoi pensieri e disse: «Chissà se la regina fa bene a far servire un vino puro così forte quando siamo semidistrutte dal dolore e dalla fame. In breve tutte le donne saranno ubriache fradicie.» «È una tradizione», disse Cassandra. «Se non servisse il vino migliore, dubiterebbero del suo amore e del suo rispetto per il figlio morto.» «È strano», disse pensosamente Elena, «il modo in cui la gente pensa alla morte o rifiuta di pensarci. Paride, per esempio... sembra convinto che, siccome i nostri figli sono morti, gli Dei accetteranno forse il sacrificio della loro vita e ci risparmieranno.» «Se un Dio accettasse che gli innocenti espiassero i peccati dei colpevoli, non avrei rispetto per lui; tuttavia alcuni credono negli Dei che accettano il sacrificio del sangue innocente», disse Cassandra. Poi soggiunse, quasi in un sussurro: «Forse è un'idea che gli Dei mettono nella mente degli uomini: Agamennone non sacrificò la figlia sull'altare della Vergine perché un vento favorevole portasse la sua flotta a Troia?» «È vero», disse sottovoce Elena. «Anche se adesso Agamennone non vuol sentirne parlare, e dice che il sacrificio è stato opera della moglie, mia sorella, un sacrificio alla sua Dea. Gli achei temono le vecchie Dee, dicono che sono maledette. Anche gli uomini più audaci fuggono atterriti davanti ai Misteri delle donne.» Cassandra girò lo sguardo nella stanza buia dove le donne bevevano e parlavano. «Vorrei che potessimo ispirare loro questo terrore», disse, e ricordò come aveva visitato la tenda di Achille in una visione... o forse in un sogno. Il ricordo l'indusse a pensare che forse poteva avere ancora accesso alla mente dell'eroe acheo: avrebbe tentato alla prima occasione. Alzò la coppa in silenzio e bevve. Elena fece altrettanto. Nella stanza si sentì una corrente d'aria. La porta s'era aperta e Andromaca stava sulla soglia: reggeva una torcia con le fiamme agitate dal vento. Aveva i capelli gocciolanti di pioggia, l'abito e il mantello infradiciati. Entrò come uno spettro, salmodiando sottovoce un inno funebre. Si chinò sul corpo di Troilo e baciò la guancia pallida. «Addio, fratello caro», disse con voce chiara ed esile. «Tu precedi il più grande degli eroi per parlare agli Dei della sua eterna vergogna.» Cassandra le si avvicinò in fretta e disse a voce bassa ma udibile: «La vergogna inflitta al valoroso ricade su coloro che la infliggono, non su chi la subisce». Versò una coppa di vino speziato, fortissimo, ancora meno diluito di quanto lo fosse stato quando la brocca era piena. Forse era meglio così: Andromaca si sarebbe addormentata e avrebbe dimenticato l'orrore, se non la sofferenza. Le mise in mano la coppa e sentì nel suo alito il puzzo del vino... dovunque fosse stata, aveva bevuto parecchio. «Bevi, sorella mia», invitò. «Ah, sì», disse Andromaca, con il viso grondante di lacrime. «Venni con te a Troia quand'eravamo quasi bambine e durante il viaggio tu mi dicesti quanto era bello e valoroso. Mio figlio è nato nelle tue mani. Sei la mia amica più cara.» Abbracciò Cassandra e si abbrancò a lei, barcollando, e Cassandra si accorse che era già ubriaca. Lei medesima sentiva l'effetto del vino che aveva bevuto, e capiva lo stato d'animo di Andromaca. Costei si chinò di nuovo a baciare il viso di Troilo e disse a Ecuba: «Sei fortunata, madre, perché puoi ornare il suo cadavere e piangere. Il mio Ettore giace sotto la pioggia, insepolto e illacrimato.» «Non è illacrimato», disse dolcemente Cassandra. «Tutte noi piangiamo per lui. Il suo spirito udrà le tue lacrime e i tuoi lamenti, anche se il suo corpo è laggiù, con i cavalli di Achille.» Le si spezzò la voce al pensiero del giorno successivo alla venuta di Andromaca a Troia, quando Ettore le aveva proibito di portar armi e aveva minacciato di picchiarla. Aveva parlato per confortare Andromaca, ma adesso si chiedeva se non aveva peggiorato le cose. Gli occhi della cognata erano freddi e asciutti. Cassandra la guidò verso la panca: ma, quando Andromaca vide Elena lì seduta, indietreggiò snudando i denti in una smorfia che fece apparire il suo viso simile a un teschio. «Tu sei qui e fingi di essere addolorata?»
«Gli Dei sanno che non fingo», disse Elena a voce bassa. «Ma se preferisci, me ne andrò. Tu hai più diritto di restare.» «Oh, Andromaca», disse Cassandra, «non parlare così. Entrambe siete venute in questa città come straniere, e qui avete trovato una casa. Tu hai perso il marito, ed Elena i figli, per volere degli Dei: dovreste essere unite nel dolore, non avventarvi l'una contro l'altra. Siete entrambe mie sorelle e vi amo.» Con una mano attirò vicina Elena, con l'altro braccio strinse a sé Andromaca. «Hai ragione», disse Andromaca, «siamo tutti impotenti nelle mani degli Dei.» Arricciò il naso e finì di bere il vino. Con voce impastata da ubriaca continuò: «Sorella, siamo entrambe vittime in questa guerra. Gli Dei non vogliono che la pazzia degli uomini ci se... ci separi...» S'impappinò goffamente. Si abbracciarono, in lacrime, ed Ecuba venne a unirsi al loro abbraccio, piangendo a sua volta. «Quanti morti! Quanti morti! I tuoi adorati figli, Elena! I miei figli! Dov'è il figlio di Ettore, il mio ultimo nipote?» «Non è l'ultimo, madre. Hai dimenticato? Creusa e le sue figlie sono state mandate al sicuro: non rischiano nulla», le ricordò Cassandra. «Sono lontane da Achille e dall'esercito nemico.» Andromaca disse: «Astianatte è troppo grande per restare nell'alloggio delle donne. Non posso neppure confortarlo, né cercare conforto vedendo nel suo viso i lineamenti del padre». La voce era ancora più triste del suo viso in lacrime. «Quando ho perduto... i miei piccoli», ricordò Elena con voce tremante, «mi hanno portato Nico perché mi confortasse. Andrò a prendere tuo figlio e te lo porterò.» «Oh, che tu sia benedetta», esclamò Andromaca. Cassandra le disse: «Lascia che ti accompagni nella tua stanza: non vorrai che venga qui, in mezzo a queste donne ubriache». «Sì, te lo porterò là», la rassicurò Elena. «Tu hai ancora tuo figlio, ed è il più grande dei doni.» A una a una le donne, sfinite dal dolore e dal vino, se ne andarono a letto. Solo Ecuba e Polissena, nella veste di sacerdotessa, presero posto alla testa e ai piedi di Troilo, per vegliarlo fino a quando fossero venuti a prendere il corpo per arderlo. Cassandra si domandava se doveva restare: ma non gliel'avevano chiesto, neppure per compiere le mansioni di sacerdotessa purificando la camera ardente. Avevano più bisogno di lei Andromaca ed Elena: sapeva di essere estranea, fra le donne di Troia, come loro che venivano da Colchide e da Sparta. Andò con Elena ed Andromaca nelle stanze di Paride, dove trovarono Nico e Astianatte. I due bambini avevano pianto. Astianatte aveva la faccia sporca e macchiata di lacrime. Qualcuno gli aveva detto che suo padre era morto e aveva cercato di consolarlo. Elena portò i due bambini al pozzo nel cortile e lavò loro il viso con un lembo del velo. Astianatte si buttò fra le braccia della madre, poi disse: «Non piangere, madre. Mi hanno detto che non dovevo piangere, perché mio padre è un eroe. Quindi, perché tu piangi?» Elena disse dolcemente: «Astianatte, devi asciugare le lacrime di tua madre; ora è compito tuo averne cura, poiché tuo padre non può più farlo». Quando il figlio l'abbracciò, Andromaca si sciolse di nuovo in lacrime da ubriaca. Elena e Cassandra la portarono nella sua stanza, la misero a letto e le posero accanto il figlio. «Nico resterà con me», disse Elena. «Oh, perché ce li tolgono così giovani?» Ma quando prese fra le braccia Nico, egli si ritrasse sdegnato. «Non sono un bambino, madre! Tornerò con gli uomini.» Soffocando i singhiozzi, Elena replicò: «Come vuoi, figlio: ma prima abbracciami». Nico obbedì controvoglia e corse via. Elena, con la faccia grondante di lacrime, lo guardò allontanarsi senza protestare. «Paride non si è comportato con lui meglio di Menelao», osservò. «Non mi piace vedere gli uomini che fanno diventare i bambini simili a loro. Grazie agli Dei, Astianatte non si vergogna ancora di stare con la madre», disse guardando la pioggia grigia che cadeva fuori del palazzo. «Cassandra!» esclamò all'improvviso. La sua voce era così piena di paura che per poco Cassandra non lasciò cadere la torcia. «Se finiremo nelle mani degli achei, che sarà di mio figlio? Forse i troiani non si fermeranno di fronte a nulla, pur di impedire a Menelao di riprenderselo.» «Vuoi dire che mio padre o uno dei miei fratelli lo ucciderebbero per evitare che torni a Sparta?» Cassandra non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Non che mi sembri possibile, però...» «Se lo credi, forse dovresti tornare davvero da Menelao e portare in salvo il bambino», disse Cassandra. «Senza dubbio ti accoglierebbe a braccia aperte, se gli riportassi il figlio...» «Io pensavo che Nico si sarebbe trovato meglio a Troia, che Paride sarebbe stato per lui un padre migliore di Menelao», disse amaramente Elena. «E lo è stato, Cassandra. Lo è stato. Ma ora... ora lo odia perché è vivo mentre i nostri figli sono morti...» La voce le si spezzò; per un momento pianse, aggrappata a Cassandra. «Allora andrai?» «Non posso», mormorò stordita Elena. «Non so decidermi a lasciare Paride. Mi ripeto che il volere degli Dei m'impone di restare finché tutto sarà finito. Paride non mi ama più, ma preferisco stare a Troia anziché a Sparta...» Non finì la frase, poi riprese: «Cassandra, tu sei stanca. Non devo più trattenerti. Va' a dormire. Oppure tornerai a vegliare Troilo?» «No, non credo che mi vogliano», rispose Cassandra. «Tornerò alla Casa del Signore del Sole.» «Con questa pioggia? Senti che temporale!» disse Elena. «Puoi dormire qui, se vuoi. Puoi dormire nel mio letto... è molto improbabile che arrivi Paride. Avranno bevuto tanto in onore dello spirito di Ettore che non riusciranno a salire le scale. O se vuoi posso ordinare alle schiave di prepararti un letto nell'altra stanza.» «Sei molto gentile, sorella, ma le schiave ormai dormiranno. Lasciale riposare», disse Cassandra. «La pioggia mi schiarirà la testa.» Prese il mantello, alzò il cappuccio, abbracciò Elena e la baciò. «Andromaca non pensava veramente quello che ti ha detto.» «Oh, lo so. Al suo posto proverei gli stessi sentimenti», disse Elena. «Ha paura. Che sarà ora di lei e di Astianatte? Paride ha già deciso di succedere a Priamo, senza lasciare il posto al figlio di Ettore. E se Paride dovesse portare a buon fine la guerra...» «Non è possibile», disse Cassandra. «Tuttavia tu non devi aver paura, Elena. Menelao non ha combattuto tutti questi anni per vendicarsi.» «Lo so. Gli ho parlato», replicò Elena, facendola trasalire. «Non so perché, ma mi rivuole con lui.» «Gli hai parlato? Quando?» Cassandra stava per chiedere come aveva fatto; poi ricordò che, come moglie di Paride, Elena poteva andare dove voleva, anche al campo acheo. Ma perché era andata a conferire con i comandanti nemici? si chiese insospettita; poi assolse l'amica dall'ombra del tradimento. Era comprensibile che Elena si preoccupasse della propria sorte e di quella del figlio. «Se parlerai di nuovo con lui», disse, «chiedigli se può influire in qualche modo su Achille per ottenere la restituzione del corpo di Ettore.» «Credimi, ho tentato e tenterò ancora», le assicurò Elena. «Senti, la pioggia è meno forte; se vai ora, arriverai prima che ricominci a diluviare.» La baciò di nuovo e l'accompagnò alla porta della reggia. Cassandra uscì sotto la pioggia. Prima che avesse salito metà della prima rampa di scale, ricominciò un terribile rovescio, mentre il vento le artigliava il mantello. Per un attimo pensò con rammarico che avrebbe dovuto accettare il letto offerto da Elena. Enea stava banchettando e bevendo con gli uomini, e difficilmente l'avrebbe raggiunta quella notte. Ma ormai era assurdo tornare indietro. Continuò la salita sotto il temporale. Quando svoltò nella via della Casa del Signore del Sole, sentì dietro di sé un passo leggero. Dopo tanti anni di guerra gli sconosciuti la innervosivano; si voltò, nella luce fioca delle torce appese sopra la porta, e scorse il viso e la figura ammantata di Criseide. Nonostante la luce scarsa vide che aveva la veste gualcita e macchiata di vino, i cosmetici impiastricciati sul viso. Sospirò, chiedendosi in quale letto avesse passato parte della notte e perché l'avesse lasciato con quel nubifragio. Sembra una gatta dopo una notte di vagabondaggi... Solo che una gatta si sarebbe lavata il muso... Il custode della Casa del Signore del Sole le accolse con stupore ed esclamò: «Siete rimaste in giro con questo tempaccio orribile, signore?» Ma nessuno aveva mai mostrato curiosità per gli andirivieni di Cassandra; avrebbe potuto avere tanti amanti quanti ne aveva Criseide, e nessuno se ne sarebbe curato. Mentre attraversavano il cortile verso il dormitorio, situato nella parte più alta del Tempio, Cassandra rallentò per non distanziare la ragazza. «È così tardi che fra poco sarà chiaro», disse. «Vuoi venire nella mia stanza a lavarti la faccia prima che ti vedano nel Tempio così conciata?» «No», rispose Criseide. «Perché? Non mi vergogno di ciò che faccio.» «Dovresti evitare che tuo padre ti veda così», disse Cassandra. «Gli spezzerai il cuore.» La risata di Criseide era un tintinnio di vetri infranti. «Oh, andiamo! Non s'illuderà che sia uscita vergine dal letto di Agamennone!» «Forse no», disse Cassandra. «Non può rimproverare a te gli eventi della guerra. Ma vedendoti così conciata si addolorerebbe.» «Credi che m'importi? Io stavo bene dov'ero, e vorrei che avesse pensato agli affari suoi e mi avesse lasciata là.» «Criseide», disse dolcemente Cassandra, «sai quanto si disperava per te? Non pensava ad altro.» «Allora è uno sciocco.» «Criseide...» Cassandra la guardò. Si chiese che cosa aveva nel cuore... se pure aveva un cuore. Infine domandò, incuriosita: «Non ti dà vergogna apparire davanti agli uomini di Troia, i quali ti riconoscono e sanno che eri la concubina di Agamennone?» «No», rispose Criseide in tono di sfida. «Come Andromaca non aveva vergogna se gli uomini sapevano che apparteneva a Ettore, ed Elena non ne ha se è noto che appartiene a Paride.» C'era una differenza, secondo Cassandra: ma non riusciva a riordinare i propri pensieri per poterle dire qual era. «Se la città cadrà», continuò Criseide, «tutte verremo assegnate a un uomo: perciò mi do a chi voglio, finché posso ancora farlo. E tu, Cassandra, intendi conservare la verginità perché un vincitore te la tolga a forza?» Non posso darle torto... Cassandra non seppe che cosa rispondere; si voltò ed entrò nella sua stanza. All'interno, un'ancella neghittosa aveva lasciato spalancate le imposte, ed entravano vento e pioggia. Il pagliericcio di Melissa era fradicio. La bambina era rotolata fuori del giaciglio sul pavimento di pietra, e s'era rifugiata contro la parete. Ma anche così era tutta bagnata. Cassandra chiuse le imposte e portò la bambina nel suo letto. Melissa era fredda come una ranocchietta; piagnucolò quando Cassandra la sollevò, ma senza destarsi. Cassandra l'avvolse nelle coperte, la cullò, la strinse al seno finché sentì che i piedini e le manine incominciavano a scaldarsi, poi la posò e si stese accanto a lei, avvolgendosi nel mantello. Il fragore del temporale era smorzato dalle finestre chiuse, ma il vento scuoteva ancora con forza le imposte. Cassandra chiuse gli occhi, cercando di inviare lo spirito lontano da lì. Con sua sorpresa, quando si liberò dal corpo e si allontanò dal letto passando dalla finestra, non sentì più il temporale, ma solo un silenzio profondo: sul piano dove ora si muoveva il suo spirito non c'erano intemperie. Veloce come il pensiero, scese la collina nel chiaro di luna e volò sulla pianura tra le porte di Troia e il terrapieno che difendeva il campo acheo. Sotto quella luna impossibile le ombre erano nitide e nere sulla pianura silenziosa e deserta. C'era soltanto una sentinella semiaddormentata. Paride aveva ragione, pensò: avrebbero dovuto scagliare tutte le loro forze in un attacco notturno. Poi ricordò che nel mondo fisico i bastioni achei erano protetti dalla pioggia meglio che da tutte le sentinelle. Scorse una struttura in ombra e riconobbe il carro di Achille, e una sagoma indistinta che doveva essere il cadavere di Ettore. Il suo primo pensiero fu di gratitudine perché in quella sorta di Aldilà (come era giunta in quel mondo di morte quand'era ancora tra i vivi?) il corpo di Ettore non era martellato dalla pioggia e dal vento urlante. E, mentre pensava a lui, Ettore le apparve sorridendo. «Sorella», disse, «sei tu. Dovevo aspettarmi di vederti qui.» «Ettore...» Cassandra s'interruppe. «Come stai?» «Ma...» Parve riflettere. «Meglio di quanto mi aspettassi», rispose. «Non soffro più, quindi credo di essere morto. Ricordo solo che sono stato ferito e ho pensato che doveva essere la fine. Poi mi sono svegliato, e Patroclo mi ha aiutato a rialzarmi. È rimasto con me per un po', quindi ha detto che doveva stare al fianco di Achille e se n'è andato. Poi, stanotte sono andato alla reggia, ma Andromaca non poteva vedermi. Ho cercato di parlare con lei e quindi con nostra madre, per assicurarle che stavo bene, ma sembrava che non mi udissero.» «Quand'eri vivo, udivi mai la voce dei morti?» «No, naturalmente. Non ho mai imparato ad ascoltarla.» «Ebbene: è per questo che non hanno potuto sentirti. Cosa posso fare per te, fratello? Vuoi sacrifici o...» «Non so a cosa servirebbero», disse Ettore. «Ma raccomanda ad Andromaca di non piangere. Mi sembra così strano non poterla confortare. Dille che non si addolori; e se puoi, dille che presto verrò a prendere Astianatte. Vorrei lasciarlo alle sue cure, ma mi è stato detto...» «Chi te l'ha detto?» «Non lo so», rispose Ettore. «Non ricordo... forse è stato Patroclo, ma so che presto verranno da me mio figlio, e mio padre, e Paride. Andromaca no... resterà lì per lungo tempo.» Si avvicinò, e Cassandra sentì il tocco lieve delle sue labbra sulla fronte. «Addio anche a te, sorella», disse. «Non temere. Dovrai soffrire molto, ma ti assicuro che tutto finirà bene.» «E Troia?» «Ah, no. È già caduta», disse Ettore. «Vedi?» Gentilmente, la fece voltare con mani incorporee. E Cassandra vide un gran cumulo di macerie dal quale si levavano alte fiamme, là dove una volta sorgeva Troia. Ma il fragore della distruzione... com'era possibile che non l'avesse udito? «Qui il tempo non esiste», continuò Ettore. «Ciò che è e ciò che sarà sono una sola cosa. Non comprendo», disse, agitandosi, «perché stanotte sono entrato nelle sale del palazzo di mio padre e stavano banchettando; e ora, guarda, la città è caduta. Forse quand'ero sulla terra avrei dovuto interrogare coloro che conoscono queste cose: ma sembrava che non ne avessi mai la possibilità. Ora vedo Apollo e Poseidone... guarda, lottano tra loro per la città...» Indicò al di sopra delle macerie, dove due figure mostruose giganteggiavano sopra le nubi e si battevano, splendenti come folgori. Cassandra rabbrividì alla vista del volto amato del Signore del Sole, coronato dai riccioli d'oro. Si sarebbe voltato e l'avrebbe vista aggirarsi nei reami proibiti? Si volse risolutamente verso l'ombra di Ettore. «E Troilo? Sta bene?» «È stato per un po' con me: mi ha seguito correndo», disse Ettore. «Ma ora è alla reggia con nostra madre: ha cercato di dirle che non deve disperarsi. Non riusciva a credere che non potesse farsi sentire. Forse nostra madre ti ascolterebbe, se glielo dicessi tu. Sa che sei sacerdotessa e che conosci queste cose.» «Ah, non so se darà ascolto neppure a me, fratello caro», disse Cassandra. «Ha le sue opinioni, e rifiuta le mie. Ma per amore dei nostri genitori e per la loro tranquillità...» S'interruppe per riflettere. «Sono venuta per cercare di spaventare Achille e indurlo a rendere il tuo corpo in cambio del riscatto. Forse, in questo riusciresti meglio di me.» «Credi che abbia paura dei fantasmi? Ha ucciso tanti nemici che deve essere sempre circondato dai loro spettri», disse Ettore. «Ma vedrò che cosa posso fare. Ritorna, sorella, torna dalla tua parte del muro che ora sorge tra noi, e di' a nostro padre e a nostra madre che non devono perdere tempo piangendo: presto saranno con me. E assicurati che Andromaca non si addolori: aspetterò qui nostro figlio. Di' a lui di non aver paura, perché sarò pronto a riceverlo. Andromaca non vorrà certo fargli vivere i giorni che si preparano.» Ettore si allontanò, fluttuando, verso la tenda di Achille. Dopo un momento si voltò di nuovo... e già, pensò Cassandra, sembrava distante e strano, come uno sconosciuto. «No, non seguirmi, sorella. Qui le nostre strade si separano. Forse c'incontreremo ancora e ci comprenderemo meglio.» «Non devo raggiungere te e Troilo, con i nostri genitori?» «Non lo so», disse Ettore. «Tu servi altri Dei; credo che, se varcherai le soglie della morte, andrai altrove. Ma a me è dato sapere che le nostre strade si dividono qui; per molto tempo, se non per sempre. Che tu possa avere fortuna, Cassandra.» Tornò ad abbracciarla, e Cassandra si stupì nel sentire la forza di quell'abbraccio. Non era uno spettro: era reale quanto lei. Poi si dileguò: anche la sua ombra svanì sulla pianura.


Vincenzo Monti, inizio dall' "Aristodemo"



Aristodemo: "Sì, Gonippo, un orrendo pensiero; e quanto è truce tu non lo sai. Lo sguardo tuo non passa dentro il mio cor, né mira la tempesta che lo sconvolge tutto. Ah! mio fedele, credimi, io sono sventurato assai, senza misura sventurato; un empio, un maledetto nel furor del cielo, e l'orror di natura e di me stesso."


Gonippo: "Deh, che strando disordine di mente! Certo il dolore la ragion t'offusca, e la tristezza tua da falso e guasto immaginar si crea."

Aristodemo: "Così pur fosse! Ma mi conosci tu? Sai tu qual sangue dalle mani mi gronda? Hai tu veduto spalancarsi i sepolcri, e dal profondo mandar gli spettri a rovesciarmi il trono?" "Sì morirò; son pronto: eccoti il petto, eccoti il sangue mio; versalo tutto, vendica la natura, e alfin mi salva dall'orror di vederti, ombra crudele."

Aristodemo: "Ebben: sia questo adunque l'ultimo orror che dal mio labbro intendi. Come or vedi tu me, così vegg'io l'ombra sovente della figlia uccisa; ed, ahi, quanto tremenda! Allor che tutte dormon le cose, ed io sol veglio e siedo al chiaror fioco di notturno lume; ecco il lume repente impallidirsi; e nell'alzar degli occhi ecco lo spettro starmi d'incontro, ed occupar la porta minaccioso e gigante. Egli è ravvolto in manto sepolcral, quel manto stesso onde Dirce [è il nome della figlia uccisa da
Aristodemo, nota di Lunaria] coperta era quel giorno che passò nella tomba. I suoi capelli, aggruppati nel sangue e nella polve, a rovescio gli cadono sul volto, e più lo fanno, col celarlo, orrendo. Spaventato io m'arretro, e con un grido volgo altrove la fronte; e me 'l riveggo seduto al fianco. Mi riguarda fiso, ed imobil stassi, e non fa motto. Poi, dal volto togliendosi le chiome e piovendone sangue, apre la veste, e squarciato m'addita, ahi vista! Il seno di nera tabe [sangue] ancor stillante e brutto. Io lo respingo; ed ei più fiero incalza, e col petto mi preme e colle braccia. Parmi allor sentir sotto la mano tepide e rotte palpitar le viscere: e quel tocco d'orror mi drizza i crini. Tento fuggir, ma pigliami lo spettro traverso i fianchi e mi trascina a' piedi di quella tomba, e "Qui t'apetto" grida, e ciò detto, sparisce."

Gonippo: "Inorridisco. O sia vero il portento o sia d'afflitta malinconica mente opra ed inganno, ti compiango, mio re. Molto patirne certo tu dèi; ma disperarsi poi debolezza saria. Salda costanza d'ogni disastro è vincitrice. Il tempo, la lontananza dileguar potranno de' tuoi spirti il tumulto e la tristezza. Questi luoghi abbandona, ove nudrito da tanti oggetti è il tuo dolor. Scorriamo la Grecia tutta, visitiam cittadi, vediamone i costumi. In cento modi t'occuperai, ti distrarrai...Che pensi? Oimè! Che tenti, sconsigliato?"




P.s purtroppo il mio adorato Vincenzo Monti non lo possiedo in questa bella edizione





Nu Wa e il Serpente

Info tratte da





1) Nell'Astrologia Cinese ogni anno è associato ad un animale; gli animali dello zodiaco cinese sono Topo, Cavallo, Bufalo, Capra, Tigre, Scimmia, Gatto, Gallo, Drago, Serpente, Cane, Cinghiale.

2) L'Astrologia Cinese è anteriore allo svilupparsi del buddhismo. Mentre l'Astrologia occidentale è solare, basata sugli spostamenti apparenti dell'astro diurno, l'Astrologia Cinese è lunare, basata sul ciclo annuale delle lunazioni.

Il Serpente corrisponde agli anni 1905-1917-1929-1941-1953-1965-1977-1989

Il Serpente, Signore dei Labirinti, silenzioso e strisciante, compare insistentemente, sin dai tempi più remoti, nei nostri sogni e nelle nostre leggende, suscitando in noi angoscia e desiderio, attrazione e repulsione. Acquattato sotto una pietra, acciambellato nel nostro cuore oppure ritto davanti ai nostri occhi sbarrati, il Serpente è sempre presente. Compagno di stregoni e di maghi, rappresenta uno dei più elevati simboli iniziatici, quello del cerchio, cioè dell'infinito e quindi della conoscenza esoterica per eccellenza. In Oriente, nello Yoga tantrico dell'India e nel Buddismo tantrico del Tibet, incarna la Kundalini, quel flusso di energie primordiali e sottili che fluiscono dalla radice della colonna vertebrale alla sommità del capo, collegando tra loro i piani mentali, vitali e soprapsichici. Il risveglio e la liberazione del Serpente Kundalini costituiscono infatti una delle tappe decisive della realizzazione spirituale e determinano il manifestarsi di temibili poteri paranormali quali la telepatia, la chiaroveggenza e la levitazione. Il Serpente ci rimanda di continuo ai suoi molteplici universi simbolici e mitici, non cessa mai di stupirci e ci sorprende persino nel sonno. Ci sono pochi animali al mondo tanto ricchi di significati simbolici come il Serpente. Dal Serpente che si morde la coda, simbolo dell'eterno ritorno, a quello del "Libro dei morti" tibetano ("Io sono il Serpente Sata che dimora nelle regioni più lontane della terra. Io muoio, io rinasco, mi rinnovo e ridivento giovane ogni giorno") fino al Serpente Cinese che rappresenta la Saggezza. Ofidio sacro o rappresentazione del male, Demonio e Dio della Terra Madre, abitante delle acque, delle paludi, del fango e della torba, strisciando da terre profonde, emergendo dal caos, sorge dalla notte dei tempi e dalle profondità più oscure del nostro inconscio dove alimenta sogni e fantasmi. La sua immagine è inscindibile dalla cultura e dalla società cinesi in quanto il Serpente è il padre mitico degli imperatori della Cina.
Al principio era il Caos, non si erano ancora formati né cielo né terra, esisteva soltanto la vita. Una vita piena di forme, di materia, di colori meravigliosi, di suoni divini e di profumi inebrianti, ma non vi era nessuna creatura che potesse percepire quei colori, sentire quei profumi, ascoltare quei suoni... "Il Caos abitava un uovo enorme. Il fuoco riscaldava il suo guscio, lo lambiva con le sue mille fiamme e, avvolgendolo nella potenza creatrice del proprio calore, vegliava sul suo focolare, il suo crogiuolo, la sua vita. Pan-Ku nacque. Tutto ciò che era leggero formò il cielo, tutto ciò che era pesante formò la terra. Il mondo si assestò, Pan-Ku crebbe... era il Grande Tutto: congiungeva il cielo e la terra, il suo capo toccava la sommità, la volta stellata, il suo corpo attraversava il cielo e i suoi piedi affondavano nella terra madre. Passarono gli anni, il cielo si fece sempre più alto, la terra sempre più pesante e compatta. Pan-Ku fu il primo, creò il vento, lo spazio, le nubi e ne fece scaturire il tuono e la folgore; per riscaldarla diede alla terra il Sole e, per ricordarle il freddo, le offrì la Luna... Infine, per completare la propria opera le diede tutto il suo sangue, i suoi umori, la sua pelle e i suoi capelli e, in un ultimo bacio, le lasciò persino i denti e le ossa che divennero le pietre e i metalli che la resero solida. Grazie a Pan-Ku il Sole riscaldava la terra, la Luna brillava nel cielo, erano nati i pianeti e le stelle. Ma non c'era ancora nessun essere umano, fino al giorno in cui comparve Nu-Wa. Era di incomparabile bellezza, possedeva le virtù del saggio, aveva un corpo da serpente e una testa con fattezze umane... Strisciando sulla terra, NuWa si inebriò dei mille profumi, che si sprigionavano dal suolo e comprese che erano i profumi della vita. Aiutandosi col muso, scavò la terra gialla, l'ammucchiò e la impastò a lungo... Un nuovo essere venne al mondo, scaturì dalla gola di Nu-Wa, possedeva una testa d'uomo e un corpo da scimmia..."

(da "Tradizione Astrologica Cinese" di Xavier Frigara e Hélène Li)  


Infine, nell'Astrologia Cinese ogni anno è associato a uno dei cinque elementi, Acqua, Fuoco, Legno, Metallo, Terra.

Per determinare l'elemento corrispondente all'anno di nascita:


Anni che terminano per 1 e 6: Acqua Anni che terminano per 2 e 7: Fuoco Anni che terminano per 3 e 8: Legno Anni che terminano per 4 e 9: Metallo Anni che terminano per 5 e 0: Terra

Altri rimandi al Serpente:

1) La Dea dei serpenti di Creta
2) Medusa
3) Mami Wata
4) Nagneshwari
5) Mogal Mataji
6) Todi Ragini
7) Giunone
8) Manasa




APPROFONDIMENTO: ASCLEPIO E IL SERPENTE GUARITORE



Nota di Lunaria: prima di vedere il culto ad Asclepio, una breve introduzione alla Medicina Antica.
Aulo Cornelio Celso scriveva nella sua opera "La Medicina":


"Come l'agricoltura assicura gli alimenti ai corpi sani, così la medicina promette la guarigione ai corpi malati. Essa si trova ovunque, poiché anche i popoli più inesperti conobbero erbe e altri rimedi a sollievo delle ferite e delle malattie. Presso i Greci però è stata assai più coltivata che presso gli altri popoli e anche fra loro non dalle prime origini, ma da pochi secoli."
In questo brano, Celso riassume gli inizi della medicina antica: da una medicina primordiale, si sviluppò in Grecia un'arte medica che in pochi secoli doveva raggiungere l'eccellenza di disciplina scientifica fondata su basi filosofiche.
Durante il II millennio a.C, fiorì in Grecia una civiltà testimoniata da insediamenti situati sull'isola di Creta: la Grecia cretese-micenea ebbe molteplici rapporti con la civiltà egizia e mesopotamica (e probabilmente, anche africana. Nota di Lunaria). Nel vicino Oriente erano già nate, in epoche ancora più remote, le scienze fondamentali (astronomia, matematica, geometria e medicina). Nell'Odissea, a proposito degli Egiziani, si dice: "E ognuno vi è medico, esperto al di sopra di tutti/gli uomini, perché stirpe sono di Pèone".
Sempre da Celso, sappiamo che: "Esculapio vi è celebrato come il più antico maestro, che per aver coltivato con maggior sottigliezza questa scienza fino allora rozza e accessibile a chiunque, venne accolto fra gli Dei"


Già per Celso quindi la storia della medicina inizia con i poemi omerici. Nel mondo omerico, però, le sofferenze che richiedono una cura sono esclusivamente quelle di ferite riportate in battaglia o durante la caccia. Altri mali non sono concepiti come malattie che possono essere alleviate con intervento umano, ma sono piuttosto imposti dal destino e costituiscono una sorta di punizione inviata dagli Dei, come la pestilenza che infuria all'inizio dell'Iliade, dove cadono sotto i dardi di Apollo sia gli animali sia gli uomini. Solo quando la colpa di Agamennone nei confronti dei sacerdoti del Dio è stata espiata e Apollo stesso è stato placato con dei sacrifici, solo allora la pestilenza si estingue.

L'immagine di Asclepio si diffuse nel V e IV sec. a.c, quando iniziarono a diffondersi rapidamente i santuari del Dio guaritore e vennero prodotte le immagini di culto e devozione; tra gli artisti più famosi si annoverano Dionisio di Argo, Calamide, Alcamene e Colote.
Il Dio era rappresentato anche assiso su un trono, con una mano posata sulla testa del serpente e un cane accovacciato ai piedi: sia il serpente sia il cane erano animali sacri ad Asclepio. Un'altra raffigurazione del Dio lo rappresentava appoggiato al bastone cinto da un serpente. Soprattutto il serpente era il tratto caratteristico del Dio, che lo rendeva immediatamente riconoscibile.



Il serpente incarnava le divinità ctonie e lo stesso Asclepio si presentava sotto forma di serpente.
(Nota di Lunaria: il serpente si associa anche ad altre divinità, in diverse culture; frequente era anche pensare una divinità sotto forma di serpente stesso; posso citare Mami Wata e Shiva, con il serpente attorno al collo o alle spalle; Damballah, serpente egli stesso; Giunone Sospita col serpente ai piedi; Manasa, la Dea indù dei serpenti.




Il serpente di Asclepio era ritenuto un animale mansueto, che venendo a contatto col paziente o sfiorandolo con la lingua, portava alla guarigione operata da Asclepio. Il mitico colubro di Esculapio viene identificato con l'innocuo rettile arboricolo tipico dell'Europa sud orientale, il Coluber longissima, noto anche come Elaphe longissima. Il cane, poi, era connesso alle divinità degli inferi. L'omphalos coperto di bende di lana, che specialmente nelle raffigurazioni romane appare spesso accanto ad Asclepio, allude al rapporto tra il Dio e Apollo. La verga cinta dal serpente divenne un vero e proprio attributo del Dio. Il simbolo era talmente noto che è rimasto come simbolo della medicina e dell'ordine medico anche oggigiorno.
Al seguito di Asclepio, oltre alla figlia Igea, personificazione della Salute (*), Akeso, Iaso e Panacea, alla moglie Epione e ai figli Macaone e Podalirio, compare anche un piccolo personaggio, dalla statura di un bambino e le fattezze di uno gnomo, rivestito con mantello e cappuccio: Telesforo, "Colui che porta la buona fine"; si trattava di una personificazione delle forze ctonie, che prestavano un contributo alla guarigione.
I cristiani si scagliarono in modo particolarmente violento contro il culto di Asclepio perché Asclepio era guaritore esattamente come il loro "Dio Cristo" ed appariva evidente che Cristo era un plagio di Asclepio. I cristiani distrussero i santuari di Asclepio o si limitarono a sostituire la devozione al Dio Guaritore con il culto "dei santi Cosma e Damiano", ritenuti "santi medici. Anche il santuario di Iside a Canopo, presso Alessandria, celebre per le sue guarigioni, fu distrutto nel V secolo d.C. Cirillo cercò di sostituire il culto di Iside con la venerazione per "i santi Ciro e Giovanni".


(*) Approfondimento su Igea


Igea era figlia del Dio guaritore Asclepio, e personificazione della Salute. Era considerata di primo piano insieme al Dio, mentre la consorte di Asclepio, Epione, rimane piuttosto in secondo piano.
Asclepio aveva anche altre tre figlie, oltre ad Igea: Akeso, Iaso e Panacea, personificazioni delle qualità del padre. Panacea è "Colei che tutto sana" mentre gli altri nomi delle sorelle erano derivati dai verbi greci indicanti il guarire.
Igea si rivelò indissolubilmente legata ad Asclepio, sia nel culto che nelle raffigurazioni: le fu tributata fin dall'inizio una venerazione pari a quella del padre. Era l'immagine del perfetto stato di salute, ma il suo ruolo non rientrava nel processo di guarigione, e la relegava a testimone delle sorti del fedele.
A Igea era tributato anche un proprio culto: ad Epidauro e Pergamo si trovavano dei templi consacrati esclusivamente a Lei, mentre a Titane, sul Pelopponeso, dove pare si trovasse un importante santuario delle due divinità, le donne usavano offrire le chiome alla Dea, ornando con esse l'immagine sacra.
Molte delle importanti opere di scultura d'età classica rappresentano Igea con Asclepio; la scultura più importante è quella di Igea Hope, che dal punto di vista estetico si rifà a Kore-Persefone: Igea è raffigurata giovinetta, mentre si prende cura del serpente, che è attorcigliato sulla sua spalla e scende con la testa fino alla mano della Dea, che le sta offrendo del cibo o forse una bevanda.



DIANA ABNOBA, SIRONA, SULIS, SEQUANA, DAMONA

Nella Renania e zone limitrofe della Francia scaturiscono numerose sorgenti minerali sia calde che fredde, frequentate già in epoca preromana. Le sorgenti servivano come provvista gratuita di acqua calda ma anche come luogo di culto per le divinità; anche se le divinità germaniche erano designate con nomi latini e quindi assimilate alle Dee romane della salute, venivano chiamate anche con gli appellativi in cui sono riconoscibili i nomi originari delle divinità locali. Badenweiler, nella Foresta Nera, è una località ove affiora una sorgente calda di acqua oligominerale, ancora oggi impiegata nelle terapie delle affezioni reumatiche, articolari e vascolari. Nel 1784 si scoprì, in un'area poco distante dalla sorgente e coperta di rovine, un edificio balneare romano. Sul lato a settentrione delle terme era situata una sala rettangolare che si apriva su un portico dove venne trovato un altare dedicato alla Dea del luogo: Diana Abnoba, protettrice
delle terme. (e forse anche delle partorienti, e lo so perché mi è stata raccontata una testimonianza da chi ha visitato il luogo. Nota di Lunaria) Baden Baden nell'antichità non era semplicemente una località termale, ma era il capoluogo della Civitas Aquensis; come per la maggior parte delle località note per i bagni, il toponimo era semplicemente Aquae; in seguito sembra che il nome venisse mutato in Aquae Aureliae. Oggi le acque della sorgente di Baden Baden vengono prescritte per la cura della gotta, delle affezioni reumatiche e del catarro. 

Il culto delle fonti salutari e delle sorgenti era diffuso in tutto il mondo antico ma assumeva una particolare importanza nell'ambiente galloromano. In una radura paludosa sul margine settentrionale dell'Idarwald, tra Hinzerath e Stipshausen, vi è una sorgente dove erano venerati Apollo Granno, la divinità celtica corrispondente all'Apollo medico romano, e la Dea Sirona. Sirona era adorata anche in altre località termali, nella valli della Mosella e del Reno. La Dea era rappresentata con il serpente attorno al braccio (come la Dea indù Manasa. Nota di Lunaria) e la phiàle, ovvero nelle sembianze di Igea.



Nota di Lunaria: riporto anche questo approfondimento tratto da


Per quanto riguarda il Dio Guaritore Grannus (ce ne parla Cassio Dione), talvolta è stato associato alla Dea Sirona o Dirona, venerata nella regione della Mosella superiore e a Magonza, Nierstein, Luxeuil, Roma.
Veniva rappresentata con della frutta o delle spighe in mano. L'interpretazione del nome presenta delle difficoltà: si è supposta una connessione con i termini latini "Stella" e l'altotedesco "Stern" e questa Dea, in un'immagine, appare con la falce lunare sopra il capo;
comunque la Luna non è ancora una stella. La parola "Grannus" la si è collegata all'irlandese "Grian", "Sole" oppure a "Guhrena", "bollente, caldo", e sarebbe da collegarsi molto più alle sorgenti termali. Anche un Dio chiamato Adsmerius/Atesmerius è congiunto con una Dea, Rosmerta. Ambedue i nomi derivano dalla radice -smer, che si ricollega al concetto di "Fato" o "Provvidenza". C'è anche un'altra interpretazione: smeru potrebbe essere "grasso" e in questo caso Rosmerta potrebbe essere stata una Dea della fertilità (tiene in mano una cornucopia e spesso un caduceo); ma studiosi come Even e La Roux propendono per il significato di "risparmiare" e quindi Rosmerta sarebbe stata la Dea della sovrabbondanza materiale, caratteristica che la legherebbe a Mercurio (Dio dei commerci) secondo anche quanto scrive Cesare parlando degli Dei dei Celti (Cesare ne cita solo 5, assimilandoli tutti agli Dei romani e chiamandoli come tali). Non sappiamo molto altro su questa Dea; comunque il prefisso "Ro" dovrebbe indicare una forza divina a cui vengono attribuiti grandi poteri, dunque è probabile che fosse stata una Dea molto importante, un tempo. Per quanto riguarda Diana, veniva designata con i nomi gallici di Arduinna e Abnoba.
Talvolta appariva come una divinità delle fonti o della salute per esempio a Wiesbaden dove porta il nome di Mattiaca. Un legato della I. Legione
ha dedicato un tempio, nelle vicinanze di Godesberg alla "Sanctissima Dea Diana". Nell'altare quadrilatero di Magonza Diana Venatrix compare associato al Dio del Martello Sucellos, associato, in certi altari alla Dea Nantosuelta, portante una cornucopia in mano. Per curiosità: il martello era associato anche all'aldilà. Un'altra Dea della quale possediamo una statua di bronzo, è Artio, che tiene una ciotola nella mano destra e nella sinistra fiori e frutta. Presso i Voconzii c'era una certa Dea Andarta, forse una Dea degli orsi o guerriera assimilabile alla Dea Andraste venerata dalla regina britannica Boudicca.
 Dal punto di vista etimologico, il nome potrebbe derivare da "ar", "suolo coltivato" e forse sarebbe una Dea del terreno arativo, o "art", pietra. Il collegamento con l'orso lo si avrebbe nei termini "artos" (orso) e "arta" (orsa). Forse era invocata dai cacciatori come la Dea protettrice degli orsi. Possiamo accostarle Arduinna, la Dea del cinghiale. è interessante notare come all'attività della Caccia fossero connesse diffusamente Dee: Diana cacciatrice, la slava Devana, Arduinna, forse con un'origine che risale all'età della pietra.


Nota di Lunaria: la scrittrice Fantasy Morgan Fairy nel suo libro "La Pietra di Moor"
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-pietra-di-moor-di-morgan-fairy.html
citava una Dea simile ad Arduinna


In Inghilterra la tradizione delle fonti salutari britanno-romane si è conservata nella città balneare di Bath, sul fiume Avon. La fonte era sacra alla Dea Sulis, che portando un elmo, era assimilata a Minerva.
I romani chiamarono il luogo Aquae Sulis. Qui sorgeva un grandioso tempio con colonne corinzie dedicato a Sulis. Nella fonte stessa sono stati trovati doni votivi come monete, gemme, tavolette scritte con formule di maledizione che però non presentano alcun rapporto diretto con le guarigioni che si sperava venissero operate dall'acqua. (Forse perché Sulis aveva anche un aspetto distruttivo, oltre che guaritivo; l'elmo lascerebbe intendere che fosse anche una Dea della guerra. Nota di Lunaria)

Infine una breve citazione per Damona, simile a Sirona-Igea, rappresentata col serpente e la testa coronata di spighe, adorata in un piccolo tempio quadrato, poco più lontano del santuario di Hochscheid, e per Sequana, venerata alle sorgenti della Senna, a cui venivano donati ex voto, iscrizioni, monete, statuette, anche di particolari anatomici come occhi, organi genitali, mammelle.

Nota di Lunaria: aggiungo anche queste Dee fluviali, Tamesisaddas, Dea celta del fiume Tamigi e Verbeia, la Dea Celtica del fiume Wharfe

Per il serpente in genesi, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-3-il-serpente-dagon-e.html
Per il serpente in Cambogia: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/cambogia-arte-culto-shiva-spiriti-e.html

Arte nell'Antica Cina: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/01/larte-nellantica-cina.html





Chi se lo ricorda questo cd, recensito su Metal Hammer nel '98 o giù di lì???






Evenfall

Li ho persi di vista gli Evenfall... Vi metto qui una delle loro prime interviste 
(p.s ovviamente questo loro cd https://www.youtube.com/watch?v=HGat4SIUn5I lo voglio originale, è un piacevole cd di Black Metal sinfonico molto emozionale, con divagazioni cradle of filthiane e Gothic anni 90)

Ho ingrandito le foto, e se le scaricate dovreste poterle leggere in formato maxi





Ma comunque ho fatto gli screenshot anche dei singoli paragrafi, così è più agevole la lettura















Le Origini Pagane della Befana (2)

Per la prima parte dello scritto, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/le-origini-pagane-della-befana-1.html

Oltre alla fate-streghe derivate da Diana, nelle Dodici Notti dell'Europa medioevale si aggiravano anche tante altre figure diaboliche.
In alcune parti della Slesia la gente bruciava della resina di pino tutte le notti tra Natale e Capodanno, affinché l'acre fumo cacciasse via tutte le streghe e gli spiriti maligni; alla vigilia di Natale e nell'ultimo giorno dell'anno si faceva gran fracasso per i prati e i per i campi e attorno a cespugli e alberi per cacciare le streghe e si avvolgeva paglia attorno agli alberi da frutta per impedire agli spiriti di far loro del male e di compromettere la fruttificazione.
Ugualmente in Belgio si accendavano fuochi giornalieri tra Natale ed Epifania per allontanare tutti gli spiriti nemici della luce.
In Boemia, nel giorno di San Silvestro, i ragazzi, con gli arnesi più svariati, si disponevano in cerchio e per tre volte facevano con quelli un baccano assordante, chiamando tale rito "terrorizzare le streghe", le quali sarebbero così fuggite da quelle terre.
L'ultima delle Dodici Notti, notte d'Epifania, veniva ritenuta la più propizia all'espulsione delle potenze del male. In Stiria si diceva che in questa notte una terrificante strega girasse per le case lasciando ovunque i segni del suo passaggio.
A Sarutheim, nel Tirolo, sei giovani mascherati chiamati "Glockelsanger" giravano di casa in casa la vigilia d'Epifania cantando, bevendo e bastonando un fantoccio che si portavano dietro, la strega Zuschweil, che impersonava la causa di ogni male.
In Svizzera, nella valle di Muota nel Cantone di Schwyz, nella notte tra il 5 e 6 gennaio, aveva luogo la "Grauflaute", la cacciata della Vecchia, rito che era preceduto, la sera del giovedì prima di Natale, dalla caccia ad un'altra strega chiama Posterli. Si credeva di metterla in fuga con un infernale rumore di campanacci, campanellini per capre, paioli e padelle, schiocchi di fruste, latte di ferro e di ottono battute le une contro le altre, corni alpini, clarinetti e corni da caccia... Così a Brunen, sul lago di Lucerna, i ragazzi facendo il medesimo frastuono, sempre nella notte d'Epifania, andavano in processione nei boschi per scacciare due spiriti femminili della foresta, Strudeli e Stratteli, e la gente credeva che, se non si fosse fatto abbastanza rumore, le due streghe avrebbero quell'anno reso sterili gli alberi da frutta.
Nel Labruguière, regione della Francia meridionale, scrive James Frazer, "alla vigilia dell'Epifania la gente corre per le strade suonando campanacci e sonagli e facendo ogni sorta di rumore. Poi al lume delle torce e dei fascinotti accesi innalza un frastuono prodigioso, con urli da far tremare i muri, sperando così di cacciar via dalla città tutti i vaganti spiriti e demoni".
Anche nella campagna italiana, la sera del 5 gennaio, si usava percorrere prati e campi con delle torce accese, per far fuggire gli spiriti del male che, continuando ad aleggiare sulle colture, avrebbero arrecato danni ai futuri raccolti.
 
E finalmente cominciò a volare


Diana, Satia, Abundia, Erodiade, Holle, Berchta: da tutto questo baillamme stregonesco, frutto di elementi contrastanti, originato da credenze dalle radici oscure e confuse, ecco che finalmente prende il volto sulla sua scopa una strega di buon cuore: la Befana.
Dalla Stiria e dal Tirolo, valicante le Alpi, Diana-Berchta, presso gli italiani, ha mutato il suo nome ed è divenuta la benefica Vecchia del 6 gennaio, la Befana, rappresentata come strega a cavallo della scopa, che, volando nella Dodicesima Notte, lascia ai bambini dolci o carbone.

Nella Befana confluiscono e si fondono, per rinascere sotto nuova luce, tanti elementi precedenti: la generosità della Dea Strenia e lo spirito delle feste e dell'antica Roma mitigato dal miele dell'Epifania cristiana, i concetti di fertilità e fecondità della mite Diana, trasmutati nella rustica bontà della benigna Befana, il truce aspetto esteriore avuto in eredità da certe streghe da tregenda; una punta di crudeltà che le sopravvive dentro e ha origine negli aspetti corrotti delle divinità del male in volo notturno e che essa eredita in paticolar modo dalla sua consorella Berchta, crudeltà che viene accentuata violentemente in certe sue manifestazioni regionali, quali quella della Befana toscana che col suo spillone buca il cuore dei bambini cattivi, o nella pugliese Morta Befani con il suo volto ferale o ancora nella perfida Befana bellunese e cadorina, la Redodesa, terribile e addirittura assassina e antropofaga, un rozzo senso di giustizia proprio delle primitive divinità popolari e che Befana eredita dalla sua antesignana tedesca Holle.
E in tutto ciò che circonda la Befana, in quello che forma il bagaglio delle sue tradizioni, nel folklore che le si è abbarbicato attorno, sono rintracciabili infiniti episodi che hanno origine in ciò che era prima del suo volare, in certe realtà delle quali, figuratamente, si è appropriata: nei doni "portati dalla Befana" come non vedere il proseguire della tradizione dei piccoli sigillaria portati da Strenia ai bimbi romani? La modestia dei doni portati originariamente da Strenia (datteri, fichi, miele) è la stessa che caratterizzerà la maggior parte dei doni della Befana: mandarini, arance, noci e qualche raro dolciume. Viene anche spontaneo cercare qualche punto di contatto tra le antiche fiere di Campo Marzio, della Via Sigillaria e dell'Esquilino nelle quali i genitori della Roma imperiale acquistavano i doni per i loro bambini e quelle che si tennero nella Roma dei Papi attorno a sant'Eustachio e poi a piazza Navona.
I falò, che il 6 gennaio crepitavano e crepitano ancora oggi un po' ovunque per l'Italia e con i quali al pari di una vera strega anche la Befana viene talvolta bruciata, sono i diretti discendenti di quelli accesi dai Latini per festeggiare la nascita del Sole.
Nelle torte che in varie regioni venivano preparate per l'Epifania, molti studiosi hanno voluto vedere una sopravvivenza, evolutasi fino a stravolgersi, dell'antica focaccia votiva dedicata a Giano (*), nei primi giorni dell'anno.

Come in Frau Holle e Frau Berchta, Befana è spesso raffigurata con la rocca in mano e come loro è molto attenta alle filatrici. Come Abundia e Satia, girando per le case, ama trovare cibi e bevande calde lasciati appositamente per lei accanto alle finestre o ai camini accesi.
E come le sue consorelle tedesche, anche Befana ha un seguito, composto da befanotti e folletti, che sostituiscono i lugubri cortei dei bambini morti anzitempo, il cane feroce e il servo Hollepeter.

In Befana rivivono dunque, simbolicamente, tutte queste cose: culti pagani, antiche consuetudini, tradizioni magiche precristiane sull'esistenza di spiriti malefici, tanti brandelli di riti legati alle antiche feste, del solstizio d'inverno, confluiti poi, come eredità, nelle feste cristiane che vanno dal Natale all'Epifania.
A lei, alla sua magica presenza, spetta un importante compito, dalle Alpi alla Sicilia: l'anno vecchio è finito con il giorno di san Silvestro (**), è vero, ma in realtà è il suo volo sulla scopa, sono i suoi doni, la sua festa che chiude definitivamente, nell'ultimo dei fatidici dodici giorni, con i passati dodici mesi.




(*) E non solo Giano, ma anche alla Regina del Cielo, cioè Astarte, che i cattolici scopiazzano per la loro "madonna" https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/le-origini-pagane-della-befana-1.html

(**) Molto intelligentemente i testimoni di geova fanno notare che



"Ogni manifestazione biologica", scrive Eliade, "avviene grazie alla fecondità della terra, ogni forma nasce da lei, viva, e a lei ritorna quando è esaurita la parte di vita che le era stata assegnata. Vi torna per rinascere, ma prima di rinascere per riposare, purificarsi, rigenerarsi" dunque, "nessuna scomparsa è decisiva: la morte delle forme viventi è soltanto un modo latente e provvisorio di esistenza" e ciò va esteso a tutte le cose, dalla Terra stessa, madre di ogni manifestazione biologica, ai suoi innumerevoli figli, cioè a tutto ciò che sopra di essa vive, uomini compresi. La Madre Terra ha un rappresentante umano privilegiato: la Donna.
e cosa scolpivano, i primi esseri umani?
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/introduzione-allarte-della-preistoria.html
Non certamente i padri barbuti!!!

"Essendo solidale con gli altri centri di fecondità cosmica - la Terra, la Luna - la donna acquistava anch'essa il prestigio di influire sulla fertilità e il potere di distribuirla", oltre che di rappresentarla. Ancora Eliade osserva che "tutti gli attributi cosmologici della Luna, della Notte, delle Acque, della Terra, dei semi, della nascita, della rigenerazione, della resurrezione ecc., sono virtualmente presenti anche nella donna." Le antiche Matres, o Matrae o Matronae, di cui si sono trovati tanti significativi simulacri proveniente dalla remota antichità, spesso recanti sulle ginocchia cornucopie, patere, cesti di frutta o bambini avvolti in fasce, si inseriscono in questa attribuzione o in questa simbologia, tesa a raffigurare la Madre Terra come una donna dalle forme generose, dispensatrice di cibo, abbondanza, fertilità e fecondità.

Nota di Lunaria: Nell'Induismo, Jivanitka è la Dea dei bambini e del rinnovamento perpetuo della vita.



L'odioso gesù usurpatore, ovviamente, non poteva che scopiazzare anche questa cosa:
"lasciate che i bambini vengano a me..."


Quando, ovviamente in tutti i popoli politeisti, i bambini e la nascita sono sempre stati associati alle Dee! E LOGICAMENTE!
I Romani avevano parecchie divinità legate al parto e ai bambini: Uterina, Candelifera, Giunone Lucina, Strenia...


Una donna vecchia, o meglio, la Vecchia, invece, rappresenta la stessa Madre Terra che, nel cuore dell'inverno, è infruttifera, spossata, piegata e impoverita dal gelo invernale e dall'oscurità solstiziale; è decrepita, grinzosa, magra, indossa abiti dimessi.



Un'immagine poco accattivante, persino spaventosa. Del resto l'uomo primitivo a cui la dobbiamo, e a cui dobbiamo il complesso mitico, simbolico, rituale in cui si inserisce, "vive nel timore incessante di veder esaurite le forze utili che la circondano. Il timore è particolarmente angoscioso nei riguardi delle manifestazioni periodiche della "potenza", come la vegetazione che, nel suo ritmo, ha momenti di estinzione apparente.
Nonostante il suo aspetto, tuttavia, la Vecchia Donna Madre Terra non perde definitivamente le proprie caratteristiche di scrigno di fecondità: le mostra solo impoverite; nella generale consapevolezza, però, che nell'eterna circolarità del divenire nell'eterno ritorno delle cose, a quella sterile vecchiezza seguiranno una rigenerazione e un ritorno (nella forma e nella sostanza) alla vitalità e fecondità, soprattutto se col rito si asseconderà e si assicurerà tale processo.
Ciò trova, nel calendario popolare, un momento in cui questa dinamica si evidenzia in modo chiarissimo quello del giovedì di mezza quaresima in cui, in diverse zone dell'Europa e dell'Italia, si "sacrificava" una Vecchia, segandone il simulacro all'altezza dell'addome; dallo squarcio prodotto uscivano frutta secca, dolci. Qui siamo alla fine dell'inverno, quando le scorte sono esaurite e la terra e la natura, pure prossime al risveglio primaverile della vegetazione e quindi al ritorno delle disponibilità alimentari, sono ancora spoglie. Dunque, la Madre Terra è allo stesso tempo decrepita e incinta, cioè gravida di tutto ciò che sta per ripresentarsi e rifiorire, in un affascinante ossimoro simbolico.
Il suo "parto", indotto con violento rito, vuole dunque significare e favorire (forzandolo) il ritorno dei beni alimentari nei campi, nei pollai, nelle stalle, nelle dispense. Parlando di questa particolare manifestazione della Vecchia, Dino Mengozzi ha notato acutamente "l'ambivalenza propria della figura posta fra personaggi antitetici come il Carnevale e la Quaresima in prossimità del Sole nuovo di primavera", figura caratterizzata da "un doppio spirito: quello della gola e quello del digiuno. Poi l'identità sfuggente della Vecchia si perde lungo una catena associativa antinomica: ella è vecchia ma incinta, è strega e fata. Il punto d'arrivo più importante sta, però, nell'opposizione drammatica tra gioventù e vecchiezza".
Per tutto ciò che abbiamo finora visto, la Vecchia si equipara e si assimila anche e soprattutto ai morti, entità temporaneamente "esaurite" ma in grado e in attesa di tornare come rigenerate; si equipara a loro - dicevamo - e li rappresenta, assumendosi il ruolo di essere il loro archetipo mitico, la loro sintesi epifanica nella contingenza calendariale del passaggio dell'anno, cioè nel periodo in cui le barriere che separano la dimensione terrena da quella ultraterrena sono aperte perché momentaneamente sospese. "Nel folklore italiano la notte dell'Epifania conserva tracce di un tempo speciale, un tempus terribile. è tempo della rottura dei confini fra vivi e morti, fra quotidiano e meraviglioso" (Cardini)
Così che la Vecchia, nella sua connotazione di Befana, riassume in sé la raffigurazione sia della Madre Terra nel tempo invernale, sia dei defunti, anch'essi soggetti sia a una situazione in apparenza estatica sia all'attesa della rinascita, del rinnovamento vitale. D'altronde, come nota Eliade, "la Terra Madre o la Grande Dea della fertilità domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti", perché sia i semi che i trapassati sono sepolti nella terra per addivenire a nuova vita. Ed è lo stesso autore ad affermare più esplicitamente che il Vecchio e soprattutto la Vecchia, "visti dai contadini come personificazione delle potenze e delle fertilità del campo, cominciano col tempo ad accentuare il loro profilo mitico, sotto l'influenza delle credenze funerarie e si appropriano la struttura e gli attributi degli antenati, degli spiriti dei defunti. In realtà ci troviamo di fronte a complessi rituali e mitici, nei quali la morte e la rinascita si interpenetrano, convertendosi in momenti distinti della stessa realtà transumana. Le zone di interferenza fra culti della fertilità e culti funerari sono tante e così importanti che non può far meraviglia se, dopo la simbiosi e la fusione, si raggiunge una nuova sintesi religiosa."
Una sintesi complessa che si è attuata anche mediante la commistione o la sovrapposizione di credenze provenienti da più culture, con percorsi e meccanismi che si perdono nella notte dei tempi e nel vastissimo spazio che vide le migrazioni e gli incontri dei popoli, dalle steppe siberiane ed euroasiatiche alle loro attuali sedi europee.  

Nota di Lunaria: ci sono davvero molte figure di Vecchie, nel Folklore, le antiche Dee sopravvissute e denigrate nel cristianesimo.  
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/la-crone-laspetto-terrifico-e-saggio.html
In casi come Anna la Nera, l'origine (Morrigan) è evidente
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/irlanda-2-la-narrativa-irlandese-sui.html
Abbiamo poi figure come Baba Yaga https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/gli-slavi-7-il-lesij-la-rusalka-morozko.html
originariamente una Dea Triplice; Rangda (https://intervistemetal.blogspot.com/2017/07/indonesia-mitologia-tatuaggi-e-metal.html) anche Lei, Grande Madre ambivalente;
la Marantega (la Befana veneta), vecchia e filatrice,



dalla somiglianza impressionante con la sarda Filonzana
https://intervistemetal.blogspot.com/2017/12/le-fate-malvage-nel-folklore.html

Mokosh e Habetrot erano Dee filatrici, come le Parche, le Moire, le Norne...

far girare la ruota e tagliare il filo sono evidenti metafore per simboleggiare la Vita e la Morte.
Vedi anche la somiglianza con la carta X dei Tarocchi


E che dire poi della Dea Crone più famosa di tutte, Ecate?
Ma forse, ancora più antica di Ecate, è Dhumavati...
la grande e terribile Dea Vedova del pantheon indù...
https://intervistemetal.blogspot.com/2017/12/le-fate-malvage-nel-folklore.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2017/07/i-significati-dei-colori-e-la-musica.html

La Befana così come appare nel folklore italiano, dunque, è figlia di insiemi mitico-sibolici vari e compositi, perché la cultura popolare del nostro Paese si è formata con l'apporto della religiosità e delle tradizioni latine, celtiche, germaniche, slave, greche, ecc. a loro volta formatesi con supporti ancora più antichi. Sarebbe, qui, impossibile ripercorrere tali complicate genealogie. Allo stesso modo e per lo stesso motivo dovremo soffermarci sulla commistione di culti agrari, funebri e lunari, accennare solo di sfuggita alle divinità ed entità notturne che, in larga parte d'Europa, furono al centro di mitologie e devozioni popolari (poi viste nell'ottica inquisitoriale d'età tardomedievale e moderna come prodromi del sabba stregonesco); divinità che possono almeno in parte rappresentare, secondo molti autori, le "antenate" della Befana: Diana, Ecate, Proserpina, Abundia-Satia, Perchta, Holda, Erodiade...
Non possiamo altresì analizzare il fatto che alla guida della già menzionata caccia selvaggia, cioè la schiera delle anime dei morti che si manifestava principalmente nel periodo tra Natale ed Epifani si trovino proprio alcune delle divinità prima elencate. Né addentrarci ad avanzare comparazioni, pure possibili e importanti, tra le mascherate e le usanze della notte dell'Epifania con gli antichi rituali iniziatici che mettevano i neofiti in contatto con i misteri dei culti totemici e manistici della loro comunità. Se volessimo dar conto di tutto ciò, dovremmo scrivere sulle radici della figura della Befana un intero volume: e non sembri un'esagerazione, visto che tale fatica è già stata portata a compimento con buoni risultati, ai quali rimandiamo.
La Befana, comunque, per semplificare (rischiando di farlo in maniera eccessiva ma pressoché inevitabile) rappresenta, in una sintesi simbolico-religiosa avvenuta nel tempo, sia la condizione invernale della Madre Terra, sia i defunti, sia soprattutto un'elaborazione ierofanica di caratteri ascrivibili a questi due ambiti cultuali.


Per approfondimenti, suggerisco questo libro






Nota di Lunaria: in alcune regioni italiane, ma anche altrove, si organizzano dei falò dove si bruciano dei fantocci; sono versioni non cruente di quanto resta degli antichissimi  sacrifici stagionali, specialmente quelli connessi ai culti del grano o del cambio di stagioni, che sono stati analizzati in lungo e in largo da Mircea Eliade e anche da Frazer. Vedi "Trattato di Storia delle Religioni" e il "Ramo d'Oro", che ora qui non riporto perché l'analisi è lunghissima. Questi sacrifici stagionali prevedevano una o più vittime umane (secondo la dinamica del capro espiatorio) che si immolavano, più o meno consenzientemente, o perché dovevano caricarsi del male e delle sventure della comunità o perché rappresentavano l'incarnazione di un dio che doveva morire stagionalmente (per poi rinascere, come la vegetazione muore in inverno per rinascere in primavera). Gli Africani, per esempio, praticavano il regicidio sacro: il loro re regnava per un periodo, poi a fine mandato veniva immolato; i Mesoamericani organizzavano un'ecatombe: per esempio, le fanciulle danzanti venivano immolate alla Dea Xilonen (legata al mais in germoglio che doveva crescere) tramite decapitazione; a Xipe Totec "Nostro Signore lo Scorticato" si immolavano uomini che venivano scuoiati. Per cui il fantoccio bruciato o il personaggio travestito con muschio o maschere che viene bastonato e cacciato via sono quanto resta di quel tipo di riti ancestrali.

Si approfondisca leggendo Mircea Eliade o Frazer.



Il cristianesimo, ovviamente, creando l'immagine della strega "brutta e vecchia" ha semplicemente demonizzato le antiche Dee Crone (Cailleach, Beira, Dhumavati, Baba Yaga, Pethra, Berchta, Holda...)

«Ma perché gli uomini temono le donne vecchie?» chiese Eilidh. «Non temono i vecchi nello stesso modo!»
«L'uomo vecchio diventa un saggio, un modello cui aspirare», spiegò Caillean. «Temono la vecchia perché è sottratta al loro potere. Con l'avvento del sangue della luna una ragazza diventa donna. Ha bisogno di un uomo per diventare madre, e una madre ha bisogno di un uomo per proteggere i suoi figli. Ma la vecchia conosce tutti i segreti della nascita e della morte; è rinata e non ha bisogno di nulla. Perciò naturalmente l'uomo, il quale conosce solo il primo mutamento che lo porta alla virilità, ne ha paura.»
("Le Querce di Albion" di Marion Z. Bradley)



Relativamente al danno commesso dal cristianesimo nei confronti delle donne anziane si noti che tutte le immagini di maria celebrano una donna bellissima e giovanissima esente da difetti fisici (oltre che da una clitoride attiva...) discriminando, di fatto, tutte le donne che non corrispondono a questa "Miss Paradiso".

Inoltre, nel cristianesimo, la figura del patriarca vecchio(mosé/papa) è legata ad un ruolo attivo di gestione del potere (papa) su modello del loro dio padre (che è immaginato come un vecchio con la barba). L'unico ruolo che c'è, per le donne anziane, nel cristianesimo, è la figura della suora... ovvero l'ancella del papato!!! Si confronti "l'archetipo della suora" con l'archetipo potentissimo di una Dea come Cailleach...

Nota di Lunaria: comunque, parlando di Dea Vecchia, e del falò bruciato in piazza, possiamo introdurre la simbologia della Sol Invicta, la Sole Invitta. Considerando la Vecchia che brucia metafora del Sole che sorge e tramonta, la possiamo anche vedere come la Dea che si auto-sacrifica (nel periodo invernale il Sole è debole, declina sempre di più), ovvero la Redentrice; la possiamo anche considerare come Colei che Resuscita dalle sue ceneri, la Fenice. Parlando di Dee solari, possiamo citare alcune Dee africane oppure l'aborigena Wuriupranili, ma anche Amaterasu o Arinna
e il Nuovo Ciclo ricomincia, come l'Ouroboros. Con questa interpretazione la Dea Vecchia è sorella (o un aspetto) della Dea Fanciulla. (e viceversa)

Nel pantheon slavo, non a caso, esistevano proprio due Dee stagionali, forse sorelle tra loro, e da sempre antagoniste: la primaverile Vesna e l'invernale Morana
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/gli-slavi-6-gli-antichi-dei.html


Ma se ci pensiamo bene, Vesna-Morana non sono che la faccia della stessa moneta. In perfetta logica hegeliana,



la Tesi è seguita dall'Antitesi e ambedue concorrono alla formazione della Sintesi, o se vogliamo un riferimento più spirituale, lo Yin e lo Yang.

In verità, Vesna e Morana sono la stessa Dea. Vesna, quando giunge il tempo, si riveste dei candidi panni pesanti della Signora dell'Inverno, diventando Morana, e Morana quando giunge il tempo, toglie i logori panni invernali ed è pronta per rivestirsi di mille colori, come una fanciulla in festa. 
 

Ma c'è di più, sulla Befana.

Chiamata anche Marantega (che si ritiene una volgarizzazione di "Mater Antiqua"), la Befana può essere considerata la trasformazione del mito della Grande Madre.
Anche in India c'è la Dea Nutrice del Dio Shiva (il principio virile cosmico, tra i suoi innumerevoli significati), ovvero Annapurna. O ancora, la cambogiana Po Ino Nogar, l'Indonesiana Dewi Siri, analoga a Po Ino Nogar, la Malese Takel, le innumerevoli Dee Africane dei raccolti, delle radici, dei tuberi, del cibo (Inkosazana, Ala, Aha Njoku...), la nativa Selu, analoga all'Azteca Chicomecoatl


 Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/02/la-bianca-signora-e-le-dee-immacolate.html